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Autore: BardOwl    07/09/2016    2 recensioni
A Tamriel è in atto la Crisi dell'Oblivion, Morrowind è asciata a sé stessa e i Telvanni si mettono in prima linea per difendere le loro terre dalle invasioni dei Daedra. Porto Telvanni è la loro capitale, lontana dal subbuglio dell'Impero, ma ugualmente vittima di strani accadimenti. Il capo della guardia Redoran viene trovato assassinato e i testimoni sono sicuri di quello che hanno visto: l'assassino è un dwemer.
Il protagonista è Dalas, uno sventurato elfo scuro, che si ritrova a dover lavorare per il consigliere della Casata Telvanni per far luce sull'omicidio. I dwemer sono estinti da ere, tutti ne sono consapevoli e questo può voler dire solo una cosa: dietro all'omicidio c'è qualcosa di misterioso.
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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Assassinio a Porto Telvanni

Capitolo I

3E 433
 
La sera era scesa su tutta Morrowind, una coltre grigiastra sovrastava ogni cosa, rimarcando l’oscuro presagio che da giorni pervadeva Tamriel.
Delle voci arrivavano dal continente, l’intera isola di Vvardenfell era in subbuglio, dalle isole Ascadiane alla Montagna Rossa che sembrava fremere sotto il presagio.
“Assassinato!” gridava il vento. “Uriel Septim!” sussurrava la pioggia. L’Impero tremava, un’ombra densa si stava proiettando sulla capitale.
Tutto questo però era solo un sussurro, un vento mesto che di tanto in tanto alitava anche nelle isole remote, a est di Solstheim. Porto Telvanni era impegnato a tenere salda la difesa di Morrowind, la legione era tornata a difendere la capitale e aveva lasciato la provincia dei dunmer sguarnita. La casata Telvanni aveva stretto un accordo con i Redoran e un pugno di dunmer armati e addestrati era arrivato anche lì, nella capitale della casata più antica di maghi e stregoni.
Era sceso il buio anche nelle prigioni di Porto Telvanni, non erano che un casolare in pietra scura incastonato in uno sperone di roccia, a ridosso dell’oceano. Lì dentro il buio arrivava prima e durava più a lungo, il promontorio rubava ore intere al sole e le finestrelle esigue facevano il resto.
In uno di quei cubicoli angusti e umidi, se ne stava rannicchiato un elfo scuro, che con quel posto non aveva niente a che fare. Si chiamava Dalas e tutto quello che sapeva era che, un giorno prima se ne andava in giro libero per le lande deserte a  ridosso della Montagna Rossa e il giorno dopo era uno schiavo in una galea che faceva rotta per Porto Telvanni.
Era piuttosto alto, giovane e ancora in forze, sulla testa abbondavano capelli scuri e i suoi occhi rilucevano nella penombra, assecondando i giochi di volumi che cominciavano dai suoi zigomi alti. Riusciva a rannicchiarsi ad arte, per occupare il minimo spazio, come se non volesse appartenere a quella cella, quel cubicolo sudicio.
Era sera e non mangiava da ore.
All’imboccatura del corridoio, sul quale si affacciavano una mezza dozzina di celle uguali alla sua, se ne stava una guardia Redoran, armata di tutto punto. Dalas era lì dentro solo da quella mattina, quando erano attraccati con la nave al molo, poco distante, ma non aveva visto quel secondino fare altro che mangiare vecchio formaggio stantio e bere birra argoniana.
Si guardò attorno, dalle sbarre poteva vedere i sui compagni di sventura poltrire e perdere tempo fissando il soffitto. C’erano tre argoniani, un khajiit e due tizi che sembravano essere dei Breton, o forse imperiali imbastarditi con qualche razza elfica. Dalas era l’unico dunmer là dentro. Nessuno di loro aspettava la forca, nessuno fremeva temendo una punizione per qualche crimine. Non erano prigionieri, no: loro erano schiavi.
Che la Casata Telvanni fosse la principale finanziatrice delle tratte di schiavi, era risaputo in tutta Tamriel. Da secoli quei maghi, negromanti e alchimisti, non facevano che comprare gente da usare come cavie, come garzoni o come manodopera per raccattare ingredienti alchemici qua e là.
Dalas sapeva che se il suo destino fosse stato roseo, se ne sarebbe andato presto, durante qualche gioco nell’Arena. Si diceva che da quelle parti la gente amasse vedere due o tre schiavi per volta, venire schiacciati da qualche netch opportunamente imbestialito.
La guardia si alzò, qualcuno si era affacciato alle inferiate nella finestrella, che si apriva nelle doghe di legno della porta. Una voce bassa mormorò qualcosa e un nodo prese la bocca dello stomaco del giovane elfo scuro.
"Non ti preoccupare elfo scuro." disse una voce calma e pacata. Era il khajiit nella cella di fronte a parlare "Nessuno manderà a morte un dunmer, non da queste parti. Siamo noi, Ja’dara e le lucertole a doverci preoccupare." e si alzò in piedi reggendo le sbarre, per guardare in faccia la morte.
La porta si aprì, i cardini scricchiolarono sotto l‘insistenza della figura che si aera affacciata poco oltre e una sagoma scura fece la sua comparsa nel corridoio.
"Comodo, Redoran, non voglio insudiciarti la corazza. Carino il pannolone." commentò sguaiato l’ospite inatteso.
Dalla sua posizione, Dalas non riusciva a scorgere l’individuo. Dal timbro però non sembrava un dunmer, non era nemmeno un elfo. La presenza cominciò a camminare lentamente, fissando uno a uno gli ospiti delle prigioni.
"Il mio capo ha parlato chiaro e tu, Redoran, lo sai che se il capo parla chiaro, non è il caso di far fatica a comprendere. Mi ha chiesto qualcuno che non fosse qui ieri notte e direi che le tue prigioni sono l’unico posto, in tutta Porto Telvanni, a ospitare sempre gente nuova. Gente di passaggio." lanciò una risata poderosa verso il muro. Le pareti tremarono.
"E dai, tutto qui quello che hai, Redoran? Micetti e rettili? Oh, questo potrebbe andar bene!" si era fermato di fronte al giovane dunmer. L’ospite era un redguard, armato e ben vestito, sul suo volto c’era un sorriso sgraziato e qualche dente d’oro testimoniava un passato violento. La sua espressione parlava chiaro, non ci sperava di trovare merce così rara in quel buco umido. Un dunmer tra gli schiavi era davvero insolito.
"Questo qui va bene, prendo questo!" lanciò una borsa di monete al Redoran, poi si rivolse al ragazzo grigio "Dimmi giovane, come ti chiami? Da dove vieni non m’importa, vedi io sono di Hammerfell eppure faccio il pieno di soldi in terra di voi grigi." scoppiò a ridere per conto suo.
"Dalas. Sono Dalas."
"Molto bene, ora so cosa scrivere nel tuo epitaffio se al mio capo non piaceranno i tuoi servigi. Ti va di guadagnarti la libertà? Domanda retorica. Ti ho appena comprato. Vieni con me." fece un cenno alla guardia, questa si precipitò alla cella del ragazzo e senza indugio aprì la serratura.
La porta di ferro cigolò, facendo eco a quella di legno di poco prima. Dalas fece un passo avanti, era libero?
   
 
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