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Autore: kenjina    09/09/2016    0 recensioni
La situazione peggiorò quando trovarono un tavolo da biliardo libero e pronto solo per loro e, ovviamente, finì invischiato in un due contro due in coppia con la sua manager - almeno quella era una piccola fortuna in mezzo a tanta sfiga, si disse per farsi forza. Non avrebbe saputo di che morte morire, se avesse dovuto scegliere tra il Porcospino e la Scimmia; per non parlare della nuotatrice che, grazie a Buddha, non aveva mai giocato a biliardo e non sapeva neanche da che parte iniziare.
«Ehi, guarda che hai le palle piene tu, intesi?», gli fece Hanamichi, puntandogli la stecca contro.
Rukawa sollevò gli occhi al cielo. «Scimmia, non c'era bisogno di dirmelo. Che ho le palle piene di te lo sapevo da tempo».
(Tratto dal capitolo 17)
I ragazzi selvaggi son tornati, più selvaggi di prima... Ne vedremo delle belle!
Storia revisionata nell'Agosto 2016
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hisashi Mitsui, Kaede Rukawa, Nobunaga Kiyota, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Wild Boys'
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Ni-hao a tutti

Capitolo 19

Domenica al sapore di cloro.

 

 

 

La pioggia batteva incessante contro i vetri delle finestre. I primi tuoni si erano fatti sentire verso le quattro di notte e poco dopo aveva iniziato a piovere senza sosta. La temperatura, in quegli ultimi giorni, era calata bruscamente e i meteorologi prevedevano i primi fiocchi di neve entro la prima metà di Dicembre.

Akira osservava il paesaggio oltre la coltre di acqua, mani in tasca e viso stranamente imbronciato. «Oggi non ci voleva».

Il rumore di passi e stampelle lo fece voltare.

«Tranquillo, Sendoh. Anche se ci fosse stato il sole, la mia bambolina non l’avresti presa ugualmente», disse Hisashi, comparendo in soggiorno.

«Mitsui, sei una brutta persona. Io mi stavo solo preoccupando del fatto che dobbiamo uscire con questo tempaccio e non puoi nemmeno reggerti l’ombrello da solo», replicò con falsa indignazione il giocatore del Ryonan, che si portò una mano al cuore spezzato.

«Ah, non devi accompagnarmi per farmi da porta-borse e tutto? Sendoh, sei proprio inutile».

L’unico raggio di sole in quella giornata uggiosa fu il sempreverde sorriso di Akira Sendoh.

«Ragazzi, siete sicuri di non volere un passaggio in macchina?», domandò la voce del signor Goro, facendo capolino dalla porta della cucina.

«Tranquillo, papà», replicò Akira. «Questo vecchietto ha bisogno di muovere i primi passi da solo».

«Ricordati che questo vecchietto è armato di due stampelle e sai dove te le ficca?».

«Hisashi!», esclamò Tamaki Mitsui, mentre gli portava una sciarpa per coprirsi mene. La Guardia dello Shohoku accusò quel tono in silenzio, conscio che la madre temesse ancora minacce e botte, fossero esse più o meno sarcastiche, nonostante le avesse dimostrato più e più volte che ormai non era più il Mitsui di qualche mese fa.

«Tranquilla, mamma, dovresti preoccuparti più per queste», disse, alzando una gruccia, «che per la sua testa; ce l’ha dura, il ragazzo».

Lei scosse il capo, sistemandogli il colletto della giacca sotto lo scalda-collo, e nascose un mezzo sorriso tra le labbra impettite nel sentire la risata dei due Sendoh. «Mi raccomando, fate da bravi».

Hisashi si chinò per darle un bacio sulla tempia, sussurrandole di stare tranquilla e di godersi la domenica di riposo.

«Oh Akira, abbraccia Reiko anche da parte nostra, ok?», disse Rinako Sendoh dalla cucina, tutta intenta a preparare il pranzo della domenica – ed erano solo le 9:30 del mattino.

«Proverò a trascinarla a casa per pranzo», assicurò Akira. «Tanto come sempre stai preparando cibo per un esercito».

«No, tesoro, solo per il maiale che mi ritrovo come figliolo», civettò la madre in risposta.

«E non sbavare dietro le ragazze in costume», proseguì con le raccomandazioni Mitsui, imitando la voce del signor Goro e facendoli scoppiare a ridere.

Akira si grattò la nuca, per niente imbarazzato, pensando che preferiva di gran lunga le imitazioni di suo padre, che quelle dei genitori di qualche ex-fiamma che lo chiamavano in piena notte per riferirgli che avesse ingravidato le figlie. Dannato Mitsui! «Ah Hisashi, prometto che non guarderò le gambe della tua ragazza. E se dovessi farlo, è perché in cuffietta e occhialini non la riconosco».

Un idiota con i fiocchi volò per la casa da far invidia persino a Rukawa nei suoi giorni migliori, mentre Tamaki si metteva le mani sui fianchi. «Sei un figlio degenero, tu», lo rimproverò. Allo sguardo spaesato del cestista, la donna aggiunse: «Insomma, ho scoperto che sei fidanzato da Goro e da suo fratello, e non da te! Quando pensavi di dirmelo?».

«Non sono fidanzato!», sbottò quello, sentendo il sangue affluirgli in viso, mentre quel demente di Akira si sbellicava dalle risate e confessava loro che la ragazza in questione aveva addirittura fatto voto di smettere di fumare per lui.

Mitsui alzò gli occhi al cielo, sotto lo sguardo impensierito della madre. «Quando me la farai conoscere? È carina? È una brava ragazza? Com’è? Eh?», gli chiese, con un tono di spensierata malizia che non udiva da secoli. Si sentì ringiovanito di dieci anni.

«È solo una con cui esco, non è niente di ché», borbottò.

«Sei consapevole che se dovesse sentire una frase del genere, quella è capacissima di ammazzarti?», gli sussurrò Akira.

«Ma che diavolo volete tutti? Rimaniamo qui a parlare della mia vita sentimentale o andiamo? A differenza di qualcuno, odio arrivare in ritardo», sbottò infine il giocatore dello Shohoku. Gli adulti li lasciarono ai loro affari, tra qualche altra risata e raccomandazioni varie.

Quando uscirono di casa, sotto un diluvio importante, Akira gli diede un colpetto al braccio. «Sarò il testimone più bravo del mondo, giuro».

«Ma ammazzati e apri l’ombrello!».

«In quest’ordine o–?».

Hisashi pensò che gliel’avrebbe ficcata volentieri una stampella su per il deretano.

 

*

 

Non fu per l’ultima volta in quella giornata che Kaede Rukawa si domandò cosa diavolo ci facesse sveglio a quell’ora improponibile la domenica mattina, in compagnia di quegli esagitati dei Sakuragi, della loro banda di dementi, della nuova cugina acquisita e della Scimmia Saltante del Kainan, che chiudeva il quadro come la ciliegina sulla torta. Certo, il termine sveglio accostato al suo nome era improbabile come un Hanamichi Sakuragi secco e pesto in un angolino, ma per i suoi standard era già un record reggersi in piedi – e bene o male lo stava facendo. Almeno era seduto.

Il suo malumore precipitò nel momento in cui li raggiunsero anche il Teppista e il Porcospino, inzuppati fradici come pulcini: il primo incacchiato nero per ovvi motivi e il secondo accompagnato dal suo proverbiale sorriso, che neppure lo sguardo truce dell'amico avrebbe incrinato. Kaede guardò con crescente interesse il trampolino da dieci metri dall’altra parte dello stabile, perso in una splendida fantasia in cui si trascinava per la collottola il Sendoh nazionale fin lassù e lo gettava nel vuoto senza troppi complimenti – con la piscina vuota, s’intende.

«Va tutto bene?», gli domandò Sanako, battendogli una manina sul braccio per farlo rinsavire dai suoi pensieri assassini.

«Ancora una volta, perché sono qui?», le chiese annoiato, la testa che ciondolava sulle spalle.

«Credo perché Hime-san ti ha convinto–».

«Fracassato le palle», puntualizzò lui.

«–a distrarti un po’ prima dell’inizio del campionato. Sarà divertente, dai!».

Sendoh, con tutti i posti liberi a disposizione, gli si accomodò accanto, regalandogli un sorriso da pubblicità e una pacca sulla spalla, e pensò che no, non sarebbe stato divertente. Affatto. Una tortura cinese probabilmente gli avrebbe creato meno noie.

«Sì, sarà divertente, Kaede, vedrai!», ripeté il Porcospino. «Ci sono tante belle ragazze in costume», aggiunse ammiccando, con un’invidiabile faccia da schiaffi, mentre sua cugina sembrava arrossire come una pentola e si ammutolì di colpo, mentre torturava il tessuto della gonna tra le dita. Immaginò che fosse nervosa per l’amica, quella Kobayashi; che altro poteva essere altrimenti? Non volle pensare che fosse una reazione all’Istrice e alle sue parole; altrimenti si sarebbe gettato lui dal trampolino sulla piscina vuota.

«Ma cosa ne capirà quello lì», stava dicendo Hanamichi, appoggiato al parapetto davanti alla fila di poltroncine su cui si erano spalmati. «Non riconoscerebbe una sventola da un lottatore di sugo».

Ci fu un momento di silenzio, prima che le loro risate rischiassero di far crollare il soffitto.

«Sì, un lottatore di sugo. Il vincitore si becca un bel piatto di pasta italiana», commentò Kiyota, che nascose mestamente il viso tra i capelli della sua ragazza, in preda alle convulsioni per le risate.

«O una sventola da una pentola, dato che siamo in tema di cibo», aggiunse Mito, asciugandosi le lacrime dagli occhi.

«Smettetela, ho fame!», si lagnò Takamiya, accarezzandosi lo stomaco vuoto.

«E ti pareva».

«Ancora?! Ti sei divorato anche la mia colazione, maledetta fogna!».

Hanamichi, d’altra parte, aveva iniziato a elargire testate a destra e a manca, affermando che avesse fatto solo una battutaccia, e d’improvviso si formò l’ormai consueto vuoto tra loro e il resto degli spettatori, che preferirono andarsene pur di non stare nei pressi di quel casino.

Solo un prode ragazzo del Ryonan osò additare il rossino. «Ehi, ma quello è Sakuragi dello Shohoku!».

Il tempo di sentire un coro di “oh no” da parte dei suoi amici, e quello era già bello che partito. «Ma certo che sono io! L’unico e inimitabile! Ahahah! Dimmi, amico, vuoi un autografo, eh? Una foto? La dimostrazione dal vivo di un dunk?».

Quello in risposta scoppiò a ridere, seguito dal resto della tribuna, che continuava ad additarlo senza pudore. Hanamichi si voltò verso la sua ciurma per chiedere tacite spiegazioni, ma quelli erano troppo impegnati a nascondersi sotto i sedili nel vano tentativo di far finta di non conoscerlo. Hime aveva intravisto un tizio sventolare il giornalino sportivo in cui scriveva la signorina Aida e temeva che quelle reazioni fossero legate alla sua intervista.

«Oh no, è uscito l’articolo», si disperò la ragazza.

Per sua disgrazia Hanamichi la sentì e fu peggio di prima. «Dov’è? Dov’è? Sarò anche in copertina, scommetto! Ahaha! Fate largo alla star della stampa!», esclamò il numero 10, strappando il giornale dalle mani di una terrorizzata matricola e sfogliandolo avidamente. Il sorrisone che gli illuminava il viso si tramutò lentamente in una smorfia imbronciata. «Hicchan, non lo trovo!».

«Lo credo, saranno venti parole nell’angolo in basso a sinistra dell’ultima pagina», lo sfotté Kiyota, che non si allontanò molto dalla realtà. Si trattava infatti di una breve colonna nella seconda metà del magazine, sormontata da un’imbarazzante fotografia che lo raffigurava in allenamento alle prese con un pallone che non voleva entrare nel canestro.

Hime gli prese la rivista dalle mani, dato che Hanamichi stava per strapparla anziché sfogliarla come un normale essere umano, e una volta trovato l’articolo iniziò a leggere a voce alta. «“È un tranquillo pomeriggio di allenamenti per la squadra del Ryonan, quando Hanamichi Sakuragi fa la sua entrata in scena in palestra che non passa certo inosservata”».

«Perché ho una brutta sensazione?», mormorò Yoehi.

Hanamichi gli tirò uno scappellotto. «Zitto e ascolta le gloriose parole della signorina Aida!».

«“Sakuragi arriva all’intervista in compagnia della sorella Hime, la seconda manager dello Shohoku, e un improbabile e ovviamente addormentato Kaede Rukawa, che non perde occasione di battibeccare con il rossino e di lanciare occhiate velenose ad Akira Sendoh che si allena poco più in basso.

Hanamichi ci confida che la sorella si allenasse spesso con il “Volpino”, come lui ama chiamare Rukawa, e di aver iniziato a giocare proprio grazie a lei, appassionata di basket fin da piccola. La bella Sakuragi venne infatti eletta MVP al torneo femminile delle scuole medie”. Oh, mi chiama La Bella! Ahahah!», aggiunse Hime, ridendo imbarazzata.

«Invasata».

«Ohi, Volpe, non insultare la mia Hicchan!», lo rimbeccò Kiyota, che subito dopo aggiunse un «Hahaha ho la ragazza più figa del Giappone! E volete sapere perc–».

«Zitto tu, Nobu-Scimmia!», sbraitò Hanamichi, tirandogli una manata sul capo.

Dopo un bacino consolatorio sul naso del ragazzo, Hime proseguì la lettura: «“Ormai siamo abituati ai modi stravaganti di questo particolare giocatore dello Shohoku, che non perde occasione per accapigliarsi con chiunque osi contraddirlo o mettere in discussione le sue capacità cestistiche. Iscritto al club di basket solo lo scorso Aprile, Sakuragi è diventato rapidamente la chiave di volta dell’intera squadra in rosso, non senza imbarazzanti intermezzi ed errori da principiante”».

«Che cos–».

«Ma quale chiave di volta!».

«Nel senso che gli ha dato di volta il cervello, Mitsui».

«Naah, quello era già bello che partito da tempo».

«Maledetti bastardi, lasciate che vi prendahia! E tu da dove diavolo spunti?!».

Ayako ritirò il ventaglio con un sorriso smagliante, accompagnata da Ryota e dai Gemelli Siamesi. «Prego, Hime, continua pure la lettura».   

«“Dopo l’infortunio alla schiena, emerso durante l’incredibile incontro contro il Sannoh Kogyo vinto dallo Shohoku per 79-78, e un lungo periodo di riabilitazione, Hanamichi Sakuragi sembra tornato in ottima forma, sia fisica che emotiva, e ci si domanda come sarà la sua performance durante il Campionato Invernale. Il ragazzo ha ancora molto da imparare e forse dovrebbe prendere esempio dal tanto odiato Kaede Rukawa, anziché ignorare la bravura del compagno di squadra ed evitare di passargli la palla in campo. Se solo i due collaborassero civilmente come due giocatori facenti parte di una squadra, lo Shohoku potrebbe vincere qualsiasi cosa – abbiamo visto tutti cosa i due siano in grado di fare con un po’ di intesa”».

«Ma anche no», fu il commento di Kaede in coro con Hanamichi. I due si scambiarono un’occhiata infuocata, prima di voltare immediatamente lo sguardo.

«“Nonostante sia ancora un principiante, però, Sakuragi ha per questo l’incredibile capacità di essere imprevedibile in campo, abilità che ha sempre spiazzato i suoi avversari, e di imparare molto in fretta. “La squadra mi ha insegnato tanto – dice il numero 10 – ognuno di loro mi ha dato qualcosa che, piano piano, mi ha fatto crescere come giocatore, sebbene il mio talento fosse già innato e dovessi solo affinare la tecnica”, aggiunge vantandosi. Il talento c’è, ma anche l’egocentrismo non scherza”».

La postura plastica da supereroe di Hanamichi si afflosciò immediatamente. «Checcosa?!», sbraitò, ora rosso di rabbia.

«“Sotto canestro è praticamente impenetrabile, grazie alla sua incredibile difesa, e i rimbalzi per lui sono pane quotidiano. Dotato di un’elevazione unica, ci racconta che è stato proprio Akagi, l’ex Capitano, a insegnargli l’importanza del possesso palla su un tiro sbagliato. “Chi non impara il rimbalzo non entra in partita”, lo cita Sakuragi. Ora che l’ex #4 ha lasciato lo Shohoku per concentrarsi sugli studi, Sakuragi è l’unico che potrà prendere il suo posto, almeno come ruolo di Centro – nessuno osa immaginare cosa significherebbe avere un Capitano esagitato come lui”».

«Ma io l’ammazzo! L’ammazzo! Brutta caprona!».

E tra le risate di amici e sconosciuti che assistevano alla scena, e i vani tentativi da parte dei Gemelli Siamesi di trattenerlo affinché non facesse qualche idiozia, Hime proseguì la lettura.

«“Senza Akagi lo Shohoku ha perso un pilastro importante, ma sotto la guida di Miyagi e del suo vice Mitsui, la squadra non mancherà certo di talenti e spinte motivazionali. Persino l’individualista per eccellenza, Kaede Rukawa, sembra finalmente entrato in sintonia con il resto dei compagni.

E a proposito di quest’ultimo, rimane comunque ancora oscuro il motivo per cui il numero 11 dello Shohoku, unitosi a Sakuragi per il nostro incontro, sia così popolare tra la popolazione femminile; tralasciando il suo aspetto da bello e dannato e il suo indiscutibile talento in campo, comunque inferiore a quello dell’asso e del neo Capitano del Ryonan, Kaede Rukawa è l’emblema della maleducazione e dell’arroganza, e risponde a una nostra semplice domanda con insulti gratuiti e occhiate micidiali. Ci si chiede come sia possibile che la sua amica, Hime Sakuragi, riesca a sopportarlo a tutte le ore del giorno. I due, infatti, sembrano molto affiatati. Cosa avrà da dire Nobunaga Kiyota, il fidanzato della ragazza, in questione?” Ma cosa diavolo–?».

«Ehi Nobu-Scimmia, recupera la mascella prima che qualcuno la calci via», fece Mitsui, le labbra increspate da un sorriso sornione.

«Ma io l’ammazzo!», continuava a ripetere Hanamichi, ormai sulla via del non ritorno. «E ammazzo anche la Volpe! Era il mio articolo! Perché si finisce a parlare sempre di lui? Eh? Eh?! Maledetta divetta!», sbraitava, prendendo Rukawa per lo scollo a V del maglione e sbatacchiandolo come un panno sporco. Quello, dato che la migliore arma contro la stupidità è l’indifferenza, dormiva beatamente.

«Hanamichi, calmati!», sbraitò Ayako, sedando quella testa calda con l’ennesima sventagliata.

«Ma quella non è una rivista sportiva?», chiese Sanako al vuoto, perplessa dal gossip finale.

«Hicchan», stava dicendo intanto Kiyota, con occhioni lucidi e il labbro tremante, «c’è qualcosa che devi dirmi?».

Quella, che aveva preso a stracciare l’articolo in mille pezzi promettendo tremenda vendetta a quella giornalista dei suoi stivali, arrossì vistosamente, se per la rabbia o l’imbarazzo (probabilmente entrambi), non seppe dirlo. Kiyota, ovviamente, non la prese bene.

«Nobu-chan, lo sai che scrivono un mucchio di stupidaggini pur di aumentare i lettori», gli disse, rassicurandolo con un abbraccio. Quello non parve molto convinto, tutto intento a lanciare fulmini e saette in direzione di Rukawa, che continuava a dormire serenamente. «Ohi, Scimmietta! Mi stai ascoltando?».

«Hn».

«Kiyota, non è imitando i monosillabi di Rukawa che riuscirai a conquistAya-chan! Che fai?!», esclamò Ryota, massaggiandosi la testa lesa. Quella scosse il capo, decisa a chiudere lì la questione. Era un argomento spinoso, quello, e non voleva rischiare di peggiorare la situazione. Il modo in cui Hime stava stringendo la felpa di Kiyota senza incontrare il suo sguardo e quello in cui lui guardava lei non promettevano niente di buono.

«Nobu, ti fidi di me?», gli sussurrò Hime, per non farsi sentire dagli altri – che comunque erano troppo occupati a prendere per i fondelli Hanamichi per badare a loro. Gli accarezzò il viso e lui chiuse gli occhi.

«Hicchan, io mi fido di te», replicò seriamente lui, portando entrambe le mani sulle sue. «È che...», scosse il capo, dandole un veloce bacio sulla punta del naso. «Parliamone in un altro momento, ok? Stanno entrando i primi pesci in acqua».

«I primi pesci– Nobunaga!».

Quello rise come l’idiota che era e, almeno per il momento, tutto sembrò tornare alla normalità quando lui la strinse contro il petto, facendola accomodare tra le sue gambe. Inspirò il suo profumo, misto a quello del suo bagnoschiuma, e sorrise di sollievo.

Il boato degli spettatori invase l’intero stabile, mentre le prime otto partecipanti entravano in scena e si disponevano ai loro posti. C’erano ragazze provenienti da tutta la Prefettura, ma a quella prima batteria nessuno di loro parve riconoscerne alcuna.

«Porca vacca, quella tipa sembra un armadio a quattro ante!», fece Mito, con la bocca spalancata. Stava indicando una studentessa del Kainan, dalle spalle larghissime e l’altezza vertiginosa.  

«Abbiamo trovato la donna ideale di Akagi!», esclamò Hanamichi, gasatissimo. «Guardate, ha anche l’espressione da gorilla femmina!».

«Ma no, la sua donna ideale è la zia di Sanako», disse fermamente convinta Hime, mentre alla barista per poco non andava di traverso la lingua.

«Akagi? M-mia zia?!».

«Sì, certo! La gendarme che ha sedato queste teste calde con la forza di un solo sguardo!», continuò la seconda manager, con gli occhi a cuoricino. «Sono fatti l’uno per l’altra».

«Ci puoi scommettere», dissero in coro i disgraziati in questione, che si guardarono le spalle temendo che, per qualche oscuro scherzo del destino, potessero ritrovarsela dietro pronta a colpire.

«Ehi, Nobu-Scimmia, sono tutte così brutte al tuo liceo?», fece Hanamichi, le braccia poggiate sulla balaustra mentre osservava le nuotatrici salire in pedana prima del fischio d’inizio.

«Probabile», fece la voce di Mitsui. «Altrimenti per quale altro motivo si sarebbe ficcato in una relazione con tua sorella? Doveva essere proprio disperato».

«Che diavolo stai insinuando?!», esclamarono i gemelli, che non gli si gettarono contro solo per preservare il suo ginocchio spappolato.

«Va’ va’, quelle sono eccezioni. Di strafighe ce n’è in abbondanza, ve lo assicuro! C’è il club di ginnastica ritmica, per esempio...», fece Kiyota, battendosi un dito sul mento, con fare pensante. Sentì subito la sua ragazza irrigidirsi e rise mentalmente come un invasato. Che la vendetta abbia inizio, hahah

«Sì, solo che nessuna ti si fila, mezza sega», fu l’adorabile commento di Rukawa, che sbriciolò ogni suo piano di rivalsa in tanti pezzetti.

–ma maledetto stronzo, sempre in mezzo, prima donna del cacchio!

 «Hicchan santa subito», fece il numero 10 dello Shohoku con serietà, congiungendo le mani in segno di preghiera.

Vedendo il faccino imbronciato di Nobunaga, Hime gli diede un sonoro bacio sulla guancia, che divenne paonazza poco dopo. «Devo preoccuparmi di nastri e clavette?».

«Dovresti, dato che a quanto pare mi tradisci con la Kitsune».

Le sue parole erano condite di ironia ma Hime vide perfettamente una piccola dose di dubbio in quei suoi begli occhi blu. Si disse che avrebbe dovuto risolvere quel casino mentale al più presto, perché non poteva continuare così. Nobunaga era un ragazzo d’oro, nonostante le sue famose uscite da imbecille egocentrico, e non meritava di galleggiare nell’incertezza. Lei non aveva mai fatto segreto dell’amicizia che condivideva con Kaede e non aveva alcuna intenzione di rinunciarvi solo per fare un favore al suo ragazzo; non aveva neppure mai messo in dubbio quello che provava per la sua Scimmietta; ma quel germe di domande che prima Ayako e poi Yoehi le avevano insinuato in testa avevano fatto crollare tutte le sue certezze. In passato aveva già avuto una sbandata colossale per il suo migliore amico – come non avrebbe potuto? –, di cui nessuno era a conoscenza, ma le era passata velocemente così come era giunta. Voleva un gran bene a quel bestione che raramente sorrideva, ma alla fine era arrivata alla conclusione che una relazione con lui sarebbe stata distruttiva per entrambi.

Dopo la discussione che avevano avuto quella famosa sera al mare, dopo le sue rassicurazioni sul non lasciarla mai indietro nell’eventualità di una fidanzata, si era finalmente riappacificata con se stessa e anzi, non vedeva l’ora che Reiko Azamui si facesse viva dopo le gare per vederli battibeccare insieme. Le aveva detto che non sarebbe andato via neppure con una ragazza al braccio e lei gli credeva, come aveva sempre fatto. Non c’era più bisogno di essere gelosa, ora che tutto era stato chiarito.

C’era un solo dubbio che doveva sbrogliare e non aveva idea di come farlo.

“È il migliore amico che abbia mai avuto. È come se Kaede s'innamorasse di te, tu che faresti?”, le aveva chiesto Ayako. “Voglio dire, potrebbe anche essere, dato che vi conoscete da sempre e sei l'unica ragazza con cui ha un rapporto, me esclusa. E sai bene come sia lui con le ragazze”.

Hime era l’unica donna della sua vita, dopo la morte prematura della madre, di questo ne era più che sicura. Probabilmente si sarebbe comportato come faceva con lei anche con altre ragazze, se solo non fosse stato così introverso. Se solo lo avesse permesso, era sicura che tra quella marmaglia di folgorate del suo fanclub ci fosse qualcuna capace di capirlo come faceva lei. O qualcuno, chissà.

Era amore fraterno, il suo, come quello che lei provava per lui, vero?

Non era realmente innamorato di lei... vero?

«Hicchan?».

Quando Ayako le aveva chiesto cosa sarebbe successo se Nobunaga non fosse comparso nella sua vita, lei aveva detto che tutto sarebbe cambiato. E ne era ancora convinta. Conosceva Kaede meglio delle sue tasche e sapeva che, quando voleva una cosa, se la prendeva senza troppi complimenti. Ma se davvero provasse qualcosa di più di un’amicizia per lei, lei cosa avrebbe fatto? L’avrebbe respinto? Gli avrebbe chiesto spazio pur di non dargli false speranze? O avrebbe chiuso la faccenda con una grassa risata, finché l’infatuazione non fosse passata?

Non aveva idea di cosa fare, di cosa dire, di cosa pensare. Lei non era fatta per questo tipo di cose complicate. Rischiava sempre di rovinare tutto. Come stava per accadere qualche notte prima, in cui aveva trovato difficile persino dormire con lui, come spesso avevano fatto in passato.

«Hicchan!».

Hime alzò lo sguardo su Nobunaga, che ora la fissava preoccupato. Non lo vide, ma percepì anche quello di Rukawa dall’altra parte del gruppo.

«Guarda che scherzavo, non ti tradirei mai con nessuna, Hicchan. Neanche con le strafighe del club di ginnastica», la rassicurò il cestista del Kainan, pensando che fosse davvero preoccupata per quella stupida battuta, e lei non poté fare altro che sorridere e abbandonarsi tra le sue braccia, sentendo il suo tono sincero. Era adorabile, la sua Scimmietta, che proseguì: «Neanche se hanno delle gambe mozzafiato e il sedere sodo e–».

La gomitata che gli rifilò gli fece mancare il fiato, tra le risate. Idiota, forse era il termine più adatto.

«E io che stavo per dirti che– uffa, sei uno stupido, Nobunaga Kiyota».

«Dirmi che cosa?».

Che sono davvero innamorata di te, demente. Che neanche tu devi temere volpini strafighi che mi fanno prendere infarti multipli ogni volta che compaiono davanti. Non parlò, ma per tutta risposta lo baciò sulle labbra, indugiandovi più del dovuto. Gli passò una mano sulla nuca, tra i capelli ribelli che quel giorno teneva sciolti senza il supporto della sua beneamata fascia viola, e lo sentì chiaramente soffocare un sospiro tra i baci.

«Ehi, voi due! Prendetevi una stanza, dannazione!», esclamò Mitsui, lanciandogli contro una bottiglietta d’acqua vuota.

«Pervertiti!», rincarò la dose Akira, che si coprì gli occhi con il pudore che non conosceva.

«Giù le zampacce dalla mia sorellina, Scimmia depravata!», sbraitò Hanamichi, sedato prontamente da Ayako.

Kiyota mostrò il medio, fregandosene altamente e continuando a baciare la sua bellissima e scemissima ragazza. La sua, di nessun altro. Tiè, Rukawa! Ahahaha!

La prima batteria di 200 metri era conclusa da un paio di minuti. Quando quella successiva si fece avanti, acclamata dal pubblico – stranamente quello femminile – Ayako saltò sul suo sedile come una molla.

«Non sapevo ci fossero anche le gare dei maschietti!», disse con un sorrisino da maniaca. Hime la raggiunse subito, ridendo per le imprecazioni di Kiyota che era ritrovato d’improvviso ad amoreggiare con l’aria.

«I maschietti? Ohh, mi piace il nuoto!», esclamò quell'invasata, prendendo a braccetto le due altre sciagurate di Ayako e Sana, che se la ridevano indemoniate alla vista di spalle larghe e addominali scolpiti.

«Guarda che mutandine striminzite hanno!», esclamò la prima manager, indicandoli senza pudore.

«Lo credo, dentro non c’è niente», sibilò Ryota, verde dalla gelosia. Gli altri ragazzi annuirono immediatamente e con fervore, per una volta tutti d’accordo.

«Ehi! Guardate che gli addominali e i muscoli li abbiamo anche noi!», borbottò Hanamichi, che si sarebbe strappato la maglia pur di far valere le sue parole, se non fosse stato per il tempestivo intervento dell’Armata Sakuragi che lo fece desistere.

«Sì, ma voi non vi allenate certo in mutande», fece saggiamente notare Ayako, spedendo in depressione il fidanzato che continuava a ripetere “Ayakuccia, non ti basto più?”.

«Ayako-san, non dare idee a questo qui», disse Eichiro indicando Hanamichi, seguito da Kimi, «altrimenti sono cavoli nostri ai prossimi allenamenti».

«Magari è la volta buona che le fan di Rukawa crepano di cuore, così ce le leviamo dalle palle», fece pensieroso Hisashi, prendendo in seria considerazione l’idea.

Sanako, nel frattempo, dovette coprirsi le guance arrossate per nascondere il suo imbarazzo. Nella sua testa Akira Sendoh si allenava in mutande come se niente fosse e, per tutti gli dei, doveva essere illegale!

«Nacchan, ti senti bene? Sei tutta rossa», le fece notare Hime.

«Sta pensando al sottoscritto in slip. Anche se, detto tra noi, preferisco i boxer», si mise in mezzo Akira, con un candore vergognoso e una strizzata d’occhi.

Sanako iniziò a tossire senza sosta, mentre quello le batteva una manona contro la schiena per farla riprendere, in preda al panico. Non ebbe tanto successo.

«Temo che abbia fatto centro», sussurrò Mitsui, ridendosela di gusto. Yoehi, seduto alle sue spalle, strinse le labbra, ma nessuno ci fece caso.

«Maledetto Porcospino, ci stai ammazzando la barista!».

In tutto ciò, Kaede Rukawa continuava a sonnecchiare beatamente a braccia conserte, ignaro che la sua unica cugina con cui avesse rapporti stesse per crepare per mano del suo acerrimo nemico. Fu solo quando la voce dello speaker gridò un nome in particolare, seguito da un boato e qualche fischio che fecero vibrare i sedili, che saltò sul proprio come se l’avessero appena svegliato bruscamente da un terribile incubo. E in effetti, quello era un incubo. Che diavolo aveva da sorridere prima di una gara, come se fosse più che sicura della vittoria? Avvolto dalle fiamme dell’Inferno, sperò che la Azamui affogasse alla prima bracciata e quel casino immondo terminasse una volta per tutte.

Mai che qualcosa andasse nel verso giusto.

Non appena la studentessa dello Shoyo si tuffò, il fragore del pubblico si fece insopportabile e persino Hime, che per qualche assurdo motivo aveva preso la ragazza in simpatia, aveva iniziato a gridare come un’ossessa per fare il tifo e a sbattere bottiglie vuote l’una contro l’altra. Ma loro non erano lì per la Kobayashi?

«Porca vacca, è velocissima!», stava dicendo il demente di Kiyota, che probabilmente capiva di nuoto quanto un tavolo capiva di tennis.

«Ha già tre secondi di distanza dalla seconda ed è solo alla seconda vasca!», gli diede man forte Hime, con gli occhi fuori dalle orbite.

«Sono le altre che son scarse», fu l’ovvietà di Kaede, che si strinse nelle spalle.

Sendoh, che come sempre non si offendeva neppure se gli si starnutiva in faccia, sorrise affabile. «Ne riparleremo in finale, amico mio», gli disse.

Amico mio?!

Reiko terminò le sue quattro vasche con un vantaggio invidiabile, per essere solo ai quarti di finale e potesse permettersi di risparmiare le energie. Ancora in acqua, si tolse la cuffietta e l’agitò alla volta del cugino, in piedi per applaudirla.

«Bene, vado a recuperare la mia donzella», decretò Sendoh, mentre si stiracchiava i muscoli in tutto il suo metro e novanta di splendore. In sottofondo si udì il sospiro estasiato delle femmine vicine e Sanako dovette serrare le labbra pur di non unirsi al coro. Aveva ancora un briciolo di dignità da salvaguardare, lei.

Mitsui sbuffò. «Seh, come no. Con la scusa di tua cugina, ti intrufoli negli spogliatoi femminili. Maniaco».

«Sempre detto che è più porco che spino, quello lì», fece saccente Hanamichi. «Non è che posso venire anche io?».

«Hanamichi!».

La risata di Akira si allontanò insieme a lui e Kaede riprese a respirare. Almeno finché l’Idiota non fosse tornato con la piattola della cugina che, ne era più che sicuro, gli avrebbe scartavetrato le palle fino allo sfinimento.

Si susseguirono altre due batterie, maschile e femminile, prima che il turno di Kiyo arrivasse.

Hisashi trovò la forza di alzarsi e di avvicinarsi al parapetto, sentendo la gola seccarsi improvvisamente. Era agitato come prima di una partita importante e non era lui a dover gareggiare. La vide sistemarsi occhialini e cuffia, prendere profondi respiri e riscaldando i muscoli di braccia e gambe. Sembrava tranquilla, ma la conosceva abbastanza da capire quanto tesa fosse.

Non sapeva che Kiyo, dopo aver spaziato velocemente lo sguardo sugli spalti, aveva riconosciuto il casino che si portavano dietro e soprattutto lui, in piedi sulle stampelle che guardava solo lei. Si sentì rinvigorita dalla sua sola presenza e si disse di rilassarsi. Avrebbe nuotato bene come sempre e sarebbe passata alla semifinale con facilità. Per fortuna sua non vide la Azamui che, a braccetto col cugino, raggiungeva i suoi personali ultrà e faceva la loro stramba conoscenza.

«Oh, giusto in tempo per godermi lo spettacolo», esordì Reiko con un sorriso, mentre osservava la sua rivale numero uno posizionarsi in pedana.

«Guarda e impara».

La studentessa dello Shoyo si voltò verso colui che aveva parlato e sgranò gli occhi nel rendersi conto che si trattasse di Kaede Rukawa. Non fu l’unica a sorprendersi, dato che per un brevissimo istante gli scemi dei suoi compagni fermarono qualsiasi idiozia stessero facendo o dicendo per guardarlo con tanto d’occhi. Il Volpino che rivolgeva la parola a una ragazza appena conosciuta, per primo? E la stava persino sfidando?

Ayako e Hime si scambiarono un’occhiata tra lo scioccato e il divertito, e la prima non capì l’espressione di beata soddisfazione che vide nel volto dell’amica. Si era persa qualcosa? Lei? La pettegola per antonomasia?! Giammai!

«Ci manca solo che sorrida e siamo a posto», sussurrò un pallido Hanamichi alla scimmia che aveva affianco, trattenendo a stento un brivido di paura.

«Non dire così, altrimenti stanotte avrò gli incubi», replicò Kiyota, che si tappò gli occhi pur di tener fuori quell’immagine terrificante dalla testa.

Reiko sorrise. «Detto da uno che non prende in considerazione i propri consigli, non vale poi molto».

Kaede serrò i denti e lei scrollò le spalle, riportando l’attenzione sulla gara della Kobayashi, che si era già tuffata e si apprestava a completare la prima vasca. I casinisti, ripresi dal momento shock, ricominciarono a fare il loro duro lavoro di ultrà, sbattendo e gridando frasi d’incitamento alla nuotatrice dello Shohoku.

Kiyo guadagnò la prima posizione senza problemi, come prevedibile, con un tempo di tutto rispetto e Reiko applaudì insieme agli altri. «Devo fare una proposta a quella ragazza».

«Indecente?», chiese il cugino al suo fianco, mentre prendevano posto vicino a Rukawa, per sua immensa gioia.

«Lo sai qual è il mio obiettivo, no?». Akira annuì. «Beh, voglio chiederle di farmi il favore di arrivare sul podio alla finale. Le prime tre potranno gareggiare per i Campionati Interscolastici a rappresentanza della nostra Prefettura. Se dovessimo vincere, e sono convinta che potremmo farcela, potremo ricevere una convocazione della Nazionale Giapponese, giusto in tempo per le prossime Olimpiadi».

Rukawa, sempre braccia conserte e viso impassibile, le scoccò un’occhiata sbieca.

«Woah», esclamò Hanamichi, sporgendosi dal suo posto per guardarla in viso. «Vuoi partecipare alle Olimpiadi?».

Reiko annuì. «Certo. È il mio sogno più grande! Non dev’esserci sensazione più bella che vincere una medaglia per la propria patria».

Hanamichi sorrise da orecchio a orecchio. «Che idea geniale!», fece l’invasato, dandole due manate sulla testa che rischiarono di affondarla come un chiodo dal martello. «Anche io voglio andare alle Olimpiadi!».

«Davvero?», domandarono in coro Reiko e Hime, quest’ultima ignara dei sogni reconditi del fratello che, fino a due secondi fa, probabilmente non conosceva neppure l’esistenza dei Giochi Olimpici. I Gundam, a ben pensarci, si stupirono del fatto che non disse Olimpiedi, tanto per non perdere l’abitudine di sparare cazzate.

«Sai che figura di merda colossale farebbe il Giappone con uno così?», stava blaterando Noma con un Okusu sghignazzante.

«Probabilmente farebbe scatenare uno scandalo internazionale e qualcuno potrebbe dichiararci guerra».

Fortuna loro che Hanamichi era troppo perso in vaneggi gloriosi che lo vedevano portabandiera, per occuparsi della loro poca fiducia nelle sue capacità sportive.

Fu un ragazzetto dai biondi capelli a scodella e un timido sorriso a fermare qualsivoglia discorso e a canalizzare l’attenzione su di sé. Aveva le mani dietro la schiena, come a nascondere qualcosa. «Azamui-san?».

Reiko alzò le sopracciglia scure. Ci risiamo. «Sì?».

«Mi chiamo Daisetsu, volevo complimentarmi con te per la splendida gara di oggi. Sai, ti seguo sempre, senpai, sei bravissima», le confessò, porgendole una scatola di cioccolatini.

Reiko parve oltraggiata da quell’offerta – la dieta, dannazione, la dieta! – ma accettò con il proverbiale sorriso della sua famiglia. «Molto gentile da parte tua, Daisetsu-kun. Grazie», disse, con un cordiale inchino.

I ragazzi si guardarono tra loro, alla disperata ricerca di un po’ di autocontrollo pur di non scoppiare a ridere davanti all’infatuazione evidente nei confronti della nuotatrice e della voglia di quest’ultima di gettarsi oltre il parapetto senza neanche dire addio.

«Ecco, mi chiedevo se ti andasse di uscire, uno di questi giorni. Sono molto simpatico!».

Hanamichi dovette nascondere le risa con un attacco di tosse. Nemmeno lui era stato così sfrontato con la sua dolce Haruko!

«Sei molto carino a chiedermelo, ma mi piacciono le ragazze», fu la candida risposta di Reiko.

Nobunaga sputò la bibita che stava sorseggiando a due palmi dal naso di Sakuragi e il resto della compagnia di idioti per poco non si soffocò con la propria saliva. Persino lo stoico Rukawa tossicchiò un attacco di sorpresa.

Le spalle del ragazzino si ammosciarono e divenne rosso come i capelli dei Sakuragi. Borbottò qualche parola di scusa e se ne andò con la coda tra le gambe. Solo allora si lasciarono andare alle risate, mentre quella scuoteva la testa e porgeva i cioccolatini a Takamiya, che stava sbavando senza ritegno da quando erano comparsi in scena.

«Davvero non capisco perché questa storia non esca fuori; non mi lasciano in pace nemmeno così», si lagnò Reiko, cercando conforto tra le braccia del cugino, che ridente le accarezzò i capelli ancora bagnati. La nuotatrice sospirò e dopo un lungo istante di silenzio, scandito solo dai singhiozzi degli strambi amici di Akira, guardò verso Rukawa. «Perché non provi anche tu? So che hai molte fan; se dici di essere omosessuale magari ti lasciano in pace».

Fu così che la combriccola di casinisti rischiò seriamente di morire strozzata dalle risate, mentre quello alzava entrambe le sopracciglia, chiedendosi per l’ennesima volta che razza di problemi mentali avesse quella tizia – a parte condividere una parte di DNA col Porcospino.

«Non ne sarei così sicura, Reiko-san; potrebbe scatenare la reazione opposta», fece Hime, con gli occhi lucidi, mentre Hanamichi e Nobunaga per poco non si ficcarono due dita in gola per vomitare.

«Hai provato a dire che Uozumi ti muore dietro ed è estremamente geloso? O che sei la sua ragazza, funzionerebbe ugualmente», suggerì Akira, accarezzandosi il mento. «Li farebbe scappare tutti a gambe levate».

Quella sbiancò come un fantasma che aveva visto un suo simile sbucare senza preavviso da una parete. «Non osare pensarlo nemmeno!», esclamò lei, terrorizzata. «O va a finire che si mette strane idee in testa e chi se lo scrolla più, poi!».

«Il Re dei Gorilla è innamorato di te?», chiesero in coro le Scimmie della situazione, sganasciandosi a terra senza ritegno. Ormai erano talmente belli che partiti che respiravano a stento.

«Ma come? Ti ho anche prenotato un posto al ristorante dove lavora! Guarda che è un bravo cuoco, così non se ne trovano in giro, io ti avverto. Poi tra vent’anni, quando sarai sola con venti gatti, non venire a piangere da me».

Reiko si afflosciò sul sedile come un palloncino sgonfio, senza neppure la forza di ammazzare quel demente del cugino, e per un microscopico secondo Rukawa fu sfiorato dalla tentazione di provare un po’ di pena per lei. Si riscosse subito da quel momento di follia. I poveri pazzi che le correvano dietro avevano bisogno di commiserazione e un’importante dose di visite dallo psichiatra, non certo lei.

Soprattutto il Re dei Gorilla, povero sfigato.

Insomma, non è che fosse questo grade splendore per morirle tutti dietro. Era accettabile, ecco. A dire la verità, era una gnocca da paura, ma non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura. La detestava, punto. Era la cugina sorridente di Sendoh ed era motivo sufficiente per odiarla. Se poi si aggiungeva il fatto che per qualche strano motivo lei non gli sbavava dietro e preferiva di gran lunga spaccargli le palle a ogni occasione, ecco che non c’era bisogno di ulteriori seghe mentali.

«Ehilà gente», li salutò Kiyo, un asciugamano tra le mani e la tuta dello Shohoku indossata con orgoglio. «Azamui. Ti senti male? Sei pallida».

«Kobayashi, ti piacerebbe», replicò quella, agitando una mano. «Ottima gara».

Kiyo annuì un ringraziamento e prese posto dietro Mitsui, che piegò il capo all’indietro sullo schienale.

«Ehi, bionda».

Gli tirò un buffetto in fronte e un pizzicotto sulla guancia. «Non saresti dovuto venire».

«E sentire le tue lamentele fino alla fine del mondo? Nah», fu la pronta risposta del numero 14. «Sarei venuto anche strisciando, se fosse stato necessario. Eri uno spettacolo».

Kiyo non poté fermare il rossore che le imporporò le guance e sorrise. «Tu invece sembri un rottame».

Hisashi rise. «Stronza. Devo ricordarti il motivo per cui mi ritrovo di nuovo in stampelle?».

L’ilarità negli occhi della ragazza svanì subito e un terribile senso di colpa le fece chinare lo sguardo, come solo poche volte accadeva.

«Ohi, scema». Mitsui drizzò la schiena e si voltò verso di lei, alzandole il mento con un dito. «Scherzavo, ok? Non pensare neanche per un secondo che sia colpa tua o che non l’abbia fatto volentieri. Lo rifarei ancora, se significasse proteggerti da quel bastardo o da chiunque altro. Chiaro?».

Spinta da un rarissimo slancio d’affetto, Kiyo lo abbracciò da dietro, stringendo le braccia al collo e baciandogli l’angolo della bocca. «Grazie».

Un coro di fischi e applausi partì dai sedili accanto ed entrambi sperarono che una voragine li risucchiasse sul posto, pur di non dover guardare gli amici negli occhi dopo quella plateale e pubblica effusione a cui nessuno dei due era abituato.

«Come sono teneri», fece Hime, con le mani sulle guance arrossate.

Mitsui per poco non svenne per eccesso di glicemia. Loro erano teneri? Teneri?! Lui e quella manesca?

Rimasero sugli spalti ancora qualche breve momento prima di andarsene, dato che il motivo della loro venuta era ormai con loro – con grande sollievo del resto del pubblico che non doveva più sorbirsi i loro casini e poteva godersi il resto dei quarti in santa pace.

Fuori continuava a piovere, seppure con meno intensità. Hime si strinse nelle spalle, infreddolita, ma due calde braccia l’avvolsero da dietro per riscaldarla. «Hana!».

Il fratello le scoccò un bacino sulla tempia. «Allora, Hicchan, che si mangia oggi?».

«Mi stai coccolando solo per farmi cucinare?».

«Hanamichi, devi avere proprio istinti da suicida per metterla ai fornelli!», esclamò Yoehi. «Io mi tiro fuori e ordino del ramen».

«Ohi!».

Mito ridacchiò, dandole un buffetto sulla guancia.

«Sei davvero una così terribile cuoca?», domandò Sanako, affiancandosi.

Hime arrossì fino alla punta delle orecchie. «No, è che... ecco, io... mi piace sperimentare».

«Col risultato che finisce come Ayakuccia durante il laboratorio di chimica. Boom!», annuì poco saggiamente Ryota, che infatti ne subì le conseguenze poco dopo.

«Ma insomma! Vi state giocando l’invito a pranzo!», si lagnò la rossa, mentre Nobunaga accorreva in suo soccorso come il prode paladino senza mantello che credeva di essere.

«Hicchan, lasciali dire», la consolò il ragazzo, rubandola dalle grinfie del fratello e coccolandola a dovere. «Cucineremo insieme e non faremo saltare in aria casa tua. E vuoi sapere perché? Ma perché sono il cuoco numero uno di Kanagawa! Hahaha!».

«Il solito esaltato», fu il commento di Rukawa, che lo mandò in bestia.

«Ede, vieni a pranzo da noi?», domandò Hime. Le imprecazioni di Kiyota si sprecarono.

«Ehi! Siamo già un casino, non c’è posto per la Kitsune!», sbraitò Hanamichi, mentre l’altra Scimmia annuiva con foga.

«Tranquillo, Do’aho. Non ho intenzione di venire».

Sakuragi alzò le braccia al cielo, ringraziando gli dei che, per una volta, avevano ascoltato e accolto le sue richieste.

«Perché no?», continuò mogia Hime.

«Devo recuperare il tempo perso per allenarmi».

«Con questa pioggia?», domandò preoccupata Reiko, calandosi una cuffia sui capelli umidi e rabbrividendo fino alle ossa. «Ti prenderai un malanno».

Senza neppure degnarla di una risposta, Rukawa si avvicinò ad Ayako, chiedendole le chiavi della palestra, che lei si portava sempre dietro per ogni evenienza. Quella, titubante, gliele prestò insieme alle solite raccomandazioni sul rimettere tutto a posto e sul chiudere per bene una volta finito. Con un cenno affermativo e una mano a scompigliare i capelli della sua migliore amica, Kaede si avviò verso la metropolitana senza aspettare nessuno.

Accigliata, Hime lo osservò allontanarsi, ma non fece in tempo a chiedersi il motivo di quel malumore improvviso che Nobunaga la riportò alla realtà, circondandole le spalle con un braccio e reclamando le sue attenzioni. Gli sorrise, annuendo. «Allora, Mr. Chef, che prepariamo per questi bisonti?».

Dopo aver salutato tutti, si allontanarono verso casa Sakuragi, insieme ai Gundam e alla coppia dell’anno, Ryota e Ayako. Nel frattempo, Mitsui e Sendoh avevano ripreso il loro battibecco su chi e come dovesse tenere l’ombrello. Il risultato fu che finirono nuovamente fradici fin dentro le mutande, mentre Kiyo e Reiko si scambiavano un’occhiata mesta.

«Sana, vieni a pranzo da noi?», domandò Akira, scostandosi i capelli che ormai gli ricadevano fradici sulla fronte.

La barista divenne paonazza davanti a quello splendore di ragazzo, ma dovette scuotere il capo in segno di diniego. «Io ho... ho un appuntamento con mio padre», mormorò, indicando l’uomo con l’ombrello che l’attendeva al cancello. «Ma grazie lo stesso».

Sendoh le sorrise. «Allora non posso insistere. Sarà per la prossima volta! Passa una buona giornata, Sanako», disse infine, chinandosi per darle un leggero bacio sulla guancia. Quella rimase inebetita, mentre Kiyo l’abbracciava e la ringraziava di essere andata a sostenerla.

Con un sospiro, Sana si volse verso Kiichi Rukawa e agitò una mano per salutarlo, mentre correva sotto la pioggia per raggiungerlo. Con quell’augurio era più che sicura che la giornata avrebbe proseguito in maniera fantastica.

 

 

Continua...

 

 

* * *

 

E dopo tempi ragionevoli per una mente poco ragionevole come la mia, rieccomi qui! Mi sono divertita tanto scrivendo questo capitolo lunghissimo (forse troppo?), ma finalmente le parole sono arrivate una dopo l’altra come un fiume in piena... e chi poteva fermarle? Io no di certo.

Dunque, abbiamo scoperto che Hime non è realmente innamorata di Kaede... ci avevate creduto/sperato/temuto? Mwahaha! Quanti bei casini si prospettano all’orizzonte!

Qualche piccolo appunto per il precedente capitolo: rileggendolo e riguardando vecchi appunti, ho dovuto correggere una svista, ossia che la partita che lo Shohoku dovrà disputare, qualora vincesse contro il Miuradai, sarà quella contro il Kainan – e non il Ryonan come avevo scritto. Inoltre, nel capitolo in cui Hime arrivava con il calendario del campionato, ho specificato che lo Shohoku, così come Kainan, Ryonan e Shoyo, partono direttamente dai quarti di finale, perché ai precedenti campionati sono arrivati tra i Best 4 – quindi saltano le prime partite. Ero convinta di averlo fatto, ma le riletture dopo anni servono anche a questo!

Approfitto per ringraziare chiunque abbia letto il precedente capitolo e HeavenIsInYourEyes per la sua adorabile recensione!

 

A presto e buon fine settimana,

Marta

 

PS: per chi mi segue su facebook e se li fosse persi, ecco cinque acquisti che ho fatto di recente per sollevarmi il morale. Non sono stupendosissimi? Also, dato che sono tornata pseudo-attiva anche su quei lidi, sentitevi liberi di aggiungermi. Non mordo. ;)

 

   
 
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