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Autore: _EverAfter_    09/09/2016    1 recensioni
Istanti catturati mentre Esgaroth brucia tra le fiamme di Smaug.
Bard, arciere umano, discendente di Girion, colui che fallì nell'uccidere il drago.
Bilbo, piccolo hobbit scassinatore che assiste inerme al massacro, troppo lontano e troppo vicino al cuore degli uomini.
Thorin, giovane principe nano infestato da una strana malattia che scorre subdola nelle sue vene.
Non è uno scontro fisico, ma anche mentale.
E questa storia non è che l'apice di sentimenti contrastanti.
Spero vi piaccia!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bard, Bilbo, Thorin Scudodiquercia
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Smaug-l-ho-visto-cadere-2


Un battito d’ali. Secco, sottile.

Il vento soffiava, dapprima increspando l’acqua, poi sempre più forte scuoteva le barche posate sul fil d’acqua.
Un fruscio che portava con sé la maledizione della montagna, l’eco straziante di una disgrazia imminente.
Il fuoco del drago stava tornando.
Bard poteva solamente osservare dall’alto della sua cella la gente scappare, gridare, pregare qualunque cosa potesse opporsi alla fine imminente e, tremante di collera, si rese conto che la colpa di tutto ciò che sarebbe accaduto alla città era sua. Soltanto sua.
Avrebbe potuto impedirlo, se solo fosse stato meno cieco. Cosa l’avesse spinto ad aiutare quel gruppo di nani sognatori e pazzi ancora non sapeva, e piangeva, e s’interrogava sul perché avesse dovuto, proprio lui, cedere alla tentazione di un po’ di denaro che, a stento, sarebbe bastato per sopravvivere un mese.
Fu allora che le vide, le prime fiamme sparse lungo i moli della città, austere e impalpabili afferravano silenziose le anime dei pescatori, la cui carne bruciata emanava il puzzo che, di lì a poco, avrebbe infestato l’intera città.
Molti tentarono di salvarsi buttandosi a mare, ma quel fuoco divampava dentro come una fornace impazzita, sfiorando la pelle candida delle madri e infilandosi tra le ossa dei giovani figli.
Il legno delle case si faceva più leggero, cadeva sotto il colpo di quell’inferno di fiamme e cenere, sceso sulla città per ricordare, ancora una volta, che l’avidità è il peccato più grave che potesse esistere proprio lì, su quella terra che adesso bruciava e lambiva le vite innocenti di un popolo già in rovina.
Picchiò forte le inferriate, calciò la porta in ferro battuto. Non riusciva ad uscire e quella che provò non era smania di ribellarsi, ma paura.
Sì, proprio lei. La sentiva penetrargli la mente, parlargli, sibilandogli all’orecchio il timore della sua casa distrutta, l’immagine insopportabile dei suoi figli avvolti dalla stretta delle rosse vampate.
Calciò più forte, ma il ferro non si muoveva.
Vedeva la gente salire sulle poche barche rimaste intatte, alcune scurite dalla presenza del forte calore.
Quel piccolo paese, che una volta si sarebbe potuto dire appartenere ai pescatori, ora era una fucina, attanagliata dal fuoco e che lentamente moriva.
E mai, in tutta la sua vita, aveva sentito la morte così vicina.

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Era un piccolo lampo nella steppa grigia e arida.
Ma, seppur lontano, Bilbo poteva sentire il calore incendiargli la faccia e bruciargli i piedi.
E sentiva di aver sbagliato, anche lui, in fondo. Perché era stato lui a risvegliarlo. E forse, se fosse stato più attento, avrebbe potuto lasciar quieto il sonno pacificatore di Smaug, che sembrava essersi spinto tanto oltre solo per procurargli un dolore, solo per opporsi a quella vendetta che Thorin aveva rivendicato come sua esclusiva.
Ed ora, il Re sotto la Montagna se ne stava zitto, voltando le spalle a tutto quello in cui avevano creduto, fissando la roccaforte nanica di cui era visceralmente innamorato, senza pensare che dietro di lui stava svolgendosi il triste epilogo di destini che avevano sperato di legarsi al suo, per tornare alla ricchezza, per tornare alla libertà.
Perché, contrariamente alle belle parole dei miti, delle leggende, la libertà passa attraverso la ricchezza e attraverso di essa si esprime come meglio può.
La povertà è il prezzo da pagare per chi non è riuscito a vincere, ma questi pensieri non potevano essere condivisi apertamente, poiché ciò avrebbe significato ammettere, a chiare parole, che quell’avventura a cui Gandalf l’aveva spinto non era semplicemente la riconquista eroica di una terra natia, ma un atto di puro egoismo alla ricerca di ricchezze, come se tutti loro fossero dei volgari e meschini cacciatori di tesori.
E, mentre vedeva Esgaroth bruciare, Bilbo si sentì esattamente così.

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Avrebbe preferito temporeggiare per vederlo impiccato, ma si accontentò di aver usato il collo del governatore per scappare dalla cella che, ormai, puzzava anch’essa del tanfo disgustoso tipico delle bruciature.
Si issò velocemente lungo il tetto, nella mano sinistra il fedele arco, nella destra quello che rimaneva delle frecce dell’armeria.
Furtivo come un gatto in cerca di topi, veloce come chi sa di poter morire incenerito da un momento all’altro.
In effetti, Bard sentiva i suoi piedi scorrere silenziosamente lungo le mattonelle scivolose dei comignoli adiacenti l’uno all’altro, creando un ponte piuttosto arrangiato, ma che sarebbe bastato per salire alla torre dove la grossa campana suonava l’allarme, come un arcangelo giunto a portare l’infausta notizia della fine che si approssima.
Salì veloce le scale in legno, molte delle quali cedevano sotto il suo passo nervoso, costringendolo ad arrancare lungo le aste di legno orizzontale.
Sapeva che avrebbe fallito, non riponeva alcuna certezza nella riuscita di quell’impresa che sentiva pendergli addosso come l’ultimo atto prima che calasse il sipario, l’ultima prova d’amore che avrebbe potuto onorare la sua memoria nella mente dei suoi figli, forse morti, forse lontani, questo non sapeva.
Si aggrappò alla piccola pedana di legno, l’apice della torre, e lì puntò la bestia, la cui furia imperversava sulle poche case rimaste illese.
Il vento spirava contrario alla direzione delle fiamme, come se persino la natura stessa si opponesse a quella calamità che portava con sé gli strascichi della propria desolazione.
Bard sentiva l’aria pesante offuscargli la vista, mentre intorno una coltre di fumo ricopriva la città sotto di lui che, ormai, aveva smesso persino di gridare.
Scoccò la prima freccia che come carta si dissolveva a contatto con le scaglie impenetrabili della potente bestia.
Scoccò la seconda.
La terza.
La quarta.
Non vi era speranza alcuna di potercela fare, mentre sentiva che anche le sue forze avevano deciso di abbandonarlo.
E lui era solo e poteva vedere la propria immagine riflessa nell’occhio dorato della creatura, mentre tutto il resto svaniva, mentre tutto veniva inghiottita dall’acqua profonda e scura.
«Papà!» sentì poi chiamare alle sue spalle.
Si voltò, terrorizzato al suono di quella voce. Lui era lì e con le braccia ancora esili si era portato al suo fianco.
«Bain…» sussurrò, nel volto la smorfia di chi crede di aver perso ormai tutto. «Che cosa fai? Dovevi andare via! Perché non sei andato via?»
«Sono qui in tuo aiuto.»
«No! Nulla può fermarlo adesso!»
Il giovane rimase in silenzio per qualche secondo, mentre tra le mani stringeva l’ultima Freccia Nera.
Soltanto una, e basta.
«Questa forse sì» sussurrò il ragazzo, mentre delle piccole lacrime cristalline gli bagnavano le guance rosee.
Bard fissò suo figlio.
E lo vide, forse per la prima volta.
Lo vide, mentre la paura minava lentamente le sue certezze.
Lo vide nell’attimo stesso in cui il coraggio donava al suo volto ancora da infante un riflesso nascosto, come colui che cerca la convinzione di una vittoria laddove vige solo la sconfitta imminente.
Gli carezzò delicatamente il capo, mentre gli diceva: «Bain torna indietro. Vattene via da qui, ora!»
Fu un attimo, prima che la tempesta di fuoco fosse sopra di loro.

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Fissava l’entrata, assorto. E fissava i saloni ricolmi di ricchezze.
E poteva vedere la sua immagine in ogni cosa, lì dentro, perché ogni cosa luccicava, ogni cosa riempiva di luce la straordinaria grandezza di casa sua.
Quella casa che, per tanto tempo, era stata la dimora di un perfetto sconosciuto.
Non avrebbe più permesso a nessuno di entrarvi senza il suo permesso. A nessuno.
Sentiva fuori il vocio sommesso dei suoi compagni, mentre discutevano su come agire, cosa fare, come intervenire per placare la furia del drago.
Ma loro non potevano sentirsi, non potevano vedere quanto fossero sciocchi. Ciechi.
Se ci fosse stato un modo per fermare quell’implacabile flagello, lui non avrebbe mai dovuto rinunciare a casa sua quando si presentò l’occasione, tanti, troppi anni prima.
Ma Smaug non poteva essere fermato. Smaug non poteva morire perché un gruppo di nani aveva deciso che sarebbe stato meglio. Erano riusciti a combattere contro di esso per pochi, preziosi momenti e nonostante tutto erano sfiniti, spossati dalla troppa fatica.
In quelle condizioni non sarebbero stati in grado di abbattere neanche un orco. Figurarsi lui.
Tante volte aveva sognato quel giorno, tante volte aveva pensato a come sarebbe potuto essere. E adesso che lui era lì e il drago fuori, poteva sentire crescere dentro di sé l’insano desiderio di chiudersi dentro quelle sale per sempre. Come un ladro. Come un vile.
E lentamente l’ombra calava su di lui, mentre Scudodiquercia periva a causa del subdolo veleno della creatura che, insinuatosi nelle sue vene, scorreva silenzioso dentro di lui, lungo il pavimento, tra le fessure delle pareti crepate.
Thorin non era più Scudodiquercia.
Thorin era Smaug.

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La vide.
La piccola fessura nascosta di poco al di sopra del costato sinistro, sotto l’ala.
«Bain, sta’ fermo» disse, pacato, mentre l’ultima possibilità che avevano risiedeva nei nervi del figlio.
Egli non avrebbe dovuto muoversi, o tutto sarebbe stato vano.
Ma suo padre gli aveva imposto di stare fermo, mentre sentiva crescere dietro di sé l’ira funesta che aveva causato tutto ciò. Lo sentiva avvicinarsi, sentiva il calore sprigionato dalle sue narici ricolme d’odio.
«Sta’ fermo, figliolo» sussurrò, mentre la bestia si ergeva imponente dinnanzi a lui.
Scoccò la freccia.

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Dapprima si udì un urlo che non sembrava poter appartenere a questa terra, poi lo videro volare in alto, verso le nuvole grigie dal fumo dell’incendio.
«L’ha colpito» gridò Bilbo, incapace di comprendere come ciò fosse accaduto.
Poi vide il drago impennarsi e ricadere verso il lago, con il torace che lentamente spegneva le vampate.
«È caduto!» urlò ancora, mentre si avvicinava da un sasso all’altro verso la sporgenza dove avrebbe potuto vedere ogni cosa. «L’ho visto cadere!»
Vide i nani accostarglisi, sbalorditi forse quanto lui.
Smaug era caduto. Questa volta era caduto davvero.















Piccola one-shot scritta un po' di tempo fa, ma che, non so perché, non ho mai pubblicato! Spero vi sia piaciuta com'è piaciuto a me scriverla!
A presto a tutti!

_Vintage_
  
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