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Autore: Drago Rosso Sangue    10/09/2016    1 recensioni
Charles ed Erik... Il cui amore è come la guerra che li divisi per sempre.
Questa storia narra di tre momenti della loro vita... Quando erano ancora giovani e puri, davanti alla statua di Lincoln; una decina d'anni dopo in una prigione di massima sicurezza nel Pentagono; e in un freddo giorno in cui forse, si coronò il loro sogno, anche se ormai macchiato dalla vecchiaia.
Spero che questa storia vi piaccia... E ringrazio tutte le persone che l'hanno letta prima di ripubblicarla, anche se mancavano i dialoghi, e Franny che mi aveva scritto una meravigliosa recensione :3
Drago
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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MOMENTS
 
 

 
 
 
1962
Lincoln Memorial
 
Il tramonto sta calando, espandendo i suoi bagliori arancioni su tutta la gradinata e le colonne fitte di scanalature.
La statua del vecchio presidente, superbo sul suo trono, osserva tutto il paesaggio che gli si apre dinnanzi, lo specchio d'acqua, gli alberi, l'obelisco in lontananza, e anche noi, io ed Erik, qui a goderci un'amichevole partita a scacchi, dandogli la schiena.
Come siamo maleducati.
La luce ambrata mi ferisce gli occhi, e la forte presenza di Erik al mio fianco mi attira come una calamita, quasi fossi io ad avere la capacità di controllare i metalli.
Cercando di essere il più discreto possibile, voltando il viso nella sua direzione, il sole sulla guancia a riscaldarla e gli scacchi tra di noi, lo osservo in silenzio, sentendo gli occhi pizzicarmi e le guance scaldarsi all'improvviso.
Cosa mi prende?
Distolgo lo sguardo dal suo profilo perfetto, così duro nei lineamenti ma estremamente bello, iniziando a scrutare la scacchiera di legno.
Mi sfugge un sorriso ironico.
Sto perdendo, la situazione sul campo non è delle migliori per me.
Erik è molto bravo, un vero stratega, ma devo ammettere che gli scacchi non sono mai stati il mio forte, nonostante mi rilassi giocare un paio di partite ogni tanto, mi sgombera la mente sempre affollata.
Erik sembra così concentrato, perso nello sguardo infuocato del tramonto che avvolge tutta la sua figura in un'aura mistica, quasi divina, accentuando al massimo quella splendida immagine, accarezzando con il calore dei raggi morenti i suoi alti zigomi, i suoi impeccabili capelli biondo scuro, fino al ventre piatto fasciato dal dolcevita nero, i pantaloni bianchi.
Mille emozioni prendono il possesso della mia mente, diramandosi dal cuore che, per una ragione a me sconosciuta – o forse no? - ha preso a battere con maggior frequenza.
Ad un tratto, Erik si volta verso di me, ed io sussulto involontariamente; lui sembra non prestarvi molta attenzione, semplicemente si sporge appena per spostare la torre, elegantemente.
Abbozza un sorrisetto compiaciuto, sa che sta vincendo, per poi tornare a fissare il riflesso del sole sullo specchio d'acqua in lontananza, come se fosse l'unico particolare degno di nota in questo momento.
Continuo a posare il mio sguardo sulla scultorea figura di Erik, fino a quando non prendo una decisione avventata, la mente completamente scollegata dalle mie azioni.
È come magnetismo.
Annullo la distanza tra di noi, non importa se le pedine cadono come travolte da un uragano sotto le mie mani; lui mi guarda spaesato, quegli occhi di ghiaccio agiscono da calamita sui miei, e li incontro, mi perdo nelle venature argento e azzurre.
Non mi rendo conto veramente di ciò che sto per fare, semplicemente mi lascio trasportare da quello che provo.
Abbasso appena le palpebre per lanciare un fugace sguardo alla sua bocca sottile, appena socchiusa per lo stupore, avvertendo nello stomaco l'impulso sfrenato di baciarle; e quindi mi avvicino sempre di più.
Manca così poco…
La mia bocca si appoggia sulla sua, silenziosa, mentre trattengo il respiro e sento Erik sussultare, sorpreso.
Mi costringo a serrare gli occhi con forza, i pensieri in subbuglio: è la paura, è l'adrenalina, il timore di essere rifiutato e l'agitazione dell'iniziativa.
Lui resta immobile, io pure, e le nostre labbra sono ferme le une sulle altre.
Una fitta mi trapassa il cuore, provocandomi un conato.
Dio, ho sbagliato tutto, cos'ho fatto?
Deglutendo a vuoto, provo ad allontanarmi, ho voglia di sparire all'istante, la mia bocca si stacca di poco da quella di Erik, deluso da me stesso e anche dall'uomo che mi siede accanto, ma una mano mi blocca, mi tiene lì vicino non lasciandomi alcuna via di fuga.
È calda e si insinua tra i miei capelli sulla nuca, così dolcemente che mi sento arrossire nuovamente.
E questa volta apro gli occhi, scontrandomi ancora con quelli di Erik, che non mi vuole far allontanare.
Perché?
Nelle sue iridi color tempesta scorgo un'infinita dolcezza che non avevo mai visto prima in lui, forse nascosta nel profondo del suo cuore ferito.
Avevo ragione.
Io lo avvertii subito, quando lo incontrai per la prima volta, in quel mare che infuriava attorno ai nostri corpi fradici.
 “Erik, calma la tua mente” gli avevo detto insinuandomi tra i suoi intricati pensieri.
Ricordo che si era voltato verso di me sconvolto, solo il volto bagnato bucava la superficie dell’acqua, mormorando: “Ho sempre creduto di essere solo”, quasi piangendo.
E fu allora che mi resi conto che, sotto tutta quella rabbia che lo corrodeva, esisteva anche del buono, ed era tanto, molto di più di quanto potesse immaginare persino lui stesso.
Doveva solo liberarlo dalla gabbia d’ira che gli attanagliava il cuore.
Forse fu proprio questa la consapevolezza a farmi dire: “Non sei solo”, incontrando i suoi splendidi occhi che mi incatenarono senza alcuno scampo.
Ora, avvolti dalla luce dorata dell’imbrunire, mi rendo conto che forse quelle sbarre che gli sigillavano la serenità si sono incrinate senza che nemmeno me ne accorgessi, lasciando intravedere – a me soltanto – uno spiraglio della sua splendida anima.
 “Charles…”  sussurra il mio nome talmente flebilmente che sono costretto a leggere il movimento delle sue labbra per comprendere quello che ha detto, deglutendo sonoramente.
Sulla difensiva, comunque in estremo imbarazzo per ciò che ho fatto istintivamente, gli appoggio una mano tremante sull’avambraccio, premendo per allontanarlo, pur non essendone del tutto convinto, le guance in fiamme, la calda mano di Erik ancora tra i miei capelli, ad accarezzarmi lentamente le ciocche lunghe.
Tutta la mia attenzione pare essersi concentrata lì, attorno alle dita di Erik che si muovono sulla mia nuca, facendomi affluire di più il sangue al viso.
Abbasso gli occhi sentendomi profondamente scrutato dallo sguardo dell’altro.
 “I-io… non volevo, non so cosa m-mi sia preso… E-erik, mi… mi spiace… Io non…” balbetto impacciato con una grandissima agitazione in corpo, ma mi interrompo di colpo quando sento la mano di Erik stringersi con maggiore forza attorno ai miei capelli e lo scorgo avvicinarsi a me da sotto le ciglia, stringendomi in un abbraccio contro di sé.
Trattengo il respiro.
Il mio cuore perde un battito, forse più di uno.
Il petto di Erik è caldo, e il suo profumo mi riempie le narici, sembra quasi un sogno; il suo respiro corre accanto al mio viso, mi sfiora una guancia, raggiunge la tempia e lì si appoggia, le sue labbra e la punta del suo naso tra i miei capelli, lasciandomi un dolcissimo bacio che mi fa sciogliere.
Sospiro estasiato.
 “Charles” mormora ancora lui, e lo sento sorridere contro la mia fronte.
Mi scosto appena quel tanto che basta per osservarlo in viso: ha gli zigomi un poco arrossati e le labbra leggermente incurvate all’insù, per non parlare del brillio nei suoi occhi…
Quanto è tenero.
 “Erik” lo chiamo con la voce incrinata, come una supplica, alzando il mento verso il suo volto splendido, richiedendo un bacio vero, corrisposto.
Chiudo gli occhi quando lui si avvicina, il cuore mi batte all’impazzata per l’emozione e quindi stringo il suo braccio con forza.
Le nostre bocche si congiungono, e questa volta non c’è imbarazzo, non c’è esitazione, solo consenso e voglia di avere di più dall’altro.
Che bella sensazione.
Un piacevolissimo calore mi sale all’altezza dello stomaco: le labbra di Erik si muovono sopra le mie, aperte, bollenti, richiedendo l’accesso per la mia bocca, e io acconsento, schiudendo a mia volta le labbra, scontrando la mia lingua con la sua, violentemente.
Questo è il bacio più bello e passionale che qualcuno mi abbia mai dato.
È tutto calore, miele che mi scende giù per la gola.
Le nostre labbra si sfiorano senza alcun timore, e le nostre bocche sono una dentro l’altra, a catturare i respiri di ognuno, mentre le nostre lingue giocano e danzano come due amanti accompagnati dal suono immaginario di un valzer.
Decido di approfondire il nostro contatto, di andare più a fondo.
Lascio che il mio potere fluisca indisturbato, amplificato dall’amore che sento nel cuore.
Quando la mia mente si insinua in quella di Erik, ciò che provo è talmente intenso da farmi sentire come se stessi morendo, o meglio, come se la mia anima stesse lasciando questo corpo per volare lontano.
La passione di entrambi si amalgama, diventando un unico, grande sentimento struggente, e i nostri cuori battono veloci all’unisono, le nostre labbra scivolano le une sulle altre, bollenti, umide, assecondando questo ritmo sinfonico che appartiene solo a noi.
Mi sento mancare il respiro.
Così, ad un tratto, sentendo il bisogno di aria; ma non voglio staccarmi da lui, perché qui e ora, avvolto dalle forti braccia di Erik, con il suo cuore che scontra i propri battiti col mio, mi rendo conto che è questo il luogo dove voglio stare, il luogo al quale appartengo veramente, privo di pregiudizi e colmo d’amore.
Erik.
Erik e lui solo.
Erik è la parte mancante della mia anima.
Ci stacchiamo ansanti, purtroppo, con i polmoni e le labbra che bruciano.
Mi sento anche le guance in fiamme, probabilmente anche tutto il mio corpo sta ardendo, e non ho il coraggio di guardare Erik, soprattutto perché lui ha appoggiato la sua fronte fresca sulla mia bollente e sta respirando piano contro la mia bocca socchiusa, riprendendo fiato, intanto che le sue dita giocano con le ciocche dei miei capelli, una ad una si attorcigliano attorno alle falangi.
Lentamente, sciolgo il contatto tra le nostre menti collegate, turbinanti di emozioni, pulsanti di vita, avvertendo in me un grande senso di vuoto quando anche l’ultimo tentacolo della mia coscienza scivola via da quella meravigliosa, quanto pericolosa, del ragazzo che mi stringe a sé.
Lui mugugna qualcosa e sfrega la punta del suo naso sulla pelle del mio, invitandomi a guardarlo: e così faccio, schiudendo gli occhi languidamente per tuffarmi nella tempesta continua che imperversa nelle iridi di Erik; in questo momento è abbastanza placida quella bufera e il grigio uniforme pare una lamina di puro argento, magnifico.
Ha gli occhi lucidi, le pupille dilatate per le forti emozioni che prova, specchio dei miei stessi sentimenti, e un sorriso - che mi porta a sfiorare l’assuefazione – gli disegna quelle labbra bellissime, tutto grazie all’amore che finalmente sono riuscito a confessargli, se non così esplicitamente.
Mi perdo nuovamente nella tempesta.
Lui vorrebbe dirmi qualcosa – quel magico ‘qualcosa’ – ma le parole gli vengono meno e gli sfugge un sospiro.
Ma io la leggo nei suoi occhi quella frase, lì in quelle iridi di ghiaccio fuso, e il mio cuore si scalda liquefacendosi nel catturare ogni lettera fino a formare quel ‘ti amo, Charles’ che fatica a pronunciare da quanto è emozionato.
Sorridendo a mia volta, gli lascio un casto bacio a fior di labbra, talmente leggero da esser paragonato al soffio del vento, ma subito dopo sobbalzo nel sentirmi sollevare da Erik senza il minimo sforzo, il quale poi mi appoggia delicatamente sulle ginocchia, cingendomi la schiena con le sue forti braccia.
Resto immobile nel suo abbraccio, lasciando che lui mi sfiori prima una guancia rovente, poi l’orecchio, e lì si sofferma, soffiando con la sua voce roca: “Ti amo, ti amo, Charles. Charles, Charles, Charles… Charles…” e così mi lascio andare completamente alle sue dolci attenzioni.
Anche io lo amo.
E tanto.
Glielo dico con la mente, forse è solo una scusa per allacciarmi ancora alla sua coscienza e sentire come mi riempie l’anima.
Ti amo, Erik.
La presa su di me aumenta, possessiva, protettrice.
Calore.
Con un dolce sorriso sulle labbra, mi accoccolo contro il suo forte petto e mi lascio trasportare dalla sua voce che, come una litania, continua a sussurrare il mio nome.
 
 
-- o --
 
 
1973
The Pentagon
 
Perfetto.
Sono bagnato fradicio, completamente inzuppato dai getti dell’allarme antincendio, e quell’armadio di Logan, piombato nella mia decadente dimora pochi giorni fa imponendomi un destino con il quale non desideravo più avere contatti con la scusa – sì, è una scusa! – di essere venuto dal futuro, ha appena messo al tappeto due guardie di polizia.
Guardie di polizia dell’area più sicura di tutto il Pentagono di Washington, beninteso.
Pazzesco, non immaginavo di arrivare a tanto.
‘Niente violenza’ mi ero ripromesso.
Ma qualcuno mi dà mai ascolto?
In più, come se non bastasse l’orrenda situazione in cui ci troviamo, lui mi sta fissando con un’espressione alquanto irritante, a metà tra lo scherno e l’esasperazione.
 “Scusami tanto, non avevi finito?” mi domanda allargando le braccia, allusione al mio improvvisato teatrino sull’improbabile evacuazione finito poi in tragedia, colpa sua, sia chiaro.
 “Non sono per niente bravo con la violenza…” mi difendo, compiendo una mezza torsione col busto in modo da guardare Logan dritto in volto, che ha stampato sulle labbra un sorriso sarcastico, la fronte aggrottata.
In quel momento le porte dell’ascensore si aprono col loro inconfondibile suono metallico; colto alla sprovvista, mi volto di scatto giusto in tempo per osservare le porte argentate spalancarsi come un sipario, e me lo trovo lì davanti, pallido e sciupato, avvolto nella tuta grigia da carcerato.
Erik mi fissa come fossi un miraggio – gli occhi grigi sbarrati nei quali turbina la tempesta racchiudono un luccichio di vita, forse il primo dopo anni di prigionia -, sembra quasi felice di vedermi, e anche sorpreso, dopo tutto questo tempo lontani.
 “Charles” sussurra a mo’ di saluto, abbozzando un mezzo sorriso, un po’ in imbarazzo, anche abbassando appena gli occhi.
Non resisto.
Ancora prima che possa aggiungere altro, gli assesto un pugno talmente forte che lo faccio cadere a terra, contro il freddo metallo, e io perdo l’equilibrio, sbilanciandomi in avanti dopo un paio di passi sconclusionati, sostenendomi poi con la parete dell’ascensore.
Un dolore atroce si propaga dalle nocche fino ad avvolgere tutto il braccio.
Dannazione, quanto fa male.
Sento Logan sogghignare dietro di me, sicuramente schernendomi per lo sfogo così improvviso: ho seriamente aggiunto una figuraccia in più alla mia epica, lunga lista degna dell’idiota che sono, soprattutto dopo avergli detto che non ero incline alla violenza.
 “Anch’io sono felice di vederti, vecchio mio!” si permette di scherzare Erik, nel suo fastidiosissimo sarcasmo onnipresente, passandosi una mano sullo zigomo offeso, gli angoli della bocca ancora inclinati all’insù.
Ha una faccia talmente irriverente che a stento riesco a trattenermi dal non prenderlo anche a schiaffi.
Mordendomi la lingua, mi reprimo dall’ammazzarlo di botte in questo preciso istante, gli occhi di Erik fissi su di me, in attesa, e mi chino su di lui allungando un braccio nella sua direzione.
Lui lo afferra con sicurezza e si aiuta ad alzarsi puntellandosi sulle scarpe, anche perché io non sono proprio un uomo molto forzuto, fino a trovarsi esattamente dritto di fronte a me, mi supera di circa una ventina di centimetri.
Scruta in silenzio i miei cambiamenti.
Mi sento tremendamente sotto esame e a disagio, come mai prima d’ora mi era capitato in sua presenza.
Con la faccia tosta che mi è venuta in questi ultimi anni, alzo il mento in segno di sfida in direzione di Erik – mi sento la barba bagnata, così come i capelli che mi si incollano ai lati del collo – e con un sorriso sghembo, mi risulta difficile comunicarglielo, gli riporto la disperata richiesta di Logan: “Non ti ho liberato perché tengo a te, sia chiaro” dico, caustico, osservando con una certa soddisfazione l’espressione di Magneto cambiare radicalmente, farsi rigida, e freddi gli occhi già ghiacciati di natura. “Abbiamo bisogno del tuo aiuto, dei tuoi poteri”, quanto ne va del mio orgoglio in casi come questi? “Il mio amico qui, Logan, è stato mandato dal futuro per salvare il nostro avvenire, ma per farlo abbiamo anche bisogno di te” e così spiegando, indico distrattamente l’uomo dietro di me.
Logan ci osserva in silenzio, teso come una corda di violino, e Peter – dotato di una velocità sovrumana e una zazzera di capelli argentei in testa – fa lo stesso, solo più ingenuo e curioso, anche rilassato, direi, tipico del giovane ragazzo che è, alquanto immaturo, come se stesse assistendo alla scena di un film che lo coinvolge solo per metà.
Erik si dipinge sul volto stanco e ceruleo un cinico sorriso di scherno, inclinando il capo di lato.
 “E chi ti fa pensare che aiuterò te e i tuoi cari studenti?” soffia acidamente, incrociando le braccia al petto.
Ormai al limite della sopportazione.
Inaspettatamente – non mi capacito nemmeno io da dove mi venga tutta questa audacia, amplificata dalla rabbia che sto provando – lo afferro per il bavero, digrignando i denti, prima di rispondergli per le rime, perché ora so anch’io come si fa, è sparito il Charles ottimista, carico di positività e certo della bontà presente in ogni essere vivente, ingenuo e stupido come un bambino viziato appena uscito da casa.
 “Perché non sono stato solo io a mandare Logan qui. Anche tu l’hai fatto, assieme a me!” quasi gli urlo contro.
Scende un silenzio carico di tensione e frasi lasciate sospese a mezz’aria tra di noi, l’ho spiazzato con questa rivelazione; pare che sia calato il gelo nell’abitacolo dell’ascensore – o forse sono io che sento freddo per via degli abiti bagnati?
Ci guardiamo negli occhi, intensamente.
A lungo.
Anche senza i miei poteri posso avvertire lo sguardo curioso di Peter accanto a noi e quello perennemente annoiato di Logan sulla mia schiena.
Tutto attorno a noi è in attesa, ma solo noi – io de Erik, semplicemente Charles e Erik – esistiamo in questo momento.
Ho allentato la presa sulla sua tuta, il braccio mi ricade come privo di vita lungo il fianco, inerme come lo sono le mie gambe private del potente siero che permette loro il movimento.
Aspetto.
Poi Erik abbassa di poco il capo, quasi rassegnato, il suo sguardo tempestoso sfugge al mio.
 “Va bene. Ti aiuterò, Charles.”  dice, e il mio nome pronunciato da lui si carica di qualcosa in più, qualcosa che mi colpisce dritto nel cuore che per tanto, troppo tempo era rimasto freddo nel mio petto.
Una scintilla, un battito appena più veloce del normale.
Di slancio, lo afferro nuovamente per il bavero e lo bacio con violenza, stringendo poi entrambe le mani dietro la sua nuca, i suoi corti capelli biondi mi solleticano la pelle dei palmi.
Dieci anni.
Dieci maledettissimi anni.
Erik neanche resiste, si lascia andare completamente iniziando ad esplorarmi la bocca con la propria lingua, come era solito fare un tempo.
Questo bacio – oddio, il suo bacio – è passione allo stato puro, lo sfogo di amore e di desideri repressi per ben dieci anni, rimasti prigionieri in una villa troppo grande, con troppe memorie al suo interno, e in una cella di massima sicurezza troppo angusta e silenziosa per non perdersi nei ricordi, un concentrato del dolore di Erik per avermi lasciato andare, e anche della mia sofferenza per aver permesso a lui di allontanarsi da me, senza essere riuscito a salvarlo.
Mi avvolge i fianchi con le braccia nello stesso momento in cui mi sento spingere contro il suo corpo, cullato dalla meravigliosa sensazione di averlo ancora accanto, con la sua bellezza tanto dura e fredda, con ogni suo pregio e difetto che non posso fare a meno di elogiare o di criticare ogni volta che poso solo il mio sguardo su di lui.
Quanto mi mancava.
Le sue mani scivolano lungo la mia schiena, possessive, insinuandosi sotto la giacca e la camicia, fino alla pelle, senza la minima vergogna.
Mi lascio sfuggire un gemito tra le sue labbra, subito smorzato dalla sua bocca vorace che cerca la mia, la chiama disperatamente senza emettere un solo suono, la vuole, mi vuole.
Ha le mani calde, Erik; le sento mentre mi accarezzano delicatamente i fianchi e la zona bassa della mia spina dorsale, là dove ancora risalta quella cicatrice infame – dolorosi ricordi e dissapori che entrambi potevamo semplicemente evitare -, mandandomi brevi e intense scariche di piacere in tutto il corpo.
Sussulto nel momento in cui le dita di Magneto accennano a voler violare l’orlo dei miei pantaloni, ma non ho né la forza, né la minima voglia di fermarle.
Mi spingo maggiormente contro di lui, i nostri bacini cozzano senza alcun pudore.
Rimarrei qui a baciarlo per l’eternità, il suo sapore sulle labbra, il suo respiro nel mio; vorrei sentire le sue mani su di me più a lungo, più a fondo, andare oltre, come quelle volte a Westchester quando dormiva nel mio letto per smaltire la stanchezza dopo notti d’amore e le nostre menti restavano vuote, solo la consapevolezza di noi stessi l’uno nell’altro ci riempiva in quei magici momenti.
Resterei con Erik fino alla fine dei miei giorni, congelando questo tempo infausto, questi dolcissimi attimi per sempre, se non fosse che…
 “Eh-ehm, se non vi dispiace, piccioncini, dovremmo andare… Mi rincresce interrompere un momento così intenso, ma a breve questo posto si riempirà di guardie armate.” ci informa tranquillamente Logan, pragmatico e paziente come suo solito, stringendosi nelle spalle, neanche lontanamente pentito di averci bloccati, privandoci di quei pochi attimi struggenti solo a noi riservati, dopo anni di astinenza e lontananza.
Mi stacco velocemente da Erik, affannato e paonazzo in viso.
Ho ancora sulle labbra la consistenza di quelle morbide di Magneto, e la pelle della schiena mi pulsa nelle parti dove le sue dita l’hanno solcata.
Non ho il coraggio di incrociare il suo sguardo magnetico.
Peter sogghigna, abbastanza soddisfatto della scena alla quale ha appena finito di assistere, e anche piuttosto divertito – chissà quali pensieri osceni passano per la testa di quel ragazzino…
Arrossisco miseramente, neanche fossi un adolescente alla prima cotta, e, notando il sorriso compiaciuto di Erik – lo scorgo con la coda dell’occhio – mi sento avvampare ulteriormente.
A testa bassa, passo le mani sulla giacca sgualcita, cercando di conferirle il suo antico ordine, borbottando: “Sì, sì, andiamo” mentre esco con nonchalance dall’ascensore, provando a dimenticare l’essenza di Magneto, con i soliti scarsi risultati, ed evitando di proposito gli occhi ammiccanti di Logan, seguito da Peter e da Erik, che brucia la mia schiena con lo sguardo ardente di passione trattenuta.
Come avrà fatto un uomo così speciale ad innamorarsi tanto intensamente di me?
Non appena siamo tutti e quattro nella cucina ancora bagnata, le docce continuano ad effondere la loro finissima acqua su di noi, convinte che ci sia un incendio in corso – grazie mille, Hank – le porte dell’ascensore alle nostre spalle si chiudono e contemporaneamente si spalancano quelle davanti a noi, riversando nella stanza cinque stoici poliziotti, armati di pistole e molto, molto arrabbiati.
Ci puntano le armi contro con una sicurezza spavalda degna degli uomini che temono chi è diverso da loro.
E noi siamo diversi.
Le ossa candide lacerano le nocche delle mani di Logan, impressionanti, mostrandosi alla tremolante luce al neon, minacciose.
Ma l’uomo che amo è al mio fianco, non devo temere nulla, non ce n’è alcun bisogno.
Guardo Erik, che mi sorride complice.
Con dolcezza.
Sappiamo entrambi come agire in situazioni come queste.
Anche senza la mia telepatia.
Sorrido a mia volta.
 
 
-- o --
 
 
About 50 years later
Westchester
 
Questa villa sta ormai decadendo, la mia casa di sempre: guardo la cucina e rivedo Raven da bambina, tutta blu, nuda e senza pudore, chinata accanto al frigorifero in cerca di qualcosa da mangiare; ascolto il frusciare delle foglie tra gli alberi e ad esso si confondono gli echi lontani di risate, parole, discorsi seri o buffi che intrattenevano me e i miei giovani allievi mentre passeggiavamo per il parco; la polverosa condizione di disordine del mio vecchio studio, con le due poltrone e la scacchiera al centro, si sovrappone alla calda immagine delle serate d’estate passate e giocare con Erik, seduti l’uno dirimpetto all’altro con un bicchiere di bourbon; se entro nella mia vecchia camera da letto e mi soffermo sul letto, posso ancora vedere il mio corpo bianco intrecciato a quello di Erik tra il sudore e le lenzuola, il suo profumo nell’aria, in quei tempi giovani quando ancora non ero costretto sulla sedia a rotelle e tutto era migliore.
Ora tutto è cambiato, e la mia casa, la mia vita, come il mio cuore pieno di crepe, è andato in pezzi assieme a tutto ciò che con tanta determinazione e sacrificio avevo creato, tutto in frantumi a causa di una guerra priva di senso che mi ha portato via l’unica persona che avevo amato, quella persona che è il mio nemico e che ora si sta incamminando verso di me, avvolto nel suo mantello rosso.
La sua figura si staglia contro il cielo opaco e i profili degli alberi, provato dagli anni, i capelli bianchi scompigliati dal vento, gli occhi di ghiaccio spenti per l’età, immobile e quieta è la tempesta che li aveva animati in gioventù.
Non posso fare a meno di considerarlo ancora l’uomo più bello che abbia mai visto sulla faccia della Terra.
Dal basso della mia posizione sulla sedia a rotelle, gelida a causa della brezza che la sferza, le gambe immobili protette da una pesante coperta dalla fantasia scozzese, che ricade ai lati delle ruote drappeggiandosi come una sfarzosa gonna ottocentesca, osservo ogni suo movimento appesantito dall’età mentre si avvicina, passo dopo passo, alla mia stanca figura.
Che povero professore sono diventato, anima insulsa, senza studenti, senza amici – quei pochi che sono rimasti al mio fianco li sto proteggendo al massimo delle mie forze -, separato anni luce dall’unico sogno che davvero avrei voluto coronare, e ancora quel desiderio è forte e indelebile nel mio petto.
Nonostante la mia età avanzata, riesco ancora ad arrossire in presenza di Erik, avverto il calore sulle mie guance pallide quando i nostri respiri un poco tesi si condensano nell’aria novembrina diventando un’unica nube evanescente, e nel guardarlo fermarsi davanti a me, mi chiedo che cosa veda, ora, ogni volta che posa il suo sguardo su di me, nell’uomo che oltre sessant’anni fa aveva amato come sua sola ragione di vita, unico ancoraggio per non rimanere sommerso del tutto dall’oscurità che lo divorava, nata dalle terribili memorie del Lager e dalla sete insaziabile di vendetta.
Deglutisco rumorosamente sollevando gli occhi, incorniciati da profonde occhiaie scure, contornati da sottili rughe, fragili come fili di ragnatela, e incontrando i suoi, affranti – chissà, noterà nelle mie iridi quel brillio azzurro, che tanto aveva lodato quando restava con me le notti, giacere privo di speranza nel fondo buio delle pupille?
 “Charles” sillaba lui lapidario, con la sua profonda voce roca, poco è mutata in questo tempo in cui la vecchiaia ha consumato entrambi.
Scandisce solo il mio nome, nome che racchiude tutte le lotte, tutti i rimpianti, forse una reminiscenza dell’antico affetto che ci legava prima del doloroso declino, nulla di più.
Per un istante rimango spaesato, mi fa ancora troppo male ascoltare il suono del mio nome pronunciato da lui, in qualunque modo lui lo dica, ma poco dopo mi accorgo di un particolare che non avevo notato prima, durante il suo arrivo: il suo elmo, quello che gli mascherava i pensieri in un’assoluta e innaturale immobilità, non gli circonda la testa, bensì è appoggiato al suo fianco, stretto tra lui e l’incavo del gomito piegato.
Non ha la minima intenzione di indossarlo.
Trema come se fosse sul punto di crollare, insolito per l’imperturbabile Magneto.
 “Erik” gli rispondo, nascondendo dentro di me il tremito che minacciava di farmi incrinare la voce, mai mostrare al nemico la propria debolezza, quel dolore che, da quando ho osservato per l’ultima volta la sua schiena sparire oltre la porta del mio studio, si è propagato in tutto il mio corpo fino a lacerarmi l’anima in maniera irreversibile, e che ora minaccia di far cadere il muro che in questo tempo lontano da lui mi sono costruito anche contro la mia stessa volontà, avendolo in questo momento così vicino, come se neanche fossimo nemici, ma semplici anziani in un parco in rovina.
Come tanti anni fa, quasi si materializzasse un ricordo lontano, i nostri occhi antichi si incontrano, azzurro intenso nel grigio, e migliaia di emozioni mi affollano la mente – nostalgia, rabbia, amore, disprezzo, indignazione… dolcezza – tutto aggrovigliato in un unico gomitolo senza inizio né fine.
Erik mi fissa profondamente, infondendo in quel contatto di sguardi un’intensità che mi fa fremere.
 “Non voglio la tua sofferenza, Charles” inizia lentamente, forse è sincero, ma non voglio distruggere il precario equilibrio tra di noi violando la sua mente senza permesso, ora che ne ho la possibilità.
Quindi, aspetto in silenzio, pensieroso, spostando le mie mani chiuse in grembo sopra i braccioli della sedia.
 “Abbiamo idee diverse… È per questo che siamo nemici… Ma io… Io… Io…” farfuglia e si blocca, non riesce a continuare, si tormenta le mani come se si sentisse estremamente a disagio.
È forse una resa?
Non è forse questo il motivo per cui abbiamo deciso di accantonare le armi, dopo anni di morti e vendette reciproche, per incontrarci e chiarire una volta per tutte?
Poi Erik getta lontano quell’elmo che fu la causa di tutto – o una delle maggiori -, un gesto inaspettato dal mio punto di vista, e pare che stia per piangere, allontanando ogni pudore; com’è strana la fragilità che mi sta mostrando Magneto, il grande Signore del Magnetismo.
L’oggetto metallico atterra sull’erba con un tonfo smorzato, e dopo esser rotolato per pochi centimetri si ferma, cimelio del male che Erik ha causato a me, ai mutanti e a tutti gli uomini della Terra.
Ma ora tutto potrebbe finire.
Sento il magone salirmi dallo stomaco in subbuglio e fermarsi in gola, si àncora alla carne della laringe con i suoi artigli invisibili, tanta tristezza mi attanaglia i pensieri.
 “Basta combattere, Erik” gli dico con voce sussurrante, trattenendo le lacrime che minacciano di lasciarsi cadere dai miei occhi. “Tutti questi anni sprecati per nulla, quando potevamo semplicemente amarci e non pensare più al resto!” e questo è uno sfogo trattenuto per decenni, pressato nell’angolo più buio della mia mente per non lasciarmi andare allo sconforto, per mantenermi impassibile agli orrori e alla distruzione, e per infondermi la forza di andare avanti.
Ho colpito il suo cuore.
Proprio nel centro.
Lacrime amare scendono dagli occhi spenti di Erik, bagnandogli le guance scarne solcate dalle rughe, e le sue spalle tremano, tremano tanto.
 “Hai ragione… Hai ragione, Charles” esclama allargando le braccia, è crollato ormai il suo muro di metallo, il mantello si muove lento nel vento notturno. “Che sciocchi siamo stati a non capire, a non accettare che quello che provavamo l’uno per l’altro era abbastanza per entrambi… Concedimi un’altra possibilità, Charles. Io ti amo, e lo sai, lo sai meglio di chiunque altro” mi prega, mi supplica, mi implora, squassato dal pianto liberatorio.
Appare così diverso dall’Erik che conoscevo, rigido e chiuso sempre in se stesso, mai un’incrinatura.
Ora è vulnerabile.
 “Sì, lo so Erik. E ti amo anche io. Ora resta con me” gli sussurro, distendendo i miei lineamenti in un dolcissimo sorriso, rivolto solo a lui, uno spiraglio di luce nel grigio di Novembre.
Allora Erik si abbassa su di me, appoggiando le mani sopra i braccioli della sedia a rotelle e sfiorandomi le dita che li stringono, amorevolmente, e, senza chiedermi niente, accosta le sue labbra alle mie.
Sento tutte le mie terminazioni nervose entrare in corto circuito e il sangue sciogliersi nelle mie vene che hanno appena preso fuoco.
Questo bacio è diverso da quelli che ci scambiavamo da giovani, è più delicato, più attento, più calmo, quasi avesse paura di spezzarmi sotto di lui.
Mi fa impazzire.
Gli allaccio le braccia attorno al collo, la schiena mi fa un po’ male, ma non ci bado, troppo concentrato sul sapore di Erik che mi invade la bocca, e la consistenza delle sue labbra che modellano le mie: è come ritornare là, a quella prima volta sulle gradinate del memoriale a Lincoln, rischiarati dalla luce ambrata del sole.
Le mani tiepide di lui salgono ad avvolgermi il volto glabro, prima di staccarsi da me, le labbra sottili socchiuse e il respiro corto, le guance arrossate non per il freddo.
Sorride, Erik, e questa sua felicità gli accende le iridi di ghiaccio di pura gioia, risvegliata dal profondo del suo cuore.
Placata del tutto è la loro tempesta.
Le mie mani si aggrappano ai suoi polsi e, chiudendo gli occhi per l’emozione, appoggio la mia fronte sulla sua.
Non poso fare a meno di sorridere genuinamente dalla contentezza che mi languisce le membra anziane.
 “Ricominciamo ancora” gli mormoro stancamente sulle sue labbra, sentendolo annuire con vigore, il suo naso dritto che sfrega contro il mio, affettuosamente.
D’ora in avanti ci sarà ancora lui, ancora Erik, a portare la luce nelle mie giornate, a scaldarmi il cuore con la sua magnifica essenza, senza guerre a ostacolare il nostro grande amore, prima che arrivi la nostra fine, e lo sento veramente mio per la prima volta.
Solo mio.
Perché sì, lo compresi e ne divenni consapevole anni fa davanti a un tramonto come tanti, in una sera di Giugno come altre, Erik è DAVVERO la parte mancante della mia anima.
E lo sarà per sempre.
 
 
- FINE -
 
 
 
 
 
Angolino del Drago
 
Buonsalve a tutte!!! Questa è la mia seconda Cherik! In realtà è la prima, perché l’altra (In the middle of the night… etc) l’avevo scritta dopo, ma era più veloce da ricopiare al computer -.-‘
Però, eccomi di nuovo in questo fandom che letteralmente AMO!!!!!! XD XD
Mi sono appassionata alla Cherik quando, proprio casualmente, mi sono imbattuta nei meravigliosi disegni di Thacmis su tumblr (consiglio di guardarli tutti), che è una Cherikdipendente sfegatata.
All’epoca non conoscevo i due banani e quindi sono andata a fare ricerche.
E quando ho scoperto che erano i personaggi top di X-Men (e gli attori sono dei fighi assurdi e già erano i miei amori proibiti… James… *-* Michael… *-*) mi sono fatta tutta la maratona dei film fino ad Apocalypse!!
Ora sono una fan 100%!!!!!
Grazie a chi mi segue, a chi ha letto e a chi leggerà, grazie a chi recensirà.
Grazie anche a Franny87, Yoora e Arsea per aver recensito la storia precedente: ragazze, mi avete fatta piangere dall’emozione!!
Un saluto e molti baci, tornerò presto!
 
Drago :3
 
P.S. Ora i dialoghi ci sono tuttiiiiiiiiiiiiii!!!!!!! XD
  
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