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Autore: Iryael    12/09/2016    2 recensioni
Aprile 5402-PF, pianeta Veldin.
Lilith Hardeyns, diciottenne di Kyzil Plateau, trascorre la sua vita tra una famiglia inesistente, un coetaneo che la mette in difficoltà ad ogni occasione e un maestro di spada che per la giovane è anche un padre e un amico.
Sono passati sei anni da quando la ragazza ha incontrato Sikşaka, il suo maestro di spada, e Lilith ha acquisito un’esperienza sufficiente per poter maneggiare tutte le armi presenti nella palestra. Tutte tranne una: Rakta, una scimitarra che perde il filo molto raramente.
Lilith sa che quell’arma, il cui nome stesso significa “sangue”, richiede un’esperienza che ancora non ha.
Non sa che quella scimitarra ha origini molto più antiche di quel che sembra, né conosce il potere di cui è intrisa.
Ignora che qualcuno vuole averla ad ogni costo.
E nemmeno immagina che Rakta sta per diventare parte integrante della sua vita.
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[Galassie Unite | Arco I | Schieramento]
[Personaggi: Nuovo Personaggio (Lilith Hardeyns, Queen, Sikşaka Talavara)]
Genere: Azione, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ratchet & Clank - Avventure nelle Galassie Unite'
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[ Epilogo ]
Sei mesi dopo
13 Novembre 5402-PF, ore 18:45
Metropolis, 88esimo settore
 
Stracazzo! Ci mancavano anche gli idioti! – pensò Lilith per l’ennesima volta. Sbatté il portone con troppa energia: l’eco del colpo si riflesse in tutto l’appartamen­to. «Sono a casa» borbottò cupamente, tirando dritta verso la sua camera.
«Ma che allegria travolgente!» la prese in giro Matej, vedendola passare così di fretta.
La ragazza comparve in salotto pochi secondi più tardi, con un broncio da fare invidia a Brontolo. Trovò Matej e Sikşaka davanti a un documentario sulle Foreste Arcobaleno di Rylat. Il poliziotto stringeva saldamente il telecomando e l’altro teneva in mano una tazza di tè fumante. Entrambi avevano gli occhi fissi su di lei.
«Cos’è successo?» domandò Sikşaka.
«E Denzel?» gli fece eco Matej. Lilith si sedette sul divano in fronte a loro e incrociò le braccia.
«Steds sta arrivando. Mi ha fatto scendere a un metro dal portone ed è andato a parcheggiare.» Poi si rivolse al papà numero due: «All’ora buca di oggi sono andata a sbirciare l’esercitazione di Difesa di quelli del quarto anno. E indovina un po’? Ho trovato una xarthar. Era svenuta in fondo a una rampa di scale.»
«L’hai segnalata, vero?»
«L’ho portata direttamente in infermeria» replicò seccamente. «C’era un tizio rosso che non finiva più di fare domande. M’ha fatto girare i coglioni.»
Sikşaka le lanciò una lunga occhiata sospettosa. «Non l’hai picchiato, vero?»
«Certo che no, cazzo! Mica sono così suonata!» sbottò lei. «Però m’ha fatto girare le palle. Grande grosso e mollo come un fico; cosa voleva che sapessi?! Perché non è andato a chiedere a quelli del quarto anno?!»
«Avrà pensato che tu avessi assistito alla scena» obiettò Matej.
«Sono una primina! E i campi addestramento sono sigillati durante le esercitazioni! Come cazzo fa a non saperlo?»
Gli altri due si scoccarono una breve occhiata dubbiosa.
«Scusa un attimo: se il campo era sigillato...» cominciò Sikşaka.
«Tu come sei entrata?» finì Matej.
Lilith alzò gli occhi al cielo e grugnì una parola di sconforto.
«Sentite, non ho infranto nessuna regola» mise in chiaro, guardandoli alternativamente. «Quando l’esercitazione sta per finire tolgono i sigilli e si può entrare. Ci dicono all’ingresso quali sono le zone sicure, e da lì magari si riesce a beccare una simulazione di combattimento. Io sono solo andata dove mi hanno detto.»
«E c’era la studentessa» concluse il poliziotto.
«Già» rispose, mogia. «Era ridotta uno schifo; sembrava che se le fosse fatte tutte, le rampe di scale, rotolando come una palla sgonfia.»
«E l’hai portata tu in infermeria? Cioè: te la sei caricata in spalla?»
«Certo che no!» sbottò, fissando il lombax grigio con la faccia schifata. «Ho usato un raggio trattore!»
Matej si trattenne dal fare gesti plateali, ma alle volte Lilith si rivelava davvero troppo drastica. «Dovevi chiamare i barellieri!» rimproverò, esasperato.
«E aspettare che si perdessero anche loro? No grazie: sai come la penso.»
Matej chiuse la bocca all’istante. Quindi lei sapeva.
Sì, Lilith sapeva. Lo aveva origliato per caso, ma non intendeva rinfacciarglielo in maniera così secca: dopotutto, se lei ora andava all’Accademia, era anche merito suo. Suo padre non si sarebbe convinto se Matej non si fosse preso tutte le responsabilità. Per questo si morse la lingua. L’unico rumore che rimase nei secondi successivi fu la voce dello speaker olovisivo. Poi, a sorpresa, nell’aria si diffuse il trillo acuto del campanello: la scusa ottimale per chiudere la conversazione e abbandonare il tavolino. La ragazza scattò in piedi e sparì in corridoio borbottando parole incomprensibili.
«Come l’ha saputo? Era riservato! Se gliel’ha detto Denzel...» sussurrò Matej.
«Nah, Denzel non c’entra. Sei tu che la sottovaluti» sentenziò Sikşaka, senza neanche guardarlo.
«E tu che cazzo ci fai qui?!?»
L’esclamazione di Lilith ruppe la loro conversazione. I due finti padri s’intesero con un’occhiata: Sikşaka si spostò silenziosamente in cucina, in un punto in cui non sarebbe stato visibile dalla porta del salotto; mentre Matej si recò nell’ingresso.
E il suo pensiero ricalcò esattamente le parole di Lilith.
* * * * * *
Il posteggio, a Metropolis, era un’arte raffinata. O almeno così pensava Denzel Steds mentre l’ascensore si fermava al sedicesimo piano. Ne uscì tutto soddisfatto, pregustando di accaparrarsi il megaschermo in salotto e godersi la partita dei Kerwan 88/Knights.
Quasi come un presagio, il chatter sparò a tutto volume il loro inno. La suoneria – tutt’altro che professionale, come tendeva a ripetergli il “fratello” – era quella che aveva assegnato alle chiamate della sua presunta famiglia, perciò rispose senza nemmeno guardare lo schermo.
«Sono qui fuori.» disse. «Fra due secondi entro.»
«No, tu sta’ lì.» lo rimbeccò la voce baritonale di Matej.
L’espressione del lombax si fece sorpresa per un istante, poi si appiattì di colpo. «Non starai per dirmi che devo tornare al supermercato, spero.»
Il portone si aprì di uno spiraglio e il suo collega uscì in punta di piedi, rifilandogli un’occhiata fosca. «Abbiamo un problema» sussurrò.
«Cosa vuoi dire?» sussurrò a sua volta Denzel. L’altro lo afferrò per un braccio e lo trascinò nell’ascensore, pigiando un tasto a caso sulla pulsantiera. Le porte si chiusero e solo quando la macchina prese a salire l’altro gli rispose.
«Cole Shinagan è seduto sul nostro divano.»
«Chi?»
«Il figlio di Cary Shinagan, consulente personale di Dragan Koss, è ora seduto sul divano del nostro salotto» sillabò.
Denzel si accigliò immediatamente. «E cosa ci fa lui qui?»
«Pare che abbia sbagliato campanello» Matej incrociò le braccia, incapace di credere a un simile colpo di sfortuna. «Al momento lo abbiamo praticamente sequestrato, ma capisci che dobbiamo fare qualcosa per salvare la copertura.»
«Oh, sì, sicuro!»
«Non puoi creare un meccanismo per cui si dimentichi di noi, una volta uscito?»
L’altro si lasciò sfuggire una risata. «Ehi, sono telepate, mica ho la bacchetta magica!» Poi gli venne un’idea: «Però una cosa posso farla.»
Il collega lo invitò con un cenno della testa a spiegarsi meglio.
«Posso nascondere il ricordo. Non farglielo dimenticare, ma rendergli molto difficile richiamarlo.»
«E sarebbe un nascondiglio permanente?»
L’altro scosse la testa. «La possibilità che prima o poi torni a galla c’è sempre» ammise. «Però posso fare in modo di ridurla al minimo. La memoria a lungo termine è praticamente un labirinto, sai.»
Il poliziotto dal pelo grigio, per un istante, immaginò file e file di scaffali altissimi pieni di palle colorate, una per ricordo. Poi si disse che sicuramente non era così e batté una pacca sul braccio al collega, contento che – per una volta – l’intoppo si fosse risolto alla svelta. «Occhio a non perderti, allora.»
* * * * * *
Lilith si sentiva ribollire dentro. Prima la xarthar svenuta, poi il medico assillante, infine Cole. Era ovvio che qualche forza soprannaturale ce l’avesse con lei.
La goccia che aveva fatto traboccare il vaso era arrivata quasi subito. Sorprendentemente a farla cadere era stato Sikşaka, non Cole. Le aveva chiesto di servire del tè freddo, e lei – all’idea di servire il piccolo bastardo – aveva mandato agli inferi tutti i buoni propositi. Si era rifugiata in camera, svelta come la polvere, e che loro si arrangiassero.
 
Sikşaka, sentendo sbattere la porta della camera, si era fatto i complimenti per la riuscita dell’operazione. Se aveva appreso qualcosa dal periodo di allenamenti forzati era che insieme quei due erano pericolosi tanto quanto divisi erano gestibili. Infatti, a riprova della sua teoria, in quel momento Cole chiacchierava senza la minima traccia di nervosismo o strafottenza. Anzi.
«Insomma» stava dicendo, piuttosto accorato «Quando abbiamo sentito della bomba non ci è sembrato vero... Naukara è pure andato a vedere...»
«Come va la gamba, a proposito?» domandò Sikşaka. Il lombax color torba lo guardò con espressione confusa. «Gli è guarita bene?» domandò il maestro di spada.
«Ah, quello! Sì, è guarito secoli fa. Fa ancora un po’ di riabilitazione, ma corre come prima. L’hanno preso nei Veldin Flashes.»
Un tesserato della scuola calcio planetaria. Mica male, pensò l’adulto, guardandosi bene dal dirlo ad alta voce.
«E tu? Studi qui?»
«Oh, sì! Studio e frequento gli allenamenti dei Knights. Uno dei loro scout è venuto a vedermi a inizio anno e gli sono piaciuto.»
Sikşaka sorrise. Al nome della squadra la faccia di Denzel gli era balenata subito in mente. «Un mio amico è tifoso dei Knights. Mi dispiace che non sia qui, altrimenti potreste discutere un bel po’.»
«Ah, che peccato!» commentò il ragazzo, sinceramente deluso. «Il coach dice che il parere dei tifosi è importante.»
Andarono avanti così finché Matej rientrò in casa. Il rumore della serratura ruppe il discorso, e quando il lombax comparve in salotto il ragazzo lo squadrò intensamente.
Aveva la sensazione di averlo già conosciuto, anche se non ricordava dove. Denzel, che stava lavorando all’interno della sua mente, lo riferì a Matej. Il poliziotto ne approfittò subito.
«Matej Dianc» mentì, tendendo la mano. «Sono il padrone di casa.»
«È un piacere. Cole Shinagan.» rispose, alzandosi per stringergli la mano. Quando si risedettero, nella testa di Cole la spia del “t’ho già visto” era spenta.
«Sei il ragazzo di Lilith?»
«Che? No! Non esiste una persona compatibile con lei!» Fortuna che aveva finito il tè, altrimenti si sarebbe strozzato per lo schifo. Coppia con la pazza? Che incubo!
Sikşaka non provò nemmeno a nascondere un sorriso. Per fare coppia con Lilith, in effetti, bisognava essere molto forti o molto accomodanti. Oppure entrambe le cose, e possibilmente in quantità industriali.
«Diciamo che il qui presente è più il tipo che si diverte alle spalle di Lilith.»
«Oh... oh!» Matej finse di aver capito solo allora. «Immagino che corra come una lippa, allora» e si chinò appena verso il ragazzo, con aria complice. «Ho visto come si allenano questi due: fidati, hai fatto bene a non farti prendere.»
Cole si voltò di scatto verso Sikşaka.
«Fanno arte delle lame qui vicino?»
Denzel, nella mente del ragazzo, percepì che la curiosità sincera di Cole sarebbe diventata insidiosa ed estese le sue facoltà per avvisare Sikşaka di mentire. E lui eseguì.
«Non proprio, ma se si tollerano cinquanta minuti di mezzi si trovano buone palestre» disse. Non capiva la necessità del suo presunto cognato, ma si fidò lo stesso.
Matej pensò di spostare il discorso altrove. «Una noia ben ricompensata, direi. Con quelle lezioni extra la piccolina fa dei figuroni all’Accademia!»
Le orecchie di Cole ebbero un fremito. Fissò Sikşaka con puro sconcerto. «Nella Flotta? Lilith?»
«Già.»
«Ma come vi è venuto in mente? Cioè... è da pazzi! È indisciplinata, violenta e lenta di comprendonio!»
«Oh, sì, in effetti è indisciplinata» convenne il maestro di spada.
«Eccome!» fece eco Matej.
«Ma i Boldan Archers ti hanno scartato per lo stesso motivo, che io sappia» andò avanti Sikşaka, pugnalandolo con un’occhiata significativa. «In tutta onestà il tuo lancio è impreciso, la battuta sempre in ritardo e l’home run lento. Non credi di essere nelle sue stesse condizioni?»
«Io sono qui per raggiungerli, i Boldan Archers. Farò capire loro che hanno commesso un errore a scartarmi. Mi serve solo tempo.»
«E lo stesso vale per Lilith» replicò Sikşaka. «Stessa situazione, contesti diversi.»
«Vedremo.»
«Vedremo» gli fece eco la ragazza, comparendo sulla soglia in quel momento. Se le occhiate avessero potuto uccidere, Cole sarebbe finito all’obitorio. La ragazza fece qualche passo nella stanza; studiò la tenuta elegante del suo coetaneo e provò insieme irritazione e disgusto. «Sai che ti dico? Spari sentenze sentendoti un dio, ma fra quattro anni mendicherai soldi al suo adorato papino, mentre io avrò un lavoro e una posizione. E allora la strafottenza te l’attaccherai al culo.»
«Se non altro qualcuno da chiamare papino io ce l’ho.» replicò lui, acido.
La ragazza non raccolse la provocazione. Fece spallucce e si appoggiò a braccia larghe alla spalliera dietro Sikşaka e Matej. L’aria intorno a lei era rovente. Cole era troppo distante per percepirla, ma per qualche motivo non riusciva a non pensare all’unico allenamento che avevano fatto insieme, a quando lei aveva saltato il tavolino per malmenarlo con una ferocia che rasentava lo stato berserk.
Lilith, ignara di avergli scolpito nel cuore un nuovo concetto di paura, continuò a fissarlo torva da dietro i due adulti, con le mani sempre più strette sullo schienale e le orecchie basse per l’irritazione.
«Sarò a prova d’imbecille, Shinagan. Il mio obiettivo è la USS Ferox; il tuo è dare mazzate a una pallina. Io sono qui perché volevo venire all’Accademia; tu perché non sai leggere il nome sul campanello. Sei seduto in casa mia, sul mio divano, ad abusare della mia pazienza... per parlare di cosa, esattamente?»
«Parlo di quello che voglio, Hardeyns. Mica mi serve il tuo permesso.»
«Non abbiamo il tempo, prima ancora che la voglia, di sorbirci le tue puttanate.» Portò eloquentemente il pugno sopra la spalla, il pollice che indicava l’ingresso. «Adesso levati dai coglioni, e a mai più rivederci.»
* * * * * *
«Lilith... non pensi di aver esagerato?» domandò Matej.
«No, per nulla.»
Cole se n’era andato da poco e la ragazza lo aveva rimpiazzato sul divano davanti agli adulti. Sembrava quasi una gatta gelosa del suo territorio: seduta a gambe incrociate nello stesso punto dove si era seduto il suo coetaneo, con la coda che frustava incessantemente l’aria e lo sguardo imbronciato.
«Stavi per scattare» continuò il poliziotto, implacabile. La ragazza incrociò le braccia.
«Non è vero.»
«Ci hai fatto la sauna, tant’eri scazzata!»
Le orecchie di Lilith guizzarono per la sorpresa. Ci fu un attimo di silenzio, occupato da un furioso rimprovero interno alla mente della ragazza. L’umore, dopo, si fece ancora più plumbeo.
«Saperlo lì a fare il figo mi ha mandato il sangue al cervello» ammise a denti stretti. «Comunque volevo solo mandarlo via.»
«La tua faccia diceva “ora ti scanno”.»
«La pianti col terzo grado? Rompeva il cazzo anche a te, per la cronaca.» Altro attimo di silenzio. Poi con fare dimesso, come se provasse un’improvvisa vergogna, borbottò: «È vero: ci ho pensato, ma sarebbe stata un’idea con pessime conseguenze. Grazie ma no grazie.»
Il dialogo andò avanti ancora per un po’, ma Sikşaka perse il filo in quel preciso istante.
Ci ho pensato ma...grazie ma no grazie. Quella parte era significativa, considerando la personalità di Lilith. Voleva dire che aveva pensato di picchiare Cole, ma aveva scelto di usare le parole. Voleva dire che in quei pochi mesi era maturata molto più di quanto desse a vedere.
Sì, ha ancora degli atteggiamenti infantili... e il brutto rapporto con suo padre non aiuta... ma se questo è il suo livello di controllo allora ha fatto dei passi da gigante. Stasera farò caso alle sue mosse, in palestra. Se dopo oggi non esplode per la frustrazione allora potrei considerare seriamente di darle Rakta in custodia.
Lanciò un’occhiata alla sua allieva, poi all’orologio. Era conscio del rischio che avrebbero corso affidando la scimitarra alla ragazza. Era conscio di tutti i rischi comportati sia per lei che per gli altri. Eppure ai suoi occhi era un’idea valida.
Dubito che la cassaforte che abbiamo sia una sfida per i ladri, ma l’Accademia sarebbe un altro paio di maniche. Dopo il disastro su Marcadia i controlli si sono fatti ferrei: sarebbero ideali. E se Lilly riuscisse a portarla con criterio sarebbe buono. Magari comincio a istruirla con la spada smussata, e se reagisse bene un giorno potrei proporle di custodire la scimitarra vera...
* * * * * *
Stesso momento
Poco distante dall’orbita di Veldin, USS Ferox, ponte blu
 
L’alloggio del comandante era silenzioso. La luce soffusa dei neon dava alla stanza l’opacità delle grotte di ghiaccio hovenee, e medesimo era il calore offerto dagli arredi. Unica concessione ai toni caldi era il grande specchio di fronte alla branda: un arco a sesto acuto di bronzo dai bordi così ben cesellati da parere incorniciato da fiori veri.
Queen Hakuro non lo aveva scelto per il gusto artistico, ma per la sua funzione. Era uno degli Âd’je Linivê, forgiato eoni addietro col sangue dei toksâme e coi metalli a loro sacri. Serviva a guardare laddove si desiderava e Queen riusciva a passarci ore davanti. Sfilava il drappo grigio dalla cornice, ordinava la destinazione e sedeva sulla branda, a guardare con attenzione.
L’immagine in quel momento era quella del salotto di casa Dianc, a Metropolis. L’umana aveva seguito l’andare della discussione per qualche tempo e, proprio quando aveva pensato che non portasse a nulla di nuovo, l’idea di Sikşaka aveva sbriciolato ogni convinzione.
«Zôffa!» ordinò, senza rendersi conto del tono di voce. «Zôffa, naskôfi. Uggepêlje ôf kuä timleïsa.»[1]
Ma la faccia di Sikşaka non cambiò espressione. Queen si rese conto dell’inutilità di parlare l’Idioma senza contatto diretto, e a denti stretti affibbiò un pugno al materasso. «Chaos maledetta! Per una volta che un mortale ha una buona idea io non posso condizionarlo!»
Si sentì rodere dall’urgenza di fare qualcosa. Valutò l’idea di aprire un portale e raggiungerlo, ma si disse che condizionarlo non sarebbe servito a molto: Lilith lo era abbastanza per entrambi. Eppure, mentre si diceva che la ragazza non si sarebbe fatta mancare l’occasione di mettere le mani sulla preziosa spada, non poté evitare il dubbio. Sarebbe stato sufficiente il suo lavoro a Kyzil Plateau? Rakta – concepita e forgiata per abbattere Shine e i suoi alleati – si sarebbe affiliata ad una mente plasmata dal nemico?
 
Lanciò un’occhiataccia alla scena nello specchio.
Sarebbe stata una scommessa. E, con Amsu e Dravec e le altre armi divine in gioco, sarebbe stata una scommessa pesante.
Tutto per tutto, vincere o perdere, vivere o morire.
Puntò minacciosamente il dito contro lo specchio, contro l’immagine della famiglia Dianc, il suo azzardato e prezioso investimento.
«Non deludetemi, mortali. Non deludetemi

[1|⇑] Fallo, mortale. Ubbidisci al tuo pensiero.

Che dire: è fatta; ce l’ho fatta, è finita. Lilith prosegue la sua vita brutalmente inconscia del lavaggio del cervello che le ha fatto Queen, e si appresta con tutta la sua determinazione a diventare un membro della nave della Regina. La rivedremo presto in azione? “Presto” è decisamente un parolone, ma ho in mente qualche ideuzza. La rivedremo di sicuro, giacché è parte della macrotrama, ma non so dirvi di preciso quando.
 
Frattanto mi appello al vostro buon cuore e domando recensioni, perché un feedback (positivo o negativo che sia) è sempre motivo di miglioramento. Anche se in questo periodo non ho pubblicato, in realtà mi sono data da fare: ho letto libri sulla scrittura, ho letto diversi romanzi in diversi stili, ho cercato di apprendere e migliorare. Tuttavia la cartina al tornasole dei miei sforzi siete voi lettori, pertanto mi appello al vostro parere.
 
Alla prossima!
Iryael

 

   
 
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