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Autore: The_BlackRose    11/09/2016    2 recensioni
La notte in cui vide per la prima volta una stella cadere, fu la notte in cui alla sua vita fu posta una fine. Perché niente di buono poteva venirne dall'amare un angelo.
Genere: Angst, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
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La notte in cui vide per la prima volta una stella cadere, fu la notte in cui una rosa nera si avvolse intorno al suo cuore.
Appoggiata alla ringhiera del portico di casa sua, osservò la scia di luce avvicinarsi sempre di più a lei. Si aspettava di vederla scomparire dietro l'orizzonte per poi continuare il suo viaggio eterno nello spazio. Quando invece la stella giunse a poco più di un chilometro da lei, lo stomaco le si ritorse e un pungente senso di nausea le invase le viscere. Nell'istante esatto in cui la cometa cadde sulla Terra, i suoi polsi si lacerarono e il sangue le si riversò giù per le braccia tingendole di una scura tinta cremisi.
Sarebbe svenuta se una potente sensazione dentro di lei non l'avesse spronata a dirigersi verso la stella. Così saltò la ringhiera e cominciò a correre.
I piedi nudi calpestavano l'erba bagnata di rugiada e, quando entrò nella foresta, le caviglie vennero torturate dai rametti disseminati sul terreno. Per un chilometro non rallentò il passo, tutto ciò che riusciva a pensare era arrivare alla stella. La sua stella.
Quando raggiunse il Grande Albero Spoglio, così come lo aveva sempre chiamato fin da bambina, si immobilizzò completamente.
Il Grande Albero Spoglio non aveva mai avuto foglie. In città giravano molte voci sul perché di questo fatto: era bruciato tanti anni prima e non era più germogliato, aveva una malattia che ne impediva lo sviluppo e così via. La ragione era sconosciuta e perciò ora, davanti all'albero, per poco non perse l'equilibrio quando vide che il terreno attorno ad esso e tutti i suoi rami erano ricoperti di fiori.
Piccoli fiorellini bianchi, candidi come la più pura delle nevi, e in mezzo a quella distesa di natura giaceva un corpo.
Si avvicinò per guardare meglio. Era un ragazzo giovane, i capelli riccioli e biondi gli ricadevano scomposti sulla fronte e il corpo nudo e atletico era disseminato di tagli e ferite che trasudavano sangue traslucido. Mai nelle vita aveva visto sangue di quel colore.
La forza che prima l'aveva spronata a correre, ora la spinse in ginocchio accanto al corpo del ragazzo, e con sua sorpresa notò che aveva gli occhi aperti. Grandi occhi di un azzurro limpido nonostante l'oscurità di quella notte, pelle dorata che sembrava emanare luce propria e il viso più bello che la Terra avesse mai avuto la possibilità di vedere.
Piangeva e le sue lacrime erano del colore del cielo, sanguinava e ogni goccia del suo sangue dava alla luce un nuovo fiore.
Viso striato di azzurro, corpo rigato di rosso.
Teneva le mani strette al petto talmente forte che le nocche erano diventate bianche.
Allungò una mano e gli sfiorò le sue che si aprirono all'istante mostrando cosa custodivano con tanto ardore. Una singola piuma bianca, la più grande e candida che avesse mai visto.
Lui guardava la ragazza davanti a sé con occhi nuovi, non curandosi dell'evidente pena che gli trafiggeva il corpo da capo a piedi, come se fosse stata lei la stella ad essere caduta dall'infinita profondità del cielo.
Con una smorfia di dolore, allungò un braccio quel tanto che era necessario per portare la mano alla sua guancia. Lei fremette al quel contatto e una breve scossa dolorosa le colpì il viso. Immediatamente il ragazzo ritirò la mano e tornò ad immobilizzarsi sul terreno.
Un'improvvisa consapevolezza la scosse. Avrebbe dovuto chiamare un'ambulanza, ma quel qualcosa che l'aveva guidata a lui fino a quel momento le sussurrò che non sarebbe servito a niente. Così si alzò lanciando un ultimo sguardo al suo corpo scorticato e riprese a correre verso casa sua. Corse come mai aveva fatto prima. Il sudore le imperlava le guance e i piedi ormai lacerati non le facevano neanche più male.
Salì in fretta le scale del portico e spalancò la porta di casa. Strappò il lenzuolo dal letto e afferrò la cassetta del pronto soccorso custodita nel bagno per poi tornare al Grande Albero ormai non più Spoglio.
Si rimise in ginocchio di fianco al ragazzo e lo aiutò a tirarsi su. Non appena la sua schiena entrò in contatto con la corteccia dell'albero, un grido di dolore gli fuoriuscì dalla bocca. Così gli afferrò le spalle e lo voltò leggermente per controllare la sua schiena. Per poco non svenne a quella vista.
Due profonde lacerazioni si aprivano su tutta la lunghezza delle scapole. Erano incrostate di sangue, terriccio e qualcos'altro di irriconoscibile. Avvicinò il viso e notò che quel qualcos'altro aveva lo stesso colore e fibra della piuma che il ragazzo teneva tra le mani.
Indietreggiò di scatto in mezzo ai fiori e spalancò gli occhi.
Il suo corpo ora accartocciato su se stesso, le ciocche dorate che ricadevano sul viso macchiato di azzurro, il sangue che ancora gocciolava facendo nascere sempre nuovi fiori bianchi, gli squarci nella sua schiena disseminati di tanti piccoli resti di piume stracciate.
La guardò con il dolore e la tristezza negli occhi, ma allo stesso tempo poteva percepire il trionfo e il sollievo trasudare dalla sua espressione.
Cautamente lei tornò ad avvicinarsi a lui che non le staccò gli occhi di dosso. Percorse con la mano il suo corpo della spalla al fianco e sussurrò: "Che cosa sei?"
"Ero il tuo angelo."

Bagnò nuovamente il fazzoletto di stoffa e lo passò sopra al taglio sul costato. Aveva ricucito la sua schiena e disinfettato le sue ferite, lo aveva pulito e coperto con il lenzuolo, aveva liberato il suo viso dai capelli sudici e asciugato le sue lacrime. Ora stava togliendo le ultime tracce di sangue e sudore dal suo corpo.
Era guarito quasi completamente da solo nel giro di un'ora, anche se i tagli erano ancora visibili, soprattutto quelli sulla schiena che avrebbero molto probabilmente lasciato due spesse cicatrici.
Era abbandonato contro l'albero, una gamba piegata e l'altra distesa, la braccia allargate per permettere alla ragazza di continuare il suo lavoro. Non lasciava che il suo sguardo scivolasse via da lei neanche per un secondo e ciò la metteva in agitazione. Non aiutava il fatto che fosse completamente svestito, con solo un lenzuolo leggero a coprire la metà inferiore del suo corpo.
Quando ebbe finito, lanciò il fazzoletto nella cassetta del pronto soccorso aperta e riprese la bottiglietta d'acqua.
"Bevi," lo incoraggiò, prendendogli il mento con una mano e facendogli sollevare il viso.
Dopo che ebbe bevuto due grandi sorsate, con non poco disagio, si mise a cavalcioni su di lui e gli rovesciò il resto della bottiglia in testa liberando i capelli dal fango e pettinandoli all'indietro con le dita. Durante l'operazione, sentì le sue mani poggiarsi sui suoi fianchi e un'altra scossa dolorosa la percorse nuovamente. Questa volta lui non si allontanò e perciò rimasero in quella posizione, con lei a lavargli i capelli e lui a rimirarle il viso.
Quando lui si accorse dei suoi polsi feriti, di cui lei si era completamente dimenticata, li afferrò e passò un dito sopra ogni taglio che si richiuse all'istante.
"Perché sei caduto?" chiese lei incuriosita e guardando con meraviglia le sue braccia guarite.
Quando tornò a lavarlo, lui chiuse gli occhi alla sensazione delle sue dita affusolate sullo scalpo. "Te lo dirò al momento opportuno."
"Hai fatto qualcosa di male? Non si vedono molto spesso angeli cacciati dal Paradiso da queste parti."
Lui sorrise e riaprì gli occhi. "Semplicemente una parte di me era diventata troppo umana, non c'era più un posto per me lassù."
"Cos'è successo alle tue ali?" domandò asciugandosi le mani nella maglietta ormai sporca di lacrime e sangue.
"Le ho perse, si sono disintegrate durante la Caduta." Sollevò lo sguardo al cielo e un'improvvisa malinconia si dipinse sul suo volto.
Avrebbe voluto consolarlo, portarlo in un posto più sicuro e stringerlo a sè fino a che non sarebbe guarito del tutto, ma quella voce dentro di sé si stava facendo sempre più forte.
Niente di buono può venirne dall'amare un angelo.

Dormì affianco a lui incurante di tutto il resto. Non le importava il freddo, la terra sui vestiti, i suoi genitori che la cercavano. Tutto ciò che contava era il suo angelo caduto e lo avrebbe protetto a tutti i costi.

Si innamorò con la stessa velocità con cui un fiore sboccia sulla riva di uno stagno in primavera.
Ogni suo dettaglio, ogni sua curva, ogni sua caratteristica si impresse per sempre nella sua mente, e non riuscì più a liberarsi di quella sensazione travolgente che la avvolgeva tutte le volte che si avvicinava a lui.
I suoi capelli profumavano di estate, la sua pelle aveva la stessa morbidezza della più pregiata delle sete e non poteva resistere dal toccarla.
Lo visitava ogni giorno e spendeva con lui incalcolabili ore di puro paradiso.
Una mattina a scuola, la sua insegnante di astronomia aveva parlato di corpi celesti e lei non aveva potuto fare a meno di tornare indietro alla sera in cui il suo angelo era precipitato dal cielo in un lampo di luce, a come i suoi polsi si erano lacerati per la troppa vicinanza che c'era stata tra di loro, a come ogni volta che si toccavano troppo intimamente una potente scossa di dolore le invadeva il corpo e a come tutto questo non le importasse.
E questo era male, perché niente di buono poteva venirne dall'amare un angelo.

Se da una parte passare le giornate e le notti insieme era la più forte delle emozioni, dall'altra tutto ciò permetteva l'avvicinamento di un disastro.
Spendevano i pomeriggi l'una tra le braccia dell'altro, stesi tra i fiori e con la leggera brezza primaverile che lambiva i loro corpi.
Lei gli chiedeva delle stelle, del cielo, del sole, dell'infinità dell'universo. Lui le domandava della sua vita anche se non era necessario: sapeva tutto su di lei. L'aveva osservata e si era preso cura di lei per così tanti anni che conosceva ogni singolo dettaglio sulla sua vita. Aveva imparato ad amare tutte le sue piccole abitudini, come il bisogno di bere un bicchiere di latte prima di dormire o di spazzolarsi i capelli con lo stesso ritmo almeno tre volte al giorno. E i suoi difetti non erano mai stati un segreto: il mangiarsi le unghie prime delle verifiche, la voglia travolgente di cibo che la investiva quando era giù di morale, la sua irrazionale curiosità verso ciò che le era sconosciuto ma che poteva rivelarsi pericoloso. Era questo che lo aveva portato ad amarla più di Dio stesso ed era stato questo a cacciarlo dal Paradiso. Il suo amore lo aveva reso troppo umano e non era più degno di vivere tra le schiere celesti.
Come se ciò non bastasse, ogni contatto tra di loro le procurava dolore. Poteva sentirla fremere quando la abbracciava, aveva percepito la sua sofferenza quando le loro labbra erano entrate in contatto per la prima volta.
Perché gli umani erano troppo fragili per gli angeli, e la loro vicinanza non portava altro che dolore.

La notte in cui i loro corpi si unirono, il cielo e la terra si spaccarono in due, così come la pelle della delicata umana.
Profondi tagli le si formarono su tutto il corpo, lasciando che il sangue defluisse dalle sue vene e andasse a intaccare il candore dei fiori sotto di loro. Si morse le labbra per impedire che gemiti di dolore le sfuggissero di bocca e chiuse gli occhi cercando di pensare al cielo che tanto era amato dal suo angelo, ignorando così le scosse che le fremevano l'organismo. Ogni bacio era un nuovo taglio che si apriva nella sua fragile pelle, ma ciò non le importava. Tutto ciò che contava era essere avvolta dalle braccia del suo amore.
E questo era male, molto male.

Così come la prima notte aveva curato la sua stella cometa, ora era lei a ricevere amorevoli cure. Lui le passava le dita sulle ferite e queste si richiudevano all'istante, senza lasciare neanche un segno a testimoniare la pena subita per amore.
E fu così ogni volta. Donava dolore e sangue per ricevere amore e sollievo.
Niente di buono può venirne dall'amare un angelo, erano le parole che le risuonavano continuamente in testa e che tanto cercava di ignorare. Ma la consapevolezza di non potersene mai liberare si faceva sempre più palpabile.

Lo stesso amore che era stato capace di squarciare il cielo fu anche in grado di distruggere i due giovani.
La mattina in cui lei giunse al Grande Albero, un grido disturbò la quiete di quel posto tanto speciale.
Se di solito trovava il suo angelo appeso a qualche ramo o a curare i propri fiori, questa volta lo scoprì disteso a faccia in giù nell'erba.
Una potente sensazione la scosse dall'interno. Crollò al suo fianco e lo girò prendendogli il viso tra le mani. Le sue guance erano nuovamente striate di azzurro e le sue lacrime avevano formato una piccola pozza a terra.
Con l'orrore dipinto negli occhi, vide sgorgare lentamente dal suo corpo altre gocce d'acqua azzurra. Urlando il suo nome e scuotendolo con forza, tra le proprie dita il suo corpo si sciolse.
Quello che una volta era stato uno degli angeli più splendenti del Paradiso, ora si stava trasformando in una pozza d'acqua che diventava sempre più ampia.
Sempre di più.
Sempre di più.

Nessuno sa come il Grande Albero Spoglio abbia cominciato a fiorire all'improvviso. I bambini giocano tra i suoi rami e calpestano i suoi germogli incuranti di ciò che lì è accaduto. Nessuno sa da dove sia spuntato quello stagno che costeggia l'albero, nè perché la singola campanula viola che cresce esattamente sulla sua riva non sembri mai aver voglia di appassire.
La campanula si specchia alla perfezione nell'acqua dello stagno e quando i raggi del sole colpiscono la sua superficie, questo emette riflessi che illuminano i petali e in questo modo anche lui è in grado di rivedersi in lei.
Il Cielo aveva pronunciato la sua sentenza. Niente di buono può venirne dall'amare un angelo, aveva ripetuto, ma non era stato ascoltato.
I due amanti ora sostavano affianco, riflettendosi per sempre l'uno nell'altra e niente avrebbe potuto separarli.
Aveva amato così tanto da mandare in rovina se stesso e la causa della sua Caduta, il ragazzo che piangeva il cielo e sanguinava fiori.
La notte in cui vide per la prima volta una stella cadere, fu la notte in cui alla sua vita fu posta una fine.
  
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