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Autore: Silvar tales    06/09/2016    1 recensioni
Deidara si grattò il capo, confuso, per poi liquidare il tutto con una risata e un’alzata di spalle.
«E perché l’Oscuro avrebbe bisogno di una cosa simile?»
«Non è dato saperlo neppure a me, figuriamoci a novizi idioti come te. Ora fa’ silenzio… e metti via quella bacchetta, per amor di Salazar!»

[Partecipante alla challenge "Le situazioni di lui & lei" indetta da Starhunter] [#1 HarryPotter!AU]
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akasuna no Sasori, Deidara
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
- Questa storia fa parte della serie 'Sasori & Deidara - The Great Revival'
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Ombre ingombranti
[#1 HarryPotter!AU]


Un viso circospetto spuntò da una delle grandi librerie che racchiudevano al loro interno centinaia di migliaia di tomi. Spinto dalla sua consueta curiosità, aveva provato ad aprirne uno, poi un altro e un altro ancora ma avevano tutti le pagine perfettamente bianche, intonse, inviolate.
«Interessante…» bisbigliò, alzando la cappa nera che gli copriva gli occhi. «Niente di meno di ciò che mi aspettassi». Rimise il libro al suo posto, e alzò gli occhi strizzandoli nell’oscurità, nel tentativo di scorgere la sommità di quelle teche. Non ci riuscì.
Improvvisamente, la quiete riflessiva in cui era immerso venne disturbata da passi sicuramente meno circospetti e più avventati dei suoi.
«Deidara, metti-via-quella-bacchetta», disse il mago a denti stretti, senza nemmeno aver bisogno di voltarsi.
Sapeva che il compagno che lo stava raggiungendo alle spalle stringeva nervosamente in pugno la propria bacchetta, impaziente di usarla. Avevano modi di agire radicalmente diversi, loro due.
Proprio non capiva perché il Signore Oscuro li avesse appaiati, in quel compito che richiedeva una buona dose di astuzia e delicatezza.
«Ssssssst, Sasori! Hai sentito?» disse Deidara, accostandosi al compagno.
«Sentito cosa?»
«Ssst!»
Rimasero alcuni secondi in attesa, senza nemmeno respirare. Il battito dei loro cuori era perfettamente udibile, in quel silenzio teso. Deidara stringeva il braccio destro di Sasori, come volesse sincerarsi che non muovesse un muscolo.
Poi, senza preavviso: «BOMBARDA!»
Un fracasso assordante.
Sasori si buttò a terra, coprendosi la testa con le mani. Una pioggia di libri cadde sul pavimento, e un odore di bruciato si spanse per l’ambiente.
E, nel bel mezzo di tutto quel disastro, un topolino terrorizzato fissava i due maghi con gli occhietti sbarrati.
«Ah, eri tu», ammise Deidara deluso, rinfoderando la bacchetta.
Sasori decise finalmente di rimettersi in piedi, e mai come in quel momento odiò essere più basso dell’altro. Si spazzò via dai capelli rossicci frammenti inceneriti di pagine, che ancora volteggiavano a mezz’aria. Inspirò ed espirò, a lungo e profondamente.

«Deidara».
«Hm?»
«L’hai di nuovo tirata fuori, vero?»
Stavano attraversando una seconda stanza, dopo aver deciso che tra quei libri bianchi non vi fosse nulla di ciò che cercavano. Se la libreria era immersa nelle tenebre, questa nuova ala dell’Ufficio Misteri brillava di una soffusa luce ambrata. E ciò la rendeva, se possibile, ancor più inquietante. La stanza dei bambini.
«Quella bacchetta te la ficco su per il culo se non la metti via all’istante».
Attorno a loro vi erano giocattoli di ogni tipo: pupazzi di tutti i colori, carillon che cinguettavano dolci melodie, un’altalena ancorata al nulla che ondeggiava sinistramente. Più si inoltravano in quell’ampio salone, più camminare diveniva difficoltoso, tanto il pavimento era affollato da balocchi. Un trenino di legno che attraversò la loro strada all’improvviso, sbucando dalle fauci di un enorme orsacchiotto, per poco non fece perdere l’equilibrio a Deidara. Fortunatamente Sasori aveva i riflessi pronti, e lo afferrò prima che potesse provocare altro fracasso indesiderato.
«Grazie».
«Di nulla. Metti via quella bacchetta».
Infine, giunsero a uno specchio. Uno specchio enorme, che occupava tutta quanta la parete di fondo della stanza. E si immobilizzarono entrambi.
Nello specchio, vedevano loro stessi bambini. Non due Mangiamorte al servizio del Signore Oscuro, bensì due petulanti mocciosi succhialatte.
Compivano i loro stessi movimenti, restituivano il medesimo sguardo. Era un’immagine inquietante quanto attraente.
«E con ciò? Dovrebbe ricordarmi quanto ero felice da bambino? Mi dispiace non lo ero, non ho mai conosciuto i miei genitori e la nonna era una strega. Questa patetica illusione non mi tratterrà qui un secondo di p-»
«BOMBARDA!»
Schegge di vetro schizzarono ovunque, raggiungendo persino i punti più remoti della stanza.
Sasori riuscì miracolosamente ad avvolgersi in un incantesimo di protezione, senza nemmeno essere consapevole di averlo lanciato.
Deidara aveva ancora la bacchetta stretta in pugno, i capelli arruffati per lo spostamento d’aria provocato dall’esplosione, lo sguardo estasiato.
«Questa non è magia, questa… è arte!»
No, questa è deficienza.
Perlomeno, dietro lo specchio scardinato dalla parete, si era aperto un passaggio, l’ennesima soglia ignota.
Sasori la attraversò, cercando di non perdere definitivamente le staffe.

«Se non abbiamo ancora un branco di Indicibili sulle nostre tracce, beh, sono degli idioti».
Il marchio sul suo avambraccio pulsava, ciò significava solo una cosa: il Signore Oscuro stava diventando impaziente. Aveva poco di cui essere impaziente! Che provasse lui, a tenere a bada quel dinamitardo pazzo.
Aveva come l’impressione che Voldermort stesso non vedesse l’ora di liberarsi di quella nuova recluta. Una volta, Deidara aveva fatto saltare in aria il tavolo delle riunioni, bruciacchiato la coda di Nagini e carbonizzato la cena del Signore Oscuro, in un sol colpo. Trenta Mangiamorte avevano trattenuto il fiato, mentre Voldemort si spazzava via la cenere dai vestiti.
«Cosa cerchiamo esattamente?»
«Non lo sai?»
«Sono qui per guardarti le spalle, non per fare l’investigatore».
Guardarmi le spalle… tenne a mente Sasori, cercando invano di convincersi che la sua presenza fosse di una qualche utilità.
«Cerchiamo un’ombrocampana…»
«Che diavoleria sarebbe?»
«…se mi lasci finire. È una campana per richiamare le ombre che sussistono oltre il velo. Il buio, la tenebra è un impasto di ombre, e il suono di questo artefatto le richiama come un corno da guerra incita i soldati alla battaglia».
Deidara si grattò il capo, confuso, per poi liquidare il tutto con una risata e un’alzata di spalle.
«E perché l’Oscuro avrebbe bisogno di una cosa simile?»
«Non è dato saperlo neppure a me, figuriamoci a novizi idioti come te. Ora fa’ silenzio… e metti via quella bacchetta, per amor di Salazar! Lumos maxima
L’incanto di Sasori spazzò via l’oscurità, rivelando finalmente la stanza che si nascondeva dietro lo specchio. Una stanza circolare, con le pareti intervallate da ben sette porte.
Rimasero alcuni minuti immobili e in silenzio, indecisi sul da farsi, finché Deidara non si spazientì.
«Se non sai deciderti vado avanti io».
«No Deidara asp-»
Ma il mago più cocciuto e avventato d’Inghilterra aveva già varcato la soglia successiva.

Neanche a dirlo, finirono consecutivamente in un serraglio di arpie affamate, in una palude che nascondeva buche abissali, e infine in un labirinto di specchi.
Condurre Deidara in una foresta di specchi era come far pascolare un elefante in una cristalleria.
Fortunatamente, Sasori era riuscito a sequestrargli la bacchetta, prima che potesse anche solo pensare che il modo più economico per uscire di lì fosse far esplodere tutto quanto.
Quando finalmente, dopo nauseanti avvolgimenti, riuscirono a districarsi da quella trappola di vetro, finirono in uno stanzone immerso nella penombra, ingombro di strumenti musicali di ogni sorta. Xilofoni ad acqua, arpe celesti, flauti di pietra, sonagli di conchiglie…
«Forse ci siamo…»
Sasori si avventurò tra tutto quel ciarpame sonoro con estrema attenzione, cercando di non toccare niente che potesse inavvertitamente tintinnare.
Si guardò intorno, attento, mentre Deidara lo seguiva subito dopo, stranamente silenzioso.
Finché non arrivarono al centro della sala, dove si ergeva un enorme campanile di legno scuro.
Metri e metri più in alto, alla sua sommità, vi era appesa una campana nera come la notte, avvolta in una densa cappa di fumo sibilante.
«Ombrocampana è un nome calzante…» disse Deidara e, per una volta, Sasori si trovò in accordo con lui.
Quest’ultimo si mise ad osservare pensieroso l’artefatto, cominciando a pensare al modo più intelligente per portarlo a terra. Sfoderò la bacchetta, e pronunciò a mente un Wingardium Leviosa senza riporvi troppe speranze. Infatti, la campana non si mosse di un palmo.
«Relascio!» esclamò questa volta Sasori a voce alta, sventolando la bacchetta.
«Descendo
«Terradominus
«Ombrocampana Locomotor
Ma la campana era ancora lì, immobile e sfacciata.
«Deidara», sospirò infine Sasori. Non poteva credere di aver già dato fondo a tutte le sue conoscenze magiche, e di dover chiedere aiuto proprio a lui. «Non è che – per sbaglio – conosci qualche incantesimo che non sia Bombarda
«Certo che sì, per chi mi hai preso?»
Per un pazzo dinamitardo incosciente?
Con un lungo sospiro di rassegnazione, Sasori gli consegnò la bacchetta. Gli occhi di Deidara si illuminarono, e si rigirò tra le dita la sua contorta asticella di legno, come un bimbo che gusta un bastoncino di zucchero. Poi la diresse verso l’alto.
«BOMBARDA MAXIMA!»
Con uno schianto assordante, l’ombrocampana si sganciò dalla trave e cadde a terra in una pioggia di schegge e scintille. Un rintocco stonato e profondo quanto gli abissi dell’oceano risuonò per tutta la sala - e probabilmente per tutto quanto il Ministero della Magia.
«Dei… dara…» No ma io lo ammazzo.
Sasori osservò pietrificato l’oscurità nei punti più bui della sala gonfiarsi e sbrindellarsi, finché si divise in decine di ombre dai contorni umanoidi. Gli spettri li circondarono, ringhiando e affilando le mani in artigli acuminati e ricurvi come arpioni.
I due Mangiamorte si misero schiena contro schiena, le bacchette sfoderate.
«Beh, perlomeno è scesa, uhm?»
«TACI!»
   
 
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