Anime & Manga > Detective Conan
Segui la storia  |       
Autore: Gagiord    09/09/2016    4 recensioni
Aoko Nakamori, la prescelta. La ragazza, ormai diciassettenne, aspettava, seppure inconsciamente, l'arrivo di qualcosa. Qualcosa che le avrebbe cambiato la vita.
Ginzo Nakamori, il padre della giovane, sapeva tutto. Tuttavia, finché il potere in lei non si fosse svegliato, non poteva dirglielo. E, comunque, non ne avrebbe avuto l'occasione: stava giorno e notte fuori, ormai, alla caccia di Kaito Kid. Ebbene, il ladro era ancora costretto a rubare, determinato a trovare Pandora, quella gemma tanto importante per l'Organizzazione che si era promesso di distruggere. Eppure, non si era mai accorto che quel tanto ambito gioiello l'aveva sempre avuto sotto i propri occhi...
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Aoko Nakamori, Gin, Ginzo Nakamori, Kaito Kuroba/Kaito Kid
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Svegliatosi, sgranò gli occhi, mettendosi immediatamente a sedere. Doveva chiamare Aoko! Per quante ore era rimasto addormentato? E perché sentiva dei rumori provenienti dal piano di sotto?
Gettò le coperte al lato del letto, balzando in piedi. Solo dopo che una fitta di dolore lancinante gli attraversò l'intera gamba destra, facendolo ricadere sul materasso, ricordò di non poter camminare. Ecco, quella ne era una prova: non sarebbe mai stato in grado di rimanere fermo, a letto, per almeno un paio di giorni.
Fece cadere gli occhi sull'orologio a muro, proprio come aveva fatto prima di lasciarsi abbracciare da Morfeo: le lancette segnavano le 13:53. Ma che diamine gli avevano dato? Narcotici?
Si passò una mano tra i capelli corvini e ribelli, sospirando e chiudendo gli occhi; qualunque cosa gli avessero somministrato, aveva fatto diminuire drasticamente il malessere alla coscia, sebbene avesse acuito quello alla testa. Tra l'altro, la pausa pranzo, a scuola, doveva già essere finita, quindi avrebbe potuto chiamare la ragazza tra più di un'ora.
Riprovò, comunque, ad alzarsi, ma più lentamente: fece forza sulla porzione del corpo sinistra, appoggiandosi al capezzale per sorreggersi meglio. Saltellò due passi, evitando di posare la parte dolente, sporgendo il busto e gravando sulla sedia davanti alla scrivania di legno. Mosse un altro salto, e, raddrizzatosi, sbuffò: ma in che stato si era ridotto? A zoppicare per un insignificante taglietto? Volse lo sguardo alla frazione strappata dei suoi pantaloni da ladro, trovando della spessa garza lievemente macchiata di un rosso rugginoso. Sì, era solo un taglietto, nulla di più. Jii, infatti, prima che lui prendesse sonno, gli aveva portato un bicchiere d'acqua - dove, molto probabilmente, il medico aveva fatto sciogliere un sonnifero -, dicendogli che il proiettile non l'aveva nemmeno perforato, solo tagliato; in ogni caso, per via della continua e repentina rotazione di esso, la pelle e la carne dell'esterno della coscia destra si era erano letteralmente dilaniati, aprendo una lacerazione spaventosa.
Una scarica d'audacia e sfacciataggine lo colpì, creando un ghigno spavaldo sul suo viso. Lui era un mago, era Kaito Kid: non poteva lasciarsi intimidire da un dolore fisico. Era stato capace di superare anche il male che la morte di suo padre gli aveva procurato, per altro quando era decisamente più piccolo, perché non poteva esserlo di sormontare un qualcosa ben più futile?
Provò a deporre il piede ancora lievemente scostato dal pavimento a terra. Niente sofferenze, almeno finora. Insisté gradualmente, mentre il malessere esordiva a ripresentarsi, sempre più intenso.
Il brunetto contrasse i lineamenti in una stramba smorfia, senza, tuttavia, desistere: non importava il dolore, solo venire a conoscenza di qualcosa che gli era stato estraneo, benché lui fosse piuttosto implicato in quell'opprimente faccenda.
Andò avanti così, non omettendo qualche imprecazione, fino alla soglia della scalinata. Ecco, là si mostrava il vero problema. Come avrebbe fatto a scendere e salire? E soprattutto, come avrebbe sorbito tutti gli ammonimenti di Konosuke, arrivato al livello sottostante? Sempre se era lui a fare quei fastidiosi rumori metallici, ovviamente: poteva benissimo essere a lavoro, nel suo piccolo pub. 
Proprio in quel momento, Kaito si accorse che aveva perso la cognizione del tempo: che giorno era? Era davvero un giorno feriale, come aveva pensato quella mattina, o era domenica?
Aveva troppe domande e troppe poche risposte, pertanto si decise a fare il primo passo, deglutendo ed osservando quei gradini come fossero i mostri che credeva si nascondessero nel suo armadio, quando viveva ancora la sua prima infanzia. Si resse anche con una mano, che faceva scivolare adagio sul corrimano in legno.
Arrivò finalmente al piano terra, sentendo sempre più prossimi i cigolii, probabilmente provenienti dalla cucina. Si diresse, dunque, all'angolo cottura - sempre inutilizzato, dal momento che consumava spesso i suoi pasti a casa Nakamori -, non evitando, purtroppo, le stilettate che dall'orribile vicenda della sera precedente lo angustiavano, concentrandosi sulla sua gamba sofferente.
Si appoggiò allo stipite della porta aperta, quasi ansante. Scorse, come presagito, la figura di Jii, che si dilettava ai fornelli. Aveva pensato proprio a tutto: naturalmente, non poteva presentarsi a casa della sua amica con una coscia fasciata in quel modo, claudicante, né tantomeno poteva permettersi di uscire e andare a mangiare fuori.
Nonostante la sua età, alle orecchie dell'anziano sfuggiva davvero poco: udì qualche respiro soffocato originarsi alle sue spalle, e si girò di scatto. Sgranò gli occhi nel vedere la sagoma instabile del suo giovane amico, mentre il senso di colpa si faceva strada nel suo essere. Prima che il suo primo insegnante, Toichi Kuroba, morisse, gli aveva fatto promettere che, appena il figlio avrebbe scoperto la sua vera identità e avrebbe preso il posto - perché, lo sapeva, lo avrebbe fatto -, lo avrebbe protetto, tenendolo lontano da posizioni e azioni troppo pericolose. E lui non vi era riuscito, aveva fallito; sì, non era stato in fin di vita, ma se quel proiettile fosse andato un po' più verso l'interno? Avrebbe colpito l'arteria femorale, e probabilmente, prima che lui e il signor Tamada fossero riusciti a ritrovarlo, sarebbe... No, non ci voleva nemmeno pensare. Tremava al solo pensiero.
Si apprestò a raggiungerlo. "Signorino!" Lo prese sottobraccio, e Kaito sorrise genuinamente a tutte le attenzioni che gli stava curando. "Ma che fa? Le avevamo detto di stare a letto!" lo rimproverò, con voce colma di preoccupazione, mentre si dirigevano nuovamente verso le scale, l'anziano che lo sosteneva e il giovane che camminava stentatamente. "Ha per caso poggiato la gamba?" Scosse la testa e schioccò la lingua, contrariato.
Il brunetto ridacchiò leggermente, quasi divertito da quell'appunto.
Giunsero alla scala, e, seppur con fatica, cominciarono a salire i gradi.
"Non ti preoccupare, Jii-chan. L'hai detto anche tu: è solo un taglio." 
Quasi strano a dirsi, ma il suo tono era allegro come sempre, anche in quello stato. Tuttavia, ciò che provava dentro non poteva essere espresso a voce. Si sentiva quasi tradito, e non gli importava se le aveva mentito anche lui; aveva sempre cercato di tenerla al sicuro, di non coinvolgerla. E chissà se lei sapeva del suo alter ego? Si convinse che l'avrebbe scoperto tra non molto, perché lui aveva il dovere di sapere.
Konosuke gli scoccò un'occhiata di rimprovero che, però, non lo smosse; anzi, lo esortò a continuare.
"E poi, sentivo strani rumori provenire dalla cucina" rivelò, mentre s'inerpicava per l'ultimo scalino. "Poteva essere chiunque!"
L'anziano lo fulminò, guardandolo con sguardo truce, come a dire: "Ma se tu stesso sei un ladro!"
Il ragazzo sogghignò ancora, ma decise di non replicare.
Raggiunsero l'apice della scalinata, ed entrambi rilasciarono un profondo sospiro.
"Signorino, ce la fa a raggiungere la camera?"
Lui annuì semplicemente, ringraziandolo con gli occhi.
"Bene." Sfilò il braccio dalla schiena di Kaito, e l'altro dalle spalle del suo assistente. Abbozzò un sorriso, mentre si girava nuovamente verso le scale. "Tra un po' il pranzo sarà pronto, glielo porterò direttamente a letto" garantì, cominciando a scendere al piano di sotto. 
"Grazie, Jii-chan." Sorrise anche lui, raggiungendo la propria stanza con passi sofferti.
Aprì la porta, chiudendola poi alle proprie spalle. Si diresse verso il suo letto a due piazze, lasciando cadere la maschera che era solito portare in pubblico. Si abbandonò sul materasso, mettendosi a sedere, e fece una smorfia nel constatare che il dolore alla gamba si stava ripresentando, forse per lo sforzo compiuto, forse per lo scemare dell'efficacia dell'antidolorifico.
Si distese, poi, poggiando la testa sul cuscino federato di bianco, e la volse dalla parte del suo comodino. Fissò intensamente il suo cellulare che giaceva su di esso, quasi solo con la forza del pensiero potesse comunicare con lei.
Sospirò, voltando il capo per guardare il soffitto algido. Era combattuto: sapeva per certo che non era il momento né il modo migliore per riferirle la sua autentica identità, ma voleva almeno estorcerle la verità.
Inspirò pesantemente e allungò la mano per afferrare l'aggeggio che era sicuro sarebbe stato l'intermediario di una nuova lite, di nuove bugie, non distogliendo lo sguardo dal tetto. Lo prese e lo portò davanti al suo viso. Con titubanza, accese il display, notando che più persone gli avevano scritto dei messaggi; non se ne curò. Immise la password - 1412, proprio come il nome originale del suo alter ego -, e si precipitò sul suo contatto.
Se prima era riluttante, ora tergiversava ancora di più. Doveva chiamare o no? Una voce nella sua testa gli imponeva di farlo, sia per la propria sicurezza che per quella di Aoko. Un'altra frazione del suo cervello, però, non ne era assolutamente sicura. E se fosse stato un equivoco? E se Snake gli avesse detto quelle parole solo per innervosirlo e intimidirlo?
Be', l'avrebbe scoperto tra poco. Pigiò il fantomatico tasto con l'indice destro, ed ecco che il solito suono di attesa comparve. Mise subito il vivavoce, posizionando il telefono sul suo petto che, per via del suo cuore che sembrava aver preso la rincorsa, si abbassava e alzava più rapidamente del consueto.
Udì quel fastidioso e apparentemente interminabile rumore cessare. Chiuse gli occhi di scatto, mentre prendeva un profondo respiro.
"Pronto, Kaito?"
 

Quel giorno, sebbene fosse domenica, aveva dovuto alzarsi presto: alle 9:00 erano già fuori, cosicché lei potesse spropriare al più presto possibile. Ovviamente, si era annoiata a morte, come nei giorni precedenti; come se non bastasse, era dovuta stare mezz'ora in più, perché era più - testuali parole di Hiro - "sicuro". 
Pertanto, ora si ritrovava a casa, buttata sul proprio letto a pancia in giù, a meditare sul furto che avrebbe dovuto compiere quella stessa sera. Solo al pensiero i sensi di colpa ricominciavano a consumarla, a farla sentire peggio di quanto già non le sembrasse. Puntualmente, però, Johanne interveniva, dicendole frasi inusualmente dolci e comprensive, assicurandole che lei ci sarebbe stata, ma ciò non fu per niente d'aiuto. Anzi, sapere che avrebbero portato a termine quella finta rapina insieme la faceva stare solo male: sarebbe stata capace di fuggire, stavolta? Si sarebbe stancata o non avrebbe avvertito nulla?
'Non ti preoccupare: riusciremo a non farti stancare, in qualche modo' la rassicurò la ladra, con tono benevolo e morbido.
"Non ne sarei così sicura" borbottò la brunetta, e i cuscini resero le parole ovattate.
'Aoko! Smettila di essere così pessimista. Ce la farai, ce la faremo!'
Lei girò la testa di lato e sorrise amaramente. "Ma hai idea di cosa stiamo facendo? Sai a cosa potrebbero servire queste gemme?" Alzò la voce. "Sai a chi diavolo stiamo dando ascolto?" gridò, mettendosi a sedere. Era frustrante non poter guardare la persona con cui parlava negli occhi: non poteva vedere cosa pensava davvero. "A un idiota del diciottesimo secolo! E sai che cosa si faceva a quell'epoca?" Non le diede neppure il tempo di rispondere. "Si buttava la pipì dalle finestre, fregandosene di quelli che passavano!" Si mise in piedi definitivamente, stringendo i pugni e chiudendo gli occhi.
Ma Johanne sapeva che era tutto giustificato. Come darle torto, del resto? Il suo discorso era logico, al contrario di ciò che i Guardiani continuavano a fare da più di tre secoli. Poteva compatirla, tuttavia percepiva in qualche modo che tutte le fatiche a cui si stavano dedicando portavano, almeno per lei, ad un esito. Non sapeva che tipo di conclusione potesse essere, né se avesse incluso qualcun altro; doveva, comunque, provare. In ogni caso, restò ad ascoltare la sua ospite sfogarsi: ne aveva bisogno e il pieno diritto.
"Si uccidevano persone come se nulla fo..."
Un suono l'aveva interrotta, trascinandola nuovamente nella realtà crudele e sfacciata su cui non osava sollevare lo sguardo.
Aprì gli occhi, leggermente spaesata, e notò il display del suo cellulare acceso, mentre una fastidiosa suoneria si ripeteva inesorabilmente.
Si avvicinò adagio alla scrivania su cui esso era poggiato, un po' confusa: chi poteva chiamarla? Keiko, forse?
Agguantò il telefono ancora vibrante, leggendo il nome che presentava: Kaito. Il suo cuore perse un battito; poi, cominciò a battere sempre più velocemente, instancabile.
Disserrò lievemente la bocca, stupefatta: perché avrebbe dovuto chiamarla? Nemmeno una settimana fa avevano discusso con toni piuttosto elevati, almeno da parte di lei, e in seguito si erano rivolti parola decisamente poche volte.
Ma che importava, alla fine? Poteva semplicemente volere delle delucidazioni sulla scuola, benché ciò non gli si addicesse per nulla.
Ancora tentennante, decise di rispondere. "Pronto, Kaito?" provò con voce bassa e che lasciava trasparire la sua perplessità.
"Aoko?"
Ecco, un altro battito perso, le palpitazioni del suo cuore irregolari. Sembrava quasi strano udire la sua voce pronunciare il suo nome, dopo quei giorni che sembravano eterni.
'Si vuole dichiarare via chiamata? È serio?'
La giovane arrossì violentemente, divenendo paonazza. Tuttavia, sapeva che quell'argomento doveva essere serio, o non avrebbe perso tempo a chiamarla, sopratutto se la sapeva infervorata con lui. Si chiese, però, il motivo per cui non era venuto lui stesso, di persona, invece di comunicare mediante un insignificante telefono.
"T-ti dovrei chiedere una cosa..." tergiversò.
Aoko si meravigliò: no, titubare non era assolutamente da lui. Ciononostante, lo lasciò continuare.
"Riguardo al tuo... ehm... segreto?"
La viaggiatrice aggrottò la fronte. "Segreto?"
"Segreto" ripeté, con voce più ferma: era pur vero che aveva voluto abbassare le sue barriere, ma doveva restare se stesso, sempre Kaito Kuroba. "Aoko, non mentirmi." Nel frattempo, lui non aveva distolto lo sguardo dal soffitto, quasi potesse leggere i termini da riferirle.
Si sedette, disorientata. "Non so di cosa tu stia parlando" mentì, invece. Dopotutto, non aveva scelta, e in ogni caso, non le avrebbe creduto.
"Ti prego." Non era nel suo carattere abbassarsi alle suppliche, ma quello sembrava più un ordine. Chiuse lentamente gli occhi, inspirando pesantemente.
"Perché non me ne parli di persona?" alzò i toni lei. La stanchezza, finora, aveva vinto la stizza, ma adesso quest'ultima la stava sopraffacendo. "Davvero, Kaito, non ti riconosco più!"
Il cuore gli martellava nel petto, ma non si fece intimidire; no, non stavolta. Era vero, ne avrebbe voluto parlare anche lui faccia a faccia, ma sapeva benissimo di non poterlo fare. Non voleva e non era in grado di aspettare ancora, e non voleva cadere un'altra volta nella stessa questione: lui che si comportava in modo sospetto, lui che mentiva, lui che non le rivolgeva sillaba... Era stanco; stanco di non poter ribattere, di essere etichettato come un bugiardo, di provare sensi di colpa, quando l'unica cosa che stava cercando di fare era proteggerla da un problema troppo grande per lei e persino per lui.
"Non posso uscire." Schiuse le palpebre, rivelando le iridi azzurre che brillavano nuovamente e finalmente della sua consueta luce di determinazione. "Aoko, non ci vuole tanto per capire che mi stai mentendo, sai? Vuoi davvero che mi beva la storia della camicia?" La voce diveniva sempre più sicura, più alta, nonostante il fatto che dentro di lui si stesse cucinando una zuppa di emozioni contrastanti.
"Ah!" rise, beffarda e aspra. "Senti chi parla! Vuoi dire a me di star raccontando menzogne? Sul serio?"
Sospirò, ormai spazientito. "Bene, ho capito. Se questo può spingerti a non mentire, ti posso dire una cosa?"
Lei annuì, sempre più smarrita, ma lui non poteva vederla.
"Ho pagato a mie spese" proseguì. "Vuoi davvero che delle persone soffrano?" Faceva male riferirle quelle parole, perché era a conoscenza che l'avrebbero ferita.
Lei perse un altro palpito, e spalancò gli occhi. Corrugò le sopracciglia, e stese il suo corpo sul materasso: non era più certa di riuscire a reggerne il peso anche solo parzialmente. "Cosa significa, Kaito?"
Prese un altro, profondo afflato. Al contrario di lei, il prestigiatore decise di mettersi a sedere, facendo forza sugli addominali ben allenati. No, non voleva dichiararle la sua identità celata: non era il momento, e, comunque, aveva il terrore di perderla. Già, terrore; poteva sembrare strano che uno come lui ne percepisse, soprattutto nei confronti di una ragazza. Ma lui sapeva bene che non era una semplice compagna: era la bambina che da sempre lo accompagnava a vedere gli spettacoli di magia di prestigiatori famosi, rinomati in tutto il mondo; era la ragazza che odiava Kaito Kid, ma, al tempo stesso, gli voleva bene; era la ragazza che, semplicemente, gli faceva battere il cuore. E no, non l'avrebbe ammesso. O almeno, non in quel momento. 
"Ti basta sapere che ho sofferto. Ti prego, Aoko. Per favore."
Ma cosa gli stava succedendo? "No che non mi basta! Perché hai sofferto? Cosa ti è successo?" Bene, ora doveva sembrare una ragazzina lunatica in preda agli ormoni: un secondo prima gli urlava contro, quello dopo si preoccupava per lui.
Ma il mago non se ne curò. Dopotutto, era quello il loro rapporto. "Niente di grave" tagliò corto, sebbene grave avesse potuto diventarlo. "Mi serve solo una risposta, nulla di più."
La giovane si accigliò: non sapeva cosa fare. Doveva comunicargli tutto oppure era meglio tacere? Nessuno le asseriva che lui non sarebbe scoppiato a ridere, né che i Guardiani non l'avrebbero rinchiusa in chissà quale inopinabile prigione. Se lei, però, avesse scelto di omettergli tutto, era più che certa che la loro amicizia sarebbe peggiorata ancora.
Poi, tuttavia, un qualcosa le affiorò in mente: perché doveva essere lei a dirgli il suo, di segreto, quando lui non aveva nemmeno spiegato come ne fosse venuto a conoscenza? Come era stato ferito, dove era stato ferito, cosa era realmente accaduto... No, non aveva voluto esprimere nulla, e la stessa cosa sarebbe valsa per lei.
"Ripeto: non so di cosa tu stia parlando."
"Aoko..."
"Niente Aoko!" lo interruppe bruscamente lei. Anche lei era più che sazia di tutte quelle scenate. "Si può sapere cosa vuoi da me?" Forse era stata un po' dura, ma non volle fermarsi. "È da una settimana che mi tormenti con 'sta storia! Quale segreto dovrei nascondere? Sentiamo!" Odiava rivolgersi a lui in quel modo, ma non poteva fare altrimenti se voleva depistare ogni suo sospetto.
Quelle parole gli arrivarono come un secchio d'acqua ghiacciata in pieno inverno, come un pugno nello stomaco mentre ti stai divertendo. Erano parole dette con un'acidità non da lei, ma che pensava fossero sincere. Però no, non doveva cedere.
"Non è forse questo che ti sto chiedendo?" Una nota più morbida si fece spazio nella sua voce, ma il tono rimase ugualmente sardonico. "Non capisco perché tu non voglia parlarmene. Tra l'altro, sono sicuro che Keiko lo sa. Perché non ti fidi più di me?" A pronunciare l'ultima frase si presentarono diverse fitte. Non alla gamba, ma al cuore.
Sospirò, snervata, serrando le palpebre. "Non mettere in mezzo Keiko, intanto!" Con un saltello degno di una ginnasta, si mise in piedi, e mosse qualche passo. "E mi chiedi perché non riesca più a fidarmi di te? Ma dici davvero?" Camminava avanti e indietro nella stanza, mentre teneva la mano stretta in un pugno, tentando di sbollire la sua ira. "Non discutiamo come due persone normali da non so quanti mesi, è ovvio che non sia in grado di parlarti come una volta!"
Possibile che dovesse sempre rinfacciargli quell'aspetto? "Non abbiamo mai parlato come due persone normali, se è per questo" ironizzò, poggiando il gomito sulla coscia sinistra e reggendo il viso con il medesimo arto, mentre la mano destra era impegnata a sostenere il cellulare vicino all'orecchio. 
"Kaito! Dannazione, io non sto giocando!"
"Pensi che mi sia fatto sparare per gioco?" urlò, raschiandosi la gola. Gli era uscito di getto, non era una replica ponderata. E ora lei sapeva. Cosa le poteva dire, ora? Che mentre voleva osservare la luna nelle vesti del ladro che detestava di più, un tizio di un'organizzazione criminale era andato lì per sparargli e divertirsi un po'? No, ci avrebbe riflettuto due volte, almeno su quello. Ed in entrambe la coscienza gli suggerì di non farlo.
Spalancò gli occhi, abbassò ambedue le mani, e per poco il telefono non cadde a terra. Ma non gliene importava affatto di quell'insulso aggeggio, almeno in quell'attimo. L'ultima frase che aveva pronunciato si ripeteva febbrilmente nella sua testa, come un'eco lontana, ma vivida. Il corpo iniziò ad essere scosso da singhiozzi silenziosi, mentre il labbro inferiore le tremava, venendo martoriato brutalmente dai suoi denti.
"A-aoko?" la richiamò Kaito, leggermente allarmato.
Lei sentì, ma non carpì. Continuava imperterrita a fissare il muro color pesca avanti a lei.
Dopo circa un minuto, in cui il ragazzo aveva cercato di riportarla alla realtà con flebili sussurri, accostò nuovamente il cellulare al suo orecchio.
Era più che sicura di aver sentito bene, ma non riusciva a realizzare. Era stato ferito, per di più da un'arma da fuoco. Però, lei cosa c'entrava? Perché l'aveva chiamata? Da chi era stato sparato?
Aoko non si pose tutte quelle domande; a lei, in quel momento, importava una cosa sola.
"S-stai bene... vero?" La voce era tremante, così come il suo corpo. Si vide costretta a sedersi ancora una volta sul materasso: non sapeva per quanto i piedi potessero reggere il suo peso.
Kaito non fu in grado di soffocare un sorriso che, spontaneo, voleva nascere sul suo volto. Aveva pensato prima alla sua incolumità, anziché a tutti i quesiti che sarebbe stato naturale formulare. Teneva ancora a lui.
Fu quasi tentato di tirare un sospiro di sollievo, ma si consigliò di replicare prima alla sua amica. "Sì..." affermò, chiudendo lentamente le palpebre. "Sto bene, Oko."
La suddetta lasciò cadere il resto del corpo sul materasso, e sorrise. L'aveva chiamata Oko, come ai vecchi tempi. Forse, avrebbero potuto risanare la crepa nella loro relazione. "Possiamo parlarne, allora?"
Dovette speculare un momento: non era facile decidere. Le avrebbe dovuto narrare tutto, senza tralasciare un singolo particolare; la stessa cosa avrebbe dovuto fare lei. Ma erano davvero pronti? Probabilmente no, ma entrambi avvertivano un legame tra tutte le loro vicende, e le parole che Snake aveva rivolto al ladro non potevano che essere una conferma.
"Va... Va bene." Sospirò, aprendo gli occhi. "Tutto, però." 
Potevano sembrare due vocaboli completamente sconnessi, ma Aoko colse al volo il loro significato: nessuna omissione, dovevano spiegare tutto.
Il riso si allargò. "Quando?"
Sembrava più un dialogo telepatico: lui comprese subito che lo voleva vedere, escludendo ogni tramite. "Stasera?" Fece una breve pausa. "Possibilmente a casa mia" ridacchiò, leggermente impacciato. Di certo non aveva voglia di farsi vedere da Ginzo - sempre se fosse stato a casa - in quella scomoda ed imbarazzante situazione, né tantomeno teneva a salire e scendere di nuovo delle scale.
"Mmmh..." esitò, tuttavia, lei: quella sera doveva attuare un furto, e non aveva scusanti. Fece una piccola smorfia. "Stasera non posso. Domani, dopo la scuola?"
Kaito aggrondò la fronte, ma non chiese chiarimenti. "Tanto io non ci posso andare" brontolò, infastidito. "Vada per domani, comunque." Non riusciva a spiegarsi il perché, ma il cuore gli martellava nel petto e sentiva lo stomaco contrarsi, come se degli elefanti vi stessero passeggiando dentro.
Il sorriso della moretta si accentuò ancora di più. "Okay. A domani!" Provò a reprimere l'eccessiva baldanza dalla sua voce, ma non ne fu del tutto capace. Da quanto tempo non si vedevano a casa dell'altro, se non per mangiare? Da quanto tempo non parlavano come due migliori amici sapevano fare - come solo loro due sapevano fare? Tanto, troppo.
Ed era finalmente ora di riprendere quelle vecchie, deliziose abitudini.



No, non sono morta! Ma capitemi, tra l'imminenete inizio della scuola, il rientro a ginnastica, la fiera che si è svolta in città, ed io non ho avuto tempo (né troppa voglia) di scrivere.
Ho voluto approfondire un po' il rapporto Jii-Kaito, ma niente di speciale. Invece, questo capitolo (che, sinceramente, non mi soddisfa tanto) è dedicato quasi interamente ai nostri due piccioncini! *^* Ho sclerato io stessa nella parte in cui Kaito ha chiamato Aoko Oko, sono troppo dolciasdfghjkasjdo *___* Sì, okay, la smetto.
In tutta sincerità, la chiamata non doveva finire così, ma poi ho voluto rendere loro due più vicini (se, ciao, vicini!) xD Be', vedrete nel prossimo chap cosa ci sarà! ;D
A presto (spero)!

Baci
Shizuha

 

  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Detective Conan / Vai alla pagina dell'autore: Gagiord