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Autore: _Lillith98_    10/09/2016    0 recensioni
Cosa succede quando gli dei decadono e vengono dimenticati?! cosa succede quando Hella, signora degli inferi, si ribella al destino che tutti gli altri Aesir hanno accettato?
Lo scoprirete solo leggendo, una storia ambientata nel 1850, una Londra sopraffatta dall'industrializzazione e dalla povertà, senza dei a cui rivolgersi, ma è davvero così?
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO PRIMO                                                                                                                                                                                                
 I giorni passavano  come le stagioni, sempre uguale e con eguale modo di sviluppo, con le temperature che si abbassavano e si alzavano senza rituale di passaggio, senza un io che reggeva le corde dei due cavalli che guidava dall’inizio dei tempi, e che avrebbe fatto fino all’ultimo rintocco delle ore, quando l’uomo avrebbe incontrato Morte. Tante volte nella sua mente aveva immaginato quell’incontro e a come potesse essere fisicamente la morte.  Una tipa bassina, che adottava lo stile gotico e quando  veniva a prenderti sfoggiava un sorriso di rassegnazione . Anche la morte era vittima di quel meccanismo pedissequo che maneggiava il mondo. La sua visione non si limitava a quello, perché l’abbandono della vita non era uno stato opposto ad essa, come pensavano in molti, ma una parte integrante . Due erano i destini che aspettavano l’essere umano dopo la decomposizione del suo corpo : avrebbe vagato sotto forma di anima inghiottito dal buco nero dell’universo o poteva scegliere di riposare e non essere protagonista di quella situazione. Protagonista non era proprio la parola che avrebbe usato per descrivere se stesso, il giovane scrittore squattrinato, Omar, per lui Mr Omar. Il giovane era un tipo singolare, con strane manie e abitudini non comuni. Nelle sue fantasie, ad esempio, ( una delle tante e la meno eccentrica) si era creato un personaggio, Mr Omar, che era tutto l’opposto suo, e a cui attribuiva anche la mancanza di amici e donne per colpa del suo essere vanesio, orgoglioso e pungente. Ma Omar non era cosi, era timido e impacciato e non aveva neanche avuto mai una storia d’amore seria in 30 anni. Il suo primo folle innamoramento ci fu  solo una volta, a 12 anni, oh che ricordi!, quando si era invaghito di una ragazza della classe accanto alla sua, e per la festa di San Valentino le aveva regalato una rosa davanti  ai suoi compagni e ai passanti nel corridoio che portava nello squallido bagno. La ragazza, ancora si ricorda il nome, Rebecca, aveva accettato volentieri quel gesto fattole ma l’aveva rifiutato categoricamente. Omar non era brutto, aveva solo uno strano carattere. 
 Erano due anni che andava per due ore a settimana dalla psicologa. Spesso non venivano additate con questo nome ma bensì venivano chiamate spiritiste : ancora non si riusciva a entrare nell’ottica scientifica che dava spiegazioni razionali ai comportamenti umani. Infatti alcuni studiosi che avevano reso pubbliche le loro scoperte e teorie non erano ben accettati dalla società che forse aveva paura di conoscere la verità. Per questo motivo si credeva che gli sbalzi d’umore, gli attacchi nevrotici o di isteria fossero legati a presenze oscure che si impossessavano della nostra mente. Cosi emersero le spiritiste capaci di mettersi in contatto non solo con i morti ma anche con le altre creature che abitavano l’oltretomba. I loro metodi erano legati al mondo irrazionale e occulto infatti erano famose le pratiche di esorcizzazione.  Due ragioni  spingevano Omar a farlo : occupava fruttuosamente due ore della sua vita a parlare con la dottoressa di cui si era innamorato e l’altro motivo fondamentale era che aveva costantemente in attività la sua fervida immaginazione, inventando sempre nuovi problemi che lo affliggevano. L’unica cosa di vero che si poteva estrarre dai suoi racconti surreali erano i sogni che occupavano le sue notti. Da quelli era davvero pervaso. Una notte aveva sognato uno scontro che avveniva su una vasta radura, ai confini tra due mondi, tra i cavalli feroci e gli unicorni che con la loro vocina bambinesca gridavano alla rivolta. Un contrasto alquanto buffo. Lui avrebbe regalato volentieri a quegli unicorni una bella collana di sangue e poi collezionare i loro scalpi colorati. “ possiedo qualcosa di colorato mammaaa”.
 La dottoressa, Vanessa, sembrava meditare a lungo, in quello studio austero,sulle problematiche del suo paziente, mentre dentro la sua testa girovagava un folletto che con voce stridula e malefica rideva di scherno e pensava  “ stolta la gente” scandendo ogni  parola, quasi volesse assaporarle totalmente. Nessuno conosceva il vero Omar, si divertiva ad inventare la sua vita , sempre diversa, per ogni persona che conosceva o incontrava. Il gioco era soprattutto eccitante con gli sconosciuti, con i quali il raggio di creatività si dilatava a macchia di ingegno. Mentire sulla propria identità era uno dei suoi passatempi preferiti, ogni giorno era una personalità mai analoga a quella precedente, così da poter vivere mille vita in una. C’era una maschera però che non usava mai, che aveva perso il suo colorito e che guardandola si poteva notare quanto fosse  vuota. Era solo un pezzo di legno che aveva quattro forme da riempire, quella degli occhi, della bocca e del naso, ma che purtroppo non veniva mai indossata : la sua. Comunque Vanessa prima di passare alle pratiche tradizionali di cura, era solita ascoltare le problematiche dei suoi pazienti e studiare i loro pensieri. Infatti era una delle poche che vedeva nello sviluppo e progresso della scienza una soluzione valida e efficace in grado di espandere la conoscenza e il mondo razionale per arrivare a conclusioni logiche e spiegabili attraverso esperimenti  e deduzioni sulla persona stessa. Teneva all’oscuro le sue idee e i suoi studi aspettando uno sviluppo mentale che riuscisse a convincere tutti.
L’unica donna della sua vita, ai quali occhi non appariva l’uomo burbero con cui lo etichettavano, era la figlia. Era una bambina di otto anni che viveva in un orfanotrofio , senza sospettare il minimo motivo della sua, come la chiamava lei, reclusione.  Diversamente dalle sue compagne  , aveva un papà. Era quello che si ripeteva sempre, e non si spiegava il motivo per cui fosse ancora rinchiusa in quel buco pieno di regole e di signore che pregavano per tutto il giorno. Ci si poteva guadagnare dei soldi soltanto pregando? Era troppo piccola per capire queste cose.
Vedeva Omar una volta a settimana, durante le ore di permesso per uscire un’intera giornata. Era per lui l’unica ragione di vita da quando aveva scoperto di avere una figlia, una parte di se stesso migliore, una sua proiezione nel tempo. La mamma era sconosciuta per entrambi : la piccola aveva vissuto fin dai primi anni di vita nell’orfanotrofio, e lui non era stato tenuto all’oscuro dalla donna, che  poteva essere chiunque tra quelle con cui era stato, quindi era impossibile capire chi fosse. Gli investigatori avevano ritrovato il corpo della donna completamente bruciato, totalmente irriconoscibile, insieme alla casa in cui viveva con un’anziana donna, probabilmente la mamma, una carneficina di corpi innocenti.
Secondo la ricostruzione dei fatti le cose dovevano essere andate cosi. La donna, sorpresa sicuramente della gravidanza, partorì in ospedale e affidò la figlia ad una signora, sua conoscente, per farla crescere in un ambiente migliore. Lei probabilmente non poteva mantenerla, oltre per la mancanza di soldi, il luogo in cui pernottava puzzava di sudore, fumo, pieno di sporcizia e con l’acqua calda che mancava quasi per tutto il giorno. Avrebbe rinunciato alla sua bambina,Priscilla, ma era cosi che dovevano andare le cose.
La donna che quella mattina di dodici anni fa aveva abbandonato la neonata agli assistenti sociali non aveva recato molte informazioni sul suo conto, omettendo forse anche il suo vero nome. Era apparsa e scomparsa con quell’aura di mistero che l’avvolgeva  dicendo solamente “ che venga trattata nel migliore dei modi” ,con un tono di voce basso ma capace di scavare il terreno a fondo. Prima di andarsene, si voltò e chiamò la responsabile e senza ancora una volta dare spiegazioni le consegnò un foglio. Lo aprì dopo aver radunato gli altri gente che lessero un indirizzo. Il giorno stesso si presentarono nel punto indicato con la speranza di trovare il padre o un parente stretto. Quando l’uomo  aprì la porta e iniziarono a porgli domande capirono subito che si trattava del padre. Era incosciente e sorpreso , non era stato con molte donne ma mai nessuna lo avvisò di essere rimasta incinta e probabilmente come avevano intuito gli agenti la mamma non voleva che il nascituro conoscesse il padre, visto l’uomo che era e con il quale sarà stata per un breve lasso di tempo , giusto il tempo per l’appagamento dei desideri sessuali. Ecco spiegato il motivo della sua incredulità. 
“sua figlia è con noi e ci rimarrà fino alla sua età adulta in cui può decidere da sola  cosa fare della sua vita. Per adesso lei non è in grado di mantenerla e averne cura. E’ sprovvisto di lavoro, di un ambiente adatto e ha l’aria di uno che non se la passa bene. ” disse in tono malizioso il poliziotto, mentre i suoi occhi ispezionavano la stanza con disgusto. “ Era inutile insistere e pregare perché gliela affidassero,anche se avrebbe voluto crescerla lui gli era impossibile e ne era consapevole. Priscilla non meritava quello schifo di vita che poteva offrirle. “D’accordo, avete ragione..” asserì con rammarico.
“… ma trattatemela bene”. .> I poliziotti se ne andarono con vari punti interrogativi e nella stanza precipitò il silenzio.
 Ricordava vividamente quelle parole e quanto si era sforzato per pronunciarle. Non poteva sfogare la sua ira ora, doveva comportarsi bene e provvedere alla sua conservazione.   disse parlando a bassa voce con se stesso in quella stanza buia, illuminata solo dalla luce fioca della candela.
Il palazzo in cui viveva Omar era vicino al parco principale della cittadina, viveva di sussidio, e si manteneva grazie alla signora del piano  di sopra, Linda, che ogni tanto lo faceva lavorare per lei. Doveva accudire il suo gatto nero, Lucifero, durante la sua assenza, annaffiare le piante e fare la spesa, l’impiego che sapeva strappargli un sorriso dalle labbra. Non era bravo nelle truffe ma riusciva ad estorcere qualche soldo dal resto della compera.  Ricordò la prima volta che era successo.
“ grazie della spesa caro” e mentre la vecchia camminava per rientrare in casa notava che mancava lo scontrino con i prezzi dei prodotti. “Om..” lo chiamò lei un giorno,non riuscendo a terminare la frase, come se non volesse farlo sentire in colpa.
“mi dica signora, ho forse dimenticato qualcosa?” chiese lui, sicuro che non si fosse accorta di nulla, e che si trattasse solo di un incidente.  “No, niente, tutto apposto, volevo solo ringraziati”. Ad Elisa stava simpatico quell’omaccione. Quella vecchia era piena di vita e sembrava che il micio che le faceva compagnia nutrisse la sua energia.
Era circa l’ora di pranzo e stava uscendo di casa quando gli venne un’improvvisa voglia di fumare. Così rammentò che la vecchietta era sempre pronta a offrirgliene una. Bussò alla porta di casa sua e nessuno rispose. Notò, però, che la porta era solo appoggiata, quindi la spalancò. Si avviò in cucina, faticando a trovare come una della sue età avesse anche la forza di concedersi a quel vizio. Era davvero eccentrica. Ogni volta che fumavano insieme le dava un po’ alla testa e rideva con gusto tra una battuta e l’altra che si scambiavano quei tipi qualunque.   Così fumando passeggiava per le strade affollate della città, mentre i giovani uscivano distrutti da scuola. La sigaretta era uno dei pochi piaceri che la vita gli aveva concesso : godeva fino al filtro l’ultima aspirata di fumo per poi abbandonarsi all’insoddisfazione che gli aveva lasciato una volta finito.  Era incredibile come una contraddizione come il godimento e l’insoddisfazione amara che lascia una volta consumato sia la Forza, se pur frustrante, motrice dell’uomo. Sollevare il velo di maya e osservare attraverso occhi appannati  dalle lacrime è il vero mistero della vita.
“I giorni trascorrevano ma il comportamento di Omar non era predisposto a mutamento, voleva vendicarsi  della vita e si consolava pensando che quella non era la vera vita ma bensì un’illusione. Gli uomini erano manovrati da uno scienziato pazzo che teneva le loro teste in una vasca dall’acqua putrida e si burlava di loro facendogli credere di avere un corpo e una vita da vivere.  Questa visione era molto più affascinante ed eccentrica di quella che la tradizione tramandava. Perché Adamo ed Eva non potevano cogliere la mela dall’albero?  Il serpente ha solo accelerato il processo, ha solo anticipato quello che sarebbe accaduto dopo per mano degli stessi uomini. Il serpente era solo un simbolo rappresentante.  Erano i concetti di base il problema , la gente non capiva. E fece una smorfia con la bocca. Erano i pensieri che occupavano la sua mente durante quella lezione di filosofia, in un giorno, a caso, di un anno qualunque. Quella mattina il professore aveva deciso di spiegare le teorie su Kant , come primo argomento d’introduzione, soffermandosi sulle prime due critiche e lasciando lo studio autonomo per la terza.
“ Kant diceva che bisogna innalzare la nostra massima ad azione universale, non pensa la stessa cosa Omar?” chiese in tono burbero rivolgendosi al ragazzo dell’ultimo banco.
Omar scattò, destato da quello che era il suo mondo interiore. “ certo certo,condivido tutto” dichiarò con un sorriso malizioso che provocò le risate dei compagni di classe.
“ a cosa stavi pensando?”
“ mi dispiace, colpa dello scienziato” asserì e lo sguardo del professore assunse un’espressione interrogativa ma non chiese spiegazioni. “..Però se vuole le do la mia opinione. Se un uomo  obbedisce alla legge morale dentro di sé non sarà mai se stesso, sotterrerà le sue passioni, i suoi sogni, la sua follia. Non si può raggiungere la felicità se sentiremo la mancanza di qualcosa, pur selvaggio che sia.”
“  E agli errori che si potranno commettere non ci pensi? Si studia per prevenire, per costruire una linea guida” disse con avversità.
“ preferisco mille volte sbagliare che non vivere …”
                                                    “ E’ grigia caro mio, qualunque teoria.
                                                     Verde è l’albero della vita”
… disse un giorno un folle demone che involontariamente insegnava, anche se non era quello il suo compito.”  E queste furono le ultime parole che scambiò con il professore, dette con quel poco di orgoglio fuso con l’immensa fragilità e squilibrio”  Da quel giorno smise di frequentare la scuola dandosi al nulla, pensava amaramente. Ora era pentito di quell’abbandono, ma nel corso degli anni aveva scoperto il piacere sia della lettura sia della poesia che romanzi gotici. Leggeva Milton, Keats, Goethe, Wilde.Quel maledettissimo “ Ritratto di Dorin Gray” era diventato per un periodo il suo fardello.
 Entrato nello studio provò un senso di nausea. Nell’aria pullulava una puzza di chiuso, un posto angusto per ricevere i pazienti, ma era pur sempre che rispecchiava la sua povertà ed era quello che poteva permettersi.  Comunque lui si sentiva confuso, gli sembrava di stare dentro un quadro di Pollock. < aveva fallito come scrittore,magari riusciva nell’arte. Basta che un artista parlava, con qualsiasi forma di espressione, della sua depressione e riusciva nell’intento di trasmettere empatia nel mondo, aveva successo. >
 “ Buongiorno,come sta oggi Mr Omar?” domandò in tono ironico la psicologa. Nella stanza aveva aggiunto uno specchio proprio davanti al lettino del paziente.
“Toglilo, non sopporto vedermi”
“ ti da fastidio? Devi imparare a saperti guardare”
“Lo spacco…“ Mentre si alzò per staccarlo dal muro, Omar rispose alla domanda che aveva eluso.  “.. male, davvero male. Voi maghi della mente non potete risolvere nulla. La mente non si cura”
“ e allora perché sei venuto da me?”
“ per parlare, il mio amico Billie non risponde e se lo fa mi insulta solo.”  Iniziò a tremare tra uno spasmo e l’altro, poi si rannicchiò in se stesso guardando fisso nel vuoto.
 “ billie hahah” disse con tono brusco e diabolico.  Dondolava su quella poltrona stabile. “vattene via” rispose una vocina fragile come se in lui ci fosse ancora il bambino di una volta che non aveva superato le tappe dello sviluppo cognitivo. Come quando dopo un temporale non esce l’arcobaleno,ma quello che rimane è solo ciò che la tempesta ha lasciato, alberi caduti, rami bruciati e l’aria umida della pioggia. Ma quella stessa pioggia dentro le nuvole,non  le ha svuotate, anzi saranno protagoniste della prossima crisi. Era quello che stava accedendo a lui : stava riscontrando i problemi del passato.
Omar aveva solo intenzione di divertirsi, recitare, burlarsi della psicologa convincendosi che non ne aveva bisogno. Ma ad  un tratto della commedia si tolse la maschera dell’attore e indossò la sua, il retro scena e il palco si stavano fondendo in una tragica commedia che finiva con gli applausi incessanti del pubblico. Dopo dieci minuti la crisi cessò e con le lacrime che gli segnavano il viso, fece un sorriso.
“come si sente ora?” disse lei nel tentativo di passargli una sigaretta. Omar non apprezzò particolarmente quel gesto che gli ricordava quei momenti in cui  il poliziotto prima di iniziare l’interrogatorio con il prigionieri cacciava dalla tasca un pacchetto di sigarette moderne, prodotte industrialmente , offrendone una all’uomo di fronte a lui. Si sentiva rinchiuso anche lui.
Ne prese una. “ si, sto meglio. Sfogarsi ogni tanto fa bene non crede anche lei strizzacervelli del cazzo?”. Abbandonò lo studio e sentì i passi della psicologa andare dalla segretaria che appuntava ciò che le aveva ordinato. “Omar, ci vediamo la prossima settimana? Ho voglia di vedere come vanno le cose e di farti rendere conto del problema che hai, scacciando via il demone magari..”.
 Omar si voltò, sorrise e se ne andò,   sbattendo delicatamente la porta. 
Durante il tratto per tornare a casa ripensò varie volte a quello che era accaduto dentro quella stanza,ma si convinse che la rimozione era molto più efficace.  Tirava vento che spostava le foglie e agitava gli alberi. I negozi stavano chiudendo e la giornata stava per concludersi. Nell’aria c’era quella atmosfera cupa di chi è soddisfatto del proprio lavoro, di chi non ha guadagnato nulla e di chi il lavoro non lo ha affatto. Diversi stati d’animo dentro persone diverse che rappresentavano la stessa razza. 
   
 
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