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Autore: chrjstina_    12/09/2016    4 recensioni
Frank Wilson è un vigile del fuoco della New York Fire Department.
E’ un americano fiero della sua patria, un marito e un padre eccezionale. Ama il suo lavoro e farebbe di tutto per la sua famiglia. Ma, quando perde la propria vita nell’attacco dell’11 settembre 2001 per salvare un bambino dalle fiamme, la vita dei suoi familiari crolla come un castello di sabbia.
Quindici anni dopo la sua morte, il suo primogenito Benjamin decide di intraprendere la sua stessa carriera e si arruola nel dipartimento dei vigili del fuoco.
Cosa succederebbe però, se il bambino che venne salvato da Frank quindici anni prima, quindici anni dopo incrociasse il cammino di Ben?
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Prologo.
 
 

11 Settembre 2001

Erano le 8:46 quando la sirena della New York Fire Department cominciò a suonare, riscuotendo i vigili del fuoco che stavano comodamente seduti sulle loro poltrone di pelle, cercando di riposarsi, dopo lo spegnimento dell’incendio avvenuto, qualche ora prima, ad alcuni isolati dalla caserma.

“Squadra 5, Ambulanza 54 e Camion 23. Manhattan Washington DC, il volo America Airlines si è schiantato contro il World Trade Center.”

La voce metallica risuonò negli altoparlanti e tutti gli uomini del Dipartimento si fiondarono sugli automezzi.

Frank Wilson, considerato da tutti padre di famiglia e marito straordinario, era nell’A.P.S. insieme a Jeremy Smith.

Quando il camion 23 iniziò a sfrecciare a sirene spiegate tra le strade affollatissime di New York a causa dell’incidente, tutti si resero conto del fatto che era appena accaduta una vera e propria tragedia.

“Alza il volume della radio, Jeremy.” Ordinò Frank mentre spingeva il piede sull’acceleratore.

“Pare si tratti di un attacco suicida ai danni delle Torri del World Trade Center. Un dirottamento aereo da parte del volo American Airlines 11 e del volo United Airlines 175. I feriti sul posto aumentano a vista d’occhio insieme al numero delle vittime. Per il momento nessuno sa nient’altro.” Alla giornalista, in diretta dal posto, tremava la voce e Frank credeva che a momenti le sarebbero potute cadere le corde vocali dall’agitazione.

Gli automezzi della caserma 43 arrivarono sul posto un’ora e mezza dopo, a causa dell’affollamento nelle strade e, quello che tutti gli uomini del dipartimento videro, fu davvero più grave di come i giornalisti l’avevano precedentemente descritto.

La Squadra si divise. Il comandante Robinson ordinò di setacciare l’edificio per accertarsi della presenza o meno di vittime all’interno di esso.

Frank si addentrò, insieme a Jeremy, all’interno della Torre, munito di maschera e ossigeno; nello stesso istante, i dipartimenti presenti sul posto diventarono quattro mentre le squadre di soccorso sei.

I corridoi degli ultimi piani erano inghiottiti dal fumo e la vista di Frank si annebbiava sempre di più a causa delle fiamme che a poco a poco coprivano tutto quello che gli stava attorno.

Jeremy era attaccato alla sua schiena. Iniziarono ad aprire tutte le porte dei corridoi, osservando gli uffici all’interno e controllando che nessuno fosse rimasto bloccato in uno di essi.

Mentre spalancavano le porte, udirono una sottile voce provenire da una di queste e Frank, prontamente, obbligò Jeremy a fermarsi per lasciargli controllare meglio l’ufficio che stava dietro il punto da cui proveniva il suono.

La stanza era immersa nelle fiamme ma l’unica parte ancora intatta era l’angolo sud-est, dove un bambino era accovacciato sotto una scrivania in vetro.

“Hey, piccolo stai calmo. Va tutto bene. Come ti chiami? Io sono Frank.” urlò sopra le fiamme. Il piccolo allacciò le braccia al suo collo urlando “Matthew! Mi chiamo Matthew e ho sette anni!” la sua voce era limpida e fece stringere il cuore del pompiere che pensò ai suoi due angeli che lo aspettavano a casa.

Lo strinse a sé coprendogli la bocca con un fazzoletto, raccomandandogli di tenerlo premuto finché non sarebbero usciti da lì.

Jeremy tenne la porta aperta, permettendo, così, ai due di uscire e iniziò a guidarli verso la scala antincendio.

“Prendi il bambino ed esci, io continuo a perlustrare le ultime stanze, va’ Frank, va’!” gli urlò, cambiando poi direzione.

Agli ultimi piani non c‘era più nessuno. Frank continuò a dirigersi verso le scale antincendio con in braccio il piccolo Matthew. Erano quasi arrivati all’uscita quando il suo piede si impigliò in una manichetta, facendolo scivolare e mollando, così, la presa sul bambino. Il piccolo si voltò e notò che il pompiere era in difficoltà e avvicinandosi a lui, cercò in qualche modo di aiutarlo.

“Va’ Matthew, esci, veloce! Non preoccuparti per me!” le fiamme lo stavano per raggiungere ma il piccolo Matt si avvicinò a lui.

“Ci vediamo fuori, vero Frank?” gli occhi azzurri di Matthew, che lo guardavano, fecero venire al pompiere un nodo alla gola.

“Sì, ci vediamo fuori piccolo, adesso, però, corri.” Il bambino cominciò a scendere frettolosamente le scale mentre le fiamme raggiunsero Frank, inghiottendolo completamente.

Poi un grido sordo, talmente forte da far voltare Matthew e far tornare immediatamente indietro Jeremy, il quale si accorse che ormai era troppo tardi.

“Smith, Smith che succede?” la voce del comandante risuonava nel walkie talkie di Jeremy, che non riuscì a dire una parola. “Smith, rispondi!”

“Comandante, Wilson non.. non ce l’ha fatta.” Gli tremò la voce mentre teneva il walkie talkie stretto tra le mani, vedendo quello che aveva davanti. “SMITH ESCI SUBITO DI LI’, ADESSO!” Robinson era tanto spaventato quanto scosso da quello che aveva appena sentito.

 

“Ci è appena giunta notizia che le vittime sono salite a quasi duemilasettecento mentre i feriti a milleottocento ma ancora si sta perlustrando la zona. Tra le vittime sembra che ci sia anche un vigile del fuoco, la cui identità non ci è stata, ancora, fornita. il TG rimane in continuo aggiornamento.” La giornalista si spostò una ciocca di capelli, continuando con la diretta sul posto.


Non lontano da lì, Kate, con le lacrime agli occhi, chiamava ripetutamente il marito, ma il suo telefono squillava a vuoto. Lunghi e interminabili squilli che non avrebbero avuto nessuna risposta, ormai. Teneva le mani di Benjamin, il suo primogenito, strette tra le sue, promettendo sia a lui che alla sua piccola sorellina Sam che tutto sarebbe andato per il meglio. Una bugia che cercava di convincere anche lei.

 

Matthew riuscì ad uscire dall’edificio dopo circa dieci minuti. Era spaesato e scosso e non trovava la sua mamma. Era in preda al panico quando un paramedico si mise in ginocchio prendendogli piano le spalle.

“Come ti chiami?” chiese mentre gli passava una mano tra i capelli castani. I suoi occhi azzurri la squadrarono, prima impauriti, ma poi, quando notò la divisa, si tranquillizzò.

“C’è un vigile del fuoco lì dentro, è in pericolo!” urlò alla donna con i capelli rossi che gli strinse le spalle.

“Stai tranquillo, ok? Hanno già mandato qualcuno a prenderlo.” Disse prendendolo tra le braccia e portandolo verso l’ambulanza, facendolo sedere sulla barella per controllare che non avesse nulla di rotto o ferite gravi. “Io sono Matt.” Disse poi, tra i singhiozzi. “Io sono Jennifer, dov’è la tua mamma Matt?” chiese la donna, asciugandogli una lacrima fugace. Il piccolo alzò le spalle, cercando inutilmente di trattenere le lacrime.

Sapeva che quel vigile del fuoco sarebbe uscito presto dall’edificio, lo voleva ringraziare perché gli aveva salvato la vita, magari sarebbe andato a trovarlo in caserma e gli avrebbe portato dei biscotti. Si, l’avrebbe fatto.
Ma quando vide un altro pompiere togliersi la maschera e asciugarsi il viso con il dorso della mani, mentre si avvicinava a lui, scoppiò a piangere perché quell’uomo, quel pompiere era quello che stava con Frank e adesso era da solo, vicino a lui, con la fronte imperlata di sudore e il viso rigato dalle lacrime.

Matthew poteva avere anche sette anni, ma capì, solo incrociando lo sguardo con l’altro, che quel pompiere che gli aveva salvato la vita, per farlo, aveva perso per sempre la sua.     

 

Poco più lontano dal World Trade Center, in casa Wilson, una donna piangeva disperatamente tra le braccia del padre. Erano le lacrime di una donna che aveva appena scoperto che suo marito, l’uomo che giurò di amare fino alla fine dei suoi giorni, l’uomo che aveva dormito e vissuto accanto a lei dal 1991, quando si erano uniti nel sacro vincolo del matrimonio, aveva perso la vita.

Sam e Ben erano nella loro camera con la nonna Sofie. Stavano in silenzio perché le urla sconvolte della madre avevano già detto tutto. Sofie li stringeva a sé, come se le sue braccia potessero dissolvere questa terribile tragedia.

Il funerale si sarebbe tenuto due giorni dopo.


13 Settembre 2001

Gli uomini del dipartimento indossavano la divisa, allineati a capo chino davanti la bara del loro fratello.
Kate portava un velo nero sul viso, mentre stringeva le mani dei suoi piccoli angeli, che stavano in silenzio da giorni.
Il reverendo Ernest permise ad amici e familiari di spendere qualche parola su Frank.
Li osservava uno per uno, con compassione dolore, mentre Jeremy Smith si fece avanti, decidendo di dare un ultimo saluto, a quello che era stato il suo migliore amico e collega per molti anni.

“Ero con Frank il giorno in cui ha perso la vita. È sempre stato un eroe, ed lo è stato fino all’ultimo, salvando la vita ad un bambino quella mattina. È sempre stato un uomo generoso, ha sempre messo gli altri davanti a lui, non faceva mancare mai niente a nessuno. Ha sempre dato tutto, anche quando non aveva niente, perché Frank era fatto così.” Si asciugò una lacrima con la mano coperta dal guanto bianco mentre con l’altra stringeva il cappello. Kate rivolse uno sguardo verso l’alto, verso un cielo coperto in parte da nuvole, quando qualche goccia di pioggia cominciò a scendere lentamente, come lacrime.

“Ha vissuto da eroe, facendo quello che ha sempre amato fare. Abbiamo intrapreso quest’avventura insieme, seguendo i passi dei nostri padri, di coloro che sono stati i nostri punti di riferimento, che ci hanno sempre insegnato che il valore di una vita è uguale ad un’altra, anche alla propria.
Frank, adesso che ci guardi da lassù, proteggi me e tutti i tuoi cari.” Jeremy guardò in alto e si mise sull’attenti, volgendo un ultimo saluto al suo amico. “Ciao fratello mio, ti voglio bene.”

Il funerale terminò e Kate iniziò a ricevere le condoglianze da tutto il dipartimento. Jeremy la strinse forte a sé per poi passare una mano sulla testa di Sam e Ben. Il comandante Robinson le diede un lungo abbraccio, dicendole che per qualsiasi cosa la Caserma 43 sarebbe stata, sempre, la sua casa.
Kate scoppiò in un lungo e doloroso pianto.

Il piccolo Benjamin non sapeva cosa pensare.
Il suo papà, il suo eroe, era morto. E’ morto da eroe, dicevano tutti. Sapeva che lo era, lo era sempre stato. Ma il suo papà non era un supereroe come quelli che amava vedere in TV, con i mantelli e i superpoteri. Suo papà era un vero eroe. Lui non indossava un mantello, lui indossava una divisa da pompiere e un casco; non aveva superpoteri, raggi laser e forza sovrumana; lui salvava le persone con le sue mani spegnendo incendi e portandole in salvo.

Però Benjamin sapeva che un superpotere il suo papà l’aveva, uno di quelli che nessun supereroe, né Hulk, né Batman, né Superman o Spiderman, aveva. Sapeva far ridere le persone tristi e questo è un potere da veri eroi.

 
  
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