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Autore: Sephirah    01/05/2009    2 recensioni
i batteri possono subire mutazioni
in una roccaforte di sopravvissuti viene sviluppato un prototipo del vaccino al virus di Cripping. La squadra d'esplorazione ha il compito di salvare i superstiti delle città limitrofe e ripulirle dagli infetti, avvalendosi di un'arma speciale: un ragazzo dagli occhi smeraldo sopravvissuto al virus trasformatosi in un ibrido. Beatrice ha deciso di morire, ma non senza combattere. Racconto breve sui sopravvissuti alla strage che cercano di risorgere dalle ceneri, due anni dopo la morte di Robert Neville. [Io sono leggenda]
Ora che siamo rimasti in pochi, salvare il mondo è più facile, no?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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i am legend 2 I tentativi dello scarafaggio:
Beatrice aprì gli occhi lentamente e rimase ad ascoltare il silenzio. Era giorno.
Si alzò dal materasso sudicio ed incavato e si guardò attorno. Non passava nemmeno uno spiraglio di luce tra le porte del furgone, ma c’era silenzio, e allora era certa che fosse giorno. Il veicolo era immobile, con il motore spento. Vicino a lei c’era qualcuno che respirava pesantemente.
La ragazza si mise a sedere ed incrociò le gambe, cercando di abituare gli occhi al buio, invano.
Gli eventi di quella notte sembravano non essere stati suggellati dallo scorrere del tempo, come se potessero sparire, come se il mondo se li potesse riprendere. Ma c’era una persona che respirava pesantemente di fianco a lei, e quindi il mondo non si era ancora ripreso nulla.
Guardò il buio. Rievocò la sua corsa sfrenata nella città. La prima voce che fosse umana dopo due anni di silenzio. Beatrice si era dimenticata di come si parla, Beatrice si era dimenticata che viso potesse avere una persona.
Dopo alcuni minuti, o forse dopo un’ora, il sedile del passeggero ebbe uno scossone e la persona che lo occupava prese ad armeggiare con dei tasti, da qualche parte. Poi il furgone sibilò e fu inondato di luce.
“Sveglia, siamo in ritardo con le tabelle di marcia”
La persona al fianco di Beatrice sbadigliò con un rumore indecente.
“Allora metti in moto. Mica ti serve tutta la squadra no?”
“Datti da fare e prendi la colazione” intervenne un’altra voce impastata dal sonno, dal sedile del guidatore.
Il furgone si mise in moto rombando furioso. E mentre l’uomo accanto Beatrice si muoveva verso degli scatoloni in coda alla vettura la ragazza sul sedile del passeggero si voltò verso di lei.
Era bella, con i capelli lunghi e biondi, gli occhi celesti, la pelle chiara e il viso gentile, magro, perfetto.
“Stai bene?”
La sua voce vibrò nel furgone armonica, ma aveva un timbro basso, deciso.
Attese la risposta di Beatrice, ma la ragazza non riusciva a trovare nulla da dire. Così le porse la mano.
“Io sono Anna”
Quel gesto era famigliare. Si rese conto che sapeva cosa rispondere.
“Io sono Beatrice”
Anna le sorrise, maledettamente bella. “Piacere”
Beatrice sorrise a sua volta, come un automatismo.
“Ora sei tra amici, non ti devi preoccupare più” continuò Anna. La ragazza dagli occhi ambrati però rimaneva in silenzio, come se non capisse esattamente cosa stesse accadendo. Così lei decise che doveva continuare a parlare.
“Quanto tempo sei rimasta sola?”
Nessuna risposta.
Anna si arrese, cambiò discorso. Sollevò un indice ed indicò l’uomo al volante. Beatrice seguì il suo gesto, e non fece affatto caso al tachimetro che segnava i 160 chilometri orari.
“Lui è Andrej, l’addetto alla guida. Ha una patente speciale per i veicoli militari, una cosa del genere”
Andrej si voltò appena. Aveva i capelli così biondi che sembravano trasparenti, e gli occhi azzurri come il ghiaccio, il naso dritto e un bel sorriso. L’indice di Anna si spostò oltre.
“Quello che sta trafficando là dietro è Baptiste, lui si occupa di cariche esplosive ed affini”
Baptiste salutò con la mano da uno degli scatoloni, completamente immerso nella ricerca della colazione. “Non crederesti mai quanta roba bisogna far saltare in aria oggigiorno, ragazzina”
Anna continuò. “Io invece sono il tiratore scelto della squadra, tutte le armi che richiedono  una certa maestria sono affidate a me. Naturalmente mi occupo anche del recupero degli arsenali che rinveniamo” Infine l’indice di Anna si spostò verso l’unico angolo in ombra della macchina. Da lì non venivano rumori.
“Lui invece è Nicholas”
Nella penombra Beatrice intravide alcune ciocche di capelli bianchi dondolare davanti ad un viso diafano. Gli occhi verdi smeraldo la osservavano senza ombra d’emozione, quasi disinteressati. Riuscì ad intravedere anche le sue labbra, livide. Erano belle. Sorrideva.
“Lui si occupa dei casi di emergenza, diciamo. Quindi come puoi vedere siamo bene attrezzati. Non devi più preoccuparti”
Beatrice non si voltò verso Anna, rimase a guardare incantata quegli occhi verdi, che rimasero impassibili anche quando lei cominciò a piangere in silenzio, e poi sempre più forte, fino a ridursi come una bambina, aggrovigliata su sé stessa nel tentativo di sentire meno male.

Baptiste le tirò la scatola di plastica con dentro la colazione. Beatrice non provò nemmeno a reagire e venne colpita sulla guancia grondante di lacrime. Anna afferrò dal cruscotto un mazzo di chiavi e lo tirò al compagno di squadra, urlando.
“Cerca di usare un po’ più di garbo con questa signorina, brutto francese puzzolente, altrimenti ti sparo ad un ginocchio, e vedi se non lo faccio davvero!” poi si rivolse di nuovo alla ragazza. “Non curarti troppo di lui, gliela faccio passare io la voglia di fare il simpatico… lo so, l’aspetto non è dei migliori” aggiunse indicando il piatto di plastica sigillato che Beatrice osservava apatica. “Ma dovresti provare a mangiare qualcosa. Tappati il naso e non pensarci, potresti scoprire di essere più affamata di quanto tu non creda”
La ragazza osservò il piatto. In effetti aveva fame, ma le mancava qualcosa, e non riusciva a ricordare. Poi la mano villosa e sporca di Baptiste le porse un cucchiaino da tè.
“Non abbiamo altro. Abbiamo fatto confusione e non ci siamo portati le posate”
“No, Anna ha fatto confusione” rispose Andrej. Ora il tachimetro segnava i 180 chilometri orari.
“Piantatela con questa storia” disse Anna. “Può capitare a tutti di sbagliarsi”
“Ma a te non capita mai, quindi fatti prendere un po’ in giro”
La ragazza sbuffò, sorridendo. Beatrice afferrò il cucchiaino che Baptiste continuava pazientemente a porgerle. Poi l’uomo cominciò a distribuire altre confezioni di plastica ai compagni. Tutti meno che a quello nascosto nell’angolo buio.
“Allora, Beatrice” esordì Andrei, un po’ esitante. “Noi costituiamo una squadra di recupero. Siamo attrezzati per viaggiare anche di notte, quindi possiamo coprire grandi distanze. Così andiamo a recuperare i sopravvissuti nelle città che possiamo raggiungere nel giro di un paio di giorni. Missioni di salvataggio”
“Era da un po’ che giravamo per la tua città, veramente” proseguì Anna. “Appena ti abbiamo trovata però abbiamo pensato che fosse il caso di andare. Dopo tutto quel putiferio”
Baptiste, da dietro il furgone, scoppiò a ridere. Si era seduto con una certa pesantezza vicino a Nicholas, che però non si era mosso di un millimetro, gli occhi smeraldi che galleggiavano nel buio.
“Abbiamo fatto” disse il francese tra le risate. “Davvero un casino”
il suo accento non era pesante. Doveva essere da tanto che conviveva con gente d’altra nazionalità.
Beatrice si decise in fine di aprire il coperchio della sua poco invitante colazione. Sembravano fiocchi di latte, disgustosamente compatti e biancastri. Decise di non farci caso: affondò il cucchiaino e mise in bocca. Schifoso, ma niente in confronto all’odore che era acido nella gola, quello dei cadaveri sulla strada a mezzogiorno.
“do…” ingoiò. “Dove andiamo?”
Anna la osservò per qualche istante. “Sei la prima che non diventa verde, dopo aver ingurgitato quella porcheria. Andiamo nell’ultima cittadina fortificata del genere umano, a due giorni di viaggio da qui”
Beatrice mise in bocca un’altra cucchiaiata.
“Non esistono città degli uomini”
“Beh” si intromise Andrej “No, se intendi nel senso stretto del termine –città-. Era una vecchia base militare, con le mura di cemento armato pressoché indistruttibili, altre più di 15 metri. Quei cosi non saltano così in alto. Non sappiamo esattamente a cosa servisse, ma serve perfettamente allo scopo attuale. Quelli che la scoprirono trovarono al suo interno un impianto di trasmissione satellitare, e una piccola radio a onde corte. Hanno cominciato a chiamare. Oggi siamo centoventisei sopravvissuti”
La ragazza dagli occhi d’ambra rimase in ascolto. Il suo cuore avrebbe dovuto fare un guizzo di gioia. Non era sola, qualcuno era sopravvissuto. Rimase in ascolto, ma niente, e così si limitò ad infilarsi in bocca un’altra cucchiaiata di quel rancio disgustoso, nella più totale indifferenza.
Beatrice si riavviò i capelli, e nel riportarli dietro l’orecchio sfiorò qualcosa di ruvido e umido.
“Non toccarti le bende, ragazzina” le disse Baptiste. “Hai le mani sporche. Anche se ci abbiamo messo tanto di quel disinfettante che ti potrebbe guarire l’appendicite, non è una buona idea farci entrare i microbi”
Aveva il collo fasciato, e dopo alcuni istanti si ricordò perché: quei mostri l’avevano morsa.
“Non mi fa male”
“Se ti ho detto che ci abbiamo messo una boccetta intera di disinfettante, che dolore dovresti sentire ancora?”
“Non me ne sono nemmeno accorta”
“Sono… un uomo delicato”
“Ma sta zitto, Baptiste! Tu sei un macellaio, da te non mi farei mettere nemmeno un cerotto!” Anna si girò a guardarli dal sedile del passeggero. “Ti ho bendata io, figurati se ti facevo toccare da uno che ha le mani sozze di terra…”
“Ok, ok, prendevo solo un po’ in giro la nostra nuova arrivata! Per mettere un po’ di buonumore!”
“Se ti prude, se ti dà fastidio” riprese Anna. “Ti posso mettere altro antisettico. Purtroppo non abbiamo molto altro”
“Non mi avete ucciso”
Le ruote del furgone blindato ebbero un lieve sussulto mentre scavalcavano una buca nell’asfalto, i feticci appesi allo specchietto retrovisore tintinnarono contro il vetro e rimasero a ciondolare sospesi nell’aria.
“E perché avremmo dovuto?” chiese Anna.
“Mi hanno morsa”
Baptiste fece frullare le labbra in una specie di pernacchia spazientita. “Ehi, non è così drastica la cosa, sai? Abbiamo aspettato un paio d’ore. Tu sei rimasta buona buona, e allora abbiamo capito che sei immune anche al ceppo ematico”
La ragazza sollevò lo sguardo, ed indagò gli occhi, straordinariamente caramellati, di Baptiste. “Avete pensato… che potevo essere immune?”
“E’ piuttosto raro, forse per questo pensi di possedere una caratteristica unica. Tutti noi qui preseti siamo immuni ad entrambi i ceppi, e così anche la metà degli abitanti della nostra città fortificata” Rispose Andrej. “Anche a me parve strano, a suo tempo. E non solo gli uomini: i canidi, per esempio, sono immuni al ceppo aereo, e gli equini ad entrambi. Felini ed uccelli invece non sono adatti ad ospitare il virus, e quindi quando lo contraggono muoiono e basta, non subiscono mutazioni. Nessuno sa perché, ma è una bella notizia no?”
“Ma ci sono certo numerosi casi anomali. A noi è capitato un cavallo, una volta, che ha subito persino la trasformazione” si intromise Baptiste. Forse perché stava mangiando, il suo accento si fece più marcato.
La vettura doveva aver curvato, ma Beatrice non ci aveva fatto caso. Ci rifletté solo quando la luce cambiò direzione e le ferì gli occhi. Si spostò.
“Chiudi il finestrino”
La voce che giunse dall’angolo non più in ombra del furgone, dove stava Nicholas, Beatrice la riconobbe come quella che le aveva sussurrato all’orecchio. La sua prima voce umana, dopo troppo tempo.
Andrej borbottò qualcosa in russo e fece cenno ad Anna di girare la manovella per alzare il vetro.
Il fascio di luce che aveva colpito Nicholas fu sufficiente a lasciar intravedere il suo viso: così bianco da sembrare trasparente, e le labbra livide che non sorridevano più. I capelli d’argento gli dondolavano sugli occhi come braccia morte. Con una mano cercava di proteggersi il volto. Dove prima lo aveva colpito la lama di luce adesso figurava una ferita, un segno di bruciatura.
Beatrice sentì le dita diventare rigide e perdere la presa sul cucchiaio. Lo sentì cadere in terra, un tintinnio di plastica.
La pelle bianca, la mancanza d’appetito, l’esagerata reazione agli ultravioletti.
Era uno di loro.
Uno degli abomini di Cripping.
Ma come poteva essere? Era senziente, e parlava. Lo tenevano lì con loro come se niente fosse. L’aveva protetta.
Lasciò cadere a terra il piatto della colazione, ormai vuoto, e si rannicchiò istintivamente nel punto più luminoso del furgone.
Eppure quei mostri non avevano capelli, e i loro occhi erano inespressivi. Invece i suoi erano penetranti come lame di coltello.
E così, anche se si rendeva conto che non poteva essere uno di loro, Beatrice urlò di terrore, e cercò di fuggire, ma non c’erano vie di fuga. E tutto prese a girare.
Anna si slacciò al cintura. “Va tutto bene, calmati!” passò dietro, nel vano del furgone, cercando di calmarla. “Non devi avere paura!”
Ma Beatrice lo sentiva schizzare nelle vene, quell’istinto che ormai, dopo cinque anni, si era impossessato di lei. Fuggire, salvarsi. Preservare la propria esistenza. Gridò con quanto fiato aveva in gola, fino a farsi male. Anna l’afferrò.
In quel momento Beatrice si sentì in trappola. Non poteva scappare. Uno scarafaggio. Uno scarafaggio che sa di dover morire. Il suo corpo si irrigidì, trattenne il fiato. Sentiva le mani di Anna sulle sue braccia che la imprigionavano.
Poi, altre mani, più fredde, gelide, si accostarono al suo viso. E quella voce che l’aveva salvata.
“Va tutto bene. Non ti faccio del male”
Beatrice rimase immobile. Aspettava qualcosa. Aspettava di vivere, o di morire, non lo sapeva. Ma in quel furgone non si muoveva nulla, tranne i feticci dello specchietto retrovisore che tintinnavano appena colpendosi tra di loro.
Quante lacrime aveva pianto? Quanto erano lontane le risate della gente, i clacson delle macchine, il rumore di passi sul marciapiede? È possibile contare i raggi di luce? Vale la pena di vivere per poter percepire ancora quel senso di bello e meraviglia? Un paesaggio, una canzone, il cielo di notte con tutte quelle stelle, può valere la pena d’essere scarafaggi per poter guardare il cielo di notte con tutte le stelle come aghi di luce nel vuoto? Piangere di gioia, o per la bellezza, valeva la pena vendere la propria dignità alla sopravvivenza?
Quelle mani erano gelate, ma la voce era limpida e senza brutture.
Beatrice sentì le gambe cedere, e il suo corpo prese a tremare incontrollabilmente. Nicholas si chinò su di lei.
“Guardami. Non ti faccio del male. Non ti sto facendo del male. Avanti, guardami”
Solo qualche ora prima aveva deciso di morire, e ora era pronta a lottare per sopravvivere. Ma come poteva lottare? Non poteva fare nulla contro quella presa invincibile e ghiacciata come la pelle di un cadavere. Non voleva morire.
“Avanti, guardami”
Era un voce così bella, così dolce.
Come poteva una di quelle creature possedere una voce così armoniosa? Come poteva un uomo che possedeva una voce così armoniosa essere in grado di uccidere?
E così Beatrice cercò di ritrovare sé stessa e con uno sforzo titanico si costrinse a fare ciò che la voce le aveva ordinato. Lo guardò.
Lì, di fronte a lei, non c’era un mostro. Non c’era un corpo divorato dal morbo. C’erano solo quegli occhi verdi profondi come l’universo. Tutto il terrore scomparve all’improvviso.
Non la stava aggredendo. Non le aveva fatto del male. L’aveva protetta, l’aveva salvata. E quello sguardo, e la sua espressione, e il modo in cui le teneva il viso tra le mani. Non c’era nulla di cui aver paura.
Nicholas continuò a guardarla ancora qualche istante, poi allentò la presa e lasciò scivolare le mani lungo le braccia della ragazza.
“Va meglio?” le chiese.
Beatrice annuì lentamente.
“Bene”
Concludendo così il discorso si allontanò da lei e tornò di nuovo nel suo angolo in ombra, passando appena le dita sulla larga ferita che gli si era aperta nel braccio quando era entrato nel fascio di luce per stringere Beatrice.
Anna provò a sfiorare la ragazza.
“Vuoi che ci fermiamo un attimo? Possiamo scendere per prendere un po’ d’aria”
Beatrice annuì di nuovo, sempre senza staccare gli occhi da Nicholas, che si era seduto nella posizione di prima e che rimaneva perfettamente immobile nel buio a ricambiare il suo sguardo.

Quando le porte del furgone si aprirono sembrò che tutta la luce del mondo si riversasse nella vettura e li investisse. Nicholas si era avvolto dentro una coperta scura e rimaneva impassibile nel suo angolo, Anna aveva imbracciato un fucile d’assalto sgangherato e si era appostata sulla porta. Controllò che non ci fossero pericoli all’esterno, poi diede il permesso di scendere. Andrej prese Beatrice per un braccio, con gentilezza, e la condusse sotto i raggi del sole.
Tirava un vento leggero che le scompigliò i capelli castani, e c’era odore di resina. Stavano percorrendo una strada stretta affiancata da file di alberi, forse dei pini. Di fronte a loro, a pochi metri, sorgeva una piccola casa diroccata, solitaria tra l’erba alta, con le finestre inchiodate con assi di legno marcio mezzo sfondate, la porta era stata scardinata e ridotta a pezzi. Sul muro in mattoni anneriti c’era una scritta rossa schiarita dal sole e dal tempo:
Quarantena.
Beatrice fece un respiro profondo, cercando di assaporare quell’odore così particolare e di fissarlo nella memoria. Il cielo era chiaro e azzurro, senza nuvole. Erano i primi giorni di primavera, e il sole era tiepido sulla sua  pelle.
Andrej le si avvicinò di nuovo, con le mani dietro la schiena; era piuttosto alto.
“Mi dispiace per quello che è successo nel furgone” le disse. “Forse avremmo dovuto spiegartelo prima… comunque non hai nulla da temere da lui”
Beatrice alzò lo sguardo verso Andrej.
“Lo so”

Risalirono sul furgone dopo una ventina di minuti. Anche se erano in pieno giorno non era saggio sostare troppo a lungo in una zona circondata da alberi.
Appena richiusero tutte le portiere Nicholas si tolse la coperta e la lanciò attraverso il furgone con aria infastidita. Baptiste sbuffò.
“Ti gira male, Nick?”
“No”
Il francese rise. “Come vuoi tu”
Beatrice raccolse la coperta che Nicholas aveva tirato a terra. Si sedette vicino a lui, senza chiedergli il permesso, e se la poggiò sulle gambe.
“Scusa per prima” gli disse, dopo un po’.
“Di cosa?”
“Non volevo offenderti” la voce della ragazza aveva cominciato a schiarirsi, dopo anni di raucedine dovuta al silenzio.
“Non mi hai offeso”
“Sei stato tu a proteggermi ieri notte”
Nicholas la guardò inarcando le sopracciglia. Non capiva cosa volesse esattamente da lui quella ragazza.
“Sì”
“Grazie”
“Dovere”
Beatrice lo esaminò con maggiore attenzione. Nonostante stesse seduto non sembrava essere molto alto, e non dimostrava che una ventina d’anni. Aveva una camicia un po’ troppo grande per lui, bianca e sporca, con la manica destra scurita da una grande chiazza di sangue rappreso. I jeans invece erano della taglia giusta, ma anche questi erano piuttosto sporchi e macchiati di sangue e terra. Infine Beatrice fece un piccolo sorriso quando si accorse che portava un paio di all star nere distrutte dall’usura e ingrigite dalla polvere. I lacci avevano preso uno strano colore giallastro.
“Posso restare qui?”
“Come vuoi”








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Buonasera a tutti! Sarà per via della sezione piuttosto trascurata o della mancanza d’interesse da parte dei lettori, questa storia non viene letta molto e non riceve recensioni, quindi avevo perso un po’ la voglia di scriverla, nonostante a me piacesse molto. Poi, ieri mi sono accorta che era stata inserita da qualcuno tra i preferiti e ho fatto un salto di gioia! Allora a qualcuno è piaciuta! Così mi sono rimessa a scrivere e ho finito subito il secondo capitolo. Mi piace come sta venendo su la storia, e Beatrice è un bel personaggio, anche se per ora è rimasta per la maggior parte del tempo in una specie di stato catatonico. Beh, come biasimarla? Poveraccia! Comunque, continuate a leggere e commentate, mi raccomando! Arrivederci! (proverò a postare il terzo capitolo entro un paio di settimane)
  
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