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Autore: 50shadesofLOTS_Always    13/09/2016    0 recensioni
Seattle. Una città normale come tutte le altre. Una città che come altre nasconde degli esseri sovrannaturali. Frutti di esperimenti genetici non andati a buon fine e che modificheranno per sempre l'umanità.
Samantha Jackson, orfana dalla più tenera età, è ora al secondo anno di università. Tutto nella sua vita è normale fino a che Sean Reeves non le sconvolgerà tutto ciò che credeva di conoscere di sé stessa e del suo passato. Dovrà far luce su esso per scoprire cosa le riserverà il futuro.
Genere: Drammatico, Fluff, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Portland, Oregon – USA

Quartier Generale
Dopo quel breve ma intenso scambio di sguardi con Carlile, Katherine guidò Samantha su per la scala a chiocciola per raggiungere il piano superiore. Imboccarono un lungo corridoio dalle pareti candide, tappezzate di quadri e quadretti, ed il pavimento in legno chiaro e lucido.

Katherine indicò una porta alla sua destra.

« Questa è la biblioteca. Abbiamo un archivio praticamente illimitato e dei computer di ultima generazione – indicò la sua sinistra poco più avanti, come avrebbe fatto una guida turistica – Qui c’è una piccola palestra con degli attrezzi. Ce n’è anche una di sotto, ma quella è un po’ diversa… » mormorò con fare assente, proseguendo lungo il corridoio. Samantha si chiese cosa volesse dire con quell’ultima frase, quando una foto attrasse la propria attenzione. Era incorniciata da un semplicissimo bordino di legno dipinto di blu, grande la metà di un foglio. In  bianco e nero e, ritraeva un giovane Carlile con un bambino che doveva aver avuto non più di sei anni.
« Chi è il bambino? » chiese incuriosita dalla somiglianza fra il piccolo e Doc, e Katherine, che aveva proseguito, tornò indietro al suo fianco. Guardò la foto e sorrise amabilmente.
« Quello è Sean, il figlio del Dottor Reeves » disse infine e Samantha dovette trattenersi dallo strabuzzare gli occhi. Quel bambino era il figlio di Doc.
Perché Carlile non gliene aveva mai parlato? Com’era riuscito a gestire lui e contemporaneamente a badare a lei per oltre dodici anni?
« Figlio? » mormorò, senza riuscire a mascherare la sorpresa per quella notizia.
« Sì, ha quasi venti anni – arcuò un sopracciglio - Non lo sapevi? ».
Samantha non rispose. Non riusciva a capire come fosse possibile, come non fosse venuta a conoscenza della paternità del proprio tutore. Inoltre tutto quel mistero attorno alla faccenda non le piaceva affatto. Cosa le stava nascondendo Doc?
« Continuiamo questo giro… » borbottò infine e Katherine tornò a guidarla.
« Qui… - disse indicando a sinistra – C’è una stanza comune per noi ragazzi e di qua… - con un cenno del capo verso destra -  C’è il bagno. Se vuoi usufruire dell’acqua calda al mattino, ti consiglio di non dormire affatto » scherzò lei prima di fermarsi in fondo al corridoio terminante con una finestra. A destra e a sinistra, c’era un altro corridoio che Samantha sospettò portassero alle camere da letto.
« Dov’è la moglie? » domandò dopo qualche istante.
Katherine la fissò intensamente con aria vagamente dispiaciuta.
« Il Dottor Reeves non parla mai di lei – compì un respiro profondo - Una volta ho provato a chiedergli qualcosa e si è incupito subito. Così da allora, abbiamo evitato l’argomento… »
« Capisco… - bofonchiò, guardandosi intorno - Da quanto tu e tuo fratello vivete qui? »
« Da circa un mese » rispose e sembrò sollevata dal cambio di argomento.
« Quindi nemmeno voi sapete cosa sta succedendo » sospirò frustrata.
Non le piaceva tutta quella situazione. Era abituata a tenere tutto sotto osservazione.
« Io e Kath speravamo che ce lo dicessi tu » intervenne Logan, sbucando dal corridoio di sinistra.
Samantha lo fissò negli occhi nocciola mentre si appoggiava con le spalle alla parete.
« Doc cosa vi ha raccontato precisamente di me? » chiese, incrociando le braccia sotto il seno.
« Non molto, in realtà » ammise lui.
« Solo che hai avuto un’infanzia non propriamente felice… » mormorò Katherine con un leggero imbarazzo.
« E che come noi, hai dei “poteri sovrannaturali” » aggiunse Logan con un gesto della mano, che Samantha trovò piuttosto comico. Accennò un sorriso, guardandoli alternativamente.
« Che poteri avete? » chiese, arcuando un sopracciglio.
« Io posso superare i 200 kilometri orari » disse Katherine, posando le mani sui fianchi.
« E io posso batterti facilmente a battaglia laser mentre Jam può assumere sembianze animali e in qualche caso, di altre persone » rispose Logan con un sorriso a fior di labbra.
« Tu? » domandò la ragazza con le lentiggini ed il sorriso di Samantha svanì.
« La mia abilità principale è il controllo della materia inanimata attraverso la telecinesi - spiegò tranquillamente – Ma posso anche spostarmi da un luogo a un altro attraverso l’apertura di portali ».
« Cioè puoi spostare gli oggetti col pensiero? »
« Sì, e posso anche volare. Ma per farlo, devo essere calma e concentrata » aggiunse seria, fissandola negli occhi verdissimi.
« Che succede se non lo sei? - domandò Logan quasi con timore, ma l’occhiata letale della ragazza gli diede risposta -  Beh, comunque sia… Sei una di noi adesso ».
Samantha non potè fare a meno di sorridere.

****

Era giunta ormai l’ora di pranzo quando il campanello suonò. Logan e James erano seduti su un piccolo sofà intenti a giocare ai videogames.
« Jam, Logan aprite! » disse Kath, senza smettere di sfogliare la rivista di gossip.

« Siamo occupati » le rispose il fratello mentre spingeva l’amico con una spallata.

« Mettete in pausa e andate ad aprire » sbottò la ragazza fulva.
« E tu smetti di leggere quella barba che chiami “cultura della società” e alzati » continuò il mutaforma di pari tono, prima di mollare una gomitata a Logan, che cercava di farlo perdere.
« Dov’è finito il cavaliere che è in te?! » gli rinfacciò Samantha, posando il libro che stava leggendo a faccia in giù sul tavolo. Katherine accennò ad un sorriso divertito quando non udì una risposta dal ragazzo.
Samantha, seppur maldisposta ad interrompere la lettura, si alzò solo per porre fine a quell’inutile discussione. Probabilmente, era il fattorino del take-away a cui avevano telefonato per un pranzo a base di hamburger e patatine. Stile dell’altra costa americana, come aveva suggerito Logan.
Salì le pedana ed aprì la porta di ingresso. Il ragazzo che le si presentò di fronte, non somigliava affatto ad un corriere di un fast-food, era vestito come un comunissimo ragazzo. Era poco un po’ più alto di lei, ma rimase composta davanti a lui.
Ciò che notò subito furono i capelli bianchi, corti sulle tempie. Un ciuffo sbarazzino gli oscurava in parte la fronte aggrottata in un’espressione di muta perplessità. Ma un gradevole stupore colse Samantha impreparata quando le proprie ametiste incontrarono un paio di occhi aurei. Le iridi somigliavano ad anelli d’oro, brillanti come il metallo puro.
Nonostante quelle caratteristiche singolari, trovava i tratti del volto vagamente familiari. La mascella squadrata, le labbra cesellate… C’era Carlile sul viso del ragazzo.
« Tu devi essere Sean » esordì, lasciando ricadere il braccio con cui aveva tenuto aperta la porta, lungo il fianco.
« Ehm… Ci conosciamo? » chiese il ragazzo, fissandola dall’alto in basso. I lineamenti della ragazza non gli ricordavano nessuno, ma non riuscì a smettere di guardarla. Il colore violaceo dei suoi occhi lo mise in soggezione. Al contrario della felpa rossa che indossava, i jeans tendenti al grigio le mettevano in risalto le gambe snelle. I capelli neri le scendevano a boccoli fino alle spalle e facevano risaltare ancora di più la pelle diafana del viso, su cui indossava una maschera impassibile.
« Non esattamente » rispose lei con tono indifferente, quasi scocciato.
« Tu non abiti qui » contestò Sean, arcuando un sopracciglio niveo.
« Però!? Che acume… - mormorò sarcastica - Tranquillo, me ne andrò presto » aggiunse prima di dargli le spalle. Sean chiuse la porta dietro di sé ed abbandonò lo zaino sul pavimento mentre la osservava sedersi sul divano, come se fosse lì da sempre e lui l’avesse notata solo in quel momento. La vide prendere fra le mani un libro dalle pagine ingiallite, che aveva lasciato sul tavolo e la scrutò ancora per qualche istante prima di regalare un sorriso accennato a Katherine.
« Ciao, Kath » disse e lei ricambiò con una fugace occhiata.
« Sean » borbottò prima di tornare alla rivista.
La misteriosa ragazza dai capelli corvini non lo degnò di uno sguardo. Scosse il capo fra sé e raggiunse Logan e James nel piccolo salotto, che inveivano l’uno contro l’altro mentre facevano schizzare le dita sui joystick. Si stavano sfidando, come dei ragazzini di dodici anni « Ehy, Logan ».
« Non ora, Sean. Scusa… » lo liquidò il ragazzo, girando bruscamente il joystick.
« Jam, chi è la tipa scorbutica che mi ha aperto la porta? » chiese a bassa voce, inclinandosi col busto per porre la faccia in mezzo ai due.
« E’ la ragazza di cui parlava tuo padre, Samantha Jackson » mormorò, spingendo Logan.
« E come mai è qui? » domandò quando Jam fece sporgere la punta della lingua da un angolo della bocca, in segno di profonda concentrazione.
« Tuo padre ce lo dirà stasera » disse prima di esultare trionfante mentre Logan lasciò andare il joystick.
Aveva vinto la corsa per pochissimo e adesso lo stava schernendo.
Sean si girò per osservare Samantha mentre girava la pagina. I suoi occhi seguivano le parole mentre le ciglia lunghe si curvavano verso l’altro.
« Ovviamente » bofonchiò fra sé. Suo padre era solito comportarsi a quel modo. Non dava mai delle spiegazioni, ti spingeva a roderti il cervello prima di farlo. E in quei giorni, gli sembrava ancora più strano « Vi ha detto niente? Sa’ qualcosa? ».
« No, purtroppo. Nemmeno lei ha idea di cosa stia accadendo… » sospirò Logan mentre Jam spegneva la console.
Sean tornò a guardarli con un sorrisetto obliquo.
« Beh… E’ carina » commentò.
« Amico, sta’ attento… - lo ammonì, puntandogli la custodia del videogioco - Sam morde ».
Sean accennò ad una risata divertita. Sapeva quanto il mutaforma potesse risultare irritante per le ragazze. Era impertinente, fin troppo. L’ultima volta che aveva provato a rimorchiarne una, si era ritrovato un drink sulla faccia con tanto di fetta di limone.
Non si stupiva se Samantha si era dimostrata ostile con lui. C’era qualcosa però che non tornava in quell’equazione, che non tornava in quella ragazza.
« Ha qualche potere? » chiese, incuriosito.
« Telecinesi » disse Logan.
« Ed è forzuta - si lamentò James, ruotando la spalla - Mi ha quasi spezzato una spalla »

**

Più tardi, il gruppo era adunato attorno al tavolo della cucina. Il sole era poco oltre lo zenit e illuminava l'intera casa. James aveva ordinato di tutto e di più. Dalle patatine ai nuggets, dalle crocchette di patate e mozzarella ai cheeseburger.
Sean era seduto proprio di fronte a Samantha, intenta a finire la propria porzione di patatine fritte che intingeva di tanto in tanto nel ketchup. Stava sorridendo appena mentre ascoltava la conversazione fra Katherine e Logan, che discutevano se fossero meglio gli hot-dog o gli hamburger.
« Scusa, credo di non aver capito il tuo nome » disse dopo aver mandato giù il boccone.

Samantha sollevò gli occhi su di lui ed attese qualche attimo, come se stesse ponderando le parole.

« Non è importante visto che non resterò qui tanto a lungo »
« Ti comporti così di solito? » chiese innervosito dal suo atteggiamento recalcitrante. Non aveva mai incontrato una ragazza tanto chiusa.
« Sì e di solito, le persone evitano di farmi domande di cui conoscono già la risposta » rispose con un sorriso sardonico. Era chiaro che li aveva sentiti parlare prima.
« Forse i pomodori di questo hamburger sono un po’ aciduli » osservò con ironia.
La vide inarcare un sopracciglio scuro mentre afferrava una patatina.
« Non prendertela, Fiocco di Neve. Sono fatta così, a modo mio » ma quella non era una rassicurazione. Sembrava che con lui non volesse avere niente a che fare.
Prima che potesse rispondere, Samantha si alzò e si pulì le mani col tovagliolo.
« Scusatemi, sono un po’ stanca » annunciò, mettendo la sedia sotto al tavolo.
« Ma è solo l’una del pomeriggio » protestò James con la bocca piena.
« Circa dodici ore fa, stavo servendo drink al bancone di un pub »
« Tu sai preparare un Cuba Libre? » chiese, divorando una decina di patatine in un sol boccone.
« Sì, ma fidati non è un lavoro piacevole quando il Cuba Libre si trova sul pavimento, dopo che un tipo l’ha vomitato insieme ad un sacco di altri drink » mormorò lei, vagamente divertita.
Le era capitato spesso di avere a che fare con quel genere di episodi, soprattutto a Capodanno.
« Perché lo fai, se non ti piace? » intervenne Katherine, piluccando un nugget.
« Perché non voglio dipendere da Doc. Si è preso cura di me per troppo tempo » disse, avviandosi alla porta.
« Dove sono i tuoi genitori? » la fermò Sean.
Lei rimase immobile con una mano sullo stipite, non si girò ma ruotò il viso. Quanto bastava per osservarlo da sopra la propria spalla, con la coda dell’occhio « Qualche metro sotto terra ».
« Cavolo… » sussurrò Logan.
« Succede – mormorò lei, tranquilla - E’ la morte, no? ».
Poi sparì al piano di sopra.

   
 
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