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Autore: Shainareth    02/05/2009    0 recensioni
[Gundam SEED] Il brusio della comunicazione radio li distrasse da quel mortale silenzio: Miriallia cercava di mettersi in contatto con loro. La sua voce non fu mai così amata come in quel momento.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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MESTIZIA




«Kira, ti avverto: se non togli immediatamente quella mano da lì…»

   «Quale mano? Non sto facendo nulla.»

   «S-Scusa… Temo sia la mia…»

   Cagalli smise immediatamente l’aria crucciata per mordersi il labbro inferiore con un certo imbarazzo. «Allora non importa.»

   «Come sarebbe? Cos’è questa disparità di trattamento?» Ma la protesta di Kira non ricevette altra risposta se non una risata soffocata di Athrun. La consapevolezza di riuscire a scherzare in mezzo a quel cimitero di carne e materie inorganiche li fece sentire più vivi che mai, a dispetto della morte che portavano nel cuore.

   «Ecco l’Archangel!», proruppe di nuovo la fanciulla, felice nonostante avessero ancora tutti e tre le lacrime agli occhi e si sentissero a dir poco sfiniti.

   «Meno male, si sta troppo stretti qui dentro…»

   «Tu hai ben poco di che lamentarti, Athrun…»

   «Se preferite, posso proporre ad Erica dei Mobile Suit a tre posti», li prese in giro Cagalli.

   Il Freedom era andato distrutto, il Justice esploso insieme al Genesis, lo Strike disintegrato dal Lohengrin della Dominion insieme al suo pilota. Lo Strike Rouge su cui i ragazzi viaggiavano era uno dei pochi Mobile Suit rimasti pressoché integri o per lo meno utilizzabili. Percorrendo la distanza che li separava dal Bipede, i tre ammutolirono alla vista dei rottami che li circondavano e dei corpi senza vita che fluttuavano nello spazio aperto.

   Cagalli abbassò il capo, sentendo di nuovo la necessità di piangere. «Lascia, lo porto io», le disse gentilmente Athrun.

   Lei scosse la testa. «Voi due avete già fatto abbastanza, ora tocca a me.»

   L’altro le prese una mano, inducendola a guardarlo. «Sto bene, davvero», la rassicurò, riuscendo, seppure con qualche difficoltà, a disincastrarsi dalla posizione scomoda in cui si trovava per sostituirla alla guida. Arresasi, la bionda allungò le braccia verso Kira che subito la strinse a sé, avvertendo lui stesso il bisogno di calore umano. Anche l’ex-pilota di ZAFT si fece scuro in volto alla vista di ciò che rimaneva degli Astray di Orb, giunti lì nel disperato tentativo di portare la pace e riuscendovi unicamente con il sacrificio dei loro piloti. Al giovane non riuscì neanche di commentare ciò di cui erano stati a loro volta protagonisti, rischiando fino all’ultimo di non rivedere il domani. Si limitò a stringere i pugni e a tenere gli occhi fissi davanti a sé con l’unico scopo di riportare al sicuro tutto quello che gli rimaneva della sua misera esistenza: Kira e Cagalli. E la vita, rimproverò a se stesso, mentre le parole della figlia di Uzumi Nara Athha gli risuonavano ancora con fare imperioso nella mente.

   Il brusio della comunicazione radio li distrasse da quel tetro silenzio: Miriallia cercava di mettersi in contatto con loro. La sua voce non fu mai così amata come in quel momento. Cagalli allungò un dito verso l’orizzonte. «È il Buster, quello?»

   «Dearka sta già rientrando», spiegò l’addetta alle comunicazioni, lasciando trapelare la commozione nel tono, «e adesso anche il Duel ha chiesto aiuto all’Eternal.»

   «Yzak?», si stupì Athrun. E un attimo dopo il sorriso sfiorò le sue labbra. «A quanto pare ce l’ha fatta anche lui.»

   «Miri, puoi chiedere a Lacus di accettare?», si premurò di farle sapere Kira. Andrew Bartfeld aveva ragione: se si voleva puntare davvero alla pace, bisognava mettere da parte orgoglio e risentimenti personali.

   «Lo ha già fatto, tranquillo.»

   «Kira-kun?», si intromise il comandante del Bipede.

   «Murrue-san?»

   Aveva ancora un grosso macigno nello stomaco a causa delle fresche perdite di un’amica e dell’innamorato, ma si era ripromessa di completare quella missione recuperando tutti i superstiti prima di prendersi la comodità di lasciarsi andare ad un pianto distruttivo. «State bene?»

   «Sì», rispose il ragazzo, avvertendo la stanchezza della donna. «E voi? Voi state bene?», rigirò quindi la domanda.

   Lei ci mise qualche secondo per rispondere con voce strozzata, lasciando intendere che, nonostante tutto, delle gravi ferite le avevano subite anche loro. «Siamo vivi.» Quella semplice constatazione, che in quel frangente assumeva un significato molto più profondo e schiacciante del solito, ebbe il potere di far tornare tutti a piangere. «Ora… dobbiamo solo trovare le forze per ricominciare.»

   «Ce la faremo», promise subito Cagalli, l’unica del gruppo ad essere davvero ottimista per natura, anche quando i singhiozzi la scuotevano da capo a piedi.

   «Grazie di cuore a tutti e tre», si sentirono dire da un coro di persone.

   «Ci dirigiamo verso la Kusanagi?», volle sapere Athrun, senza rivolgersi a nessuno in particolare.

   «Se Cagalli-san non ha fretta di tornare lì, potete anche atterrare sull’Archangel», gli rispose Murrue.

   «Con il Buster e lo Strike non ci sarà spazio anche per questo Mobile Suit.» Il respiro del Comandante Ramius si fece più lento e pesante, e lei tardò a parlare. «Murrue-san?»

   «Sì… ci sono.»

   «Vada a riposarsi, Comandante», le stava suggerendo Miriallia.

   «Kira?», chiamò Ssigh, incurante di prendere un’iniziativa che non gli spettava. «È meglio se procedete verso la Kusanagi.»

   La tensione che si respirava sull’Archangel era ormai palpabile anche all’interno dell’abitacolo dello Strike Rouge. «D’accordo», fu l’unica cosa che si sentì di dire il Sottotenente Yamato, rendendosi conto di non avere, allo stato attuale, il coraggio di porre quella dolorosa, quanto inutile, domanda: se il Comandante piangeva, e se il Buster stava rientrando, non era difficile intuire che dovesse essere successo qualcosa al Maggiore La Fllaga. Sforzandosi di non pensarci in quel momento, Kira strinse la presa attorno alla vita della sorella e poggiò il capo contro la sua spalla, mentre lei gli passava di nuovo le braccia attorno al collo nella speranza che quel gesto servisse a farlo sentire meglio, o quanto meno a non farlo sentire solo. Avevano lottato con tutte le loro forze per arrivare a quel punto, sfidando la sorte e la cieca follia degli uomini, qualcuno pronto persino a premere il grilletto contro una persona amata pur di porre fine a quella carneficina. Lo avevano fatto insieme, perché quelli erano i valori in cui credevano. Insieme avrebbero pianto le vittime di quel disastro. Insieme avrebbero ripreso a combattere per difendere con le unghie e con i denti quel futuro nel quale avevano ancora un disperato bisogno di credere.




  
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