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Autore: Cuorigraffiati    12/09/2016    0 recensioni
-Smettetela, smettetela di trattarmi come se doveste sempre proteggermi da qualcosa, come se vi sentiste in dovere di non farmi morire un'altra volta. Io non sono Allison, non lo sono adesso è non lo sarò mai. Lei non c'è più, e per quanto possa fare male, dovete accettarlo.-
-
Credevo di potermi abituare, credevo che con il tempo ci avrei fatto l'occhio, mi volevano nella loro vita per tappare la voragine che un'altra persona aveva lasciato. Però per quanto potessimo essere simili, io non ero lei, e questo faceva soffrire tutti.
-
-Tu mi piaci Stiles-
-Perché sembra così sbagliato mentre lo dici?-
-Non lo è-
Genere: Erotico, Fluff, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Faceva particolarmente freddo quella mattina, i grossi nuvoloni grigi che coprivano quasi del tutto il sole minacciavano i cittadini con un acquazzone tremendo, ed io camminavo a passo svelto sul marciapiede di cemento per evitare di essere una delle tante vittime. Beacon Hills era bella, le strade erano poco affollate, le persone per la maggior parte molto cordiali ed il contatto con la natura inevitabile, mi piaceva stare lì. Quando mia mamma mi annunciò il trasferimento non la presi molto bene, ero nata e cresciuta in Texas, ad Austin, non avevo mai messo piede fuori da quella città e vedevo lì tutto il mio futuro. All'inizio avevo opposto resistenza con tutta me stessa, poi in qualche modo l'avevo semplicemente accettato, non potevo farci niente. La parte più difficile fu dirlo alla mia migliore amica, Ruth, non avevo mai pianto davanti a lei per quel motivo, non volevo in alcun modo che mi vedesse triste e che  si accorgesse di quanto sarebbe stato difficile per me senza di lei, senza la mia quotidianità che era stata completamente ribaltata. La casa che mia mamma, Meredith, aveva affittato nella contea di Beacon era molto più grande della precedente, forse anche troppo per noi due, ma non mi lamentavo. Mio papà non lo vedevo da qualche mese, lui abitava in Europa con la sua compagna ed i miei fratellastri, nonostante il divorzio travagliato che aveva avuto con mia mamma eravamo in buoni rapporti, si erano sempre impegnati a mettere in chiaro che la separazione era tra loro due non tra me e loro. Avevo percorso quel tragitto più o meno dieci volte da quando abitavo a Beacon durante l'estate, volevo a tutti costi imparare le strade per arrivare a scuola in modo veloce e per potermi spostare con autonomia, non volevo disturbare mia mamma che aveva già parecchio da fare con il lavoro in fabbrica, che per la cronaca la distruggeva. Fissavo con insistenza gli stivali che portavo ai piedi stando attenta a non inciampare da nessuna parte, ero già abbastanza goffa di mio senza che qualcosa si prendesse la briga di farmici diventare. Nel giro di qualche minuto arrivai fuori dalla Beacon Hills High School, era diverso vederla con tutti quegli studenti che facevano un chiasso assurdo mescolandosi tra di loro, che avevano quelle  facce assonnate che già rimpiangevano le vacanze. Guardavo confusa tutte le auto parcheggiate nel grande spiazzo di cemento sul davanti, gli scuolabus gialli dai quali scendevano altri ragazzi che chiacchieravano, ridevano e fissavano con riluttanza la grande struttura davanti a loro. Abbassai la testa leggermente amareggiata. Odiavo sentirmi così sola in mezzo a tutte quelle persone, non riuscivo proprio a capire come poter evitare quella sensazione di smarrimento e paura che mi attanagliava lo stomaco, se solo ci fosse stata Ruth con me. Sospirai infondendomi coraggio da sola, potevo farcela. Mi stampai il sorriso più sincero che riuscissi a fare in viso e camminai a passo esitante verso la scuola davanti a me. Degli sguardi curiosi ed oserei dire quasi stupiti mi si puntarono addosso e quando qualcuno cominciò a bisbigliare dietro le mie spalle il poco coraggio che mi ero costretta ad avere sparì completamente. Boccheggiai qualche secondo per poi spostarmi una ciocca di capelli neri dietro l'orecchio. Dovevo cercare la segreteria. Segreteria che scoprii poco dopo si trovasse molto lontana dalle aule. La donna dietro al bancone mi guardava confusa ed io a quel punto proprio non riuscivo a capire. Tirai fuori il telefono dalla tasca posteriore dei jeans controllandomi la faccia, era tutto apposto, niente trucco sbavato, niente macchie di cui vergognarsi. Lo riposi dove lo avevo infilato la mattina stessa prima di uscire di casa. Tra occhiate indiscrete, sorrisi imbarazzati e tesi la signorina Williams, stando a quello che diceva il suo cartellino, mi diede il numero e il codice del mio armadietto, per poi consegnarmi il foglio con su scritto l'orario dei miei corsi. La ringraziai con un sorriso contenta di poterle finalmente voltare le spalle. Camminavo concentrando tutta la mia attenzione sul foglio stretto tra le mie mani, alla prima ora avevo storia. Cercai disperatamente il mio armadietto per qualche minuto e quando lo trovai sorrisi soddisfatta aprendolo. Tirai fuori dalla borsa quei libri che pesavano veramente troppo ed erano inutili per la prima lezione che avrei dovuto seguire, lo richiusi sollevata dopo qualche secondo. Chiesi ad una ragazza bionda che aveva più o meno la mia età dove fosse la classe di storia e questa leggermente spaventata mi indicò la porta in legno a destra alla fine del corridoio. La guardai stranita ringraziandola con altrettanta confusione. O i ragazzi a Beacon Hills non avevano mai visto una come me, oserei dire normale per quanto potessi veramente esserlo, o c'era qualcosa di sbagliato in quello che stavo facendo. Scossi la testa convincendomi del fatto che fosse solo una mia impressione. Entrai nell'aula lasciando sulla cattedra le mie generalità perché il professore o la professoressa potesse rendersi conto che non avevo mai frequentato quella stranissima scuola. Presi posto all'ultimo banco, il più appartato, se quello era l'effetto che facevo alle ragazze ed ai ragazzi di quell'istituto meglio evitare altre situazioni imbarazzanti. Tirai fuori il quaderno e la penna dalla borsa appoggiandoli sul banco, e mi sfilai la giacca incastrandola nella tracolla. Cominciai a scarabocchiare qualcosa su un foglio annoiata, la campanella prima o poi avrebbe suonato. 

-Lydia, guardami negli occhi, tu sei la ragazza biondo fragola più bella e intelligente che io abbia mai visto, ma quello che stai dicendo è impossibile. Hai subito un trauma e adesso credi di vederla ovunque- alzai di scatto la testa quando due ragazzi entrarono parlottando tra loro. Lui era abbastanza alto, con i capelli marroni leggermente scompigliati sulla testa ed un giaccone abbastanza pesante addosso. Lei aveva dei capelli rossi molto belli che le arrivavano fino a metà schiena in boccoli perfetti, non erano naturali al contrario dei miei, era abbastanza bassa e molto esile, portava una camicia infilata dentro una gonna e dei tacchi che la rendevano poco più alta. Non si accorsero minimamente di me tanto erano impegnati a bisticciare. Il ragazzo mise le mani sulle spalle fini della rossa, la guardava fisso negli occhi cercando di infonderle sicurezza. Si volevano molto bene, questo era chiaro, cristallino avrei osato dire.

-Io non sono pazza Stiles, sono sicura di ciò che ho visto. E non sono la sola a poterlo confermare, ti prego credimi.- Sembrava così disperata che provai dispiacere per lei, non la conoscevo, non l'avevo mai vista in tutta la mia vita, eppure quella voce tremolante mi provocò un brivido su per la schiena. Il moro sospirò passandosi una mano tra i capelli.

-Quindi resuscitano anche i morti a Beacon Hills?- sbottò confuso lui. Mi scappò una risata che non riuscii in alcun modo a trattenere, mi massaggiai il collo imbarazzata quando entrambi si voltarono nella mia direzione. Ingoiai il groppo che mi si era formato in gola quando il ragazzo lasciò cadere le sue mani lungo i fianchi fissandomi a dir poco scioccato. Gli occhi della rossa si riempirono di lacrime che cercava palesemente di reprimere e mi guardava boccheggiando. Io sul serio non riuscivo a capire che cosa diavolo stesse succedendo. La ragazza mosse qualche passo nella mia direzione incapace di distogliere gli occhi dalla mia figura. Avevo voglia di urlare, di chiedere che cavolo volessero da me e che cosa stessero facendo lì impalati a fissarmi come un fantasma. 

-Dio Stiles che succede? Perché mi hai chiamato così agitato e...- La ragazza davanti a me non distolse lo sguardo ma si bloccò sul posto, io al contrario feci saettare i miei occhi alla figura che aveva appena varcato la porta. Era un ragazzo, alto tanto quanto quello già presente nella stanza, Stiles, aveva i capelli leggermente più scuri di lui e gli occhi marroni di un intensità pazzesca. Gli morirono come le parole in bocca quando posò il suo sguardo su di me seguendo la traiettoria di quello dell'amico. Schiusi leggermente la bocca respirando rumorosamente. Avrei riso se da spettatore esterno avessi visto quella scena, era tutto assolutamente ridicolo. Deglutii anche io con forza passando la mano dal mio collo al banco. La campanella suonò fastidiosamente, non ero mai stata così grata a quell'apparecchio di ferro per avermi tolto, o almeno speravo, da una situazione imbarazzante come quella.

-Allison- sussurrò il ragazzo appena entrato indugiando qualche secondo sulla mia figura. Lo guardai interrogativa credendo di aver sentito male. A poco a poco gli alunni cominciarono ad entrare in classe non badando minimamente alla scena confusa che si era venuta a creare. I tre ragazzi si guardavano senza parole passando gli occhi da loro a me. Il professore entrò sbattendo la porta dietro di lui e poggiando la sua valigetta sulla cattedra, richiamò tutti all'ordine ed impose a chi era in piedi di prendere posto. I tre ragazzi distolsero traumatizzati lo sguardo sedendosi tutti comunque nei pressi del mio banco. Iniziavo ad avere sul serio paura. L'uomo sulla quarantina afferrò il foglio con le mie generalità, e riconoscendo tutti gli alunni in classe cominciò a fissarmi, mi sorrise, il primo vero sorriso di quella giornata. Era abbastanza deprimente come cosa se l'unica persona disposta a trattarmi da essere umano era il professore.

-Spero che possa passare un buon anno scolastico alla Beacon Hills signorina...- lo interruppe la rossa prima che scorgesse il mio cognome sul foglio. Trattenni il respiro.

-Argent- la guardai stupita, quello non era assolutamente il mio cognome. Tornai a guardare il professore riprendendo a respirare. L'uomo guardò confuso il foglio tra le sue mani. 

-Qui c'è scritto Sullivan, Jane Sullivan.- Scossi la testa stampandomi un sorriso in faccia, quello era tutto un grossissimo malinteso. Io non sapevo chi fosse Argent e stando agli strani comportamenti di quei ragazzi non ero nemmeno sicura di volerlo sapere.

-Mi avrà sicuramente confusa con un'altra ragazza, io sono Jane- arrossii leggermente quando tutti si voltarono nella mia direzione, era tutto così imbarazzante e spaventoso. Il professore mi rivolse un altro sorriso prima di cominciare la sua lezione. Si voltarono quasi tutti e tirai un sospiro di sollievo, nonostante sentissi degli sguardi bruciarmi ancora addosso e non vedessi l'ora di scappare da quella stanza. Mi imposi che non avrei più dato retta a nessuno, e così fu. Prendevo appunti e ascoltavo la lezione interessata. Distolsi lo sguardo dal mio foglio e dalla lavagna solo qualche volta, il tempo necessario per lanciare un'occhiata a quei tre ragazzi che non ne volevano sapere di lasciarmi stare. Mi facevano sentire a disagio. Io pensavo che le cose sarebbero migliorate andando a scuola, che avrei cominciato a fare amicizia e avrei reso la permanenza a Beacon Hills leggermente più sopportabile, e invece tutto peggiorava secondo dopo secondo. Quando la campanella suonò raccolsi velocemente tutte le mie cose e afferrai la  borsa fiondandomi letteralmente fuori dall'aula. Voltavo la testa a destra e a sinistra osservando il corridoio, come se avessi dovuto attraversare la strada, dovevo scappare dagli occhi di quei tre. Mi sentii afferrare per un braccio. Trovai davanti a me lo stesso ragazzo di prima, e non riuscivo sul serio ad interpretare lo sguardo che aveva, sembrava, dolce. La rossa comparve alle sue spalle seguita da quello che avevo capito si chiamasse Stiles. Avevo seriamente paura. Dove cavolo mi aveva portato mia mamma? Mi scostai dalla presa del moro camminando velocemente dritto davanti a me, all cieca. Gli studenti delle altre classi nel frattempo avevano invaso il corridoio, ero leggermente più al sicuro anche se questo non cambiava le cose. Mi resi conto che avevo poco tempo per raggiungere il mio armadietto, e quest'ultimo si trovava appunto nella direzione opposta alla mia, decisi che lo stesso quaderno sarebbe andato più che bene per l'ora successiva. Economia. Sbagliai varie volte la classe, non volevo chiedere a nessuno, non volevo l'aiuto di nessuno, era tutto fin troppo anormale lì dentro e mi bastavano i miei problemi per tirare avanti. Varcai la soglia della stanza a testa bassa accomodandomi al primo posto libero vicino alla porta. Posai la borsa sul banco. L'aula era quasi al completo, mancavano solo due alunni, il professore non la prese troppo bene.

-Vediamo, vediamo, chi è questa graziosa signorina che abbiamo qui?- chiese l'uomo con voce estremamente acuta, sembrava sul serio pazzo. Lo guardai imbarazzata torturando il manico della tracolla.

-Jane Sullivan, vengo dal Texas mi sono trasferita qui da poco.- Fece un cenno con la mano tornando a scrivere qualcosa sul suo registro, non gli interessava per niente ciò che gli stavo dicendo. Sulla cattedra spiccava una tazza con una sua foto sopra, sotto la scritta "Coach #1" leggermente crepata, probabilmente era stata rincollata dopo essere caduta. 

-Ti ho chiesto soltanto il nome, non mi interessa sapere la storia della tua vita ragazzina e... Greenberg vuoi smetterla di fare l'idiota per piacere?- sobbalzai quando inveì praticamente senza motivo contro quel povero ragazzo che sedeva dietro di me. Non gli andava molto a genio. Ridacchiai cercando di non farmi notare. La porta si aprì di colpo e due ragazzi quasi inciamparono l'uno sui piedi dell'altro tentando di entrare.

-Mccall, Stilinsky, il fatto che siete titolari nella squadra di Lacrosse non vi dà il privilegio di arrivare tardi a lezione, è una responsabilità. Tuttavia posso chiudere un occhio se adesso portate i vostri culi mosci su quelle sedie- quando riconobbi il profilo dei due ragazzi tentai di nascondermi dietro la mia borsa, non aveva funzionato granché visto che nessuno dei due aveva intenzione di levarmi gli occhi di dosso. Credevo di poter diventare pazza. Sospirai profondamente quando entrambi si andarono a sedere quasi dall'altra parte della stanza. Non riuscivo assolutamente a capire che cosa stesse succedendo, mi fissavano come se fossi resuscitata da chissà quale inferno soprannaturale ed io dovevo comportarmi come se non stesse succedendo niente. Stavo cominciando ad odiare Beacon Hills.
***
 

Pioveva, pioveva a dirotto ed io non avevo una cavolo di macchina o anche un semplice ombrello che poteva permettermi di tornare a casa senza bagnarmi completamente. Perfetto, la giornata migliore della mia vita.

-Sono assolutamente uguali- vidi spuntare la rossa di qualche ora prima a pochi metri da me, accompagnata da un'altra ragazza con i capelli corti. Mi  strinsi dietro la colonna cercando di non fare rumore. Era incredibile che dovessi nascondermi da qualcuno che neanche conoscevo, non mi era mai successo, di solito affrontavo le situazioni prendendole di petto, in quei momenti però, con quei ragazzi, proprio non ci riuscivo. Respirai profondamente un paio di volte. Dovevo andarmene. Chiusi gli occhi qualche secondo.

-Intendi proprio identiche?- replicò l'amica. Si avvicinavano sempre di più a me, trattenni il fiato quando la rossa si appoggiò con le spalle alla mia stessa colonna. Stava piangendo. Strinsi la presa sulla mia borsa. 

-Le stesse fossette, la stessa risata, ti giuro volevo abbracciarla appena l'ho vista, a Scott è venuto un attacco d'asma Malia- singhiozzava senza sosta, non riusciva assolutamente a frenarsi. Ero completamente bloccata, respiravo a malapena.

-Ma questo non ha assolutamente senso Lydia, Allison non c'è più, insomma, da dove cavolo spunta fuori questa Jane?- sobbalzai. Mi strinsi ancora di più contro il muro. Tutto quello era inconcepibile. Sapeva il mio nome ed io non avevo la più pallida idea di chi fosse. Parlavano di me come se mi conoscessero, era una scuola di pazzi.

-Non mi importa Malia, se questa Jane è qui ci sarà un motivo. Ci stanno dando un'altra opportunità per non perderla ancora. Sono consapevole che lei non è Allison, ma potremmo illuderci che lo sia, così non farebbe più male.- La porta della palestra si spalancò rivelando uno Stiles sudato e fisicamente provato. Sbiancai completamente mandando giù il groppo che si era formato nella mia gola, speravo che si aprisse un vortice sotto i miei piedi e che la terra mi risucchiasse. Si bloccò di colpo davanti alla mia figura.

-Jane- mi scostai dal muro indietreggiando leggermente con le mani davanti. Mi sentivo completamente terrorizzata dall'idea che quei ragazzi mi stessero così vicino, che mi parlassero o che dicessero quelle cose su di me. Malia e Lydia si voltarono nella mia direzione quasi immediatamente. La mora con gli occhi spalancati ed increduli, la rossa come se mi stesse supplicando di non scappare. Era un istinto primario, mettermi al sicuro, non riuscivo assolutamente a controllarmi. Senza rendermene conto delle lacrime calde e salate si mescolarono alla pioggia incessante che improvvisamente mi aveva travolto. Era surreale quello che mi stava accadendo. Mi voltai di spalle cominciando a correre, se mi avessero chiesto di fare altro in quel momento ne sarei stata totalmente incapace. Sentivo delle voci dietro di me urlare il mio nome, qualcuno seguirmi. In che cavolo di situazione mi sono cacciata?

Attraversai la strada deviando appena una macchina che suonò all'impazzata. Continuai spedita per la mia via senza curarmene. Dopo dieci incessanti minuti di corsa arrivai davanti casa, infilai la chiave nella toppa e con le mani che tremavano l'aprii per poi appoggiarmici contro con il fiatone. Mia mamma non era ancora tornata, tutte le luci erano spente, tutto era esattamente come lo avevo lasciato. Gocciolavo acqua sul pavimento e piangevo, per la tensione e la paura, odiavo comportarmi da femminuccia. Scacciai via con rabbia quelle lacrime inutili, tentai di riprendere il controllo con dei respiri profondi. Dovevo smettere di pensare, spegnere il cervello e immaginare cose belle. Poteva funzionare, doveva funzionare. Guardai la pozzanghera d'acqua che mi si era formata attorno, mi tolsi gli stivali lasciandoli all'ingresso. Salii le scale stando attenta a non bagnarle troppo. Varcai la soglia della mia camera da letto appoggiando la borsa sulla sedia davanti alla scrivania. Avevo sul serio bisogno di una doccia. Recuperai il pigiama che avevo lasciato sul letto la mattina stessa, e aprendo i cassetti l'intimo pulito assieme ad un paio di calzini pesanti. Mi chiusi a chiave in bagno abbandonando il tutto sul mobiletto degli asciugamani, accesi la luce e fissai la mia immagine allo specchio. I capelli neri erano fradici e completamente attaccati al mio viso. Il poco mascara che avevo messo su era del tutto colato lasciando delle righe nere al suo passaggio e gli occhi erano rossi e gonfi, sembravo un mostro. Mi tolsi velocemente tutti i vestiti bagnati di dosso gettandoli nel cesto dei panni sporchi, aprii l'acqua calda e mi buttai letteralmente sotto la doccia. Non riuscivo a spiegarmi che cosa fosse successo venti minuti prima. Non mi ero mai comportata in quel modo, non mi ero mai mostrata davanti a nessuno così vulnerabile e debole. Avevo pianto davanti a dei completi sconosciuti per delle ragioni folli e mi vergognavo di me stessa. Non dovevo piangere, io non ero così, non mi spaventavo per le sciocchezze, eppure scappare in quel momento mi era sembrata l'unica cosa da fare. E non ne capivo il motivo. Forse quegli sguardi che mi trapassavano da parte a parte, che mi scrutavano cercando di capire come fossi riuscita a fare chissà che cosa. Le parole di Lydia facevano eco nella mia testa come una stupida canzoncina " Ci stanno dando una seconda opportunità per non perderla ancora" mi sforzavo, mi scervellavo ma non riuscivo a trovare alcun senso logico che implicasse me con quello che stava dicendo. Dopo aver lavato i capelli ed essermi insaponata e sciacquata uscii dal box doccia avvolgendomi nell'accappatoio. Se c'era una cosa che non riuscivo ad usare era gli asciugamani bianchi per il corpo, non ne capivo l'utilità, l'accappatoio era mille volte più comodo. Mi infilai il pigiama dopo qualche minuto e passai il phon sui capelli lasciandoli comunque umidi. Il cambio d'aria dal bagno al corridoio mi fece leggermente rabbrividire. Tirai fuori tutti i quaderni completamente zuppi dalla borsa e la misi ad asciugare sul termosifone in salotto, avevo solo un incredibile voglia di dormire. Passai il cencio su per le scale e poi davanti alla porta d'ingresso, raccolsi gli stivali e li appoggiai nella scarpiera in lavanderia. Mia mamma non c'era mai, stavo sempre da sola, non le facevo una colpa di questo, era il suo lavoro e senza quello non potevamo tirare avanti, ma era comunque triste stare in una casa così grande da soli. Accesi la luce in cucina trovando un post- it rosa attaccato al frigo, era tornata sicuramente per pranzo e l'aveva lasciato lì. "Non ci sono per cena, faccio gli straordinari per qualche soldo in più visto che tra poco sarà il tuo compleanno, l'ho lasciata nel microonde comunque, spero che il tuo primo giorno di scuola sia andato come speravi. Ti voglio bene buonanotte." Sorrisi leggendo per poi accartocciare il foglietto e buttarlo nella pattumiera. Volevo parlare con qualcuno ma non avevo nessuno. Volevo urlare a squarciagola che il mio primo giorno di scuola era stato un totale fiasco, che venivo perseguitata da un gruppo di ragazzi sempre più numeroso senza alcuna ragione e che mi mancava la mia casa, quella vera, la mia migliore amica e la mia vecchia vita. Recuperai il telefono che avevo lasciato sulla scrivania in camera e mandai un messaggio a Ruth, non le avrei raccontato niente, non doveva che preoccuparsi anche per me. Non toccai cibo, erano appena passate le sei quando mi strinsi nella coperta sul divano e mi addormentai guardando la televisione. 

Sognai Allison.
   
 
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