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Autore: MarieCullen    01/05/2009    2 recensioni
Edward lascia Bella in New Moon. Per lui è stata una scelta dolorosa, ma si è sentito costretto a prenderla.
Va via da Forks per far si che Bella lo dimentichi ma non sa che succederà qualcosa che lo riporterà sulle sue decisioni.
Storia partecipante al contest "La vita segreta delle parole"
Genere: Triste, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Without you;



Autore: MarieCullen.
Frase scelta: Le nostre vite si sono incontrate ... le nostre anime si sono sfiorate ... per un istante. (Oscar Wilde)
Titolo: Without you;
Personaggi: Edward Cullen.
Pairing(s): Edward Cullen / Isabella Swan.
Genere: Triste, Malinconico, Sentimentale.
Rating: Giallo.
Avvertimenti: One-shoot.
Breve introduzione alla storia: Edward lascia Bella in New Moon. Per lui è stata una scelta dolorosa, ma si è sentito costretto a prenderla.
Va via da Forks per far si che Bella lo dimentichi ma non sa che succederà qualcosa che lo riporterà sulle sue decisioni.
Note dell’autore: Questo è uno dei missing moment che preferisco, perché mi sono sempre chiesta quali emozioni ha provato Edward in quei momenti e soprattutto in che modo ha vissuto i mesi passati senza Bella. Ricordo che i personaggi non sono miei, ma della saga di Twilight di Stephenie Meyer ed io li ho solo presi in prestito. Buona lettura.


1.
Alone


Correvo.
Gli animali della foresta i miei unici compagni di viaggio. Scappavo, sfrecciavo via dall’unica persona che io avessi mai amato. Non sapevo perché, ma dovevo. O forse sì, lo sapevo. Dovevo proteggerla da ogni cosa che le avrebbe causato dolore, persino da me stesso.
Sperai davvero che non venisse a cercarmi, non avrebbe potuto trovarmi mai. Ero riuscito a convincerla che non l’amavo più, che non la volevo al mio fianco, nonostante lei fosse per me la cosa più importante al mondo. Non sapevo come, eppure mi aveva creduto. Mi ero auto convinto che era la cosa migliore per lei, che non avrei dovuto essere egoista, che era indispensabile lasciarla vivere in modo normale. L’immagine della sofferenza che le avevo causato mi tormentava e sapevo di meritare tutto quel dolore.
Sentivo i rami secchi scricchiolare sotto il mio peso mentre correvo, i muscoli si contraevano e si rilassavano ma non potevo provare la stanchezza che normalmente provocava una corsa. Desideravo poter chiudere gli occhi ed addormentarmi, magari senza svegliarmi più, ma non potevo. La natura che m’intrappolava non mi permetteva di fare ciò che desideravo. Ancora una volta odiai essere un vampiro. Perché non potevo vivere in modo normale, non potevo avere una famiglia normale, non potevo amare la persona a cui apparteneva il mio cuore in modo normale. Ero di nuovo solo e quella volta non ci sarebbe stato nessuno capace di farmi riemergere dall’oscurità che mi stava imprigionando.
Mi fermai e tesi l’orecchio per ascoltare meglio. Nella foresta l’unico suono udibile era quello del fruscio del vento che frustava furioso ogni cosa. Le foglie, i rami, il terreno, niente lì non poteva contrastare il passaggio del vento. Un suono a me famigliare, però, cominciò ad udirsi flebile. Era il battito accelerato ma debole di un cuore umano, un cuore che avrei potuto riconoscere tra milioni, il cuore di Bella. Il suo respiro era affannato, mentre cercava di addentrarsi nella foresta per seguirmi. Era ormai notte, si era certamente persa. Chissà da quanto tempo vagava nella foresta, sola e al freddo. Sentii un tonfo sordo attutito dalle foglie umide sul terreno. Corsi nella sua direzione per assicurarmi che stesse bene e ciò che vidi spezzò definitivamente il mio cuore ormai freddo e muto. Bella era distesa per terra, probabilmente era inciampata. Si raggomitolò su un fianco e così rimase per quasi tutto il tempo. Non possedeva più la forza necessaria per alzarsi o forse semplicemente non desiderava farlo. Il mio primo istinto fu quello di correre ad aiutarla, di dirle che non l’avrei lasciata sola, che l’avrei aiutata, ma m’imposi di rimanere impassibile. La guardai e non potei non pensare che se pativa così era solo cola mia.
Mostro! Sei solo uno schifoso mostro! Urlava la mia coscienza, ed io non potevo far altro che essere d’accordo.
Sentii uno strano odore cominciare a diffondersi nella foresta e ci misi poco ad individuarne la provenienza. Era un odore terribilmente selvatico di lupo. Qualcuno chiamò Bella per nome, più e più volte, ma lei non rispose. Poi i richiami cessarono. Sperai che qualcuno la trovasse; non avrebbe potuto resistere al freddo tanto a lungo. D’un tratto la pioggia cominciò a picchiettare leggera sul terreno, diventando poi sempre più fitta.
Bella non si mosse, sembrava essersi assopita ma il battito del suo cuore mi fece capire che era ancora sveglia. Tremava visibilmente e fui sul punto di correre da lei e portarla via, ma resistetti. Tra i rami e i folti cespugli, sbucò un ragazzo alto e robusto, l’incarnato scuro e l’odore inconfondibile di licantropo addosso. Sam Uley, il capobranco dei Qileute, la prese in braccio e la portò fuori dalla foresta. Ignorai la parte irrazionale di me che mi chiedeva disperatamente di corrergli dietro e di strappargli il mio dolce angelo dalle braccia e corsi via, il più lontano possibile. Il mio cellulare prese a vibrare, quasi furioso, ma decisi di non rispondere appena lessi il nome sul display. Alice aveva certamente previsto la mia decisione nell’esatto istante in cui il mio cervello l’aveva concepita. Ormai sentivo di dover stare da solo - persino la presenza dei miei familiari sarebbe stata difficile da sopportare - ed Alice non sarebbe riuscita a farmi cambiare idea.
Guardai il cielo scuro che s’intravedeva appena attraverso i rami e mi accorsi che qualcosa mancava. La luna quella notte non illuminava niente con la sua solita luce candida e lattea. Era una notte di luna nuova, la notte più buia di tutte. Così, con il buio che la luna nuova portava con se che m’inghiottiva anche il cuore, corsi a più non posso verso quell’inevitabile destino.

Pochi giorni dopo partii per Rio de Janeiro. Ero deciso a seguire le tracce di Victoria e sembrava proprio che fosse diretta in quella città, benché proprio non ne capissi la ragione. Era decisamente un posto troppo assolato per noi vampiri e di certo sarebbe stato molto difficile camminare tra la gente senza rischiare di farsi scoprire, eccetto nei rari giorni uggiosi che contava quel posto. In quel momento però, l’ultima cosa che avevo in mente era la mia destinazione. Il fulcro dei miei pensieri era sempre e solo lei - mi ero imposto di non pensare neanche al suo nome - ed era difficile non estraniarsi completamente dalla realtà e cedere alla tentazione di vivere nel piccolo mondo dorato che aveva creato la mia immaginazione. Un mondo in cui Jasper non aveva mai cercato di ucciderla ed io non ero stato costretto ad andarmene. Un mondo in cui io e lei vivevamo ancora felici ed io avrei potuto amarla come desideravo. Ma quel posto non esisteva, era una pura idea utopistica creata dalla mia immaginazione che avrei dovuto rimuovere all’istante.
Passai a Rio molto tempo, in cerca di tracce e piste da seguire. In uno dei rari giorni di pioggia decisi di passeggiare un po’ per il centro, per sfuggire ai miei stessi pensieri. La gente creava attorno a me uno spazio vuoto, una piccola bolla d’aria, e forse era meglio così. Attiravo l’attenzione e non solo per l’aspetto - che per un umano può essere irresistibilmente attraente - ma anche perché, a differenza di ciò che normalmente si faceva, io rimanevo sotto la pioggia senza battere ciglio. Per me non era un problema sentire l’acqua scorrere gelida sulla mia pelle, i capelli zuppi attaccati al viso e le sferzate di vento penetrarmi nelle ossa. Il gelo faceva parte della mia esistenza e ne avrebbe sempre fatto parte. I pensieri delle persone vorticavano intorno a me, alcuni scioccati, altri solo sorpresi e curiosi. Di quelle sensazioni però poco m’importava. Avevo ormai rinunciato da tempo ad ogni interesse per i pensieri della gente, esattamente come non vivevo più alla giornata. Ogni secondo che passava era un’infinita agonia per me, ma non rinnegavo nulla.
Meritavo il dolore, la sofferenza più atroce, perché era intriso nel mio essere. Quanto dolore avevo causato a coloro che amavo? Quanta morte e distruzione avevo creato soltanto per saziare la mia sete di sangue e morte? Era giusto che io pagassi per tutto ciò che avevo causato.
Decisi che era meglio tornare in quel posto che qualche mese chiamavo casa, benché comunque la mia idea di casa fosse decisamente diversa. Era arredata molto bene essendo una delle poche abitazioni di lusso disponibili a Rio, ma non rispettava il mio concetto di accoglienza. Lì non possedevo un piano, e comunque non lo desideravo poiché avevo deciso di non suonare più nulla dopo che l’avevo lasciata ed ero andato via. M’infilai sotto la doccia, gettando a terra i vestiti appena lacerati. Poco mi importava doverli ricomprare; non avevo alcun problema di denaro.
Mentre cercavo di non pensare rilassandomi sotto la doccia, sentii il telefono squillare nell’altra stanza. Qualcosa mi diceva che doveva essere molto importante, perché negli ultimi tempi i miei famigliari non mi chiamavano se non in caso di estrema necessità. Infilai l’accappatoio in fretta e presi il piccolo telefono argenteo in mano.
«Pronto?»
«Edward! E’ successa una cosa spiacevole, mi sembrava giusto avvisarti.» All’altro capo, Rosalie aveva una voce per niente rassicurante.
«Cosa c’è Rose?», domandai allarmato.
«Riguarda Bella. Alice ha visto…»
«Le avevo chiesto di non controllare più il suo futuro», ringhiai arrabbiato. Questa non l’avrebbe passata liscia.
«Edward, lei non controlla le visioni. E poi è una cosa molto importante.»
«Ah sì?» Speravo non fosse un tentativo di Alice di farmi tornare sui miei passi.
«Bella si è gettata da uno scoglio. Edward, si è suicidata», mormorò.
Ogni cosa diventò un brusio confuso. Non sentivo più nemmeno le parole di Rosalie al telefono. Chiusi di scatto lo sportellino argentato e feci molta fatica a non romperlo. Decisi che l’unica soluzione era quella di chiamare casa sua per averne la conferma. In fretta composi il numero e portai il cellulare all’orecchio, tremando.
«Casa Swan», rispose una voce maschile, per nulla famigliare.
«Cerco l’ispettore Swan. Può passarmelo?»
«Non è in casa», disse minaccioso, e non capii il motivo di tanta ostilità.
«Potrei sapere dov’è?», chiesi cercando di contenermi.
«E’ al funerale», rispose sdegnato.
Non avevo bisogno di sentire altro. Riattaccai e quasi sbriciolai il telefono tra le mani. Il mio cervello si spense e smisi di pensare a qualsiasi cosa, esclusa la mia nuova meta, Volterra. Mi vestii con gesti meccanici ed inconsapevoli, ritrovandomi quasi in uno stato d’incoscienza in cui riuscivo a percepire solo il dolore acuto che mi lacerava ogni fibra, ogni muscolo, ogni cellula.
Uscii in strada e gettai nella spazzatura il telefono. Non avevo voglia di sentire nessuno, per me non esisteva più nessuno. Presi a correre ad una velocità che sarebbe passata difficilmente inosservata ed arrivai in aeroporto molto in fretta. Il volo fu tranquillo perché, come ormai facevo da molto tempo, mi lasciai inghiottire da un buco nero senza pensieri.

Quando giunsi a Volterra sapevo esattamente cosa fare. Sperai che i Volturi capissero la mia necessità e accettassero senza costringermi a compiere gesti considerati da loro illegali. Sapevo dove vivessero e non era stato difficile raggiungere la loro residenza. Quelle mura mi facevano ribrezzo al solo pensiero di quante vite umane avessero spezzato senza il minimo risentimento. Conoscevo i progetti che Aro aveva per me ma non avrei mai accettato una cosa simile. Se ero lì era per un unico motivo.
«Edward caro,che piacere vederti!», mi accolse Aro, con il solito tono allegro, benché i suoi pensieri lo contraddicessero. «Cosa ti spinge fino in Italia?»
«Sono qui per farvi una richiesta. E’ molto importante per me.»
«Dimmi pure.»
«Vi chiedo di privarmi di questa vita immortale. Non mi serve più.»
«E perché mai?», chiese sconcertato e sorpreso, sfiorandomi una spalla. L’unico motivo per cui lo fece, fu quello di leggere il motivo della mia richiesta.
«E’ quindi per un’umana?», disse accennando un sorriso. «Ma caro, c’è chi pagherebbe per una vita come la tua.»
«Non io», risposi gelido.
«Ci rifletteremo Edward, ma sappi che non sono d’accordo con la tua richiesta.»
Senza rispondergli mi voltai e uscii da quell’edificio della morte. Camminando tra la gente, nella penombra, decisi ciò che avrei fatto. Sapevo bene che non avrebbero esaudito la mia richiesta. Vagai senza una meta precisa, niente avrebbe potuto più scatenare una scintilla di vitalità tale da permettermi di pensare a dove ero diretto. Lasciavo che fossero i muscoli a muoversi e a decidere per me la destinazione, qualunque essa fosse. Poco importava se la gente mi guardava con evidente curiosità, non era più mio interesse percepire i pensieri che mi vorticavano attorno come impazziti. Pensieri che sembravano fin troppo allegri, soprattutto per me.
D’un tratto dei pensieri giunsero più forti e prepotenti. Guardai tra la folla e ne compresi la provenienza, difficile da non distinguere. Demetri, ad una decina di metri da me, mi fissava.
I padroni non hanno accettato la richiesta. Ma ti chiedono di unirti a noi.
«No», mormorai piano per evitare che gli umani mi sentissero ma certamente lui aveva percepito il mio rifiuto con molta chiarezza.

Poco dopo, al riparo nelle tenebre della notte, capii che c’era un'unica possibilità per costringerli a togliermi la vita. Nessuno avrebbe mai osato andare a caccia all’interno delle mura di Volterra se non qualcuno privo di senno e soprattutto qualcuno che rischiava di far scoprire il nostro segreto agli umani. Ogni vampiro doveva celare la propria identità alla specie umana, e chiunque avesse infranto questa legge era destinato alla morte. In quel momento persino il pensiero di cibarmi di sangue umano era accettabile. Avrei fatto ogni cosa pur di morire, pur di metter fine a quella sofferenza atroce. Non che sperassi di trovarla al mio fianco una volta morto, lei non aveva commesso nessun tipo di peccato capitale come me. Io avevo ucciso, rubato, mentito, desiderato cose non mie. Erano peccati punibili in un solo modo: la sofferenza eterna. E l’avrei superata di buon grado, perché la meritavo. La vita non m’interessava più. Cominciai a fiutare una scia dolce di sangue umano, dissetante e fresco, ma nulla a che vedere con ciò che mi aveva sempre attratto di più.
La seguii acquattandomi come un felino, circospetto, pronto a balzare addosso alla sua piccola e indifesa preda, ignara di tutto. Scoprii i denti affilati e sentii il veleno inondarmi la bocca con il suo sapore pungente e acido, prima di svoltare l’angolo pronto ad afferrare l’umano che stavo inseguendo. Mi bloccai all’istante. Incrociai gli occhi spaventati di una giovane ragazza dai capelli castani e la pelle chiara. Mi ricordava lei ma era molto differente. Non era bella quanto lo era lei. Vidi il terrore nelle sue iridi chiare, dello stesso colore del mare, e non potei fare a meno di ricompormi.
Che diritto avevo di privare un’altra persona della propria vita? Quale colpa aveva quell’umana se non quella di essersi trovata di notte sulla scia di una cacciatore? No, non sarebbe stato quello il mio ultimo gesto. Corsi via, in preda alla repulsione verso di me. La luce fioca dei lampioni che illuminava ogni cosa colpì di striscio anche me, facendo risplendere la mia pelle. In quel momento capii che forse c’era un modo migliore per riuscire ad ottenere ciò che chiedevo ma per farlo avrei dovuto aspettare il mattino seguente. L’ora migliore era il mezzogiorno, assolato e caotico. Per una pura combinazione ricordai che quel giorno sarebbe stato molto importante per tutti, e certamente molto controllato. Era San Marco. Un motivo in più per il quale i Volturi avrebbero agito in fretta.

Il mattino seguente preparai tutto con estrema calma, ormai non aveva più senso preoccuparsi per qualcosa. Vedevo la gente passare, ognuno con qualcosa di rosso addosso. Molti avevano anche messo dei denti finti da vampiro. Che cosa stupida e insensata, pensai. Chissà come avrebbero reagito se avessero scoperto chi era in realtà colui che credevano un Santo. Mi nascosi all’ombra di un vicolo, cercando di non farmi scoprire e di non dare nell’occhio. Guardai l’orologio con impazienza sperando invano che il tempo decidesse di accelerare la sua corsa inesorabile. Erano le undici e cinquantadue minuti.
Ancora otto minuti e tutto sarebbe finito. Con lentezza cominciai a sbottonare la camicia bianca che indossavo aspettando che il tempo passasse. I miei pensieri furono tutti per lei. Lei che era stata capace di rubarmi il cuore, di farmi vivere ancora, di darmi una speranza. Lei che avevo distrutto, che avevo lasciato, che aveva sofferto per me. Lei, Bella. Le nostre vite si sono incontrate ... le nostre anime si sono sfiorate ... per un istante. Ed è stato per me l’istante più bello di tutta l’esistenza.
Ancora tre minuti. Gettai via la camicia ed insieme ad essa finì a terra anche la mia voglia di vivere. La calpestai, perché tanto ormai non aveva senso la sua esistenza Mancava solo un minuto, ed io mi sentii in pace con tutto.
La sensazione di serenità che m’invase era dovuta alla consapevolezza che tutto ormai stava per terminare. Sentii il rintocco dell’orologio della torre e feci un passo avanti. Sorrisi, conscio che finalmente la mia esistenza di tormenti sarebbe cessata. Ancora un rintocco e poi un altro ancora.
Avanzai un po’ e fui quasi fuori dall’ombra che proteggeva la mia pelle dalla luce del sole. In quel momento sentii qualcosa venirmi addosso ed io la bloccai con le braccia. L’ennesimo rintocco ed io aprii gli occhi. Fissai sorpreso la figura che stringevo tra le braccia e mi sentii ancor più sereno.
«Straordinario», dissi meravigliato. «Carlisle aveva ragione.»
«Edward», cercò di esclamare, ma la sua voce era flebile. «Torna subito all’ombra! Muoviti!»
La fissai perplesso. Che senso aveva andare all’ombra se ormai ero morto? Le sfiorai piano una guancia con le dita e percepii che il suo calore non era cambiato affatto.
«E’ incredibile, sono stati velocissimi. Non ho sentito niente … che bravi», mormorai chiudendo gli occhi e posando un bacio sui suo capelli. «“La morte che ha libato il miele del tuo respiro, nulla ha potuto ancora sulla tua bellezza”», dissi, citando i versi pronunciati da Romeo sulla tomba di Giulietta. La campana suonò ancora, l’ultima volta. «Hai lo stesso profumo di sempre», aggiunsi. «Quindi, forse questo è davvero l’inferno. Non importa. Resisterò.»
Ed era vero. Anche all’inferno avrei resistito pur di aver accanto la mia Bella ancora una volta. Per sempre.


Giudizi by storyteller lover:
Correttezza grammaticale e sintattica: 6.9/7.5+7.5/7.5-0.55=13.85/15
Stile, forma e lettura scorrevole: 6.95/7.5+6.8/7.5=13.75/15
Originalità: 8/10
Caratterizzazione dei personaggi: 8.35/10
Attinenza alla frase scelta: 8/10
Giudizio personale: 8.5/10

Per un totale di 60.45/70 punti

Giudizio complessivo: Personalmente, ho davvero adorato questa storia. così romantica e complessivamente ben scritta. Tra l’altro mi devo arrabbiare un po’ con te, perché io volevo davvero assegnare alla tua storia un punteggio più alto, solo che non ho potuto fare di più. In generale posso dire che la grammatica e il resto va bene, anche se hai perso un po’ di punti con le virgole. Stai attenta, queste sono cose stupide e si vede comunque che scrive bene quindi, perché cadere in queste sottigliezze? Lo stile non era male, come del resto la forma. Cerca solo di essere più curata in questi particolari. La storia in sé riprendeva quanto accade nel libro, soprattutto alla fine, ma in sé non era male, anzi l’ho trovata trattata piuttosto bene. Il flusso di pensieri di Edward non disturbava ma anzi coinvolgeva durante la lettura. Edward era poi trattato molto bene. Nel complesso posso dire che mi è piaciuta, molto carina.

Giudizi by the forgotten dreamer:
Correttezza grammaticale, sintattica e ortografia: 15/15
Stile, forma e lettura scorrevole: 14,5/15
Originalità: 7,5/10
IC personaggi: 8/10
Attinenza alla frase scelta: 8/10
Giudizio personale: 8/10

Totale 61/70

I punti di forza della tua storia sono stati la correttezza grammaticale e lo stile: molto preciso e pulito. Una scelta difficile quella di trattare questo missing-moment, ma devo dire che nel complesso è stata trattata abbastanza bene. Devo però fare un appunto circa l’attinenza alla frase scelta: collocata bene all’interno della storia ma poco approfondita. Questo ha un pochino (anche se non eccessivamente) fatto scendere il punteggio. Comunque nel complesso mi è piaciuto l’IC di Edward e soprattutto l’atmosfera che sei riuscita a creare: malinconica, a tratti davvero molto triste e soprattutto intensa. Una bella fic che consiglio sicuramente di leggere. Brava

Media complessiva: 60.725/70 punti

Mi sono classificata settima, dopotutto non è male XD Spero di migliorare.
Se vi piace la storia recensite, mi farebbe molto piacere.
Baci.
  
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