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Autore: Silvar tales    06/09/2016    2 recensioni
[Dorian/Inquisitor]
"Non dimenticare chi sei, Tristan", gli aveva detto Josie prima di tornare ai suoi alloggi, sul fare dell'alba.
"Non dimenticare tutto ciò per cui hai lottato. Dorian non ti ha permesso di venire con lui perché voleva tutelare un bene superiore: l'Inquisizione. State entrambi sacrificando la vostra vita per una giusta causa. È questo che significa essere un eroe, un eroe di quelli buoni. Il mondo ha bisogno di te, Inquisitore. Non abbandonarlo".
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dorian Pavus, Inquisitore
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Tristan e Dorian'
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"Una vedova acida come il latte andato a male e con dodici figlie al seguito chiedeva disperatamente di te, le ho detto che te n'eri già andato. Puoi ringraziarmi adesso o subito".
"Grazie al cielo, Dorian".
"Avrei preferito un grazie a Dorian, Dorian".
Tristan sorrise, divertito. Rimase con i gomiti poggiati sulla balaustra della balconata, lo sguardo perso ad ammirare senza interesse i giardini sottostanti. Dorian lo affiancò, chinandosi sul muretto per porsi alla sua stessa altezza, e lo guardò negli occhi.
"Serata impegnativa, vero? Quell'affascinante maga del sangue in abito nero, poi... cosa vi siete detti di interessante?"
"Oooh..." Gemette Tristan, passandosi una mano tra i capelli. Si sbottonò un poco il colletto dell'abito da ricevimento: cominciava davvero a soffocare, imbalsamato a quel modo.
"E il ballo con la duchessa? Eccitante?"
"Per Andraste, non sarai mica..."
"Geloso?" Lo anticipò Dorian, ridendo. "No! Come potrei essere geloso? Sei solamente stato al centro dell'attenzione per tutta la serata".
Dorian non era geloso. Lo stava solamente stuzzicando, come suo solito.
Tristan smise di tormentarsi i capelli, e lasciò che l'aria fresca della notte vi passasse in mezzo.
Aveva un fastidioso dilemma che lo tormentava: farlo ingelosire ancora di più, o dargliela vinta. Decise che la seconda opzione sarebbe stata di gran lunga la più soddisfacente, per entrambi.
Aveva fin troppi pensieri per la testa, non c'era certo spazio per i capricci della sua sciocca vita sentimentale. E poi, aveva bisogno di rilassarsi. E di togliersi quell'abito infernale, anche.
Si slanciò verso le labbra di Dorian, e le catturò in un bacio, che l'altro accolse con un sorriso.
"E ora, Dorian Pavus, sono tutto tuo", gli disse a fior di labbra. Dorian soffocò quella che doveva essere una risata in un coro di soffi.
"Un momento, mio lord Inquisitore", lo fermò, prendendolo per le spalle e allontanandolo da sé della lunghezza delle sue braccia, "ci troviamo nei ventricoli del cuore pulsante di Orlais, non in una bettola qualsiasi ai confini del mondo. Facciamo le cose secondo l'etichetta".
"Etichetta?" Ripeté Tristan, alzando un sopracciglio e guardandolo storto.
Di cosa diavolo stava parlando? Non potevano iniziare a togliersi i vestiti di dosso e basta?
Dorian, in tutta risposta, fece un breve inchino, e seppure stessero solamente giocando il suo fu un inchino fatto a regola d'arte. Certe cose gli venivano davvero naturali.
"Danziamo".
Tristan fissò per alcuni secondi la mano che Dorian gli porgeva. Trovava che quei guanti dorati fossero davvero di cattivo gusto, e poi voleva sentire il calore delle sue dita intrecciate alle sue. Gli sfilò il guanto dalla mano destra e lo lasciò cadere a terra, poi gli prese la mano, e iniziò a seguire titubante i suoi passi. Non era un vero e proprio danzare, quanto più un semplice spostare il peso da un piede all'altro, un dondolio simile al moto di una culla. Tristan appoggiò la mano libera sulla spalla di Dorian, e dopo avergli sbottonato un poco la giacca si allungò a leccargli il collo. La mano che prima stringeva la destra di Dorian scese a cingergli il fianco, e le sue labbra continuavano a baciare con insistenza la pelle tirata sull'osso della clavicola.
"Non conosci proprio l'etichetta, vero lord Inquisitore?" Lo prese in giro il mago del Tevinter, squadrandolo con quei suoi occhi grigi.
"Al diavolo".
Tristan si separò da lui per qualche secondo, qualche secondo in cui Dorian temette di guadagnare un pugno sui denti, tant'era l'irruenza e l'impazienza che gli avvertiva sottopelle. Ma poi l'Inquisitore agì in modo del tutto differente: si guardò brevemente intorno prima di afferrarlo per il colletto con entrambe le mani e spingerlo in un angolo cieco della balconata, lontano dagli occhi indiscreti del salone. Per gli eventuali occhi che sbirciavano dalle numerose finestre... per quelli non poteva fare nulla. Josie l'avrebbe definito un grave incidente diplomatico, offrire prove concrete del fatto che Dorian Pavus, il nobile mago del Tevinter che era stato annunciato subito dopo di lui al cospetto dell'imperatrice, fosse in realtà il suo amante. Una voce simile circolava già tra i ranghi nobiliari di Orlais, ma ora l'Inquisitore Trevelyan stava praticamente facendo una confessione a cielo aperto.
Cercando di spazzare via questi pensieri, Tristan baciò Dorian con maggiore foga e desiderio, avvicinandoglisi in modo che i loro fianchi aderissero. La sua mano sinistra si insinuò sotto la sua giacca, e prese a carezzargli i muscoli forti della zona lombare, mentre la destra scese a toccargli i glutei.
"Non vedo l'ora di togliermi questi vestiti stretti, Dorian. Non so se avevi afferrato il concetto".
"Stretti soprattutto dalla cintola in giù...? È un vero peccato, comunque. Sarà la prima e ultima volta che ti vedrò vestito decentemente. Sei una gioia per gli occhi così agghindato".
"Credevo di esserlo di più senza vestiti".
Dorian si fermò un attimo, come se dovesse pensarci su. Poi scoppiò a ridere. "Ah! Hai vinto tu. Se hai visto un caminetto da qualche parte possiamo dare fuoco alla fottuta etichetta. Mentre giocavi a fare lo spione seriale, avrai pure adocchiato qualche anticamera, anfratto, sgabuzzino, camera da letto possibilmente dove possiamo farlo in santa pace?"
Tristan sogghignò furbetto, e guardò Dorian di sbieco. "Certo che sì. Mentre tenevo a bada orde di demoni e venatori impazziti, non pensavo ad altro che ehi, questo è il posto perfetto per scopare".
"Sarebbe tipico di te".
"No, sarebbe tipico di te".

Attraversarono l'atrio principale nel modo più discreto possibile, cercando di evitare i vari dignitari, le fanciulle adoranti, i signorotti ambiziosi che non aspettavano altro che leccare gli stivali dell'Inquisitore. Fortunatamente, quasi tutti gli invitati erano ancora nella sala da ballo, intenti ad ubriacarsi e a finire la serata nella gaiezza più sfrenata. Sicuramente molti avrebbero notato l'assenza dell'Inquisitore, e qualcuno avrebbe notato anche l'assenza del mago del Tevinter, e forse qualcun altro avrebbe collegato le due cose. Ma, in quel momento, né a Dorian né tantomeno a Tristan interessava.
Tristan Trevelyan era fatto così: era dotato di quell'incoscienza che gli dava il permesso di rompere le cose, perché poi era sicuro di avere sufficiente potere per riuscire ad aggiustarle. Tristan azzardava, e a una prima impressione il suo eccesso di fiducia poteva essere scambiato per ingenuità, come il candore che aveva dimostrato nel supportare Celene. Ma in realtà stringeva alleanze a destra e a manca con tale disinvoltura perché era convinto di riuscire a stroncarle in qualsiasi momento, con altrettanta disinvoltura.
Tristan e Dorian si infilarono in una camera degli appartamenti reali, immersa nella penombra. Un velo di polvere ricopriva il mobilio, e qua e là negli anfratti vi era qualche ragnatela, ma almeno le lenzuola sembravano pulite. Sembrava una camera per gli ospiti, oppure una stanza che nessuno usava più da molto tempo, forse una camera appartenuta a qualcuno che non c'era più. Dorian spinse Tristan verso il letto, mentre continuava a baciarlo. Lo sdraiò sul materasso e gli andò sopra. Tristan gli prese il viso tra le mani e lo tirò verso di sé. Rovesciò le posizioni, sovrastandolo con il proprio corpo. Si allentò la cintura, e si sbottonò la giacca, mentre Dorian faceva lo stesso, ed entrambi non riuscivano a smettere di baciarsi, di toccarsi sui fianchi e sulla schiena.
"Dorian... Dorian, Dorian, Dorian..." Gli sussurrò Tristan all'orecchio, mentre passava a baciarlo sul collo, chiudendogli talvolta la pelle tra i denti. Dorian si voltò, puntellandosi con le mani sul materasso, volgendo a Tristan la schiena. Tristan lo liberò una volta per tutte della giacca: voleva sentire la sua schiena nuda aderire contro il suo torace. E dopo la giacca, finirono sul pavimento anche i restanti indumenti, finché non furono soltanto pelle contro pelle. Pelle bagnata, e nient'altro.
Cercò la sua mano, e intrecciò le loro dita, mentre con un compromesso tra delicatezza e impazienza entrava dentro di lui. Forse tenersi per mano in un momento simile era un gesto stupido e infantile, ma voleva ricordargli che per lui Dorian non era un ammasso di carne, muscoli e nervi con cui divertirsi, ma che era sangue e cuore pulsanti. Era la sua anima gemella, era il suo specchio. E lo amava talmente tanto da sentire male al petto, quando ci pensava.
Gli passò la mano libera tra i capelli, cercando con tutte le sue forze di non stringerli troppo, mentre continuava a passargli le labbra sul collo, sulla guancia, sull'orecchio.
L'imbarazzo tra loro, se mai c'era stato un tempo, era ormai svanito del tutto. L'attrazione che provavano l'uno per l'altro, così forte e prepotente, soffocava tutto il resto.
E all'esterno la notte continuava, euforica e pazza, e la luna baciava in fronte la folle, scintillante, traslucida baraonda mascherata di Orlais. Che forse era anche contagiosa.

 
*

 
"Festis bei umo canavarum. Se non ti salvi giuro che ti ammazzo!"
Tristan aprì di nuovo gli occhi sul mondo terreno. Sentì nuovamente la dura pietra premere contro la sua schiena, l'aria del mondo giocare con i suoi capelli castani, i colori affollargli la vista.
Era stato avvolto dalle ombre, in un mondo etereo pregno di fantasmi di fumo che sibilavano parole incomprensibili. Era sceso nel limbo e ne era riemerso, annaspando come un naufrago che cerca di espellere l'acqua dai polmoni. E la prima cosa che i suoi occhi avevano incontrato, erano stati gli occhi grigioverdi di Dorian, e la sua voce il primo suono che le sue orecchie avevano udito.
"Sei vivo", due parole tremule, biascicate con una voce rotta da un misto di paura e sollievo. Tristan aveva sorriso, mentre l'adrenalina gli estirpava a forza le lacrime dagli occhi. Gli aveva preso il volto tra le mani e l'aveva baciato, una due e tre volte, dimentico di essere sotto gli occhi dei loro compagni di squadra. Dorian aveva risposto al suo bacio, chinandosi su di lui e aiutandolo con un braccio a tenere ritta la schiena.
"Sei vivo, grazie ad Andraste sei vivo. Forza, muoio dalla voglia di sapere. Come ti senti? Bene? Male?" Tristan si alzò in piedi, barcollando, ma subito riuscì a reggersi sulle proprie gambe. Alzò una mano per zittire Dorian, e Dorian tacque, anche se continuava a guardarlo preoccupato, cercando di desumere qualcosa dall'espressione del suo viso.

Ma poi non ci fu più tempo di dire altro, perché Corypheus comparve sugli spalti come un putrido spettro, e non ebbero altra scelta che gettarsi attraverso l'Eluvian, uno dopo l'altro. Tristan aspettò finché anche Dorian non fu passato oltre, dopo che lo ebbe supplicato con lo sguardo di non commettere altre pazzie, e di muoversi a seguirlo. Ma Tristan gli voltò le spalle e indugiò per qualche secondo ancora.
Un vortice crebbe dalla bocca vuota del Pozzo, e si eresse come uno scudo dinnanzi a Corypheus. La sagoma di una donna emerse all'interno del turbine, e per un attimo Tristan credette che il simulacro di Justinia fosse di nuovo accorso in suo aiuto, come era successo nell'Oblio, com'era successo al Tempio delle Sacre Ceneri. Ma ci volle solo un momento per rendersi conto che questa era un'essenza del tutto diversa. Era fredda e distante, era austera ed imperiosa, e allo stesso tempo pareva fragile come un foglio di vetro.
Mythal, sussurrò a sé stesso, prima che le gambe si muovessero contro la sua volontà, e lo costringessero ad attraversare la materia arcana dell'Eluvian.
Con uno schianto tremendo, l'emanazione di Mythal si infranse contro lo Specchio, sigillandolo per sempre.

 
*

 
Con grande rammarico della Strega, Tristan Trevelyan aveva bevuto l'antica saggezza racchiusa nel Pozzo del Dolore. Non l'aveva fatto per mancanza di fiducia nei confronti di Morrigan, ma per pura brama di accrescere il suo potere. Il potere era qualcosa che lo inebriava, fin da quando aveva scoperto di essere un mago, di poter manipolare la realtà intorno a lui. Poi aveva ricevuto l'Ancora, un dono del fato, uno strumento salvifico quanto una terribile arma. In breve tempo aveva conquistato una posizione più influente di quanto avesse mai potuto sperare di ottenere, e ora la voce di un dio gli sussurrava consigli all'orecchio.
Alla fine, non aveva resistito alla tentazione di stipulare il suo patto con un essere etereo, che fosse un demone, un dio o uno spirito. Forse i Templari avevano ragione: tutti i maghi, o almeno quelli che si accettavano come tali e non erano spaventati dalla loro stessa natura, ambivano al potere, e consideravano il legarsi a un demone come la sublimazione delle loro abilità arcane.
"Non voglio perderti per uno stupido pozzo", gli aveva detto Dorian. Ma lui, questa volta, non l'aveva ascoltato. Il Pozzo gli sussurrava parole suadenti, gli prometteva meraviglie, una vittoria facile, un'infusione di potenza. Aveva allungato la mano, aveva accettato i rischi, ed aveva stretto in pugno il cuore pulsante del Pozzo, bevendo il sangue di generazioni e generazioni di sapienti elfici.
Se solo avesse potuto prevedere le conseguenze, non l'avrebbe mai rifatto. Avrebbe seguito Samson in quella voragine, lasciando perdere lo specchio, il Pozzo, gli antichi guardiani e tutti i desideri di Morrigan. Ora, Dorian voleva fare ritorno alla sua madre patria, voleva divulgare la verità che avevano involontariamente fatto venire alla luce nel Tempio di Mythal. Quale verità, poi? Che il Tevinter aveva le mani un po' meno lorde di sangue elfico? Come se le cataste di ossa degli schiavi sacrificati che ogni giorno si accumulavano nelle segrete dei palazzi dei Magister non contassero.
"In fondo, non è quello che hai fatto tu? Non hai pensato a noi due, quando hai deciso di rischiare senza motivo la tua vita per qualche briciola di potere in più. Come se non ne avessi già abbastanza, di potere. Non ne avrai mai abbastanza, non è vero, Tristan? Ciò che hai fatto al Tempio di Mythal l'hai fatto per puro egoismo, non l'hai fatto per l'Inquisizione, non per il bene del mondo, non per Corypheus. Tu hai calpestato ogni cosa per soddisfare il tuo ego, in quel tempio. Io non ho alcuna voce in capitolo in questa storia?"
Tristan era rimasto spiazzato da quelle parole, dure come la pietra, quanto veritiere. Dorian riusciva a vedere oltre il suo bel viso, le sue battute, la disponibilità ad aiutare sempre i suoi amici. Riusciva a discernere le bugie che raccontava agli altri e a sé stesso. Disgraziatamente, Tristan e Dorian erano fin troppo simili. Così come Tristan anelava a conquistare sempre più potere e influenza, allo stesso modo Dorian non poteva accettare di vivere tutta la sua vita nascosto nel cono d'ombra del potente Inquisitore - o nella sua camera da letto. Dorian non era uno che si metteva così facilmente da parte, era un uomo profondamente orgoglioso, per certi aspetti. Tristan avrebbe dovuto capirlo già da quell'episodio in cui aveva recuperato il suo amuleto di propria iniziativa, e invece aveva continuato a tirare la corda, e ora qualcosa si era rotto.
Ora Dorian Pavus pretendeva di tornare nel Tevinter, e di entrare in scena come protagonista.
Tristan non aveva avuto altra scelta che lasciarlo andare. Cos'altro avrebbe potuto fare? Costringerlo a rimanere a Skyhold come fosse un prigioniero, guadagnandosi così il suo odio e il suo disprezzo? Farla finita, stroncando sul nascere quella che sarebbe sicuramente stata una sofferta relazione a distanza? O tentare, tentare di mantenere un contatto? Tentare di tenere in vita il loro amore, così come si può tentare di tenere in vita un fiore di alta montagna trapiantato nel deserto.

Era un'alba di tardo autunno. L'alta figura di Dorian Pavus era in piedi sul grande ponte di Skyhold. Oltre, vi era il mondo, vi era il Nord, vi era il Tevinter. Dorian era equipaggiato con vestiti sufficientemente pesanti per attraversare le montagne, tanto più che molti valichi erano già stati ostruiti dalle prime nevicate. Un collo di pelliccia di fennec gli circondava le spalle, e a tracolla portava una piccola borsa di cuoio, con all'interno il minimo indispensabile per sopravvivere, nel caso non fosse riuscito a raggiungere la prossima sosta prima di notte. Sulla schiena, naturalmente, portava l'immancabile bastone da guerra, e attorno al collo l'amuleto con lo stemma della sua casata. Tristan gli si avvicinò, e vide nei suoi occhi grigi il bruciante desiderio di rivedere la sua terra, assieme a una mal celata malinconia.
"E così, mi lasci solo in balia dei politicanti orlesiani? Che motivo ho per arrivare a fine giornata, se alla sera non posso farmi una bella scopata con te?"
"Beh, cerca di non slogarti un polso", ribatté Dorian, dedicandogli uno sguardo equivoco fin troppo. Tristan rise, anche se la sua era una risata fredda, triste. Una risata che assomigliava a un singhiozzo.
Poi non resistette. Annullò la distanza che li separava, e si avventò sulle sue labbra. Lo baciò a lungo e profondamente, trattenendo il respiro. Era difficile, difficilissimo lasciarlo andare. Smisero di baciarsi solo per stringersi in un forte abbraccio. Tristan tremava, e forse per la prima volta da quando lo conosceva, Dorian lo vide piangere. Piangere sul serio. Sentiva le sue lacrime inumidirgli il collo, lo sentiva stringere i denti come se stesse subendo un'amputazione, lo sentiva annaspare come se gli mancasse l'aria. Lo strinse ancora di più, e gli baciò i capelli castani.
"Io ti amo", gli disse Tristan. La sua voce era rotta, ma quelle parole risuonarono forte e chiaro, prima che venissero trasportate via da un ricciolo di vento assieme alle foglie secche.
Io ti amo.
Era una cosa che si erano detti raramente, spesso trasportati dall'euforia del sesso, quando non erano parole così dense di significati. Ma quelle stesse parole, pronunciate alla luce del giorno, in un momento di totale lucidità, acquistarono tutt'altro peso. Dorian sentì il cuore sobbalzare, e non poté più impedire che le lacrime gli sfuggissero dagli angoli degli occhi.
"Oh tu, fottuto bastardo".
Era un ti amo anche io, e sapeva che Tristan l'avrebbe capito.

 
*

 
Si erano salutati così, baciati dalla luce autunnale che ormai non scaldava più, neppure a mezzodì.
Ora le cose per Tristan erano divenute quasi irreali. Era come se Dorian fosse svanito in uno sbuffo di fumo: non sapeva spiegarsi come fosse successo, come aveva potuto permetterlo. A volte ci pensava talmente tanto da farsi venire il mal di testa: davvero era stato necessario arrivare a questo? Davvero non si sarebbe potuto fare in altro modo? Perché non l'aveva convinto a rimanere? Perché non era andato con lui?
"Non pensarci troppo, Tristan. È stata una sua scelta. Le persone che amiamo non ci appartengono, purtroppo. Non possiamo impedire che compiano le loro scelte, o che muoiano, o che si innamorino di un'altra persona". Queste erano state le parole di Josie. L'aveva raggiunto nei suoi appartamenti, dopo un'imbarazzante riunione al tavolo di guerra. Si discuteva su come intercedere presso i crestwoodiani, i quali, ora che la situazione era tornata alla normalità, desideravano cacciare l'Inquisizione da Caer Bronach, e riappropriarsi della fortezza. Inoltre, c'era chi addirittura sosteneva che l'Inquisitore avesse presentato false prove per incolpare il Sovrintendente del tragico allagamento, pur di giustiziarlo e soppiantarlo.
"Sono solo degli ingrati traditori", aveva commentato Tristan con disgusto, mentre sentiva l'amaro riempirgli la bocca. Crestwood era stato forse il luogo più sofferto. Dorian era quasi morto, per liberare le campagne dalla viverna. Se ci ripensava, sentiva la rabbia ribollirgli nello stomaco.
"I nostri uomini sono lì per difenderli", intervenne Cullen, sbattendo le mani sul tavolo, "ma anche per richiamarli all'ordine, se necessario".
"Perdonami Comandante, ma Caer Bronach è occupata dai miei uomini", ribatté Leliana, "se vogliono eleggere un leader, che facciano pure. Per me non sarà difficile agire sottobanco e manipolare le elezioni, Inquisitore. Posso dirottare il benvolere della gente verso un uomo piuttosto che un altro, se il favorito non ci aggrada".
"E questa la chiameresti un'elezione democratica? Cielo!" Si scandalizzò Josie.
"Tu cosa proporresti, zuccherino?" Intervenne Tristan, con un tono fin troppo aggressivo per la portata del problema. I suoi denti erano talmente digrignati che scricchiolavano. Josie si ritrasse, di fronte a quella rabbia inaspettata. Ma non si lasciò intimorire.
"Io non farei le cose sottobanco. Mettiamoci in gioco, proponiamo anche noi un uomo che possa piacere a questi crestwoodiani, facciamo la nostra propaganda, ricordiamo loro le cose che abbiamo fatto per la loro terra. So essere molto persuasiva, Inquisitore".
Tristan rimase a fissare il suo visetto risentito per alcuni secondi, come se stesse ponderando la validità della sua offerta. Fare le cose in modo pulito.
"La tua proposta non è poi molto diversa da quella di Leliana..."
"Perdonatemi Inquisitore, ma è qui che vi sbagliate. Nessuno potrà accusarci di aver ricorso a sotterfugi e stregonerie. Tutto avverrà alla luce del sole. Gli sbatteremo in faccia la nostra superiorità diplomatica e militare. C'è davvero qualcuno in grado di competere con noi, attualmente?"
"Quanti nobili propositi. Tuttavia, siete davvero sicuri di voler mettere da parte la... Stregoneria, come tu la chiami?"
Al suono di quella voce suadente e vellutata, quanto pericolosa, Tristan si era sentito come ustionare da un fuoco d'ira. Si era quasi dimenticato della sua presenza, della Strega.
"Non mi aspetto che il Comandante appoggi una simile proposta, ma posso invece riporre questa fiducia nell'Inquisitore? La magia è il metodo più semplice e sicuro, lo sa lui come lo so io. Potrei fare in modo che..."
"Tu non parli qui!" Ringhiò Tristan, alzando la voce così all'improvviso che Josephine sobbalzò, e Cullen alzò la testa dal tavolo, allarmato. "Tu", l'Inquisitore puntò un dito contro Morrigan, "tu e i tuoi ipocriti discorsi sull'equilibrio della natura, sulla sacralità della magia, sulle meraviglie elfiche... se non fosse stato per te Dorian sarebbe ancora qui!"
"Non puoi incolpare me se non sai tenertelo stretto", ribatté Morrigan risentita. Incrociò le braccia al seno e assottigliò gli occhi, sostenendo al millimetro gli occhi infuocati dell'Inquisitore.
"Fate il cazzo che vi pare", concluse Tristan alzando le mani in un gesto stizzoso e arrendevole allo stesso tempo. Poi uscì sotto lo sguardo attonito dei suoi consiglieri, diretto al suo attico.
Più tardi, verso l'imbrunire, Josephine l'aveva raggiunto, sperando che si fosse calmato. L'aveva trovato seduto sulla sua poltrona rivestita in pelle di daino, con lo sguardo perso nelle fiamme del camino. Gli si era avvicinata, cauta, ma Tristan non l'aveva mandata via. Voleva molto bene a Josephine, e perderla a causa dei suoi sbalzi d'umore per aver perso Dorian era davvero da stupidi.
Avevano parlato di Crestwood, avevano parlato di Dorian, avevano parlato degli ultimi pettegolezzi da taverna. Avevano persino riso e scherzato. Erano stati talmente bene insieme, e a Tristan era talmente tornato il buonumore, che chiese a Josephine di restare, e cenarono insieme con tisane, latte caldo e pan dolce.
"Non dimenticare chi sei, Tristan", gli aveva detto Josie prima di tornare ai suoi alloggi, sul fare dell'alba. "Non dimenticare tutto ciò per cui hai lottato. Dorian non ti ha permesso di venire con lui perché voleva tutelare un bene superiore: l'Inquisizione. State entrambi sacrificando la vostra vita per una giusta causa. È questo che significa essere un eroe, un eroe di quelli buoni. Il mondo ha bisogno di te, Inquisitore. Non abbandonarlo".

 
*

 
Erano passati altri due anni, prima che si vedessero di nuovo. Due anni di fredde lettere nelle quali Dorian preferiva parlare dei suoi progressi nel Tevinter, piuttosto che di loro due. Tristan le scorreva velocemente con gli occhi, nella solitudine della sua stanza. Poi le appallottolava e le gettava nel camino. Provava quasi una gioia vendicativa nel vedere quei riccioli di carta contorcersi e diventare cenere.
Non gli aveva mai risposto. Lasciava che fosse Josephine a rispondergli, con formali missive nelle quali lo aggiornava sugli ultimi accadimenti nel Sud, tenendolo ovviamente all'oscuro dei piani dell'Inquisizione. Voleva parlare di politica? Che fossero i diplomatici a rispondergli.
Infine, dopo la decima lettera inviata con la calligrafia di Josephine, era arrivata un'undicesima lettera.

Tristan,
So che sarai ancora arrabbiato con me. Forse non appena avrai visto che questa lettera veniva da Qarinus e aveva il sigillo della mia famiglia avrai pensato di strapparla senza neppure leggerla.
Se così non fosse, allora voglio che tu sappia che non ti ho dimenticato. Voglio vederti, ho bisogno di te quanto l'aria che respiro, ma verrò solo se tu lo vorrai. Ti prego di rispondermi, e saprò cosa fare. Ti amo. Ti amo, amore mio.
Dorian.


Tristan era stato davvero preso dalla tentazione di farla a pezzettini e buttarla giù dalla torre più alta di Skyhold, ma qualcosa, un moto di volontà non meglio identificato lo costrinse ad afferrare la penna d'oca, a intingerla nell'inchiostriera e a rispondere.

Sì.
Tristan.


 
*

 
Era stata una notte inquieta.
Tristan aveva passato i giorni precedenti a setacciare le infinite piane desertiche delle Distese Sibilanti, seguendo una pista di trafficanti di Lyrium rosso che si era poi rivelata errata, basata su errate deduzioni fatte da uno dei suoi esploratori. Nel frattempo, mentre l'Inquisitore perdeva tempo nell'angolo più remoto, inospitale e sabbioso di Orlais, all'altro capo del Thedas un ingente forza armata, probabilmente coloro che coprivano le spalle ai veri trafficanti di Lyrium rosso, assaltava uno dei pochi avamposti militari dell'Inquisizione nei Liberi Confini, facendo numerosi morti e prigionieri, rubando molti dei loro segreti, e diminuendo notevolmente la loro influenza oltre il mare, dove avevano appena iniziato ad espandersi. Colto dalla rabbia, Tristan fu a un passo dal mettere a morte l'esploratore che gli aveva fornito quelle informazioni errate, ma fortunatamente Josie riuscì a convincerlo ad imprigionarlo, e ad interrogarlo per verificare che non fosse eventualmente una spia del nemico. Quella fastidiosa faccenda si era ormai conclusa, l'esploratore era uscito pulito dall'interrogatorio, ed era stato esiliato. Eppure, Tristan continuava ad essere nervoso. Aveva paura di perdere carisma, prestigio, di non essere più seguito dai suoi uomini. Aveva paura di essere tradito, che tra i suoi sottoposti si celassero delle spie, degli informatori. Ovviamente la sua fiducia nei confronti della sua cerchia di fedelissimi rimaneva immacolata. Si fidava ciecamente di Josie, Sera e Toro di Ferro, e secondariamente anche di Leliana e Varric. Cullen e Cassandra, forse. Ma cosa poteva dire degli altri?
Toro di Ferro gli aveva insegnato ad amare quasi con il cuore di una madre ognuno degli uomini che combattevano nei suoi ranghi, ma con il passare degli anni il cuore di Tristan si era incupito. Era diventato più spietato, e non riusciva più a nutrire una sincera fiducia nei confronti del prossimo, solo un attaccamento quasi morboso verso coloro che gli erano rimasti accanto. Sera prima di tutto.
Dopo che Dorian se n'era andato, aveva implorato Sera di non fare lo stesso. Le aveva promesso un intero castello, all'interno di Skyhold. Un quartier generale per Jenny la Rossa. Le aveva promesso una taverna più grande, una cucina traboccante di leccornie, degli appartamenti più comodi e più spaziosi. Tutto, pur che restasse al suo fianco.

"Mi credevo tanto potente, Sera", aveva esordito in questo modo, una sera in cui aveva bevuto troppo e mangiato troppo poco. A un certo punto aveva smesso di ridere, ed era rimasto a capo chino sul tavolaccio, come se si fosse addormentato. Ma poi, dopo alcuni minuti, aveva alzato la testa, e la sua voce da festosa era divenuta mesta. "Mi credevo tanto potente, ma la verità è che senza di voi sono un uomo finito. Tu, Dorian, Josie... voi siete il mio equilibrio. Senza di voi cadrei in un baratro, diventerei un uomo malvagio".
Sera si era ritratta, come se invece che parole quelle di Tristan fossero frecce. Forse si sentiva a disagio a parlare di queste cose seduta a un tavolo piuttosto che su un tetto, forse stava semplicemente cercando di vedere oltre la nebbia alcolica che le offuscava il cervello.
"Hei hei hei, non ti preoccupare, okay? Non voglio che ti demonizzi. Siamo una grande squadra, io e te. E tu sei la mia famiglia... come una famiglia... caduta-dal-cielo".
"Caduta-dal... Oh, non mi hai mai detto niente di così dolce!" Le labbra di Tristan si curvarono involontariamente in un sorriso.
"Così è come ti ricordavo! Prima che quella schifezza elfica ti rallentasse il cervello, e prima che lo stronzo del Tavinster decidesse di riportare il culo dalla mamma" Esclamò Sera entusiasta, lanciando un pugno in aria. "Ora fai meno paura, hai la faccia più amichevole. Potrei addirittura stare nella stessa stanza con te senza frecce a portata. Io te l'avevo detto, mai fidarti dei nobili maghi!" "Ma... Io sono un nobile mago".

La sua stanza, sulla torre più alta di Skyhold, era fredda. Con tutti i pensieri che aveva per la testa, si era dimenticato di accendere il camino nel pomeriggio, così da trovarla calda la sera. D'altronde, era stata una sua scelta quella di non volere servitori tra i piedi. La sua intimità era molto più preziosa di quei pochi lavoretti quotidiani che doveva compiere per tenere puliti e in ordine i suoi spazi.
Proprio in quel momento, mise a fuoco il cesto di vimini posto accanto al caminetto, e realizzò che la legna era finita. Avrebbe dovuto scendere fin nel cortile, ed era già notte. Decise di rinunciarci, limitandosi ad aggiungere un'altra pelliccia d'orso ai già numerosi strati di coperte. Si spogliò degli stretti vestiti ufficiali, e rimase a torso nudo con solo addosso un paio di braghe larghe.
Era confortevole rifugiarsi in quel nido caldo di coperte, ma non appena cercava di chiudere gli occhi e farsi cogliere dal sonno, ecco che la malinconia e la solitudine lo assalivano. Si vergognava ad ammettere di sentirsi solo, ma le cose stavano così. Soprattutto quando fuori turbinavano fiocchi di neve, come quella notte. Erano quelle le notti in cui più amava stringersi a Dorian, averlo accanto a sé.
Cadde in sonni agitati. Continuava a sognare di cadere, di venire risucchiato in un vortice di luce verde, di affondare in una melma più nera di una notte senza stelle. Quella sostanza demoniaca lo soffocava, gli entrava nella bocca, nelle orecchie, cosicché non poteva più parlare né respirare, solo vedere tutta la realtà intorno a sé che si oscurava. Cercò una mano nel buio, e la trovò. La strinse, promettendo a sé stesso di non lasciarla mai. Era la sua unica ancora, in quel cieco mare di olio nero. Sera, pensò. Ma le labbra che lo risvegliarono dall'incubo con un profondo bacio non erano le labbra di Sera, così come la mano che si fece strada sotto i numerosi strati di coperte, ed afferrò la sua sinistra.
No, lui non può essere qui.
Aprì gli occhi, e incontrò gli occhi di Dorian, come fossero uno specchio.
"Sei tornato, figlio di puttana".
Nel dormiveglia, non si chiese come facesse Dorian Pavus a trovarsi nella sua camera da letto. Eppure lui era lì, sopra di lui, che lo baciava. Tristan sorrise e tornò a chiudere gli occhi, abbandonandosi all'intreccio dei loro corpi. Affidandosi totalmente a quel corpo che gli era così familiare, che era quasi il suo gemello. Lo carezzò sulla schiena nuda con entrambe le mani, saggiando quei fasci di muscoli intervallati dalla linea della spina dorsale, mai sazio di sentire sotto le sue mani la sua pelle tirata e bollente. Lo toccò sui fianchi, che già si muovevano con insistenza ed impazienza.
Benché preferisse giocare un'altra parte, quella notte si lasciò possedere. Si lasciò possedere da quello che lui credeva essere un sogno.

Era effettivamente sembrato un sogno. Ma quando Tristan aveva aperto gli occhi sulla grigia luce dell'alba, aveva trovato Dorian accanto a sé, seminudo, riverso a pancia in giù, che dormiva profondamente, con la bocca semiaperta. Rivederlo alla luce del giorno gli aveva fatto venire voglia di scaraventarlo giù dal letto, o peggio direttamente giù dal balcone. Ma di nuovo, quella volontà inspiegabile che albergava dentro di lui lo costrinse a risvegliarlo con un bacio, come aveva fatto lui nel cuore della notte.
"Si può sapere cosa ci fai nel mio letto, magister Pavus? Fammi indovinare, sei caduto sul lastrico e ti serve asilo, o avevi bisogno di una scopata". Dorian sorrise e rispose al suo bacio, prendendo un bel respiro e chiudendo gli occhi, accarezzandolo dietro il collo.
"Non sei affatto dolce come lo eri ieri notte".
"Ieri notte credevo fosse un sogno. Io li tratto bene i protagonisti dei miei sogni, soprattutto di quelli caldi e bagnati".
"Non hai ancora perso la voglia di scherzare, vedo. Grazie ad Andraste, sei il Tristan di sempre", disse Dorian sorridendo, mentre metteva da parte le coperte e scendeva dal letto.
"I Tristan rimangono, ma gli Altus diventano Magister, a quanto pare", osservò Tristan con amarezza. "Nessuno ti ha visto arrivare, la lettera che ti ho inviato non può esserti arrivata prima di due giorni fa. Come se non bastasse, in questo periodo dell'anno i valichi per Skyhold sono completamente ostruiti da metri di neve. Come puoi essere qui?"
Dorian evitò il suo sguardo, gli diede le spalle e cominciò a raccattare i suoi vestiti sparsi sul pavimento. "Non sembri affatto contento di rivedermi, Inquisitore".
"Non provare a farmi passare per stupido", si alterò Tristan, raggiungendo Dorian con uno scatto e afferrandolo per le spalle. Ma poi, non appena incontrò nuovamente i suoi occhi grigi, la sua collera scemò, come per magia. "Certo che sono contento di rivederti. Strano a dirsi, ma ti amo ancora come le prime volte, Dorian. Anche se non sarà per molto, se continueremo a vederci ogni due anni".
"Non faremo più passare tanto tempo Tristan, te lo prometto".
"Tornerai a Skyhold?"
Dorian indugiò, messo di fronte a quell'interrogativo così diretto.
"Quanta fretta! Ci sono molte cose che richiedono ancora la mia attenzione..."
"Anch'io richiedo la tua attenzione", sibilò l'Inquisitore, tirandolo verso di sé e soffiandogli un bacio a fior di labbra. I loro corpi aderirono nuovamente, e di nuovo divennero lava bollente e fuoco crepitante.
"Tristan", Dorian gli afferrò il polso, e lo guardò profondamente negli occhi. "Tristan, ti prego, non complicare le cose. Lo sai che-".
"Cerco di convincermene". Calò un momento di silenzio, pochi attimi carichi di tensione palpabile nei quali i due uomini non fecero altro che scrutarsi a vicenda, l'uno cercando di arrivare sino ai reconditi più nascosti dell'anima dell'altro. Poi, senza preavviso, Tristan ruppe il ghiaccio con un caldo sorriso.
"Ora fammi il piacere di vestirti Dorian, così posso tornare a respirare".
Dorian rise. "Sono una presenza troppo opprimente per te, Inquisitore?" Lo provocò, afferrandolo per i fianchi e trattenendolo a contatto con il proprio corpo. Le sue mani osarono un po' troppo sui suoi glutei, trattenendosi più del necessario.
"Smettila di fare il coglione". Tristan lo allontanò, premendogli una mano sul petto e spingendolo via da sé. Si infilò malamente un paio di braghe, poi si sedette alla scrivania, con un lungo sospiro.
Cercò di radunare alla meno peggio le varie carte, lettere e pergamene sparse sul tavolo e, dopo aver trovato un foglio immacolato, intinse la penna nell'inchiostro. Avvertiva lo sguardo perplesso di Dorian su di sé.
"Che c'è? Ci tenevi tanto a farmi restare al mio posto, dunque eccomi qui, a fare il mio dovere".
Dorian rise. "Il tuo dovere non è certo quello di leggere la corrispondenza, ma piuttosto quello di alzare la voce, evocare qualche non-morto, e far correre tutti quanti al posto tuo".
"Era ora che qualcuno corresse al posto mio. Ora Dorian, per Andraste, mettiti qualcosa addosso, qualsiasi cosa".

 
*

 
Un corvo era giunto dal Tevinter, con un breve messaggio legato alla zampa. Dorian l'aveva letto e immediatamente bruciato, frizionando le dita tra loro il sottile foglio di pergamena si era incenerito all'istante, scongiurando ogni rischio che l'Inquisitore potesse passarlo al vaglio.
Tristan l'aveva trovato nei suoi alloggi, che camminava su e giù per la stanza, e di volta in volta si fermava a osservare turbato il paesaggio oltre le vetrate.
"È ora che io vada", aveva detto, senza voltarsi a guardarlo.
"Non dire sciocchezze, nemmeno i miei esploratori più tenaci sono riusciti ad attraversare le Montagne Gelide, questi ultimi giorni. Morirai congelato, delicato fiorellino del Tevinter".
Ma Dorian aveva una strana luce negli occhi. "Vorresti accompagnarmi?"

Tristan si era preparato a una scena molto simile all'addio di due anni prima. Si era aspettato di uscire nel freddo del cortile, di oltrepassare le mura e guardarlo andarsene oltre il mastodontico ponte di pietra.
Invece, Dorian deviò verso il chiostro che circondava l'orto botanico, virò verso l'ala della sala di guerra, e infine entrò in una porta laterale, poco in vista.
Improvvisamente, Tristan ricordò un particolare che aveva dimenticato.
Uno specchio alto otto metri, un portale pregno di materia arcana pulsante. L'Eluvian.
"Questo...?"
"Credi che Morrigan sia l'unica a saperlo usare?"
"Ne hai trovato uno a Qarinus?"
Dorian sorrise di nuovo, e di nuovo rimase silenzioso. Come se equivalesse a una risposta, oltrepassò la materia arcana, e scomparve. Tristan, come attratto da una forza magnetica, ricalcò i suoi passi, e si ritrovò ancora una volta in quello spazio irreale che Morrigan chiamava il Crocevia.
Il Velo era talmente sottile e sbrindellato in quel non-luogo che Tristan poteva percepire il peso dell'Oblio gravare su di lui.
"Tristan..." Dorian non lo aveva mai abbracciato così forte, e non lo aveva mai baciato così disperatamente. "Non lasceremo più passare così tanto tempo, te lo prometto".
In quel limbo senza spazio né tempo, avevano fatto l'amore un'altra volta.
 





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