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Autore: Leili1988    15/09/2016    5 recensioni
Attenzione: spoiler per la settima stagione!
Jane e Maura si separano, trasferendosi in città diverse. Ben presto però la mora si accorge di quanto sia divenuta piatta la sua vita e torna sui suoi passi. Intanto però Maura non risponde più alle sue telefonate: l'avrà già dimenticata?
Genere: Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Jane Rizzoli, Maura Isles
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Buongiorno a tutti!
Ecco il mio piccolo tributo a due personaggi che ho adorato sin dalla prima puntata del telefilm.
Ho scritto questa fanfiction dopo aver visto la penultima puntata e, quindi, rappresenta la mia conclusione ideale per la serie.
Spero vi piaccia e mi auguro di leggere qualche vostro commento! ;)
 
Buona lettura!

Leili



 

Nonostante la distanza



Jane controllò annoiata l’orologio.
Erano le 17.00 e il suo volo non sarebbe partito prima di una mezz’ora.
Da quando era arrivata in aeroporto, sentiva tutta la malinconia dell’imminente partenza. Aveva voluto essere lì da sola proprio per evitare i saluti strazianti dell’ultimo minuto e adesso non vedeva l’ora di decollare e lasciare a terra quella zavorra di emozioni negative.
Un annuncio dall’altoparlante la riscosse momentaneamente dai suoi pensieri.
Probabilmente ciò che provava era semplicemente ansia dettata dall’incombente cambiamento. Si convinse quindi che, una volta arrivata a Quantico, l’entusiasmo per il nuovo inizio le avrebbe risollevato il morale.
Il cellulare vibrò nella tasca dei suoi pantaloni. Un sorriso malinconico le si dipinse sulle labbra nel leggere il nome sul display.
 
«Hey, Mau!»
«Ciao Jane, sei già in aeroporto? O hai cambiato idea e stai tornando a casa?»
«Sono una Rizzoli, ricordi? Non cambio idea facilmente!»
«C’è sempre una prima volta... o almeno ci spero! Fai buon viaggio allora e scrivi quando arrivi!»
«Certo! A dopo!»
 
Jane si lasciò sfuggire un sospiro e si scompigliò i lunghi capelli neri. Era dura allontanarsi da Maura, più che dalla sua stessa famiglia. Ne avevano passate talmente tante insieme...
 
«Era il suo ragazzo?»
«Scusi?»
«Al telefono, era il suo ragazzo, non è vero?»
 
Un’anziana signora aveva preso posto accanto a lei e ora la fissava in attesa di una risposta.
In realtà quel semplice quesito l’aveva lasciata alquanto stupita.
 
«Cosa glielo fa pensare?»
«Sono stata giovane anche io, cara... conosco quei sospiri e quegli sguardi... e anch’io sono dovuta partire a causa di forza maggiore e lasciare le persone che amavo!»
«In realtà...»
«È uno strazio lo sa? Anche se sembra impossibile i rapporti a distanza si deteriorano. Ma non subito... lo fanno piano, piano, silenziosamente. Durante i primi tempi ci si telefona tutti i giorni, poi iniziano gli impegni, le strade diverse e le telefonate si riducono a una volta a settimana, poi una al mese... e infine a un paio di volte l’anno per le festività. Così, senza rendersene conto, si torna a essere degli sconosciuti!»
«Non credo che valga per tutti...»
«Forse no, cara! Perlomeno spero sia diverso per te! Perdonami ma devo andare: il mio aereo sta per decollare... Buona fortuna!»
«Grazie e buon viaggio!»
 
Erano le 17.30 e anche per Jane giunse il momento di imbarcarsi.
Si accomodò a bordo e, anche se detestava ammetterlo, le parole dell’anziana donna l’avevano turbata. Maura sarebbe davvero diventata una sconosciuta? E perché aveva pensato che stesse parlando col suo ragazzo?
Già in passato si era interrogata sulla natura dei suoi sentimenti nei confronti della dottoressa e, come ora, era sempre giunta alla stessa conclusione: era chiaramente etero e tra loro c’era solo una forte amicizia rinsaldata dalla miriade di situazioni critiche affrontate insieme.
A causa di tutti questi pensieri e della grande stanchezza accumulata per via dei preparativi per la partenza, Jane non ci mise molto ad addormentarsi.
Si svegliò solo quando il pilota annunciò l’arrivo a destinazione e pregò i passeggeri di allacciare le cinture.
 
*          *          *
 
Erano trascorsi un paio di mesi dal suo arrivo a Quantico e, nonostante qualche incertezza iniziale, Jane era riuscita ad ambientarsi senza particolari difficoltà.
Le sue giornate trascorrevano tranquille, forse troppo, tra le ore di lezione e quelle in palestra. Aveva rivisto qualche volta l’agente Davis, ma il loro rapporto era andato scemando una volta terminata la passione.
Solo Maura e le loro lunghe telefonate rimanevano costanti e immutate rispetto al passato.
 
«Oddio, Maura, ma è fantastico! Davvero pubblicheranno il tuo libro?»
«Certo, Jane! Quasi non ci credevo quando me l’hanno comunicato! Ma vuoi sapere il meglio?»
«C’è qualcosa di meglio?»
«Già! Vogliono che scriva un’intera serie di libri gialli!»
«Ma è fantastico! Hai già qualche idea?»
«Sì, qualcosina... Ma dovrò trasferirmi a Parigi per un po’!»
«Beh, non credo sarà un problema per te...»
«No, in effetti non lo è! Mi piace come città e ormai non ho molto che mi lega a Boston... quindi sto valutando di trasferirmi lì in via definitiva!»
«Forse è la soluzione migliore ma... così non ci vedremo spesso!»
«Beh, in qualche modo faremo, no? Come sempre...»
«Già!»
«Perdonami, Jane, ma ho veramente tantissimo da fare! Ci risentiamo con più calma appena possibile, ok?»
 
Jane non fece in tempo a rispondere che Maura aveva già chiuso la telefonata.
Si sentì contrariata nell’essere stata messa da parte in tal modo e, forse per la prima volta dalla sua partenza, si era resa conto di come potesse essersi sentita Maura quando lei aveva lasciato Boston. E, proprio come Maura, non si sentiva in diritto di reclamare maggiori attenzioni o tarparle le ali per egoismo.
 
Trascorsero così due settimane prima che si sentissero nuovamente per una breve telefonata. Poi altre due e infine un mese.
Jane ripensava alle parole dell’anziana donna all’aeroporto, ormai divenute pressoché profetiche e si tormentava per il finale “così, senza rendersene conto, si torna a essere degli sconosciuti”.
No, non voleva succedesse!
 
*          *          *
 
Un giovedì mattina un evento scosse Jane e le fornì la spinta necessaria per dare una svolta agli sgradevoli avvenimenti recenti.
In un’aula scolastica giaceva, in posizione prona, il corpo esanime di una giovane studentessa dai capelli color miele e la corporatura minuta. Un’enorme chiazza di sangue la circondava.
Jane rabbrividì, notando la somiglianza della vittima con Maura.
Qualcosa dentro di lei scattò e si chiese cosa mai ci facesse lì, in quel ruolo per nulla calzante con la sua personalità, distante migliaia di chilometri dalla donna che amava.
Sì, amava Maura! Adorava il suo sorriso, il suo fare impacciato, la sua intelligenza, il suo buon cuore. Nessuno, uomo o donna, le aveva mai invaso tanto dolcemente la vita, la casa, i pensieri.
 
«Jane, non dovresti stare qui!»
«Vorrei dare una mano con le indagini!»
«Mi spiace, ma non è compito tuo... sei un’insegnante ormai!»
«Oh andiamo, non puoi essere serio, agente Davis! Sono pur sempre una detective!»
«Non più ormai! E in ogni caso è compito dell’FBI...»
«Stai scherzando? Lavoro qui e non mi considerate neppure parte dell’organico?»
«Beh, tecnicamente non ne fai parte... Torna dalla tua classe, è lì il tuo posto ormai!»
 
Jane, indignata, non rispose neppure. Si limitò a voltare le spalle sbattendo rumorosamente la porta e si diresse decisa verso l’ufficio del direttore. Avrebbe consegnato le sue dimissioni con effetto immediato. Al diavolo l’FBI! Al diavolo l’insegnamento!
Sarebbe tornata a lavorare al suo posto, sul campo, tra pallottole e psicopatici. Non voleva passare la vita dietro una polverosa scrivania a rigirarsi i pollici. E ancor meno voleva stare lontana da Maura.
 
Estrasse il cellulare dalla tasca e compose il numero dell’amica.
 
«Maledizione!»
 
Esclamò nel ricevere unicamente la risposta della fredda segreteria telefonica.
Aveva dovuto cambiare Stato e far passare alcuni mesi per capire quanto amasse quella donna. Era stata così cieca per tutti quegli anni e ora desiderava solo prendersi a sberle!
Temeva fosse troppo tardi e di essere già stata dimenticata.
 
*          *          *
 
Dopo aver dato le dimissioni, Jane era salita a bordo del primo aereo per Parigi.
Non era stato difficile sapere l’indirizzo dell’albergo nel quale Maura alloggiava, più difficile fu comunicare col tassista per farsi condurre lì.
Nonostante ciò dopo poco meno di un’ora, Jane era alla reception dell’hotel.
 
«Buonasera, cerco la dottoressa Maura Isles... può dirmi in quale stanza alloggia?»
«Mi spiace, ma non possiamo comunicare informazioni riguardo i nostri ospiti!»
«Sono la sua migliore amica!»
«Molti usano questa scusa per incontrarla...»
«Ma certo, ormai è una scrittrice famosa!»
«Ovviamente!»
«Senta, le può almeno telefonare? Le dirà lei stessa di conoscermi... Il mio nome è Jane Rizzoli!»
«Certo, tutti conoscono quel nome... basta leggere i suoi libri!»
«Mi ha inserito nei suoi libri?»
«Senta, signora, devo pregarla di uscire o sarò costretto a chiamare la sicurezza!»
«Oh fantastico! Vorrà dire che la aspetterò qui fuori... o è vietato anche questo?»
«Faccia come crede!»
 
Nonostante la stanchezza dovuta al jetlag e alla partenza improvvisa, Jane si posizionò impaziente davanti all’ingresso dell’albergo.
A nulla erano valsi i numerosi tentativi di rintracciarla telefonicamente: il cellulare di Maura risultava sempre spento e Jane iniziava seriamente a preoccuparsi.
In quanto poliziotta, sapeva perfettamente che non si poteva dichiarare scomparsa una persona prima delle ventiquattro ore, ma era altrettanto cosciente degli orrori di cui era capace l’uomo.
Passarono una, due, tre ore ma di Maura neppure l’ombra e, nonostante Jane fosse abituata ai lunghi appostamenti, diventava sempre più irrequieta. Il suo istinto raramente sbagliava e ora le stava comunicando chiaramente che qualcosa non tornava.
Se avesse avuto il suo distintivo avrebbe potuto ricevere le informazioni di cui necessitava, ma così era solamente una comune cittadina!
 
«Rifletti, Jane! Rifletti!»
 
Si guardò intorno con attenzione e notò alcuni fattorini uscire da un ingresso secondario. Attese che la via fosse libera e si intrufolò all’interno senza essere notata.
Chiamò Nina spiegandole velocemente la situazione e domandandole se poteva, in qualche modo, risalire al numero della stanza di Maura.
 
«Posso tentare di accedere al database delle prenotazioni dell’albergo, ma ci vorrà qualche minuto...»
«Grazie, Nina! So che rischi grosso, ma non te l’avrei mai chiesto se non temessi seriamente per l’incolumità di Maura...»
«Non preoccuparti, Jane! Pensa solo a ritrovare la dottoressa Isles!»
 
Dopo una decina di minuti, Nina le aveva già inviato per sms il numero della stanza e il piano in cui Maura alloggiava.
Jane prese l’ascensore e salì al quinto piano. Il corridoio era deserto e ciò le permise di cercare agevolmente la porta numero 515. Delle goccioline di sudore gelido le imperlavano la fronte, mentre in lei saliva la tensione e l’adrenalina per un possibile imminente pericolo.
Le mancava tutto questo, ma di certo avrebbe preferito tornare in azione in circostanze ben diverse.
Finalmente individuò la stanza e, una volta assicuratasi di essere sola, accostò l’orecchio alla porta.
 
«Mi spiace, dottoressa, devo assentarmi un attimo... ma non preoccuparti tornerò presto e finirò ciò che avevo cominciato!»
 
La voce sibilante cessò e lasciò il posto al rumore di passi.
Jane fece appena in tempo a nascondersi, quando la porta si aprì e ne uscì l’addetto alla reception. Maura era realmente nei guai, senza più ombra di dubbio.
Attese qualche secondo per essere certa che l’uomo si fosse allontanato, poi chiamò la polizia e diede l’allarme. Non avrebbe aspettato ad agire, ma doveva in ogni caso avvisare le autorità.
Con rapidità sgusciò fuori dal suo nascondiglio, percorse il breve tratto di corridoio che la separava dalla stanza e sfondò con decisione la porta.
Una volta all’interno trovò Maura legata al letto e imbavagliata. Indossava solamente gli indumenti intimi e copiose lacrime le rigavano il viso. Nel vedere Jane i suoi occhi sfoggiarono una miriade di stati d’animo: dal terrore, alla sorpresa, al sollievo.
Il cuore di Jane invece si strinse nell’assistere a quella misera scena e il sangue prese a ribollirle feroce nelle vene. I suoi occhi assunsero qualcosa di inumano, quasi animalesco, mentre liberava l’amica.
 
«Maledetto bastardo! Se ti ha fatto qualcosa giuro che...»
 
Non poté concludere la frase, perché Maura le gettò le braccia intorno al collo e la strinse con tutta la forza di cui era in possersso, come un naufrago si aggrappa alla scialuppa di salvataggio.
 
«Oh Jane, sei tu! Sei davvero tu! Credevo che non ti avrei più rivista!»
«Sì, sono qui! E non ti lascerò mai più lo prometto! Ma parleremo dopo, ora dobbiamo fuggire! Dimmi solo una cosa... ti ha fatto del male?»
«No, sei arrivata in tempo! Ma è armato, Jane!»
«Lo immaginavo! Tieni mettiti questa e rimani dietro di me...»
 
Jane si tolse la giacca e la appoggiò premurosamente sulle spalle nude di Maura.
Il sorriso della bionda si tramutò immediatamente in un’espressione di terrore, quando vide il suo aguzzino rientrare nella stanza.
Da lì in poi avvenne tutto velocemente. Partì un primo colpo di pistola, mentre Maura gettava a terra una Jane, ancora vulnerabile e girata di spalle, per salvarla dal proiettile. Fu poi la volta della furia cieca della mora nell’avventarsi contro l’aggressore, che diede vita ad una feroce colluttazione, la quale si concluse con un secondo colpo di pistola.
Il tempo si fermò, si dilatò, avvolto da un tetro silenzio e dall’ansia di Maura. I due corpi giacevano a terra, immobili, circondati da una pozza di sangue scuro.
Un urlo strozzato si propagò nell’aria, poi le sirene della polizia presero a urlare e il caos si diffuse tra primi ospiti dell’albergo, colti dal terrore.
 
«JANE!»
 
Maura si precipitò accanto al corpo dell’amica per verificarne l’incolumità, incurante del fatto che il suo aggressore potesse essere illeso e pronto a ucciderla.
Ma alla dottoressa questo non importava, se la sua detective era morta non avrebbe avuto più motivi per vivere.
Per fortuna la mora si mosse e rassicurò la bionda, abbracciandola.
 
«Sto bene, Maura, sto bene! È tutto finito, stai tranquilla! Sono qui con te!»
 
Non ebbero neppure il tempo di riprendersi o di parlare. I poliziotti iniziarono  infatti a interrogarle e andarono avanti per un bel po’.
 
*          *          *
 
Jane fu la prima a essere rilasciata e fu costretta, suo malgrado, ad attendere nuovamente fuori dall’albergo.
Come se non bastasse, la pioggia iniziò a cadere copiosa dal cielo, inzuppandola e facendola imprecare.
Dopo un’attesa che le parve infinita, intravvide finalmente, attraverso la muraglia d’acqua, una sagoma familiare ed elegante in procinto di uscire dall’hotel.
 
«MAURA! Sono qui!»
 
Urlò Jane andandole velocemente incontro.
Maura la vide e si diresse a sua volta verso di lei, a passo spedito, aprendo l’ombrello.
 
«Oh Jane, ti prenderai una polmonite c-»
 
Maura non poté concludere la frase, perché Jane aveva preso il suo volto con entrambe le mani e l’aveva baciata con decisione.
L’ombrello cadde a terra e la pioggia prese a inzuppare anche Maura che, colta alla sprovvista, ci mise un attimo a realizzare cosa stesse accadendo e rimase immobile.
Jane si rese conto della rigidità dell’altra donna e interruppe immediatamente il contatto.
 
«Perdonami, Maura, non volevo essere così brusca! Forse non avrei dovuto...»
 
Fu la bionda a quel punto ad afferrare la mora per il bavero della giacca e a baciarla con passione. Jane ricambiò di buon grado e circondò la vita di Maura, stringendola forte contro di sé. Rimasero così fino a quando i loro polmoni non reclamarono ossigeno e si dovettero staccare.
Si guardarono negli occhi per qualche minuto, in silenzio, fronte contro fronte, mentre la pioggia scivolava loro addosso, iniziando a intirizzirle. Nessuna delle due aveva la minima intenzione di interrompere quel tanto atteso contatto.
 
«Perché ci hai messo così tanto a tornare? Iniziavo a perdere le speranze...»
«Mi stavi aspettando?»
«Dal giorno in cui sei partita... o meglio, dal giorno in cui ti ho incontrata!»
«Perdonami! Ora ci sono e non me ne andrò più!»
 
Maura, a queste parole, prese a riempire di baci il viso di Jane. La bruna rispose stringendola ancora più forte.
Non servì aggiungere altro. I gesti di amore che si erano scambiate durante tutti quegli anni, valevano più di mille dichiarazioni e più di qualsiasi promessa.
Si erano amate sin dal primo istante, silenziosamente, per paura di essere respinte, di essere giudicate. Ma ora avevano sconfitto la paura e niente avrebbe più potuto separarle.

 
   
 
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