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Autore: FRAMAR    10/09/2016    28 recensioni
Con la faccia affondata nel sacco a pelo, ho le lacrime in pelle e devo e devo inghiottirle: maledico la mia salute, i miei sedici anni che sembrano tredici.
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Domani è un altro giorno






 
“Anche tu hai qualcosa…” dice ogni tanto mio fratello Valentino, forse quando gli faccio più pena, e mi guarda con un’aria dubbiosa che smentisce in pieno le sue parole gentili. La stessa frase, da bambino, l’avevo  sentita ripetere qualche volta da mia madre. Mi guardava con aria oppressa e interrogativa. E sembrava che  parlasse a se stessa. “Non sei come Valentino, ma sei grazioso… Sì, … anche tu hai qualcosa…”.

“Anche tu hai qualcosa…”. Odio questa frase. Detta con quel tono, significa che non hai assolutamente niente.

Ammetterlo mi fa rabbia ma non ho niente davvero per piacere, non mi si vede neppure il rialzo del pisello nei pantaloni, come negli altri ragazzi. Sono piccolo e magro, con due gambette esili, scuro di pelle e neri i miei capelli, tutto occhi e bocca… Valentino invece è il mio contrario: alto, fianchi snelli e spalle larghe, occhi azzurri, e una testa di capelli biondi sempre spettinati coreograficamente. Nel fisico, accidenti, ha preso tutte le virtù dei nostri genitori, mentre io ne ho raccolto i difetti, con in più la statura del nonno Giuseppe che non era certo un campione di bellezza. Quando mi guardo allo specchio il mio morale sembra il grafico opposto del caro-vita: scende talmente che più in basso proprio non potrebbe andare.

Uno scossone mi fa aprire gli occhi. Sembra incredibile riuscire a dormire nell’angusto abitacolo della Cinquecento stipata di bagaglio, a stretto contatto con la Piera, i suoi lunghissimi  e le sue rotondità della malora. “E pensare che ha solo 19 anni”,  penso con tristezza.  Io ho sedici anni e ne dimostro tredici, mentre lei è veramente una donna, con tutto quello che ci vuole al punto giusto, una pelle liscia come la seta e due occhi  che attirano i ragazzi come il miele le mosche.  Questo pensiero mi fa passare la voglia di dormire.

Davanti a noi Valentino guida intento, fumando con accanimento la sua sigaretta puzzolente. Sotto i miei occhi, quasi ho la nuca di Cesare. “Com’è sottile”, penso, “con i  capelli scuri che gli fanno codino arricciato verso il fondo. Chissà perché mi fa tanta tenerezza…”.  Fa caldo, qui dentro, mi sporgo verso le sue spalle e gli chiedo sottovoce di aprire il finestrino. Lui ubbidisce senza rispondere, ma Valentino vede sempre tutto.  “Niente, Topo”, dice affettuosamente, “tirati indietro, l’aria ti fa male”.

Non protesto neppure, ci sono abituato, mi trattano tutti come un neonato. Mi butto indietro sul sedile con un sospiro. Non so proprio come sono riuscito ad ottenere questa vacanza di due giorni sotto la tenda, certo soltanto perché Valentino si è sacrificato ad accompagnarmi. Cesare segue Valentino dappertutto, e su questo io ci contavo, ma la Piera? Oh, lei è sempre pronta a farmi compagnia, sembra che mi voglia un bene dell’anima.  Ma io lo so bene perché mi sta  così appiccicata: perché è cotta di mio fratello, anche se lui non la degna di un’occhiata.  “Guardate a cosa serve essere belle”, penso  con una punta di malignità di cui mi pento subito, “ se non si può agganciare, fra tutti gli uomini, l’unico che ti interessa”.

I miei pensieri sono interrotti da un gran botto e ci fermiamo con un salto. Mio fratello ha tamponato qualcuno. Cesare comincia a tirare  giù i santi del Paradiso, mettendomi le mani sulle orecchie, “per non offendere la mia innocenza”, e Valentino tira il freno e scende con un sospiro. La macchina ferma a mezzo metro da noi per il rimbalzo è un catafalco di un colore orrendo, con una targa stranissima di cui non ricordo di aver mai visto l’uguale. Dalla portiera esce un omone rubizzo, seguito a ruota da una vecchia befana tutta ritinta.

“Ics, ipsilon e zeta…” , comincia concitato rivolto a mio fratello. Il quale perde per un momento l’aria che gli è abituale, che poi è quella di una persona che ce l’ha col mondo intero e lo guarda con tanto d’occhi: quest’uomo parla una lingua che nessuno di noi capisce, che non abbiamo mai neppure sentito. Io e Valentino mastichiamo un po’ di francese, Cesare sa l’inglese alla perfezione e la Piera se la cava discretamente  con lo spagnolo, ma ai nostri volenterosi tentativi di farci capire  (ci mettiamo dentro anche le quattro parole quattro di tedesco che conosciamo fra tutti), l’uomo ci guarda come se venissimo da un altro pianeta e fa di no con la testa, continuando a parlare velocissimo per conto suo, e segnando la sua coda un po’ rincagnata  con aria disperata, come se gli avessimo fatto la macchina a pezzettini.

“Questo figlio di un cane non parla nessuna lingua conosciuta”, borbotta Cesare con aria di disgusto, “in più  è un magnifico attore tragico e, a quel che pare, ci farà perdere tutta la mattina”.

Io sto riflettendo. I miei tre compagni di viaggio sono tutti all’Università, mentre io sono ancora un povero liceale e al loro confronto mi sento un vermetto, però adesso un’idea ce l’avrei e azzardo: “Potremmo provare a parlargli in latino… Può darsi che l’abbia studiata e allora…”.

Sei occhi si voltano a guardarmi come se fossi un povero mentecatto: pungono, tanto sono  acuminati. Ma io li ignoro, inghiottisco e comincio piano: “Perce nobis, quia iuvenes sumus… (Perdonaci, perché siamo giovani)”. Il faccione dell’uomo si illumina: “Vostrae adolescenntiae ignoscam…” (Perdonerò alla vostra giovinezza…)”, continua ieratico. Adesso i sei occhi che prima mi deridevano sono diventati larghi per lo stupore,  ma in essi c’è, per la prima volta nei miei riguardi, anche un po’ di rispetto. “Non è poi così sprovveduto”, dicono.

Io e l’uomo siamo lanciati. Il latino è la mia passione, e non mi vergogno a dire che vado a scuola molto volentieri. Quest’omone dalla faccia rubiconda mi sta perfino diventando simpatico, e andremmo avanti per un pezzo, come se fossimo sui banchi di scuola, se Valentino non mi tirasse i capelli. “Parliamogli dei cosiddetti danni della sua macchina”, dice compunto, “se no questo si mette la toga e stanotte siamo ancora qui”.

Si accende allora un’infervorata discussione a cinque, condita di accusativi, participi me infiniti, con libretti, patenti e tagliandi assicurativi che girano da una mano all’altra come mulinelli. Vorrei che ci fossero i miei compagni di classe che certo si butterebbero via dalle risate: “Mihi diruistis currum… (Mi avete rotto il carro)”,  oppure il mio professore di lettere che a sentirci discorrere in latino su una strada assolata della riviera scoppierebbe dalla gioia.

La faccenda è sistemata alla meglio, “tanto chi è dietro ha sempre torto…”, borbotta Valentino che ha ripreso l’aria di disgusto che  gli è abituale, e l’omone e la sua befana ripartono, non prima di avermi quasi abbracciato. Anche noi rimettiamo in moto. “Valentino, vai piano, … stai attento… “, prego. “Ma se è stato quel figlio di buona  donna che ha frenato all’improvviso…”, risponde lui alzando le spalle. Potrei dirgli che se avesse tenuto la distanza di sicurezza non sarebbe successo niente, sarei davvero un ingrato se mi mettessi anche a brontolare…

Con un sospiro mi rivolto nel mio sacco a pelo e apro un occhio. Nella canadese azzurra e rossa,  vicino a me, vedo spuntare dal un altro sacco a pelo la testa bionda della Piera. Mi hanno messo a dormire con lei perché sono il più piccolo. Mentre io avrei dormito volentieri con Cesare.  Piera dorme beata, con un’aria serena che mi fa invidia. “Lo sapevo che anche qui sarei stato un impiastro e che sulla brandina non avrei potuto dormire”, pensai avvilito. “Ma forse è solo perché è la prima volta…”, cerco di convincermi, “poi ci farei l’abitudine, come tutti”.

La sera prima abbiamo scherzato e cantato, assieme a dei simpatici ragazzi australiani, nostri vicini di tenda, ridendo come pazzi ai loro strafalcioni, e la Piera ha anche civettato con uno spilungone rosso tenendo d’occhio, senza parere, la faccia indifferente di mio fratello.
A proposito, forse Valentino mi dà troppi vizi, ma ho ottenuto, dopo aver insistito, di far piazzare le tende in un posto bellissimo, sotto un albero enorme, davanti a un muro carico di rose, con un bel tubo di luce al neon che ha rischiarato la nostra allegra serata. Adesso però (orologio fosforescente segna le due) ni accorgo  purtroppo che la residenza degli altri era fondata, e che il bel tubo di luce al neon che avrebbe dovuto rischiarare le nostre serate è una bella fregatura perché, purtroppo, rischiara anche le nostre notti. La tenda ha una finestrina schermata di velo, e la luce entra impetuosa, impedendomi il sonno.

“La Piera, però, dorme come un ghiro”, penso. Sono io che sono un disastro e appena mi muovo mi viene l’affanno  e non posso ridere senza farmi venire il singhiozzo, e ho un sacco di altri handicap. Se ci penso mi avvilisco davvero… Adesso piangerei dalla stizza, ma non voglio rovinarmi la tanto sospirata vacanza, perciò stringo gli occhi e tento di  riaddormentarmi.

Devo esserci riuscito perché un fruscio che non mi dice niente di buono mi sveglia di nuovo. Tendo bene l’orecchio e mi piglia un colpo: Piove!  Con tutti i sensi ben svegli mi tiro su, appoggiandomi sul gomito e resto in ascolto, attento. Viene davvero giù un’acqua da fine del mondo! Ho di colpo davanti agli occhi la visione miserevole di me domani, se continua a venir giù acqua, tappato nella tenda o nella cinquecento, perché non è neppure da pensare che mio fratello mi permetta di star fuori con la pioggia… Adesso ho davvero le lacrime in pelle e devo inghiottire, con la faccia affondata nel sacco a pelo, maledicendomi, io e le mie bronchiti  e i miei 45 chili scarsi e la mia salute malferma. Con questi tristi pensieri mi addormento e mi sveglio una cinquantina di volte, e sempre sento lo stesso fruscio che non accenna a diminuire.

Poi il mattino la Piera mette fuori la sua bella testa bionda e dice che non piove per niente, e il fruscio lo fanno le foglie dell’albero che stormiscono al vento. Allora per dirla con Cesare, mi incavolo davvero, ma con me stesso, e penso che mi sta molto bene,  così imparo a fare il prepotente e mando all’inferno il bell’albero, che sta sopra le nostre tende, e che per tutta la notte ha stormito al vento impedendomi di dormire.


 
 
Sono le quattro del pomeriggio del giorno seguente. Nel mio bel costume azzurro, seduto vicino alla riva, seguo col morale a terra le evoluzioni  degli altri che se la spassano un mondo, mentre io non posso fare il bagno perché, a dormire nella tenda, mi è venuto il raffreddore.

La Piera esibisce il suo bel corpo abbronzato in una serie di tuffi uno più bello dell’altro. Ci sono dei piccoli scogli  affiorati da cui anche Cesare e Valentino si degnano di buttarsi. Mio fratello, che è una colonna della squadra di pallanuoto, fa  più che altro allenamento.  “Lui è bravo in tutto”, penso, e il cuore mi si gonfia di orgoglio fraterno, ma nello stesso tempo si affloscia come un palloncino bucato se confronto la mia pochezza con la sua prestanza fisica. Fossi almeno più intelligente, invece no! Lui è sempre stato il super-asso delle sue classi, e se è sempre finito fra i primi e non il primo, è solo perché si è contentato del sette e qualche otto pur di studiare il minimo indispensabile.

“Valentino mi vuol bene”, penso adesso, “mi ha sempre portato in palmo di mano con i suoi amici, vantando  i miei successi scolastici e le mie borse di studio. Però non ha mai detto che, per arrivarci, io sgobbo tutto il santo giorno…”.  Uno spruzzo fresco, conseguente a un nuovo tuffo della Piera, interrompe i miei pensieri. Il suo bel viso sorridente emerge e si immerge a poca distanza da me,  fa volteggi ed esibizioni ed ogni sorta di marchingegni per farsi notare, ma Valentino nuota e si tuffa con una ostinazione quasi rabbiosa, il viso senza sorriso, e non le bada per niente. Ho perfino l’impressione che sia tutta una posa, una difesa, perché un disinteresse così totale presuppone quasi un partito preso. Lei ride e scherza con Cesare, gli spruzza l’acqua in faccia, lo cala sott’acqua, mettendogli i piedi sopra la testa. Ogni tanto però lancia a mio fratello delle occhiate che sono di un’eloquenza unica. E’ lo sguardo di un naufrago che vorrebbe avvicinarsi alla zattera che invece si allontana. Mi fa quasi pena. A me la Piera come cognata non dispiacerebbe affatto, ma chi glielo dice a Valentino? Lui che tira diritto con un’asceta e delle donne,  specie di quelle belle e vistose come la Piera, se ne fa veramente dei baffi! E pensare, ormai ne sono sicuro, che la Piera non ama che lui, e farebbe qualsiasi cosa, io credo, per essere corrisposta…”.
Il sole scotta, e con la mano mi butto un po’ d’acqua sulle gambe e sulle braccia, con sollievo. “Mi piacerebbe diventare zio…”, penso. Almeno per i nipotini sarei un grande, non un pulcino bagnato… Sarà forse perché sono stato sempre  coccolato, ma mi piacerebbe avere qualcuno da proteggere… Il corpo di Piera mi sfreccia davanti con un tuffo impeccabile, stavolta era più vicina, una cascata di spruzzi mi investe e mi alzo con un grido. Ma forse non ho urlato io, è stato Valentino, che corre a rapide bracciate verso di me e verso la faccia insanguinata della Piera. Mi porto una mano alla bocca. Lei galleggia vicino a me, con un taglio sulla fronte e gli occhi chiusi, e l’acqua vicina si tinge di rosso. Anche Cesare è arrivato con due bracciate, ma è Valentino che raccoglie Piera fra le braccia e la porta velocemente sulla sabbia.

Deve aver picchiato La fronte su uno scoglio a filo d’acqua, l’avevo detto io che tuffarsi così vicino alla riva poteva essere pericoloso… Adesso siamo tutti intorno a lei, che ha la testa riversa sul braccio abbronzato al mio fratello, mentre io cerco di tamponare la ferita, che in verità è molto superficiale. Anche se abbastanza vasta. E ha già quasi smesso di sanguinare. Valentino la tiene raccolta fra le braccia, quasi temesse che qualcuno possa portargliela via.

“Piera!”, urla bianco come un lenzuolo, “Pierina! Rispondimi, per Giuda! Apri gli occhi!” Io li guardo. Forse sarò maligno, ma ho l’impressione che la Piera gli occhi potrebbe aprirli benissimo, e se non lo fa è perché vuole godersi ancora un po’ la disperazione e la paura di mio fratello. Che continua a darle dei piccoli, teneri schiaffetti sulle guance, e le accarezza i capelli senza smettere di chiamarla. Finalmente, quell’impostora apre gli occhi e li fissa, come tornando da una lontananza infinita, sul giovane viso sconvolto di mio fratello.
“Valentino”,  dice piano, languidamente. La scena è tanto buffa che volto la faccia dall’altra parte, con una voglia matta di ridere. Ma mio fratello è un deficiente, e non ha capito assolutamente niente. Il suo viso si illumina come una lampadina da 100 Watt.

“Pierina…”, dice soltanto. Ma il tono è tipo dichiarazione d’amore, con tanto di solitario e data delle nozze già fissata. Mi sembra perfino di sentir frusciare dall’albero maledetto le note della marcia di Mendelssohn, mentre quella spudorata gli butta le braccia al collo e dietro, con un’occhiata eloquente alla mia faccia stupefatta, fa con l’indice e il medio il segno di vittoria.


 
“C’è l’ho fatta!”, mi confida più tardi, abbracciandomi. “Benedetto quello scoglio! Senza questa botta, difficilmente Valentino avrebbe  ammesso di amarmi”. Lo dice con un tono tale che mi viene il sospetto che lo scoglio se lo sia scelto lei, e ci si sia buttata sopra diritta, come facevano i Kamikaze giapponesi nell’ultima guerra.

Cesare seduto sulla sabbia e lo sguardo assorto, fa passare la sabbia fra le dita e fischietta piano fra sé.  Il suo profilo si staglia nitido contro il cielo chiaro. “E se mi scegliessi anch’io uno scoglietto?”, penso speranzoso. Ma scarto subito l’idea, non è che mi ritrovo un gran cuore di leone… “E poi”, rifletto, “mica a tutti va bene… Cesare potrebbe  non avere la benché minima reazione, e io avrei fatto tutto quel can can per niente…”. Due scogli in un giorno poi… Alla sola idea mi viene da ridere.

“Ah!”, penso con rammarico, “la nostra vacanza è quasi finita! Domattina toglieremo le tende, saliremo sulla Cinquecento, e ritorneremo alla routine quotidiana. Valentino e Piera cominceranno a filare il perfetto amore e senza l’occhio di mio fratello sempre incollato addosso può darsi io abbia un po’ più di libertà”. Ma quest’idea, tante volte accarezzata, non mi sorride molto. Cerco di consolarmi pensando: “Fra due giorni ritorno a scuola, ma faremo ancora tante gite come questa, noi quattro, ormai sono collaudato…”.

Appoggiato languidamente al braccio di Valentino, la Piera mi passa vicino, con il fazzoletto bianco attorno alla fronte, sembra una bella squaw. “Avrò dei magnifici nipoti”, penso  con orgoglio. “Si, domani torniamo a casa, ma la vita è tutta da vivere, così imprevista, e dolce, e allegra, e innocente. Tutto può ancora accadere”.

Mi siedo vicino a Cesare, modulando il mio fischio con il suo, e sento il suo braccio magro posarsi distrattamente sulle mie spalle. Lo so, mi vuol bene come se ne vuole a un fratellino più piccolo, mi ha sempre d’attorno, e forse non mi vede mai veramente… Ma questo mi basta, per ora. Siamo così giovani, e il tempo lavora per noi. Dopotutto, Cesare non parte mica  per l’Alaska. A me lui piace da morire, ma sono convinto che anche io piaccio a lui.

Si, tutto può ancora accadere e domani, come diceva qualcuno, è un altro giorno.

   
 
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