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Autore: LoveLustHateDesire    12/09/2016    1 recensioni
"Quinn si passò una mano sulla viso, con un sospiro.
-Ho bisogno di un margarita.
-Oh, beh, okay. – Rispose lui, seguendola.
Quando furono seduti, l’uno davanti all’altra, lui decise di aprire bocca: - Mi ha chiesto di darti anche questa. – Le porse una busta, lei la prese e la mise nella borsa. –Credo che dovresti aprirla adesso."
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Corcoran, Noah Puckerman/Puck, Quinn Fabray, Shelby Corcoran | Coppie: Puck/Quinn
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Quinn usciva da casa di fretta, i capelli le si scompigliavano con il vento, non era riuscita a truccarsi bene quella mattina e il mascara si era leggermente sbavato. Aveva una borsa, un ombrello e il portafoglio in una mano, le chiavi e tre libri nell’altra e si sarebbe fermata a fare ordine se non fosse stata in ritardo di dieci minuti.
-Dannazione. – Sibilò, quando le caddero la chiavi. Le pescò con il mignolo della mano più libera, consapevole che non avrebbe retto per molto. Quando riuscì finalmente a entrare in macchina, buttò tutto sui sedili posteriori e prese fiato.
Mise in moto e partì, superando di gran lunga i limiti di velocità. Inchiodò a un semaforo, maledicendo con tutta se stessa la brevità del verde, ma si accorse che a tutti gli effetti non c’era nessuno che attraversasse.
Premette il piede sull’acceleratore e ruotò il volante, quando si accorse di un uomo che attraversava dall’altra parte, troppo tardi per poter frenare.
L’uomo cadde a terra, lei frenò con forza e scese di corsa per soccorrerlo.
-Oddio, ma che stupida! Mi scusi! Sta bene? – Lo tirò su e lo guardò in viso. Era un po’ ammaccato, ma stava bene.
-Era la tua vendetta? – Le chiese, con un sorriso beffardo. Maledettamente bene.
Quando i suoi occhi incontrarono quelli di Noah Puckerman, per un attimo tornò ad alcuni anni prima, l’ultimo incontro del Glee, l’ultima canzone cantata in quella sala, l’emozione che aveva provato. Sospirò e cancellò tutto, dal primo all’ultimo istante di ricordi che la sua mente aveva riportato a galla. Lo fulminò con lo sguardo, divertita. –Troppo poco cattiva per essere la mia vendetta.
-E di cosa dovresti mai vendicarti?
-Sei tu che hai la coda di paglia. – Gli rispose lei, avvicinandosi alla macchina. – Ci vediamo, Noah. – Sorrise.
-Sai anche tu che non sarà così.
Lei fece spallucce, gli sorrise ancora e chiuse la portiera.
Sentì un “Quinn!” urlato distante da lei, ma lo ignorò.
Quella parentesi della sua vita l’aveva chiusa e archiviata da troppo tempo e con troppa fatica per riaprirla così facilmente.
 
-Ed ecco la nostra ritardataria, Lucy Fabray. – Il suo collaboratore, Mark, la accolse nella sala, lei sorrise, fece un cenno con la testa e si sedette con le altre quattro persone.
-Chiedo venia. – Sussurrò, congiungendo le mani davanti alla bocca, un gesto che traboccava di dolcezza e ingenuità, tanto che fece sorridere tutti.
Si compiacque per le reazioni che aveva ottenuto e si riappropriò del piglio da donna in carriera che tanto le si addiceva: - Dunque, mi avevano già parlato di questa possibilità di lavoro e mi sono informata, perché l’idea mi alletta parecchio.
Mark l’aveva inserita in un progetto che sembrava fosse stato ideato per lei. Dopo la laurea in psicologia e la specializzazione di psicologia infantile, Lucy era perfetta e lui, nonostante non avesse mai avuto a che fare con Quinn ma avesse avuto contatti solo con la sua gemella di riserva, sapeva benissimo chi aveva davanti: sangue freddo e cuore di ghiaccio, fondamentali per lavorare immersa nelle emozioni, la ragazza aveva grandi possibilità. - Lucy nel campo è davvero formidabile, si adatta a qualunque cosa, non vi entra troppo emotivamente, quanto razionalmente, e, comprendetela, è fondamentale non essere troppo presi col cuore in queste situazioni. Per aiutare davvero questi bambini, ciò che è importante è essere accanto a loro con la testa. –
Lavorare con i bambini che devono subire o accettare la perdita del padre, che idea meravigliosa, nulla che toccasse più nel profondo Quinn di una cosa del genere. Sapeva che, per riuscire a lavorare in pace, avrebbe dovuto cancellare Quinn e convivere con Lucy per qualche tempo.
Aveva convinto Noah, quando stavano insieme, a cambiare direzione nella sua vita e aveva messo da parte la divisa dei marines per qualche tempo, ma da quando si erano mollati non aveva più avuto idea di quale fosse stata la sua decisione in merito all’arruolarsi. Si imbambolò per qualche istante, sperando con tutta la sua fede che avesse seguito la retta via che lei gli aveva indicato con tanta fatica, quando si risvegliò grazie ad un calcio sotto il tavolo da parte di Mark.
-Ecco, questo è l’elenco dei bambini che hanno richiesto la sua assistenza. Le faremo avere i fascicoli e fisseremo appuntamenti che poi le comunicheremo, a partire dalla prossima settimana. Buona giornata. – La congedarono e la ragazza scorse i fogli con gli occhi, che le caddero su un nome:
Beth Corcoran.
Trasalì.
-Un momento! – Urlò. Una donna, la più anziana, sulla sessantina, si voltò verso di lei. Non aveva parlato durante la riunione, si era limitata ad osservarla e solo ora Quinn capiva di farle molta tenerezza. Sangue freddo e un cuore di ghiaccio, lo sapeva anche lei, non le erano valsi un’adolescenza rose e fiori.
-Dimmi, cara.
-Beth Corcoran. – Fu solo capace di dire. Se avesse detto qualcos’altro, probabilmente si sarebbe tradita.
La donna alzò un sopracciglio, severamente.
-Sì?
Per un attimo Quinn sembrò prevalere su Lucy, ma la seconda la calpestò e prese in mano la situazione.
-E’ per caso una parente di Christopher Corcoran? Perché lo conosco e non vorrei mai venir meno alle leggi, capisce..
-No, non credo. Beth Corcoran è un ragazzina deliziosa. Ha una famiglia complicata, è stata adottata appena nata, sua madre non ha voluto far parte della sua vita, ma il padre sì. Troverà scritto tutto nel fascicolo, i genitori di sangue facevano parte di un gruppo di ragazzi di un corso extracurricolare di un liceo di Lima, e la madre naturale di una di questi l’ha adottata. Shelby, la madre adottiva, è una donna graziosissima e ha permesso al padre naturale di Beth, Noah, di conoscerla e di aiutarla a crescerla. Noah è talmente legato a questa ragazzina che vorrebbe un colloquio privato con lei per discutere di come questa sua decisione di arruolarsi può influire sulla bambina, di come comportarsi nei suoi confronti e tutto il resto.
-E’ Noah ad essersi arruolato? – Quinn era incredula.
-Non è più un ragazzino, avrà circa la tua età. E’ un ragazzo così disponibile, Noah, sei fortunata a lavorare con lui. E per Beth è stata senz’altro una fortuna averlo al suo fianco. Noah mi ha parlato anche della madre naturale di Beth, sai? Doveva essere una ragazza molto forte, determinata ai limiti della ragionevolezza. Una personalità complessa, senza dubbio, ma conoscerla avrebbe fatto bene a Beth. Non gliene si può di certo fare una colpa, era una ragazzina ed è scappata, come era normale aspettarsi. Noah è convinto che dovrebbe entrare a far parte della vita della bambina, nonostante tutto.
-Noah crede di sapere tutto, eh? – La interruppe Quinn, pentendosi all’istante di avere aperto bocca, ma la donna sembrò non averla neanche sentita.
-Noah la conosceva bene e teneva davvero a lei, quindi magari evita di citarla, per non farlo chiudere in se stesso, sai.. – Lucy annuì con un sorriso quieto. -Questa ragazza, Quinn, gli aveva davvero fatto perdere la testa.
-Aveva?
-Adesso ha una compagna, si chiama Addison, una ragazza adorabile. Stanno insieme da tre anni, ormai.
-E ne è innamorato o l’ombra di Quinn continua a seguirlo?
-Chi può dirlo? Perdonami, cara, ma devo proprio andare, ho un appuntamento fra mezz’ora. Ti fisserò personalmente la data per l’incontro con Beth, Shelby e Noah, vedrai che ti troverai bene con loro.
-Arrivederla. – La salutò la ragazza, con un cenno della mano.
Si sedette al tavolo della sala riunioni e rimase a fissare il nome di Beth sul foglio.
Mark fece capolino dalla porta. – Stai bene? Sei pallida come un cencio.
-Sì, sto bene, mi gira solo un po’ la testa, adesso mi passa.
 
Quinn fece uscire dalla sala il terzo bambino e la sua famiglia, accostò la porta e si versò del caffè, in attesa del successivo nucleo familiare.
Sfogliò il fascicolo del bambino con cui aveva appena parlato e sistemò gli appunti presi con una cura maniacale fino a quando non sentì bussare.
-Avanti. – Disse, voltata di spalle rispetto alla porta.
Una vocina stridula stava raccontando qualcosa, ma venne interrotta da un dolce ma fermo –Adesso raccontiamo tutto alla psicologa, tesoro.
Quinn si voltò con un gran sorriso che le si gelò sulla faccia quando vide chi aveva davanti. – Sa… - Si interruppe.
Le caddero gli occhi sulla bambina, su Puck, incredulo, e su Shelby, che strabuzzava gli occhi.
Sospirò, si riprese e scacciò dalla mente l’immagine dell’ostetrica che le dava in braccio il fagottino.
-Salve, sono Lucy Fabray. – si riprese, cercando di non far caso alla risata amara di Puckerman. Sorrise alla ragazzina, ormai Beth aveva dodici anni, e le posò una mano sulla schiena per accompagnarla alla poltrona che aveva sistemato di fianco alla sua. –Tu come ti chiami? – Le chiese ancora con voce dolce.
-Beth.
Con un riflesso incondizionato, la donna sorrise timidamente al sentire pronunciare il nome tanto sudato da lei e da Puck con la voce della bambina. – E loro devono essere la tua mamma e il tuo papà.
-Sì. – Rispose.
Quinn sospirò abbassando lo sguardo.
Shelby la guardò, sempre più interdetta. –Abbiamo sentito parlare davvero bene di lei, Lucy.
-Oh, beh, ne sono lusingata. Ma non siamo qui per me. Raccontatemi un po’ di voi.
A fine seduta, Quinn mandò via Beth indicandole un ufficio dove avrebbero dovuto farle “domande di natura anagrafica e prettamente tecnica”, facendosi promettere che sarebbe tornata la settimana successiva.
Quando rimasero soli, chiuse la porta, si voltò e la prima cosa che disse fu un chiaro: - Giuro che non ne sapevo nulla fino a quando non mi hanno consegnato l’elenco dei nominativi.
Poteva ingannare Shelby con qualche difficoltà, ma Noah la conosceva troppo bene: - Ovvero quando?
-Tre settimane fa. Ma capisci che..
-Certo che capisco, Quinn! Il problema è sempre lo stesso: avresti dovuto dimostrare che non sei un pezzo di ghiaccio, sarebbe caduta la tua copertura da donna forte e determinata. Come al solito, hai pensato a te stessa. Ma una scelta per il bene di Beth, tu, l’hai mai presa? – Sussurrò Puck, furente.
-Arruolarti in marina ti sembra una scelta per il bene di Beth?– Gli rispose lei.
-Non devo rendere conto a te delle scelte che prendo.
-Una scelta ti ho lasciato prendere e mi hai messa incinta! – Esclamò Quinn, interdetta.
-Io mi sono preso la responsabilità delle mie azioni.
-E io anche. Beth non avrebbe ricavato nulla dall’avermi al suo fianco, l’ho accettato e mi sono comportata di conseguenza. Ho fatto la mia scelta più di dieci anni fa, so gestire la cosa. Partecipare a questo programma è l’unica cosa adatta a lei che le posso offrire e non rovinerò tutto. Ma non c’è nulla che mi leghi a lei.
-Intendi, a parte metà del dna? – Disse Shelby con un sospiro.
-I cromosomi che le ho dato li userò solo per il suo bene. Dovete fidarvi. Come non mi sono immischiata nei vostri affari di famiglia fino ad adesso, non lo farò in futuro.
-Allora mi sta bene. – Concluse Shelby avviandosi alla porta.
-Cosa?! Ma ti è dato di volta il cervello? – Esclamò Puck. – Ha cambiato nome. Di nuovo. Ti sembra una sicurezza? - Shelby lo guardò eloquentemente, e lui si rivolse a Quinn: - Falle del male e te ne farò pentire.
-Chi sta rischiando di arrecarle un danno psicologico permanente sei tu.
Le parole di Quinn si rivelarono delle lame nel petto per Noah. –Tutta la tua disponibilità e il tuo amore non basteranno a diminuire il dolore che le darai. – Continuò lei, questa volta più dolcemente.
-Sai anche tu perché lo faccio.
-Finn non è una scusa sufficiente! Ha cantato una canzone alla sua ecografia, non vorrebbe di certo tutto questo.
-E tu cosa ne sai?
-Smettila di considerarmi un pericolo per tua figlia: non ho denunciato il legame di sangue perché so che avrà bisogno di sostegno a causa tua. Ancora una volta sto riparando ai tuoi errori, salvaguardando la salute mentale della tua bambina. Quindi vedi di non morire.
-E’ nostra figlia. E’ la nostra bambina.
Quinn lo guardò come Medea, a suo tempo, guardò Giasone.
Gli occhi traboccanti di odio.
La sua mano planò sulla faccia del ragazzo e il rumore fu secco e deciso.
Poi si voltò a riassumere la seduta, aspettando che uscisse, ma le sue parole continuavano a riecheggiarle nella testa “E’ nostra figlia. E’ la nostra bambina.”.
 
Puck scese dal pullman e si avviò verso lo studio presso cui lavorava Quinn.
Non ci poteva credere: non solo doveva andare ad un incontro con una sua coetanea per decidere come aiutare sua figlia, e la cosa era già abbastanza strana di per sé, ma la famosa psicologa, bravissima con casi del genere, era Lucy Quinn Fabray. La stessa Quinn Fabray che avrebbe dovuto mettersi in psicoanalisi per i successivi vent’anni prima di raggiungere una precaria stabilità interiore.  
Bussò alla sua porta e, quando lei gli aprì, si dovette trattenere dallo scoppiare in una sfuriata.
-Allora. – Esordì lei, sedendosi di fronte a lui e sfogliando un fascicolo senza guardarlo veramente. Gli dava alla testa l’idea che lei, che di Beth non si era mai interessata veramente, avesse tra le mani un intero plico di fogli che descriveva le sue paure più intime, i suoi lati più nascosti, cose che nemmeno lui sapeva. Gli dava alla testa l’idea che lei, ancora una volta, sbucando dal nulla, fosse riuscita in un battito di ciglia ad avere in pugno lui, la sua vita, la sua bambina e tutto ciò che c’era di importante per lui. Anche il lutto per Finn. Era tutto nelle sue dannatissime mani. E ciò che gli dava più alla testa era che avrebbe voluto vederla arrabbiata, rancorosa, amareggiata per la loro storia, per come era finita, avrebbe voluto vederla scoppiare, quando invece non trapelava nulla di tutto ciò.
-Penso che Beth sia al corrente di tutto, seppur in modo superficiale.
-Anche di te?
-Sto parlando di come rischierai la vita costantemente una volta che sarai partito. Beth l’ha accettato razionalmente ma non ha minimamente idea di ciò che vuol dire a livello emotivo, è triste all’idea, ma in realtà non l’ha accettato emotivamente, di sicuro non l’ha razionalizzato, non è pronta per digerire un lutto simile. Soprattutto perché vive un complesso di abbandono a causa dell’adozione. Siete stati davvero bravi a farla crescere senza farla sentire diversa, ma il complesso del rifiuto è innato e irrazionale ed era prevedibile che lo vivesse.
Puck stava per impazzire. Era lei ad averla data in adozione, era a causa sua se Beth viveva tutto questo e ne parlava come se fosse una faccenda alla quale era del tutto estranea. Sospirò.
-Che c’è? – Gli chiese Quinn, alzando un sopracciglio mentre i suoi occhi incontravano quelli del ragazzo.
-Stai parlando di tua figlia. L’ha data tu in adozione, l’hai messa tu in questa situazione, è a causa tua se si sente rifiutata. – Le disse freddo.
-Lo so. Ma il mio lavoro qui è dare dei pareri neutri rispetto alla faccenda, non di sicuro di stare a pensare che è mia figlia.
-No, non lo sai, perché se lo sapessi..
-Puck, stai zitto. – Erano anni che non lo chiamava Puck. Si era sempre limitata a Noah, il suo nome di battesimo, che era pronunciato in modo così freddo, così distaccato dalle sue labbra, da fargli avere un senso di repellenza al sentirlo. Lui non era Noah. Lui era Puck, lo stesso Puck dei mille “Hai fatto una cazzata, Puck!”; “Ma che fai, Puck?!”.
-No, non sto zitto. Tu hai dei problemi con me e tra le tue mani scorre la salute mentale di nostra figlia, quindi non sto zitto.
Lei lo guardò, fredda. – Credi davvero che io non voglia il bene di Beth?
-Beth è stata la causa della rottura del rapporto con tuo padre, a causa sua tua madre ti ha disconosciuta e poi ripresa sotto il suo tetto, Beth è il frutto di una notte che ha provocato il frantumarsi della tua vita perfetta, consideri Beth un tuo errore. Non è un problema se le cose stanno così, posso capirti.
-No, tu non mi capisci, non mi hai mai capita, sei solo un’idiota che crede di sapere tutto da quando porta quell’uniforme! Ti protegge, hai trovato il coraggio di affrontare quello che provavi per me, indossandola. Ti ho convinto a cambiare idea sull’arruolarti e ora torni qui? Non sei tu, Puck, e questo te lo potrà dire qualunque persona dotata di buonsenso. Tu sei un matto, un fuori di testa e non staresti mai alle regole di una caserma o di quello che è! Ed è per questo che funzionava tra noi, tu eri totalmente fuori dagli schemi, e puoi nasconderti, ma lo sei ancora adesso. Ed è proprio il fatto che tu ti nasconda a mettere in pericolo la salute mentale di Beth. Le daresti un dolore, una ferita mai più rimarginabile solo perché non hai il coraggio di mostrarti per quello che sei.
-Pensi che abbia bisogno di te, eh? Ho detto che sei la mia anima gemella, lo so, ma ero un cretino all’epoca. Ho rinunciato a me stesso per fare un favore a te.
-Che cosa? – Quinn rise di gusto. –Ma ti è dato di volta il cervello?
Noah si alzò e fece per uscire, ma Quinn lo fermò.
-Il motivo per cui ce l’ho con te.. – Cominciò. – E’ che hai sempre pensato che non volessi esser coinvolta nella vita di Beth. Mi hai sempre tagliata fuori dal vostro legame. Ero fragile, impaurita dal mondo, all’inizio dell’ultimo anno, e mi sono convinta di non essere adatta ad entrare nella vita di Beth. E probabilmente è vero, la bambina non aveva di certo bisogno anche di me lì in mezzo, ma avresti dovuto fare come hai sempre fatto. Avresti dovuto tornare a riprendermi e incollarmi ad una sedia perché capissi chi ero davvero. Sono stata una ragazza madre, e l’ho accettato solo quando ho parlato con Beth ieri, ma se tu avessi insistito un po’ di più, solo un po’ di più, l’avrei superato undici anni fa. Non l’hai fatto. Ti sei arreso con me. E questo non riesco proprio a mandarlo giù. Ora se vuoi, puoi andartene. Prima di darti indicazioni precise devo parlare un altro paio di volte con tua figlia. – Puck rimase impietrito. Quinn si alzò e andò alla scrivania, per riordinare delle carte.
Puck la raggiunse, la prese per un braccio e l’ultima cosa che Quinn sentì fu – E’ nostra figlia, te l’ho detto.
Poi ritrovò l’emozione di due elementi complementari che si incontrano, si scontrano, si vogliono, si allontanano e si riuniscono, come due calamite.
Lei e Puck. Due maledettissime calamite. 


Ecco, il terzo capitolo della raccolta di one-shot, ambientato cinque anni dopo il precedente! 
Spero che vi piaccia e per qualunque cosa, da un commento a un appunto, lasciate una recensione, sono sempre bene accette!
Grazie mille! Beatrice
  
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