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Autore: MarieCullen    03/05/2009    5 recensioni
Io sono Sarah Trager e all’epoca avevo diciotto anni.
Vivevo a Phoenix, in Arizona, con mia madre Emily, mio padre Josh e mia sorella Mary, in una casa tanto bella da far invidia a molti.
Con il lavoro di avvocato che svolgeva mia madre e quello di manager di mio padre i soldi non mancavano certo.
La nostra era una famiglia felice.
Solo io ero la pecca di tutta quella serenità.
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Demoniac Angel

Anche gli angeli sanno essere tentatori

 

1

So ugly

 

La luce, che penetrava fioca dalle tende spesse poste alla mia finestra, mi svegliò. Ancora una volta quella maledetta sveglia aveva deciso di non suonare, lasciandomi beata nel mondo dei sogni. Ci sarei rimasta volentieri se non fosse stato un altro di quei giorni. Ogni mattina per me era innominabile eccetto la domenica, che potevo comodamente passare a casa. Purtroppo il mio giorno preferito era appena passato e mi aspettava un altro infernale lunedì mattina.

Io sono Sarah Trager e all’epoca avevo diciotto anni. Vivevo a Phoenix, in Arizona, con mia madre Emily, mio padre Josh e mia sorella Mary, in una casa tanto bella da far invidia a molti. Con il lavoro di avvocato che svolgeva mia madre e quello di manager di mio padre i soldi non mancavano certo. La nostra era una famiglia felice. Solo io ero la pecca di tutta quella serenità. Io ero la “bruttina”, di quelle con gli occhiali, un po’ secchiona. Non era colpa mia se ero miope, ma portare gli occhiali influiva non poco sul mio aspetto. Il mio fisico poteva anche essere attraente - magra, alta e slanciata con le misure giuste - ma il viso rovinata tutto. Mi curavo poco, non mi truccavo mai, e questo non faceva che allontanare i ragazzi da me. Poi l’asociale ero io! Roba da matti.

Scostai le coperte rosa con un sospiro, infilai le pantofole, anch’esse rosa - mi erano state regalate da mia nonna che, guarda caso, adorava quel colore - e mi decisi a scendere di sotto. Quando aprii la porta della mia stanza e scesi di fretta le scale, ritrovai la scena che si ripeteva ogni lunedì mattina: mia madre era intenta a cucinare frittelle, mio padre leggeva il giornale comodamente seduto a tavola e mia sorella Mary … non c’era, come sempre. Fissai il suo posto vuoto per una frazione di secondo, pensando a dove potesse essersi cacciata ancora.

«E’ di nuovo in bagno», esclamammo tutti e tre, in coro.

«Possibile che tutti i lunedì sia sempre la stessa storia?», sbuffai.

«La sveglia non è suonata un’altra volta», comprese mia madre.

«Sai che novità! Se Mary non esce dal bagno subito arriverò in ritardo».

«Non sei mai arrivata in ritardo, tesoro».

«C’è sempre una prima volta, no?».

Mi diressi verso la porta del bagno. L’avrei anche sfondata a calci se mia sorella non fosse uscita subito. Non ebbi neanche il tempo di bussare che la porta si spalancò di fronte a me.

«So cosa stai pensando e no, non c’è bisogno di rompere la porta. Entra», disse, facendomi un cenno con la mano.

«Non capisco perché ti trucchi sempre. Sei già abbastanza bella così, vuoi infierire?», scherzai io.

«Sciocchezze. Sei tu a essere strana», mi guardò di sbieco dallo specchio. «Le ragazze della tua età si truccano e fanno colpo. Tu invece no».

«Le ragazze della tua età invece non dovrebbero».

«Ho sedici anni!», storse il naso al mio commento. «E poi stavamo parlando di te mi sembra».

Presi lo spazzolino da denti, noncurante, e feci scorrere l’acqua nel lavandino. Maledetta routine del lunedì, pensai. «Ti sembra il caso di fare questo discorso tutti i lunedì?», risposi infine, esasperata.

«Certo, perché tu non mi ascolti».

«Se ne sei convinta».

Senza neanche aspettare che rispondesse, riposi lo spazzolino e uscii dal bagno chiudendomi la porta alle spalle. Ero già abbastanza depressa da sola, non volevo che complicasse la situazione.

Io e mia sorella eravamo migliori amiche. Sapevo perfettamente che lo diceva per il mio bene eppure c’era una parte di me, essenzialmente egoista, che non voleva vederla così. A lei confidavo tutto esattamente come lei faceva con me, ma i suoi consigli mi suonavano inutili. Come se cambiare il mio aspetto servisse a qualcosa, pensai. Le ero grata per ciò che faceva per me, anche se sentivo che non era mai abbastanza. I suoi consigli, i tentativi vani di farmi truccare e vestire come Barbie-modella-alla-sfilata non servivano a nulla. E se non funzionava era perché, essenzialmente, io non desideravo che funzionassero.

Entrai in camera e mi diressi verso l’armadio. Frugai in cerca di qualcosa di decente e poco pesante da mettere - era aprile dopotutto - e ne estrassi una camicia blu leggera insieme ad un paio di jeans scuri. Indossai velocemente i miei abiti velocemente, cercando di sistemare la camicia così che cadesse bene sui jeans, e raccolsi i capelli castani in una pratica coda di cavallo. Dopo una veloce occhiata allo specchio, infilai gli occhiali. Ero molto affezionata a quelle lenti nonostante peggiorassero il mio aspetto e mi facessero sembrare ancor più secchiona di ciò che ero in realtà, ma non potevo separarmene. Decisi che quella mattina ero presentabile e scesi di sotto per entrare in cucina.

Non ebbi il tempo di entrare che fui travolta in pieno da mia sorella che, mentre addentava una frittella, usciva di casa.

«Sarah ma che fai? Muoviti, siamo in ritardo», mi rimproverò.

«Ok, ok arrivo».

Presi le chiavi della mia auto, recuperai lo zaino e, salutando i miei genitori, uscii nella soleggiata mattinata di Phoenix. Adoravo il sole tiepido e il cielo terso di aprile, soprattutto perché in giorni così avrei potuto sfoderare la decappottabile. Mary era già saltata dentro la mia Volvo C70 Cabriolet, pronta a guidarla. Ovviamente non le avrei permesso mai di farlo.

«Cosa pensi di fare? Vai al posto del passeggero».

«No, oggi la guido io».

«Se continui così andrai a scuola a piedi», la minacciai.

«Antipatica», bofonchiò, spostandosi sul sedile del passeggero.

Aprii la portiera e mi misi al volante. L’auto partì con un ringhio feroce, come d’un animale in gabbia, che si spense subito quando lasciammo il vialetto di casa, cedendo il posto alle gentili fusa del motore. Il vento sferzava il viso, frustando i capelli sul collo, ma era piacevole e rinfrescante paragonato al caldo che risaliva dall’asfalto. Con il vento trai capelli mi sentivo libera, leggera. Non c’era preoccupazione che potesse toccarmi in quel momento. Continuai a sentirmi così fino a quando non entrai nel parcheggio degli studenti, nella Central High School. Parcheggiai nel primo posto libero e scesi dall’auto.

Mentalmente, cominciai a preparami per la giornata che mi attendeva.

 

Note dell'Autrice Salve! Questa è la prima storia originale che scrivo e in effetti il primo capitolo è un pò cortino ma è solo un introduzione.
Questa è una fic on-demand scritta sull'idea di Dark_Knight.
Spero vi piaccia.
A presto.
  
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