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Autore: Padme92    12/09/2016    0 recensioni
Ero uno come tanti: vivevo la mia vita tranquillo e senza troppi pensieri, facendomi i fatti miei. Un giorno qualunque, però, ho iniziato a provare paura: una paura totale, profonda e paralizzante. Ho provato a fuggirla, ma non c'era verso di eluderla. Così alla fine ho deciso di affrontarla, e ho scoperto l'amore. Quello vero.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Φιλοφοβία (Philophobia)



Paura era bella, solo che non lo sapeva. Aveva quel cuore insicuro di una fanciulla in pubertà, ma fresco come un bocciolo di rosa, che tremava quando rideva nervosa. Il riso le scivolava fuori dalla gola, accarezzandole la lingua che non riusciva a frenarlo, e le lasciava secco il palato se non si affrettava a serrare le labbra. Nella sua timidezza pudica, avanzava di tanto in tanto Curiosità a sollevarle la gonna, e sorniona la osservava mentre le sue gote si tingevano di rosa. Eppure, se la fissavi attentamente, potevi notare il guizzo divertito e malizioso di un mezzo sorriso che le contagiava gli occhi, quando si accorgeva di attirare gli sguardi.
Io, Paura, la conoscevo di nome, anche se non l'avevo mai incontrata prima di quel giorno. Ricordo come mi ero svegliato tardi il mattino, sconcertato dall'assenza della cara Abitudine, fedele compagna, che alle sette, puntuale, mi prendeva sempre per mano e mi guidava fuori dal letto e poi nei labirinti del mondo, con cieca ma brillante sicurezza. Avevo sentito parlare di quella schiva creatura, dallo sguardo basso, il respiro affannoso, il passo incerto; ero anche stato avvisato, da più piccolo, di non sostare mai a parlare con lei, di non fermarmi mai più del necessario, in nessun caso e da nessuna parte, in sua presenza. Dicevano che poteva diventare appiccicosa, pesante, tormentosa. Insomma, era una con cui non avrei dovuto avere a che fare, per il mio bene, proprio per niente.
In ritardo, quel giorno caracollai nel viale fuori da casa mia, senza fiato per la fretta, e iniziai a correre sentendo presto i polmoni bruciare. Case e alberi in fila, uno dopo l'altro, mi sfilavano sfocati davanti agli occhi. Il vento scuoteva le fronde dei platani, e il cielo era chiaro, anche se offuscato da nuvole sparse. Poi, senza il minimo preavviso, lei mi piombò dinanzi, non tanto per sbarrarmi il cammino, quanto per inghiottirmi, invitandomi ad affondare nelle sue profondità.
Stavo correndo veloce, quando il terreno, d'un tratto ricoperto di sassi e pietre, mi obbligò a rallentare. E fu così che inciampai, nella maniera più goffa possibile. Il mondo si capovolse vertiginosamente e il suolo scosceso dove mi trovavo franò in maniera inaspettata, portandomi con sè in una rovinosa caduta. Quando, dolorante e disorientato, feci per alzarmi, prima ancora di pensare, le afferrai la mano. Solo una volta in piedi, nell'alzare gli occhi, salda la presa, riconobbi mio malgrado lo sguardo terrificato di un'ombra. Era lei: Paura.
Per qualche motivo evidente, anche se non a me, sembrava molto spaventata dal suo stesso gesto di aiuto, perfino incredula. Ricordo che le sorrisi appena, in segno di ringraziamento, ma titubante data l'espressione sul suo viso, che un po' a dire il vero mi sconcertava. Così, in fretta, anche se esitante, mi congedai per proseguire il cammino da solo. Fu in quel momento che mi accorsi di non riuscire a sciogliere l'intreccio delle nostre mani unite, nemmeno sforzandomi. O forse la realtà fu che mi arresi subito a quella stretta, ugualmente tenera e disperata, e il perché veramente non lo so. Paura, da parte sua, non accennava a mollarmi. E più che non volere, pensai piuttosto che non poteva. Pochi secondi di larga durata mi aprirono gli occhi su un precipizio fittizio della coscienza, che ancora non riesco a spiegare. So solo che da quel giorno, in maniera oscura e in qualche modo rassicurante, tanto che a pensarci rabbrividisco, Paura non mi lasciò mai, mai più.
Passarono giorni, settimane, mesi, e il mondo appariva diverso con lei al mio fianco: più grande, immenso, ogni cosa sembrava lontana, irraggiungibile. La linea dell'orizzonte si era fatta sfumata, e terra e cielo li distinguevo a fatica. Le nuvole sbrodolavano fino ai miei piedi, la foschia mi annebbiava la mente e un freddo glaciale mi prendeva dentro. Vivevo così chiuso nel mio piccolo mondo con lei, e tentavo di lasciar fuori tutto il resto. Non riuscivo più a correre: i miei passi risuonavano incerti e solitari ovunque andassi, e poco alla volta iniziai a dimenticare persino la maniera corretta di camminare, ovvero un passo dopo l'altro. Procedevo a singhiozzo, quasi fossi ubriaco. La mattina mi svegliavo senza coperta, senza Abitudine a rimboccarmi dolcemente il piumone, a rassicurarmi e vegliarmi nel sonno. Vagavo nella mia giornata incolore senza direzione, con Paura sempre lì, fermandomi all'imbocco delle strade, perdendomi negli incroci, tenendole la mano. Fino a che, un pomeriggio come un altro, riuscii a risalire il burrone piano piano, un po' per caso, un po' per tentativi, e a sollevarmi inaspettatamente sopra il mare di nebbia.
Ricordo bene che ero seduto a crogiolarmi al sole, quando mi accadde qualcosa di singolare: una nota di rosso acceso, come un lampo, apparve e mi accecò, ferendomi le iridi. Ora davvero non riuscivo più del tutto a riconoscere quello che avevo intorno, ma come attirato da una calamita andai dritto verso il ponte che collegava i due lati della gola.
Più o meno a metà, Amore mi aspettava. Ci guardammo.
Lei era bella, tanto bella da non riuscire più a distogliere gli occhi dal suo viso. Serena e affabile, con il suo sguardo mi trafiggeva dolcemente il petto, mentre la sua aura calda e accogliente mi investiva. Ardente di desiderio, feci per raggiungerla, ma qualcosa mi trattenne forte per il braccio. Infastidito, mi voltai e scorsi Paura, che, sudata, impaurita, e quasi affranta, come un vetro crepato, mi implorava con gli occhi di non andare. Un miscuglio di emozioni si impadronì del mio animo: rabbia, tristezza e desiderio. Annaspai a lungo in quell'oceano interiore che mi allagava gli anfratti del cuore, fino a che, disperato, mi lanciai barcollando verso Amore, chiudendo gli occhi, e poi anche le orecchie, per non sentire l'urlo che si era levato alle mie spalle.
Ero a un passo da lei, quando con troppa foga tentai di abbracciarla, immaginando già di possederla. E in quello stesso istante, Amore si dissolse: volò via, forse, come una colomba.
Io mi guardai attorno frenetico, ma non la vedevo: lei non c'era, da nessuna parte. Scrutai il cielo: niente. Dov'era finito il mio amore? Cercai, e cercai... ma non lo trovai più. Al suo posto, ora, vedevo solo il precipizio sul quale stavo in bilico. Abbattuto, disperato, e alla fine rassegnato, caddi in ginocchio e piansi.
Avevo creduto di averla trovata: lei, la luce, la mia stella polare infine... ma no, dovetti ammettere che non era così. Una stupida illusione mi aveva tratto in inganno! Perché mai ero risalito dalla gola? In fondo, giù non era poi così male, pensai, e c'era Paura che mi teneva stretto... al riparo dalle delusioni.
Lentamente, non avendo nul'altro da tentare, indietreggiai e tornai da dove ero venuto: lei era sempre lì, sull'orlo del ponte, dove l'avevo lasciata. Guardava di sotto, nel vuoto, e aveva un aspetto così triste e malinconico, che mi venne di nuovo da piangere. Sembrava assorta, sembrava quasi che... valutasse di buttarsi dal ponte. Lasciarsi andare, via. E lasciarmi, libero. D'istinto mi avvicinai per fermarla, le strinsi la mano, le feci voltare il viso verso di me. Poi, d'impulso, la baciai, e credetti di perdermi nel farlo. Però lei rispose al bacio, timida e gentile, e io mi ritrovai.
Allora guardai Paura, e nei suoi occhi spalancati mi immersi un istante. E fu lì che lo vidi, e fu questione di un attimo: dietro il suo indugio, nella grotta ombrosa delle sue pupille, placido come un pomeriggio estivo, giaceva Amore, il mio amore. E si sentiva solo.

   
 
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