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Autore: Kourin    09/09/2016    2 recensioni
Luglio 1977. Mū del Jamir viene convocato al Santuario a causa di un problema che, apparentemente, solo lui è in grado di risolvere.
Genere: Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aries Mu, Gemini Saga, Leo Aiolia, Virgo Shaka
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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II





Era una giornata torrida e i raggi mattutini arroventavano le ripide scalinate già da alcune ore. Aveva raggiunto il Santuario armato di una borsa a tracolla e degli attrezzi appesi alla cintura, teletrasportandosi proprio nello spiazzo antistante la Prima Casa. Gli sembrò così strano rivederla che, per un attimo, pensò che fosse stata rasa al suolo e ricostruita. In realtà non era cambiato proprio nulla: il simbolo dell'Ariete era circondato dalle stesse, minuscole crepe che si divertiva a contare quand'era bambino. Non poté fare a meno di accarezzarle con lo sguardo, giusto il tempo sufficiente perché i soldati di guardia si accorgessero finalmente della sua presenza.
“Chi ti ha lasciato arrivare fin qui?”
“Non penserai mica di salire sulla montagna sacra!”
Arroganti nel tono e scomposti nelle movenze, più che soldati sembravano una banda di bulletti. Le loro armature di cuoio erano tenute proprio male, forse nessuno aveva mai spiegato loro come andavano allacciate.
“Sono Mū del Jamir,” rispose esibendo la lettera che recava il sacro sigillo. “Il Sommo Sacerdote mi ha convocato per conferire con lui. Fatemi passare.”
Seguì un istante di imbarazzato silenzio; Mū avanzò fino ad arrivare ad un palmo dal naso da coloro che si definivano soldati di Athena e quelli, intimoriti, si fecero finalmente da parte.

Primo, i soldati,” ripeté mentre risaliva con piglio deciso le prime rampe. Si era infatti imposto di memorizzare qualsiasi dettaglio sospetto che avesse notato. Tuttavia, benché la mente fosse focalizzata sull'obiettivo, il corpo non ne voleva sapere di acclimatarsi all'afa opprimente che lo avvolgeva. Giunto alla soglia della Terza Casa dovette fermarsi per asciugare il sudore che gli colava dalla fronte, e ritenne che fosse colpa di quella condizione se i suoi occhi parevano colpiti da lampi di oscurità. Avanzando all'interno, tuttavia, si accorse che le pareti restituivano alle sue percezioni vibrazioni simili a quelle prodotte dalle sacre vestigia, nonostante il piedistallo su cui queste ultime avrebbero dovuto trovarsi fosse vuoto. Si affrettò quindi verso l'uscita, ignorando il brivido che il sudore aveva generato scendendogli lungo la schiena.
Secondo, la Casa dei Gemelli,” sentenziò.
Continuò a muoversi guardingo nella Casa del Cancro Gigante, anch'essa vuota, né abbassò l'attenzione quando attraversò la successiva, sorvegliata dall'armatura ruggente che sapeva appartenere a quell'amico che non vedeva da anni.
Stranamente, il primo e unico guardiano che incontrò fu quello che presiedeva la Casa della Fanciulla.

Lungo tutta la salita regnava un religioso silenzio ma qui la quiete pareva, se possibile, ancora più sacra e profumava d'incenso di sandalo. A quell'ora la luce del sole non penetrava direttamente, tuttavia i colonnati sembravano trattenere prigionieri i raggi dell'alba. Il pavimento marmoreo restituiva un riverbero dorato che lo rendeva simile ad uno specchio, al centro del quale, tra gli otto petali del grande fiore di loto, sedeva in meditazione Shaka di Virgo.
Conoscendolo, poteva trovarsi in quello stato da giorni.
Mū si chiese se quel ragazzo lo stesse percependo come un santo, come un essere umano o, più semplicemente, come una parte infinitesima dell'universo. Per evitare di disturbarlo decise di percorrere il corridoio laterale, anche se non poté fare a meno di continuare a scrutare con curiosità la sua figura.
Vestiva una tunica arancione che lasciava scoperta una spalla: la muscolatura appena accennata rivelava una costituzione insolitamente esile, per un guerriero. Le mani erano chiuse in un mudra, lisce ed immobili, come se fossero rivestite della stessa materia con cui era stata forgiata Virgo, che invece era ricomposta alle sue spalle, le mani giunte in preghiera in direzione della statua di Athena.
Qualcuno gli aveva portato del riso, della frutta e una caraffa piena d'acqua, ma lui sembrava non averli toccati. Eppure il profumo del riso che arrivava alle narici di Mū sembrava così piacevole, così come l'aroma delle pesche mature adagiate nella fruttiera.
Perché mi sto lasciando distrarre in un momento così importante?” si chiese, e nel contempo Shaka mosse le labbra. Il gesto silenzioso si ripercosse attraverso tutto il tempio, che si risvegliò in un silenzioso sbadiglio. Le ombre si fecero più nette, il fumo d'incenso si diradò.
“Ho sentito arrivare la tua inquietudine prima ancora del tuo Cosmo. Non è da te,” furono le parole che gli rivolse il santo.
Mū allora gli si avvicinò e lo fissò negli occhi, incurante del fatto che questi ultimi si mantenevano placidamente chiusi. “Hai ragione, Shaka. Mi sono preparato a lungo per questo giorno, ma a quanto pare non è bastato.”
“La sofferenza che provi è solo un'illusione creata dal mondo.”
Nonostante considerasse l'origine del suo turbamento tutt'altro che illusoria, Mū ebbe la sensazione che quel ragazzo si stesse preoccupando per lui e perciò gli sorrise.
“A te non capita mai di essere turbato? Per la situazione in cui si trova il Santuario, intendo. Io sono stato lontano, ma le voci che mi giungevano erano tutt'altro che rassicuranti. Dovrei considerare anch'esse come semplici, vane illusioni?”
Shaka sciolse la posizione, lento come lo schiudersi di un fiore al mattino. I lunghi capelli, accarezzati dall'aria, scintillarono scrollandosi via gli ultimi residui dell'oro. “Lui non è una persona malvagia,” affermò sicuro, saltando connessioni logiche e preamboli.
Lo sfregare dei grani bruni del rosario accompagnò la sua discesa dal piedistallo, mentre continuava: “Anche tu sei in grado di distinguere il Bene dal Male, ciò che è benedetto da Athena e ciò che non lo è. Tuttavia, se continui a portare in te quest'intenzione ostile, sarò costretto a fermarti.”
“Io sono venuto fin qui per capire e non mi sentirò in pace finché non l'avrò fatto,” rispose Mū. “L'unico modo per risolvere questa situazione è che tu abbia fiducia in me. Lascia che io compia il mio dovere di servitore della dea, qualunque esso sarà.”

Terzo... Che cosa? La convinzione di Shaka? Oppure il mio dubbio?” si chiese una volta che fu uscito indenne dalla Sesta Casa.


La sala del trono era permeata dalla consueta aura pacifica, come se in quella terribile notte di quattro anni prima non fosse accaduto nulla e Mū fosse semplicemente l'allievo che rispondeva alla convocazione del maestro.
Mentre veniva accompagnato attraverso i corridoi, si meravigliò della prospettiva offertagli da un corpo che aveva superato abbondantemente il metro e settanta centimetri. Era evidente che gli attendenti avevano continuato ad occuparsi di quel luogo perché non c'era alcun segno d'incuria, eppure tutto ciò che ricordava come vivido e maestoso ora gli sembrava spento e ordinario.
Anche il sacerdote, visto di spalle, continuava ad assomigliare a colui che era stato il suo maestro.
Immerso nell'odore di pergamena e cera, aveva folti capelli biondi che scendevano a cascata a partire dall'elmo tirato a lucido. Imponente, vestito di una tunica d'un bianco immacolato, se ne stava in piedi davanti alla libreria, come assorto in pensieri profondi. Mū si avvicinò lo stretto necessario, quel che bastava per non precipitare nel baratro creato dalla crudele visione.
“Infine hai risposto alla convocazione.”
“Non avrei dovuto? Il fatto che mi abbiate voluto al vostro cospetto è un onore.”
L'uomo si voltò, e lo spostamento d'aria creato dalla veste fece tremare le fiammelle del candelabro. Mū era diventato abile nell'individuare le ombre più pericolose che si annidavano negli animi umani, e nella figura che aveva davanti non riusciva a scorgere un briciolo malignità.
L'anima più santa tra i santi, il Sommo Sacerdote portatore della compassione della dea, gli si stava addirittura avvicinando fino a sfiorargli il volto con il dorso della mano. Era liscio, gelido, tremante. “Non devi temere nulla da me. Non ti ho privato della vita quella notte, non ho motivo per farlo ora.”
Impietrito, Mū intravide il luccichio di una lacrima nell'ombra che l'elmo creava su un volto sofferente. Si ritrasse, combattendo con l'istinto di fuggire. Quelle quattro mura erano troppo piccole per contenere il suo sgomento e iniziò a provare paura di venirne schiacciato. “È come se stessi tornando ragazzino, come se...
“No...” il sussurro gentile del sacerdote interruppe il vortice delle sue emozioni. “Non abbandonarmi, Athena avrà bisogno di te. Io voglio fare in modo che lui non ti faccia del male... Ma tu, ma tu... Devi aiutare me.” Barcollando, raggiunse la sedia e vi crollò sopra sfinito, portando le mani alla testa, come se l'elmo fosse la fonte del suo tormento.
“Sono stato io stesso a chiederti di allontanarti, ma credo che tu ora sia diventato abbastanza forte da difenderti, qualora lui si ripresentasse. Ho già legittimato la tua investitura, in modo che tutti ti riconoscano come santo d'oro.”
“In modo che io possa legittimamente ubbidirvi? Non posso garantirlo,” scandì con calma Mū mentre si sforzava di rimanere immobile, le braccia lungo i fianchi, ignorando il tremore che le attraversava. Aveva infatti pronunciato parole che, secondo le regole del Santuario, avrebbero potuto costargli l’accusa di tradimento.
Il sacerdote, tuttavia, non lo rimproverò. “Certo, non posso chiederti di soprassedere a ciò che ti ho fatto.”
“Non solo a me,” sibilò Mū attraverso le labbra divenute aride. Le morse, ne uscì del sangue che cercò di inghiottire.
“Ma è di te che io mi sto preoccupando, ora,” rispose il sacerdote in tono dolce, come se si stesse rivolgendo ad un bambino. “Vorresti quindi ascoltare la mia proposta?”
Quella benevolenza continuava a deconcentrare Mū, privandolo della propria fierezza di santo. Annuì con un cenno, lentamente, senza mai distogliere lo sguardo dal volto ancora oscurato dall'ombra.
“Sarai tu a decidere se accettare le missioni o meno. Si tratta di un privilegio che normalmente il Sommo Sacerdote non concede, ma vista la situazione non c'è altro modo perché io possa persuaderti a servire Athena. Ho già fatto sistemare le stanze nella Casa del Montone Bianco, in modo che tu possa occuparla da subito.”
Si trattava di una domanda rude, ma fu solo un filo di voce quello che uscì dalle labbra di Mū per chiedere: “Che cosa desiderate, in cambio?”
“Seguimi.”
Colui che aveva le sembianze del suo mentore lo condusse di persona in una stanza attigua, la cui porta era sigillata da numerosi talismani. Quindi li rimosse uno ad uno, invitandolo ad aprirla. Il finto allievo ubbidì con l'animo colmo di diffidenza, pronto ad affrontare la peggiore delle entità maligne. Invece venne investito da un lamento straziante, così intenso da farlo barcollare.
“Ti prego, falla smettere,” implorò alle sue spalle il sacerdote, e ogni stranezza che Mū aveva annotato quel giorno diventò di colpo insignificante. Fu solo capace di chiedersi: “Per tutti gli dèi, che cosa sta succedendo?





 
  
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