Capitolo 19
Domenica al sapore di
cloro.
La pioggia batteva
incessante contro i vetri delle finestre. I primi tuoni si erano fatti sentire
verso le quattro di notte e poco dopo aveva iniziato a piovere senza sosta. La
temperatura, in quegli ultimi giorni, era calata bruscamente e i meteorologi prevedevano
i primi fiocchi di neve entro la prima metà di Dicembre.
Akira osservava il
paesaggio oltre la coltre di acqua, mani in tasca e viso stranamente imbronciato.
«Oggi non ci voleva».
Il rumore di passi e
stampelle lo fece voltare.
«Tranquillo, Sendoh.
Anche se ci fosse stato il sole, la mia bambolina non l’avresti presa
ugualmente», disse Hisashi, comparendo in soggiorno.
«Mitsui, sei una brutta
persona. Io mi stavo solo preoccupando del fatto che dobbiamo uscire con questo
tempaccio e non puoi nemmeno reggerti l’ombrello da solo», replicò con falsa
indignazione il giocatore del Ryonan, che si portò una mano al cuore spezzato.
«Ah, non devi
accompagnarmi per farmi da porta-borse e tutto? Sendoh, sei proprio inutile».
L’unico raggio di sole
in quella giornata uggiosa fu il sempreverde sorriso di Akira Sendoh.
«Ragazzi, siete sicuri
di non volere un passaggio in macchina?», domandò la voce del signor Goro,
facendo capolino dalla porta della cucina.
«Tranquillo, papà», replicò
Akira. «Questo vecchietto ha bisogno di muovere i primi passi da solo».
«Ricordati che questo vecchietto è armato di due
stampelle e sai dove te le ficca?».
«Hisashi!», esclamò Tamaki Mitsui, mentre gli portava una sciarpa
per coprirsi mene. La Guardia dello Shohoku accusò quel tono in silenzio,
conscio che la madre temesse ancora minacce e botte, fossero esse più o meno
sarcastiche, nonostante le avesse dimostrato più e più volte che ormai non era
più il Mitsui di qualche mese fa.
«Tranquilla, mamma,
dovresti preoccuparti più per queste», disse, alzando una gruccia, «che per la
sua testa; ce l’ha dura, il ragazzo».
Lei scosse il capo,
sistemandogli il colletto della giacca sotto lo scalda-collo, e nascose un
mezzo sorriso tra le labbra impettite nel sentire la risata dei due Sendoh. «Mi
raccomando, fate da bravi».
Hisashi si chinò per
darle un bacio sulla tempia, sussurrandole di stare tranquilla e di godersi la
domenica di riposo.
«Oh Akira, abbraccia
Reiko anche da parte nostra, ok?», disse Rinako Sendoh dalla cucina, tutta
intenta a preparare il pranzo della domenica – ed erano solo le 9:30 del
mattino.
«Proverò a trascinarla a
casa per pranzo», assicurò Akira. «Tanto come sempre stai preparando cibo per
un esercito».
«No, tesoro, solo per il
maiale che mi ritrovo come figliolo», civettò la madre in risposta.
«E non sbavare dietro le
ragazze in costume», proseguì con le raccomandazioni Mitsui, imitando la voce
del signor Goro e facendoli scoppiare a ridere.
Akira si grattò la nuca,
per niente imbarazzato, pensando che preferiva di gran lunga le imitazioni di
suo padre, che quelle dei genitori di qualche ex-fiamma che lo chiamavano in
piena notte per riferirgli che avesse ingravidato le figlie. Dannato Mitsui! «Ah
Hisashi, prometto che non guarderò le gambe della tua ragazza. E se dovessi
farlo, è perché in cuffietta e occhialini non la riconosco».
Un idiota con i fiocchi volò per la casa da far invidia persino a
Rukawa nei suoi giorni migliori, mentre Tamaki si metteva le mani sui fianchi. «Sei
un figlio degenero, tu», lo rimproverò. Allo sguardo spaesato del cestista, la
donna aggiunse: «Insomma, ho scoperto che sei fidanzato da Goro e da suo
fratello, e non da te! Quando pensavi di dirmelo?».
«Non sono fidanzato!», sbottò quello, sentendo il sangue
affluirgli in viso, mentre quel demente di Akira si sbellicava dalle risate e
confessava loro che la ragazza in questione aveva addirittura fatto voto di
smettere di fumare per lui.
Mitsui alzò gli occhi al
cielo, sotto lo sguardo impensierito della madre. «Quando me la farai
conoscere? È carina? È una brava ragazza? Com’è? Eh?», gli chiese, con un tono
di spensierata malizia che non udiva da secoli. Si sentì ringiovanito di dieci
anni.
«È solo una con cui
esco, non è niente di ché», borbottò.
«Sei consapevole che se
dovesse sentire una frase del genere, quella è capacissima di ammazzarti?», gli
sussurrò Akira.
«Ma che diavolo volete
tutti? Rimaniamo qui a parlare della mia vita sentimentale o andiamo? A
differenza di qualcuno, odio arrivare
in ritardo», sbottò infine il giocatore dello Shohoku. Gli adulti li lasciarono
ai loro affari, tra qualche altra risata e raccomandazioni varie.
Quando uscirono di casa,
sotto un diluvio importante, Akira gli diede un colpetto al braccio. «Sarò il
testimone più bravo del mondo, giuro».
«Ma ammazzati e apri
l’ombrello!».
«In quest’ordine o–?».
Hisashi pensò che
gliel’avrebbe ficcata volentieri una stampella su per il deretano.
*
Non fu per l’ultima
volta in quella giornata che Kaede Rukawa si domandò cosa diavolo ci facesse
sveglio a quell’ora improponibile la domenica mattina, in compagnia di quegli
esagitati dei Sakuragi, della loro banda di dementi, della nuova cugina
acquisita e della Scimmia Saltante del Kainan, che chiudeva il quadro come la
ciliegina sulla torta. Certo, il termine sveglio accostato al suo nome era
improbabile come un Hanamichi Sakuragi secco e pesto in un angolino, ma per i
suoi standard era già un record reggersi in piedi – e bene o male lo stava
facendo. Almeno era seduto.
Il suo malumore precipitò
nel momento in cui li raggiunsero anche il Teppista e il Porcospino, inzuppati
fradici come pulcini: il primo incacchiato nero per ovvi motivi e il secondo
accompagnato dal suo proverbiale sorriso, che neppure lo sguardo truce
dell'amico avrebbe incrinato. Kaede guardò con crescente interesse il
trampolino da dieci metri dall’altra parte dello stabile, perso in una
splendida fantasia in cui si trascinava per la collottola il Sendoh nazionale fin
lassù e lo gettava nel vuoto senza troppi complimenti – con la piscina vuota,
s’intende.
«Va tutto bene?», gli
domandò Sanako, battendogli una manina sul braccio per farlo rinsavire dai suoi
pensieri assassini.
«Ancora una volta,
perché sono qui?», le chiese annoiato, la testa che ciondolava sulle spalle.
«Credo perché Hime-san
ti ha convinto–».
«Fracassato le palle», puntualizzò lui.
«–a distrarti un po’
prima dell’inizio del campionato. Sarà divertente, dai!».
Sendoh, con tutti i
posti liberi a disposizione, gli si accomodò accanto, regalandogli un sorriso
da pubblicità e una pacca sulla spalla, e pensò che no, non sarebbe stato
divertente. Affatto. Una tortura cinese probabilmente gli avrebbe creato meno
noie.
«Sì, sarà divertente,
Kaede, vedrai!», ripeté il Porcospino. «Ci sono tante belle ragazze in
costume», aggiunse ammiccando, con un’invidiabile faccia da schiaffi, mentre
sua cugina sembrava arrossire come una pentola e si ammutolì di colpo, mentre
torturava il tessuto della gonna tra le dita. Immaginò che fosse nervosa per
l’amica, quella Kobayashi; che altro poteva essere altrimenti? Non volle
pensare che fosse una reazione all’Istrice e alle sue parole; altrimenti si
sarebbe gettato lui dal trampolino sulla piscina vuota.
«Ma cosa ne capirà
quello lì», stava dicendo Hanamichi, appoggiato al parapetto davanti alla fila
di poltroncine su cui si erano spalmati. «Non riconoscerebbe una sventola da un
lottatore di sugo».
Ci fu un momento di
silenzio, prima che le loro risate rischiassero di far crollare il soffitto.
«Sì, un lottatore di
sugo. Il vincitore si becca un bel piatto di pasta italiana», commentò Kiyota,
che nascose mestamente il viso tra i capelli della sua ragazza, in preda alle
convulsioni per le risate.
«O una sventola da una
pentola, dato che siamo in tema di cibo», aggiunse Mito, asciugandosi le
lacrime dagli occhi.
«Smettetela, ho fame!»,
si lagnò Takamiya, accarezzandosi lo stomaco vuoto.
«E ti pareva».
«Ancora?! Ti sei
divorato anche la mia colazione, maledetta fogna!».
Hanamichi, d’altra
parte, aveva iniziato a elargire testate a destra e a manca, affermando che
avesse fatto solo una battutaccia, e d’improvviso si formò l’ormai consueto
vuoto tra loro e il resto degli spettatori, che preferirono andarsene pur di
non stare nei pressi di quel casino.
Solo un prode ragazzo
del Ryonan osò additare il rossino. «Ehi, ma quello è Sakuragi dello Shohoku!».
Il tempo di sentire un
coro di “oh no” da parte dei suoi
amici, e quello era già bello che partito. «Ma certo che sono io! L’unico e
inimitabile! Ahahah! Dimmi, amico, vuoi un autografo,
eh? Una foto? La dimostrazione dal vivo di un dunk?».
Quello in risposta
scoppiò a ridere, seguito dal resto della tribuna, che continuava ad additarlo
senza pudore. Hanamichi si voltò verso la sua ciurma per chiedere tacite
spiegazioni, ma quelli erano troppo impegnati a nascondersi sotto i sedili nel
vano tentativo di far finta di non conoscerlo. Hime aveva intravisto un tizio
sventolare il giornalino sportivo in cui scriveva la signorina Aida e temeva
che quelle reazioni fossero legate alla sua intervista.
«Oh no, è uscito
l’articolo», si disperò la ragazza.
Per sua disgrazia
Hanamichi la sentì e fu peggio di prima. «Dov’è? Dov’è? Sarò anche in
copertina, scommetto! Ahaha! Fate largo alla star
della stampa!», esclamò il numero 10, strappando il giornale dalle mani di una
terrorizzata matricola e sfogliandolo avidamente. Il sorrisone che gli
illuminava il viso si tramutò lentamente in una smorfia imbronciata. «Hicchan,
non lo trovo!».
«Lo credo, saranno venti
parole nell’angolo in basso a sinistra dell’ultima pagina», lo sfotté Kiyota,
che non si allontanò molto dalla realtà. Si trattava infatti di una breve
colonna nella seconda metà del magazine, sormontata da un’imbarazzante
fotografia che lo raffigurava in allenamento alle prese con un pallone che non
voleva entrare nel canestro.
Hime gli prese la
rivista dalle mani, dato che Hanamichi stava per strapparla anziché sfogliarla
come un normale essere umano, e una volta trovato l’articolo iniziò a leggere a
voce alta. «“È un tranquillo pomeriggio
di allenamenti per la squadra del Ryonan, quando Hanamichi Sakuragi fa la sua
entrata in scena in palestra che non passa certo inosservata”».
«Perché ho una brutta
sensazione?», mormorò Yoehi.
Hanamichi gli tirò uno
scappellotto. «Zitto e ascolta le gloriose parole della signorina Aida!».
«“Sakuragi arriva all’intervista in compagnia della sorella Hime, la
seconda manager dello Shohoku, e un improbabile e ovviamente addormentato Kaede
Rukawa, che non perde occasione di battibeccare con il rossino e di lanciare
occhiate velenose ad Akira Sendoh che si allena poco più in basso.
Hanamichi ci confida che la sorella si allenasse spesso con
il “Volpino”, come lui ama chiamare Rukawa, e di
aver iniziato a giocare proprio grazie a lei, appassionata di basket fin da
piccola. La bella Sakuragi venne infatti eletta MVP al torneo femminile delle
scuole medie”. Oh, mi chiama La Bella! Ahahah!»,
aggiunse Hime, ridendo imbarazzata.
«Invasata».
«Ohi, Volpe, non
insultare la mia Hicchan!», lo rimbeccò Kiyota, che subito dopo aggiunse un «Hahaha ho la ragazza più figa del Giappone! E volete sapere
perc–».
«Zitto tu, Nobu-Scimmia!»,
sbraitò Hanamichi, tirandogli una manata sul capo.
Dopo un bacino consolatorio
sul naso del ragazzo, Hime proseguì la lettura: «“Ormai siamo abituati ai modi stravaganti di questo particolare
giocatore dello Shohoku, che non perde occasione per accapigliarsi con chiunque
osi contraddirlo o mettere in discussione le sue capacità cestistiche. Iscritto
al club di basket solo lo scorso Aprile, Sakuragi è diventato rapidamente la
chiave di volta dell’intera squadra in rosso, non senza imbarazzanti intermezzi
ed errori da principiante”».
«Che cos–».
«Ma quale chiave di
volta!».
«Nel senso che gli ha
dato di volta il cervello, Mitsui».
«Naah,
quello era già bello che partito da tempo».
«Maledetti bastardi,
lasciate che vi prend– ahia! E tu da dove diavolo spunti?!».
Ayako ritirò il
ventaglio con un sorriso smagliante, accompagnata da Ryota e dai Gemelli
Siamesi. «Prego, Hime, continua pure la lettura».
«“Dopo l’infortunio alla schiena, emerso durante l’incredibile incontro
contro il Sannoh Kogyo vinto dallo Shohoku per 79-78,
e un lungo periodo di riabilitazione, Hanamichi Sakuragi sembra tornato in
ottima forma, sia fisica che emotiva, e ci si domanda come sarà la sua
performance durante il Campionato Invernale. Il ragazzo ha ancora molto da
imparare e forse dovrebbe prendere esempio dal tanto odiato Kaede Rukawa,
anziché ignorare la bravura del compagno di squadra ed evitare di passargli la
palla in campo. Se solo i due collaborassero civilmente come due giocatori
facenti parte di una squadra, lo Shohoku potrebbe vincere qualsiasi cosa – abbiamo
visto tutti cosa i due siano in grado di fare con un po’ di intesa”».
«Ma anche no», fu il
commento di Kaede in coro con Hanamichi. I due si scambiarono un’occhiata
infuocata, prima di voltare immediatamente lo sguardo.
«“Nonostante sia ancora un principiante, però, Sakuragi ha per questo
l’incredibile capacità di essere imprevedibile in campo, abilità che ha sempre
spiazzato i suoi avversari, e di imparare molto in fretta. “La squadra mi
ha insegnato tanto – dice il numero 10 – ognuno
di loro mi ha dato qualcosa che, piano piano, mi ha fatto crescere come
giocatore, sebbene il mio talento fosse già innato e dovessi solo affinare la
tecnica”, aggiunge vantandosi. Il talento
c’è, ma anche l’egocentrismo non scherza”».
La postura plastica da
supereroe di Hanamichi si afflosciò immediatamente. «Checcosa?!», sbraitò, ora rosso di rabbia.
«“Sotto canestro è praticamente impenetrabile, grazie alla sua
incredibile difesa, e i rimbalzi per lui sono pane quotidiano. Dotato di
un’elevazione unica, ci racconta che è stato proprio Akagi, l’ex Capitano, a
insegnargli l’importanza del possesso palla su un tiro sbagliato. “Chi non
impara il rimbalzo non entra in partita”, lo
cita Sakuragi. Ora che l’ex #4 ha
lasciato lo Shohoku per concentrarsi sugli studi, Sakuragi è l’unico che potrà
prendere il suo posto, almeno come ruolo di Centro – nessuno osa immaginare
cosa significherebbe avere un Capitano esagitato come lui”».
«Ma io l’ammazzo! L’ammazzo! Brutta caprona!».
E tra le risate di amici
e sconosciuti che assistevano alla scena, e i vani tentativi da parte dei Gemelli
Siamesi di trattenerlo affinché non facesse qualche idiozia, Hime proseguì la
lettura.
«“Senza Akagi lo Shohoku ha perso un pilastro importante, ma sotto la
guida di Miyagi e del suo vice Mitsui, la squadra non mancherà certo di talenti
e spinte motivazionali. Persino l’individualista per eccellenza, Kaede Rukawa,
sembra finalmente entrato in sintonia con il resto dei compagni.
E a proposito di quest’ultimo, rimane comunque ancora oscuro
il motivo per cui il numero 11 dello Shohoku, unitosi a Sakuragi per il nostro
incontro, sia così popolare tra la popolazione femminile; tralasciando il suo
aspetto da bello e dannato e il suo indiscutibile talento in campo, comunque
inferiore a quello dell’asso e del neo Capitano del Ryonan, Kaede Rukawa è
l’emblema della maleducazione e dell’arroganza, e risponde a una nostra semplice
domanda con insulti gratuiti e occhiate micidiali. Ci si chiede come sia
possibile che la sua amica, Hime Sakuragi, riesca a sopportarlo a tutte le ore
del giorno. I due, infatti, sembrano molto affiatati. Cosa avrà da dire
Nobunaga Kiyota, il fidanzato della ragazza, in questione?” Ma cosa diavolo–?».
«Ehi Nobu-Scimmia,
recupera la mascella prima che qualcuno la calci via», fece Mitsui, le labbra
increspate da un sorriso sornione.
«Ma io l’ammazzo!», continuava a ripetere Hanamichi, ormai sulla via
del non ritorno. «E ammazzo anche la Volpe! Era il mio articolo! Perché si finisce a parlare sempre di lui? Eh? Eh?! Maledetta divetta!», sbraitava,
prendendo Rukawa per lo scollo a V del maglione e sbatacchiandolo come un panno
sporco. Quello, dato che la migliore arma contro la stupidità è l’indifferenza,
dormiva beatamente.
«Hanamichi, calmati!»,
sbraitò Ayako, sedando quella testa calda con l’ennesima sventagliata.
«Ma quella non è una rivista
sportiva?», chiese Sanako al vuoto, perplessa dal gossip finale.
«Hicchan», stava dicendo
intanto Kiyota, con occhioni lucidi e il labbro tremante, «c’è qualcosa che
devi dirmi?».
Quella, che aveva preso
a stracciare l’articolo in mille pezzi promettendo tremenda vendetta a quella
giornalista dei suoi stivali, arrossì vistosamente, se per la rabbia o
l’imbarazzo (probabilmente entrambi), non seppe dirlo. Kiyota, ovviamente, non
la prese bene.
«Nobu-chan, lo sai che
scrivono un mucchio di stupidaggini pur di aumentare i lettori», gli disse,
rassicurandolo con un abbraccio. Quello non parve molto convinto, tutto intento
a lanciare fulmini e saette in direzione di Rukawa, che continuava a dormire
serenamente. «Ohi, Scimmietta! Mi stai ascoltando?».
«Hn».
«Kiyota, non è imitando
i monosillabi di Rukawa che riuscirai a conquist– Aya-chan! Che fai?!», esclamò Ryota,
massaggiandosi la testa lesa. Quella scosse il capo, decisa a chiudere lì la
questione. Era un argomento spinoso, quello, e non voleva rischiare di
peggiorare la situazione. Il modo in cui Hime stava stringendo la felpa di
Kiyota senza incontrare il suo sguardo e quello in cui lui guardava lei non
promettevano niente di buono.
«Nobu, ti fidi di me?»,
gli sussurrò Hime, per non farsi sentire dagli altri – che comunque erano
troppo occupati a prendere per i fondelli Hanamichi per badare a loro. Gli
accarezzò il viso e lui chiuse gli occhi.
«Hicchan, io mi fido di
te», replicò seriamente lui, portando entrambe le mani sulle sue. «È che...»,
scosse il capo, dandole un veloce bacio sulla punta del naso. «Parliamone in un
altro momento, ok? Stanno entrando i primi pesci in acqua».
«I primi pesci– Nobunaga!».
Quello rise come
l’idiota che era e, almeno per il momento, tutto sembrò tornare alla normalità
quando lui la strinse contro il petto, facendola accomodare tra le sue gambe. Inspirò
il suo profumo, misto a quello del suo bagnoschiuma, e sorrise di sollievo.
Il boato degli
spettatori invase l’intero stabile, mentre le prime otto partecipanti entravano
in scena e si disponevano ai loro posti. C’erano ragazze provenienti da tutta
la Prefettura, ma a quella prima batteria nessuno di loro parve riconoscerne
alcuna.
«Porca vacca, quella
tipa sembra un armadio a quattro ante!», fece Mito, con la bocca spalancata.
Stava indicando una studentessa del Kainan, dalle spalle larghissime e
l’altezza vertiginosa.
«Abbiamo trovato la
donna ideale di Akagi!», esclamò Hanamichi, gasatissimo. «Guardate, ha anche
l’espressione da gorilla femmina!».
«Ma no, la sua donna
ideale è la zia di Sanako», disse fermamente convinta Hime, mentre alla barista
per poco non andava di traverso la lingua.
«Akagi? M-mia zia?!».
«Sì, certo! La gendarme
che ha sedato queste teste calde con la forza di un solo sguardo!», continuò la
seconda manager, con gli occhi a cuoricino. «Sono fatti l’uno per l’altra».
«Ci puoi scommettere»,
dissero in coro i disgraziati in questione, che si guardarono le spalle temendo
che, per qualche oscuro scherzo del destino, potessero ritrovarsela dietro pronta
a colpire.
«Ehi, Nobu-Scimmia, sono
tutte così brutte al tuo liceo?», fece Hanamichi, le braccia poggiate sulla
balaustra mentre osservava le nuotatrici salire in pedana prima del fischio
d’inizio.
«Probabile», fece la
voce di Mitsui. «Altrimenti per quale altro motivo si sarebbe ficcato in una
relazione con tua sorella? Doveva essere proprio disperato».
«Che diavolo stai
insinuando?!», esclamarono i gemelli, che non gli si gettarono contro solo per
preservare il suo ginocchio spappolato.
«Va’ va’, quelle sono
eccezioni. Di strafighe ce n’è in abbondanza, ve lo assicuro! C’è il club di
ginnastica ritmica, per esempio...», fece Kiyota, battendosi un dito sul mento,
con fare pensante. Sentì subito la sua ragazza irrigidirsi e rise mentalmente
come un invasato. Che la vendetta abbia
inizio, hahah–
«Sì, solo che nessuna ti
si fila, mezza sega», fu l’adorabile commento di Rukawa, che sbriciolò ogni suo
piano di rivalsa in tanti pezzetti.
–ma maledetto stronzo, sempre in mezzo, prima donna del
cacchio!
«Hicchan santa subito», fece il numero 10
dello Shohoku con serietà, congiungendo le mani in segno di preghiera.
Vedendo il faccino
imbronciato di Nobunaga, Hime gli diede un sonoro bacio sulla guancia, che
divenne paonazza poco dopo. «Devo preoccuparmi di nastri e clavette?».
«Dovresti, dato che a
quanto pare mi tradisci con la Kitsune».
Le sue parole erano
condite di ironia ma Hime vide perfettamente una piccola dose di dubbio in quei
suoi begli occhi blu. Si disse che avrebbe dovuto risolvere quel casino mentale
al più presto, perché non poteva continuare così. Nobunaga era un ragazzo
d’oro, nonostante le sue famose uscite da imbecille egocentrico, e non meritava
di galleggiare nell’incertezza. Lei non aveva mai fatto segreto dell’amicizia
che condivideva con Kaede e non aveva alcuna intenzione di rinunciarvi solo per
fare un favore al suo ragazzo; non aveva neppure mai messo in dubbio quello che
provava per la sua Scimmietta; ma quel germe di domande che prima Ayako e poi
Yoehi le avevano insinuato in testa avevano fatto crollare tutte le sue
certezze. In passato aveva già avuto una sbandata colossale per il suo migliore
amico – come non avrebbe potuto? –,
di cui nessuno era a conoscenza, ma le era passata velocemente così come era
giunta. Voleva un gran bene a quel bestione che raramente sorrideva, ma alla
fine era arrivata alla conclusione che una relazione con lui sarebbe stata
distruttiva per entrambi.
Dopo la discussione che
avevano avuto quella famosa sera al mare, dopo le sue rassicurazioni sul non
lasciarla mai indietro nell’eventualità di una fidanzata, si era finalmente
riappacificata con se stessa e anzi, non vedeva l’ora che Reiko Azamui si
facesse viva dopo le gare per vederli battibeccare insieme. Le aveva detto che
non sarebbe andato via neppure con una ragazza al braccio e lei gli credeva,
come aveva sempre fatto. Non c’era più bisogno di essere gelosa, ora che tutto
era stato chiarito.
C’era un solo dubbio che
doveva sbrogliare e non aveva idea di come farlo.
“È il migliore amico che abbia mai avuto. È come se Kaede
s'innamorasse di te, tu che faresti?”, le aveva chiesto Ayako. “Voglio dire, potrebbe anche essere, dato che vi conoscete da sempre e
sei l'unica ragazza con cui ha un rapporto, me esclusa. E sai bene come sia lui
con le ragazze”.
Hime era l’unica donna
della sua vita, dopo la morte prematura della madre, di questo ne era più che
sicura. Probabilmente si sarebbe comportato come faceva con lei anche con altre
ragazze, se solo non fosse stato così introverso. Se solo lo avesse permesso,
era sicura che tra quella marmaglia di folgorate del suo fanclub ci fosse
qualcuna capace di capirlo come faceva lei. O qualcuno, chissà.
Era amore fraterno, il
suo, come quello che lei provava per lui, vero?
Non era realmente
innamorato di lei... vero?
«Hicchan?».
Quando Ayako le aveva
chiesto cosa sarebbe successo se Nobunaga non fosse comparso nella sua vita,
lei aveva detto che tutto sarebbe cambiato. E ne era ancora convinta. Conosceva
Kaede meglio delle sue tasche e sapeva che, quando voleva una cosa, se la
prendeva senza troppi complimenti. Ma se davvero provasse qualcosa di più di
un’amicizia per lei, lei cosa avrebbe fatto? L’avrebbe respinto? Gli avrebbe
chiesto spazio pur di non dargli false speranze? O avrebbe chiuso la faccenda
con una grassa risata, finché l’infatuazione non fosse passata?
Non aveva idea di cosa
fare, di cosa dire, di cosa pensare. Lei non era fatta per questo tipo di cose
complicate. Rischiava sempre di rovinare tutto. Come stava per accadere qualche
notte prima, in cui aveva trovato difficile persino dormire con lui, come
spesso avevano fatto in passato.
«Hicchan!».
Hime alzò lo sguardo su
Nobunaga, che ora la fissava preoccupato. Non lo vide, ma percepì anche quello
di Rukawa dall’altra parte del gruppo.
«Guarda che scherzavo,
non ti tradirei mai con nessuna, Hicchan. Neanche con le strafighe del club di
ginnastica», la rassicurò il cestista del Kainan, pensando che fosse davvero preoccupata
per quella stupida battuta, e lei non poté fare altro che sorridere e
abbandonarsi tra le sue braccia, sentendo il suo tono sincero. Era adorabile, la sua Scimmietta, che proseguì:
«Neanche se hanno delle gambe mozzafiato e il sedere sodo e–».
La gomitata che gli
rifilò gli fece mancare il fiato, tra le risate. Idiota, forse era il termine più adatto.
«E io che stavo per
dirti che– uffa, sei uno stupido, Nobunaga Kiyota».
«Dirmi che cosa?».
Che sono davvero innamorata di te, demente. Che neanche tu devi temere volpini strafighi che mi fanno prendere infarti
multipli ogni volta che compaiono davanti. Non parlò, ma per tutta risposta
lo baciò sulle labbra, indugiandovi più del dovuto. Gli passò una mano sulla
nuca, tra i capelli ribelli che quel giorno teneva sciolti senza il supporto
della sua beneamata fascia viola, e lo sentì chiaramente soffocare un sospiro
tra i baci.
«Ehi, voi due!
Prendetevi una stanza, dannazione!», esclamò Mitsui, lanciandogli contro una
bottiglietta d’acqua vuota.
«Pervertiti!», rincarò
la dose Akira, che si coprì gli occhi con il pudore che non conosceva.
«Giù le zampacce dalla
mia sorellina, Scimmia depravata!», sbraitò Hanamichi, sedato prontamente da
Ayako.
Kiyota mostrò il medio,
fregandosene altamente e continuando a baciare la sua bellissima e scemissima
ragazza. La sua, di nessun altro. Tiè, Rukawa! Ahahaha!
La prima batteria di 200
metri era conclusa da un paio di minuti. Quando quella successiva si fece
avanti, acclamata dal pubblico – stranamente quello femminile – Ayako saltò sul
suo sedile come una molla.
«Non sapevo ci fossero
anche le gare dei maschietti!», disse con un sorrisino da maniaca. Hime la
raggiunse subito, ridendo per le imprecazioni di Kiyota che era ritrovato
d’improvviso ad amoreggiare con l’aria.
«I maschietti? Ohh, mi piace il
nuoto!», esclamò quell'invasata, prendendo a braccetto le due altre sciagurate di
Ayako e Sana, che se la ridevano indemoniate alla vista di spalle larghe e
addominali scolpiti.
«Guarda che mutandine striminzite
hanno!», esclamò la prima manager, indicandoli senza pudore.
«Lo credo, dentro non
c’è niente», sibilò Ryota, verde dalla gelosia. Gli altri ragazzi annuirono
immediatamente e con fervore, per una volta tutti d’accordo.
«Ehi! Guardate che gli
addominali e i muscoli li abbiamo anche noi!», borbottò Hanamichi, che si
sarebbe strappato la maglia pur di far valere le sue parole, se non fosse stato
per il tempestivo intervento dell’Armata Sakuragi che lo fece desistere.
«Sì, ma voi non vi
allenate certo in mutande», fece saggiamente notare Ayako, spedendo in
depressione il fidanzato che continuava a ripetere “Ayakuccia, non ti basto più?”.
«Ayako-san, non dare
idee a questo qui», disse Eichiro indicando Hanamichi, seguito da Kimi, «altrimenti
sono cavoli nostri ai prossimi allenamenti».
«Magari è la volta buona
che le fan di Rukawa crepano di cuore, così ce le leviamo dalle palle», fece pensieroso
Hisashi, prendendo in seria considerazione l’idea.
Sanako, nel frattempo,
dovette coprirsi le guance arrossate per nascondere il suo imbarazzo. Nella sua
testa Akira Sendoh si allenava in mutande come se niente fosse e, per tutti gli dei, doveva essere
illegale!
«Nacchan, ti senti bene?
Sei tutta rossa», le fece notare Hime.
«Sta pensando al
sottoscritto in slip. Anche se, detto tra noi, preferisco i boxer», si mise in
mezzo Akira, con un candore vergognoso e una strizzata d’occhi.
Sanako iniziò a tossire
senza sosta, mentre quello le batteva una manona contro la schiena per farla
riprendere, in preda al panico. Non ebbe tanto successo.
«Temo che abbia fatto
centro», sussurrò Mitsui, ridendosela di gusto. Yoehi, seduto alle sue spalle,
strinse le labbra, ma nessuno ci fece caso.
«Maledetto Porcospino,
ci stai ammazzando la barista!».
In tutto ciò, Kaede
Rukawa continuava a sonnecchiare beatamente a braccia conserte, ignaro che la sua
unica cugina con cui avesse rapporti stesse per crepare per mano del suo
acerrimo nemico. Fu solo quando la voce dello speaker gridò un nome in
particolare, seguito da un boato e qualche fischio che fecero vibrare i sedili,
che saltò sul proprio come se l’avessero appena svegliato bruscamente da un
terribile incubo. E in effetti, quello era
un incubo. Che diavolo aveva da sorridere prima di una gara, come se fosse più
che sicura della vittoria? Avvolto dalle fiamme dell’Inferno, sperò che la
Azamui affogasse alla prima bracciata e quel casino immondo terminasse una
volta per tutte.
Mai che qualcosa andasse
nel verso giusto.
Non appena la
studentessa dello Shoyo si tuffò, il fragore del pubblico si fece
insopportabile e persino Hime, che per qualche assurdo motivo aveva preso la
ragazza in simpatia, aveva iniziato a gridare come un’ossessa per fare il tifo
e a sbattere bottiglie vuote l’una contro l’altra. Ma loro non erano lì per la
Kobayashi?
«Porca vacca, è
velocissima!», stava dicendo il demente di Kiyota, che probabilmente capiva di
nuoto quanto un tavolo capiva di tennis.
«Ha già tre secondi di
distanza dalla seconda ed è solo alla seconda vasca!», gli diede man forte
Hime, con gli occhi fuori dalle orbite.
«Sono le altre che son
scarse», fu l’ovvietà di Kaede, che si strinse nelle spalle.
Sendoh, che come sempre
non si offendeva neppure se gli si starnutiva in faccia, sorrise affabile. «Ne
riparleremo in finale, amico mio», gli disse.
Amico mio?!
Reiko terminò le sue
quattro vasche con un vantaggio invidiabile, per essere solo ai quarti di
finale e potesse permettersi di risparmiare le energie. Ancora in acqua, si
tolse la cuffietta e l’agitò alla volta del cugino, in piedi per applaudirla.
«Bene, vado a recuperare
la mia donzella», decretò Sendoh, mentre si stiracchiava i muscoli in tutto il
suo metro e novanta di splendore. In sottofondo si udì il sospiro estasiato
delle femmine vicine e Sanako dovette serrare le labbra pur di non unirsi al
coro. Aveva ancora un briciolo di dignità da salvaguardare, lei.
Mitsui sbuffò. «Seh, come no. Con la scusa di tua cugina, ti intrufoli
negli spogliatoi femminili. Maniaco».
«Sempre detto che è più
porco che spino, quello lì», fece saccente Hanamichi. «Non è che posso venire
anche io?».
«Hanamichi!».
La risata di Akira si
allontanò insieme a lui e Kaede riprese a respirare. Almeno finché l’Idiota non
fosse tornato con la piattola della cugina che, ne era più che sicuro, gli
avrebbe scartavetrato le palle fino allo sfinimento.
Si susseguirono altre
due batterie, maschile e femminile, prima che il turno di Kiyo arrivasse.
Hisashi trovò la forza
di alzarsi e di avvicinarsi al parapetto, sentendo la gola seccarsi
improvvisamente. Era agitato come prima di una partita importante e non era lui
a dover gareggiare. La vide sistemarsi occhialini e cuffia, prendere profondi
respiri e riscaldando i muscoli di braccia e gambe. Sembrava tranquilla, ma la
conosceva abbastanza da capire quanto tesa fosse.
Non sapeva che Kiyo,
dopo aver spaziato velocemente lo sguardo sugli spalti, aveva riconosciuto il
casino che si portavano dietro e soprattutto lui, in piedi sulle stampelle che
guardava solo lei. Si sentì rinvigorita dalla sua sola presenza e si disse di
rilassarsi. Avrebbe nuotato bene come sempre e sarebbe passata alla semifinale
con facilità. Per fortuna sua non vide la Azamui che, a braccetto col cugino,
raggiungeva i suoi personali ultrà e faceva la loro stramba conoscenza.
«Oh, giusto in tempo per
godermi lo spettacolo», esordì Reiko con un sorriso, mentre osservava la sua
rivale numero uno posizionarsi in pedana.
«Guarda e impara».
La studentessa dello
Shoyo si voltò verso colui che aveva parlato e sgranò gli occhi nel rendersi
conto che si trattasse di Kaede Rukawa. Non fu l’unica a sorprendersi, dato che
per un brevissimo istante gli scemi dei suoi compagni fermarono qualsiasi
idiozia stessero facendo o dicendo per guardarlo con tanto d’occhi. Il Volpino
che rivolgeva la parola a una ragazza
appena conosciuta, per primo? E la
stava persino sfidando?
Ayako e Hime si
scambiarono un’occhiata tra lo scioccato e il divertito, e la prima non capì
l’espressione di beata soddisfazione che vide nel volto dell’amica. Si era
persa qualcosa? Lei? La pettegola per antonomasia?! Giammai!
«Ci manca solo che
sorrida e siamo a posto», sussurrò un pallido Hanamichi alla scimmia che aveva
affianco, trattenendo a stento un brivido di paura.
«Non dire così,
altrimenti stanotte avrò gli incubi», replicò Kiyota, che si tappò gli occhi
pur di tener fuori quell’immagine terrificante dalla testa.
Reiko sorrise. «Detto da
uno che non prende in considerazione i propri consigli, non vale poi molto».
Kaede serrò i denti e
lei scrollò le spalle, riportando l’attenzione sulla gara della Kobayashi, che
si era già tuffata e si apprestava a completare la prima vasca. I casinisti,
ripresi dal momento shock, ricominciarono a fare il loro duro lavoro di ultrà,
sbattendo e gridando frasi d’incitamento alla nuotatrice dello Shohoku.
Kiyo guadagnò la prima
posizione senza problemi, come prevedibile, con un tempo di tutto rispetto e
Reiko applaudì insieme agli altri. «Devo fare una proposta a quella ragazza».
«Indecente?», chiese il
cugino al suo fianco, mentre prendevano posto vicino a Rukawa, per sua immensa
gioia.
«Lo sai qual è il mio
obiettivo, no?». Akira annuì. «Beh, voglio chiederle di farmi il favore di
arrivare sul podio alla finale. Le prime tre potranno gareggiare per i
Campionati Interscolastici a rappresentanza della nostra Prefettura. Se
dovessimo vincere, e sono convinta che potremmo farcela, potremo ricevere una
convocazione della Nazionale Giapponese, giusto in tempo per le prossime
Olimpiadi».
Rukawa, sempre braccia
conserte e viso impassibile, le scoccò un’occhiata sbieca.
«Woah»,
esclamò Hanamichi, sporgendosi dal suo posto per guardarla in viso. «Vuoi partecipare
alle Olimpiadi?».
Reiko annuì. «Certo. È
il mio sogno più grande! Non dev’esserci sensazione più bella che vincere una
medaglia per la propria patria».
Hanamichi sorrise da
orecchio a orecchio. «Che idea geniale!», fece l’invasato, dandole due manate
sulla testa che rischiarono di affondarla come un chiodo dal martello. «Anche
io voglio andare alle Olimpiadi!».
«Davvero?», domandarono
in coro Reiko e Hime, quest’ultima ignara dei sogni reconditi del fratello che,
fino a due secondi fa, probabilmente non conosceva neppure l’esistenza dei
Giochi Olimpici. I Gundam, a ben pensarci, si stupirono del fatto che non disse
Olimpiedi,
tanto per non perdere l’abitudine di sparare cazzate.
«Sai che figura di merda
colossale farebbe il Giappone con uno così?», stava blaterando Noma con un
Okusu sghignazzante.
«Probabilmente farebbe
scatenare uno scandalo internazionale e qualcuno potrebbe dichiararci guerra».
Fortuna loro che
Hanamichi era troppo perso in vaneggi gloriosi che lo vedevano portabandiera, per
occuparsi della loro poca fiducia nelle sue capacità sportive.
Fu un ragazzetto dai
biondi capelli a scodella e un timido sorriso a fermare qualsivoglia discorso e
a canalizzare l’attenzione su di sé. Aveva le mani dietro la schiena, come a
nascondere qualcosa. «Azamui-san?».
Reiko alzò le
sopracciglia scure. Ci risiamo. «Sì?».
«Mi chiamo Daisetsu,
volevo complimentarmi con te per la splendida gara di oggi. Sai, ti seguo
sempre, senpai, sei bravissima», le confessò, porgendole una scatola di
cioccolatini.
Reiko parve oltraggiata
da quell’offerta – la dieta, dannazione,
la dieta! – ma accettò con il proverbiale sorriso della sua famiglia. «Molto
gentile da parte tua, Daisetsu-kun. Grazie», disse,
con un cordiale inchino.
I ragazzi si guardarono
tra loro, alla disperata ricerca di un po’ di autocontrollo pur di non
scoppiare a ridere davanti all’infatuazione evidente nei confronti della
nuotatrice e della voglia di quest’ultima di gettarsi oltre il parapetto senza
neanche dire addio.
«Ecco, mi chiedevo se ti
andasse di uscire, uno di questi giorni. Sono molto simpatico!».
Hanamichi dovette
nascondere le risa con un attacco di tosse. Nemmeno lui era stato così
sfrontato con la sua dolce Haruko!
«Sei molto carino a
chiedermelo, ma mi piacciono le ragazze», fu la candida risposta di Reiko.
Nobunaga sputò la bibita
che stava sorseggiando a due palmi dal naso di Sakuragi e il resto della
compagnia di idioti per poco non si soffocò con la propria saliva. Persino lo
stoico Rukawa tossicchiò un attacco di sorpresa.
Le spalle del ragazzino
si ammosciarono e divenne rosso come i capelli dei Sakuragi. Borbottò qualche parola
di scusa e se ne andò con la coda tra le gambe. Solo allora si lasciarono
andare alle risate, mentre quella scuoteva la testa e porgeva i cioccolatini a
Takamiya, che stava sbavando senza ritegno da quando erano comparsi in scena.
«Davvero non capisco
perché questa storia non esca fuori; non mi lasciano in pace nemmeno così», si
lagnò Reiko, cercando conforto tra le braccia del cugino, che ridente le accarezzò
i capelli ancora bagnati. La nuotatrice sospirò e dopo un lungo istante di
silenzio, scandito solo dai singhiozzi degli strambi amici di Akira, guardò verso
Rukawa. «Perché non provi anche tu? So che hai molte fan; se dici di essere
omosessuale magari ti lasciano in pace».
Fu così che la
combriccola di casinisti rischiò seriamente di morire strozzata dalle risate,
mentre quello alzava entrambe le sopracciglia, chiedendosi per l’ennesima volta
che razza di problemi mentali avesse quella tizia – a parte condividere una
parte di DNA col Porcospino.
«Non ne sarei così
sicura, Reiko-san; potrebbe scatenare la reazione opposta», fece Hime, con gli
occhi lucidi, mentre Hanamichi e Nobunaga per poco non si ficcarono due dita in
gola per vomitare.
«Hai provato a dire che
Uozumi ti muore dietro ed è estremamente geloso? O che sei la sua ragazza,
funzionerebbe ugualmente», suggerì Akira, accarezzandosi il mento. «Li farebbe
scappare tutti a gambe levate».
Quella sbiancò come un
fantasma che aveva visto un suo simile sbucare senza preavviso da una parete. «Non
osare pensarlo nemmeno!», esclamò lei, terrorizzata. «O va a finire che si
mette strane idee in testa e chi se lo scrolla più, poi!».
«Il Re dei Gorilla è innamorato
di te?», chiesero in coro le Scimmie della situazione, sganasciandosi a terra
senza ritegno. Ormai erano talmente belli che partiti che respiravano a stento.
«Ma come? Ti ho anche
prenotato un posto al ristorante dove lavora! Guarda che è un bravo cuoco, così
non se ne trovano in giro, io ti avverto. Poi tra vent’anni, quando sarai sola
con venti gatti, non venire a piangere da me».
Reiko si afflosciò sul
sedile come un palloncino sgonfio, senza neppure la forza di ammazzare quel
demente del cugino, e per un microscopico secondo Rukawa fu sfiorato dalla
tentazione di provare un po’ di pena per lei. Si riscosse subito da quel
momento di follia. I poveri pazzi che le correvano dietro avevano bisogno di commiserazione
e un’importante dose di visite dallo psichiatra, non certo lei.
Soprattutto il Re dei
Gorilla, povero sfigato.
Insomma, non è che fosse
questo grade splendore per morirle tutti dietro. Era accettabile, ecco. A dire
la verità, era una gnocca da paura, ma non lo avrebbe ammesso neanche sotto
tortura. La detestava, punto. Era la cugina sorridente di Sendoh ed era motivo
sufficiente per odiarla. Se poi si aggiungeva il fatto che per qualche strano
motivo lei non gli sbavava dietro e preferiva di gran lunga spaccargli le palle
a ogni occasione, ecco che non c’era bisogno di ulteriori seghe mentali.
«Ehilà gente», li salutò
Kiyo, un asciugamano tra le mani e la tuta dello Shohoku indossata con
orgoglio. «Azamui. Ti senti male? Sei pallida».
«Kobayashi, ti
piacerebbe», replicò quella, agitando una mano. «Ottima gara».
Kiyo annuì un
ringraziamento e prese posto dietro Mitsui, che piegò il capo all’indietro
sullo schienale.
«Ehi, bionda».
Gli tirò un buffetto in
fronte e un pizzicotto sulla guancia. «Non saresti dovuto venire».
«E sentire le tue
lamentele fino alla fine del mondo? Nah», fu la
pronta risposta del numero 14. «Sarei venuto anche strisciando, se fosse stato
necessario. Eri uno spettacolo».
Kiyo non poté fermare il
rossore che le imporporò le guance e sorrise. «Tu invece sembri un rottame».
Hisashi rise. «Stronza.
Devo ricordarti il motivo per cui mi ritrovo di nuovo in stampelle?».
L’ilarità negli occhi
della ragazza svanì subito e un terribile senso di colpa le fece chinare lo
sguardo, come solo poche volte accadeva.
«Ohi, scema». Mitsui
drizzò la schiena e si voltò verso di lei, alzandole il mento con un dito. «Scherzavo,
ok? Non pensare neanche per un secondo che sia colpa tua o che non l’abbia
fatto volentieri. Lo rifarei ancora, se significasse proteggerti da quel
bastardo o da chiunque altro. Chiaro?».
Spinta da un rarissimo
slancio d’affetto, Kiyo lo abbracciò da dietro, stringendo le braccia al collo
e baciandogli l’angolo della bocca. «Grazie».
Un coro di fischi e
applausi partì dai sedili accanto ed entrambi sperarono che una voragine li
risucchiasse sul posto, pur di non dover guardare gli amici negli occhi dopo
quella plateale e pubblica effusione a cui nessuno dei due era abituato.
«Come sono teneri», fece
Hime, con le mani sulle guance arrossate.
Mitsui per poco non svenne
per eccesso di glicemia. Loro erano teneri?
Teneri?! Lui e quella manesca?
Rimasero sugli spalti
ancora qualche breve momento prima di andarsene, dato che il motivo della loro
venuta era ormai con loro – con grande sollievo del resto del pubblico che non
doveva più sorbirsi i loro casini e poteva godersi il resto dei quarti in santa
pace.
Fuori continuava a piovere,
seppure con meno intensità. Hime si strinse nelle spalle, infreddolita, ma due
calde braccia l’avvolsero da dietro per riscaldarla. «Hana!».
Il fratello le scoccò un
bacino sulla tempia. «Allora, Hicchan, che si mangia oggi?».
«Mi stai coccolando solo
per farmi cucinare?».
«Hanamichi, devi avere
proprio istinti da suicida per metterla ai fornelli!», esclamò Yoehi. «Io mi
tiro fuori e ordino del ramen».
«Ohi!».
Mito ridacchiò, dandole
un buffetto sulla guancia.
«Sei davvero una così
terribile cuoca?», domandò Sanako, affiancandosi.
Hime arrossì fino alla
punta delle orecchie. «No, è che... ecco, io... mi piace sperimentare».
«Col risultato che
finisce come Ayakuccia durante il laboratorio di chimica. Boom!», annuì poco saggiamente Ryota, che infatti ne subì le
conseguenze poco dopo.
«Ma insomma! Vi state
giocando l’invito a pranzo!», si lagnò la rossa, mentre Nobunaga accorreva in
suo soccorso come il prode paladino senza mantello che credeva di essere.
«Hicchan, lasciali dire»,
la consolò il ragazzo, rubandola dalle grinfie del fratello e coccolandola a
dovere. «Cucineremo insieme e non faremo saltare in aria casa tua. E vuoi
sapere perché? Ma perché sono il cuoco numero uno di Kanagawa! Hahaha!».
«Il solito esaltato», fu
il commento di Rukawa, che lo mandò in bestia.
«Ede, vieni a pranzo da
noi?», domandò Hime. Le imprecazioni di Kiyota si sprecarono.
«Ehi! Siamo già un
casino, non c’è posto per la Kitsune!», sbraitò Hanamichi, mentre l’altra
Scimmia annuiva con foga.
«Tranquillo, Do’aho. Non
ho intenzione di venire».
Sakuragi alzò le braccia
al cielo, ringraziando gli dei che, per una volta, avevano ascoltato e accolto
le sue richieste.
«Perché no?», continuò mogia
Hime.
«Devo recuperare il
tempo perso per allenarmi».
«Con questa pioggia?»,
domandò preoccupata Reiko, calandosi una cuffia sui capelli umidi e
rabbrividendo fino alle ossa. «Ti prenderai un malanno».
Senza neppure degnarla
di una risposta, Rukawa si avvicinò ad Ayako, chiedendole le chiavi della
palestra, che lei si portava sempre dietro per ogni evenienza. Quella,
titubante, gliele prestò insieme alle solite raccomandazioni sul rimettere
tutto a posto e sul chiudere per bene una volta finito. Con un cenno
affermativo e una mano a scompigliare i capelli della sua migliore amica, Kaede
si avviò verso la metropolitana senza aspettare nessuno.
Accigliata, Hime lo
osservò allontanarsi, ma non fece in tempo a chiedersi il motivo di quel
malumore improvviso che Nobunaga la riportò alla realtà, circondandole le
spalle con un braccio e reclamando le sue attenzioni. Gli sorrise, annuendo. «Allora,
Mr. Chef, che prepariamo per questi bisonti?».
Dopo aver salutato
tutti, si allontanarono verso casa Sakuragi, insieme ai Gundam e alla coppia
dell’anno, Ryota e Ayako. Nel frattempo, Mitsui e Sendoh avevano ripreso il
loro battibecco su chi e come dovesse tenere l’ombrello. Il risultato fu che
finirono nuovamente fradici fin dentro le mutande, mentre Kiyo e Reiko si
scambiavano un’occhiata mesta.
«Sana, vieni a pranzo da
noi?», domandò Akira, scostandosi i capelli che ormai gli ricadevano fradici
sulla fronte.
La barista divenne
paonazza davanti a quello splendore di ragazzo, ma dovette scuotere il capo
in segno di diniego. «Io ho... ho un appuntamento con mio padre», mormorò,
indicando l’uomo con l’ombrello che l’attendeva al cancello. «Ma grazie lo
stesso».
Sendoh le sorrise. «Allora
non posso insistere. Sarà per la prossima volta! Passa una buona giornata, Sanako», disse infine,
chinandosi per darle un leggero bacio sulla guancia. Quella rimase inebetita,
mentre Kiyo l’abbracciava e la ringraziava di essere andata a sostenerla.
Con un sospiro, Sana si
volse verso Kiichi Rukawa e agitò una mano per salutarlo, mentre correva sotto
la pioggia per raggiungerlo. Con quell’augurio era più che sicura che la
giornata avrebbe proseguito in maniera fantastica.
Continua...
* * *
E dopo tempi ragionevoli per una mente poco ragionevole
come la mia, rieccomi qui! Mi sono divertita tanto scrivendo questo
capitolo lunghissimo (forse troppo?), ma finalmente le parole sono arrivate una
dopo l’altra come un fiume in piena... e chi poteva fermarle? Io no di certo.
Dunque, abbiamo scoperto che Hime non è realmente innamorata
di Kaede... ci avevate creduto/sperato/temuto? Mwahaha!
Quanti bei casini si prospettano all’orizzonte!
Qualche piccolo appunto per il precedente capitolo:
rileggendolo e riguardando vecchi appunti, ho dovuto correggere una svista,
ossia che la partita che lo Shohoku dovrà disputare, qualora vincesse contro il
Miuradai, sarà quella contro il Kainan – e non il Ryonan come avevo scritto.
Inoltre, nel capitolo in cui Hime arrivava con il calendario del campionato, ho
specificato che lo Shohoku, così come Kainan, Ryonan e Shoyo, partono
direttamente dai quarti di finale, perché ai precedenti campionati sono
arrivati tra i Best 4 – quindi saltano le prime partite. Ero convinta di averlo
fatto, ma le riletture dopo anni servono anche a questo!
Approfitto per ringraziare chiunque abbia letto il
precedente capitolo e HeavenIsInYourEyes per la sua adorabile
recensione!
A presto e buon fine settimana,
Marta
PS: per chi mi segue su facebook e
se li fosse persi, ecco cinque
acquisti che ho fatto di recente per sollevarmi il morale. Non sono stupendosissimi? ♥ Also, dato che sono tornata pseudo-attiva anche su quei
lidi, sentitevi liberi di aggiungermi.
Non mordo. ;)