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Autore: ludo22    15/09/2016    3 recensioni
Ricordava perché era una vampira, e sarebbe stata destinata a ricordare fino a che non avrebbe cercato di dimenticare e, anche allora, avrebbe continuato a dimenticare di dimenticarsi.
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O di quell’universo parallelo in cui Caroline scappa da Mystic Falls. E di quello in cui Klaus la insegue.
Genere: Angst, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline Forbes, Klaus
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note:

•Ambientata in un punto indefinito della quinta stagione.
•Questa storia può tranquillamente essere inserita nel mio periodo “americaneggiante” (Picasso ha avuto il suo periodo blu, Van Gogh quello verde, perché io non posso avere quello americaneggiante? Per piacere voletemi bene almeno voi!).
•È la più lunga one shot che abbia mai scritto (e anche la più sconclusionata)? Indubbiamente si! Che dire? Ci vuole impegno!
•Accenni di Kalijah, perché si e perché non posso.
•Accenni di Klamille, perché così ho deciso.
•Accenni di Marcel, perché inserire Mr Gerard è sempre cosa buona e giusta.
•Accenni ad una dark!Caroline, ma con l’umanità accesa, perché Queen Caroline senza umanità non la so scrivere.
•A questa storia voglio tanto bene, perché MY BABIIIIIEEEEESSSSS e because reasons, quindi trattatemela bene (ergo: al meglio che potete).
•Un grazie enorme a Franci (detta Chicca), la mia adorata cuginetta –che non ha EFP-, che si è presa lo sbatti di farmi da beta, a Francesco –che non ha EFP uguale-, per essere un tesoro vero e per aiutarmi sempre nei miei momenti no, e a Fisio, senza la quale questa storia sarebbe rimasta un lavoro senza finale.
•Per eventuali errori/discrepanze/cose che non girano prendetevela con MIA CUGINA!
 
 
 

You were art even though you weren’t made of paints and colors. You were made of skin and broken hearts, but you were still a masterpiece to me.

 


 
 
If I could take your hand
If you could understand
That I can barely breath the air is thin
I fear the fall and where we'll land.
 
 
-Tamer; Beautiful Crime-
 
 
 


 
(Una notte si svegliò e, nel buio, cercò il suo telefono.

Controllò rapidamente l’ora.

Le tre e un quarto del mattino.

Di getto, scrisse un messaggio.

Buongiorno. Non riesco a dormire.

Poi ricordò.

Lei non era lì.

Lei non aveva voluto seguirlo.

Lei non aveva voluto proseguire il viaggio insieme a lui.

Andava tutto bene.

Buongiorno. Non riesco a dormire.)
 
 
***


 
-Mi dimenticherai?- chiese, ancora stesa sul suo petto, le orecchie tese per coglierne il battito cardiaco.

Una domanda la cui risposta sarebbe dovuta essere semplice, per lui.


(Qualunque sia l’attesa, le aveva promesso, solo pochi mesi prima.)


-No, ma farò finta di si.- disse Klaus, concentrato nel disegnarle immaginari otto sulla schiena.

Caroline aggrottò leggermente le sopracciglia e spostò la testa, in modo che potesse guardarlo negli occhi.

-Cosa significa?-

L’ibrido sospirò.

-Mi dovrò convincere che tra noi non sarebbe mai potuta funzionare.- spiegò, gli occhi che le bruciavano la pelle, alla ricerca della verità dietro le sue domande. –Saremmo potuti essere felici, ma faremo bene a non pensarci: sarà più semplice vivere così. Alla fine la frase ‘non dimenticarmi mai’ è solo un modo morbido di andarsene, ma è pur sempre il doloroso saluto di chi non resta, amore. E comunque no, non ti dimenticherò perché mi mancherai. A volte, mancarsi è l’unico modo che rimane per continuare a stare insieme. È il potere della memoria. Quello che nessuno potrà portarci via. Sai, esiste una parola portoghese, che deriva dalla cultura galiziana, una parola che è intraducibile in qualsiasi lingua. Saudade. Intraducibile perché saudade è un miscuglio di malinconia e di mancanza, persino per ciò che non hai ancora perso, ma sai che, ben presto, perderai, mista, tuttavia, ad un ricordo felice e che continuerà ad essere felice, nei secoli dei secoli.-
 
Klaus si era… arreso?

Dopo due anni di continui ‘No’ da parte sua, nell’unica volta in cui voleva che lui lottasse per lei… per loro, lui gettava bandiera bianca?

Strappò, con violenza, il reggiseno dal ramo dell’albero in cui era finito e lo indossò, più velocemente che poté.

Non c’era davvero più niente da dire, considerò in fretta.

Se era vero che, arrivava, nella vita di un uomo il momento in cui questi deve scegliere tra resistere e scappare Klaus… Beh, Klaus aveva decisamente scelto di scappare.

Lui stette fermo, a fissarla mentre lei si rivestiva, e lei lo odiò per quello. Odiò come il suo sguardo riusciva a farla sentire così dannatamente piccola e giovane. Odiò che parte del suo sangue era quello che le circolava ancora nelle vene. Odiò il fatto che non riusciva a provare assolutamente niente per nessun altro, eppure era ancora capace di odiarlo.


 
***

 
 
Una volta, Klaus le aveva detto che lei meritava di essere felice.

Una volta, Klaus le aveva detto che lei meritava una vita che le desse continui stimoli, una vita interessante, una vita eccitante.

Una volta, Klaus le aveva detto di non permettere agli altri di modificare la percezione che aveva di sé stessa.
 
 
***
 


Lei mollò quando i corpi dei morti erano ancora caldi sul terreno. La guerra con Klaus era finita. F I N I T A! Elijah aveva mantenuto la sua parola (con quasi due anni di ritardo, ma che importanza aveva il tempo per un vampiro?), ed Elena era ancora viva, per quanto lo possa essere una non-morta, certo, quindi si poteva dire che avevano vinto loro.

Ma Liz Forbes non le avrebbe mai più permesso di fare tardi, lei non sarebbe mai più stata gelosa delle ragazze umane che Matt portava a casa e non avrebbe mai saputo come riaggiustare le cose con Tyler.


(-Klaus ha una figlia, Caroline! Non è mai stato realmente interessato a te! Tutto ciò che gli importava era dimostrare che poteva averti… E adesso ti ha avuta, complimenti.- era un incubo, e la voce di Tyler si mescolava con quella di Damon, e Matt, e Stefan, quasi a ricordarle quanto poco fosse importante. Quanto poco contasse. Quanto sarebbe stata sempre meno di Elena.)


Caroline non riusciva a capire quale fosse la bellezza di salire sul carro dei vincitori, quando senti di aver perso.
 
 
***

 
 
C’era da qualche parte, nel mondo, una porta aperta per lei.

Caroline si chiese distrattamente se ci sarebbe sempre stata o se fosse stata un’elaborata ed irrealistica bugia, come quando aveva finto di essere morto e, invece, non lo era.

Non lo era mai davvero stato.
 
 
***
 


Elena provò a farla rimanere.

-Caroline…- disse, prima di fermarsi, come se si aspettasse davvero che Caroline sarebbe rimasta dopo aver ascoltato la prima parola. -Caroline!-

La pelle di Elena era leggermente più chiara di come lo era stata quando era ancora umana, e i suoi occhi brillavano con una promessa d’eternità all’interno delle iridi scure. Era sempre più bella di Caroline.

Lo sarebbe sempre stata.


(Tranne che per lui, ma quello è un pensiero che Caroline Forbes non sta avendo, chiaro?)
 
 
***


 
Caroline ricordava quando Tyler l’aveva spinta al parco giochi a nove anni, ricordava i piccoli orecchini a forma di fiore che Elena le aveva ‘imprestato’ e che non aveva mai restituito, ricordava Bonnie insegnarle come si gioca a football, perché aveva sentito dire che a Tom Stark piaceva il football, e a lei piaceva Tom Stark, ricordava Matt baciarla come se non stesse pensando che le sue labbra fossero quelle di Elena, ricordava Stefan dirle che gli ricordava la sua migliore amica (lei ricordava sempre qualcun altro alle persone), ricordava Jeremy Gilbert, quando aveva quattro anni, giurarle che era la seconda bambina più bella del mondo e che, un giorno, se Vicky Donovan lo avesse rifiutato, si sarebbero sposati, ricordava sua madre dire agli altri genitori che lei era sua figlia, quando aveva vinto la gara di spelling in seconda elementare, ricordava suo padre aiutarla ad attaccare le stelle di plastica fluorescenti alla parete della sua stanza, ricordava Damon, un pomeriggio in cui era stato particolarmente stanco, permetterle di appoggiare la testa sul suo grembo, ricordava il profumo di Klaus e i leggeri morsi che si erano depositati a vicenda sul collo, e...

Ricordava perché era una vampira, e sarebbe stata destinata a ricordare fino a che non avrebbe cercato di dimenticare e, anche allora, avrebbe continuato a dimenticare di dimenticarsi.
 
 
***
 


Bonnie l’aiutò a fare le valigie.

Abiti leggeri e pratici. Giacche, sciarpe e scarpe per il tempo di “di preciso nessuna parte”. E quando Bonnie non guardò inserì di soppiatto entrambi i vestiti che le aveva donato Klaus, il suo top verde smeraldo e la gonna argentata che brillava alla luce sole. E il vestito giallo che Damon le aveva detto odiare, e che lei adorava.

Bonnie non la notò. Bonnie non la guardava più. Andava tutto bene. Lei stessa aveva smesso di guardarsi allo specchio.
 
 
***
 


-Siamo una famiglia, sai. Puoi rimanere. Abbiamo bisogno di te.-

Pensò che sarebbe stato facile innamorarsi di Stefan Salvatore.

Pensò che forse lo era già.

Pensò che forse lo sarebbe sempre stata.

Lei sarebbe potuta rimanere (non lo fece).


 
***
 


Damon fu l’ultima persona che vide a Mystic Falls,

Era appoggiato a casa sua, vicino alla sua scintillante macchina, come se avesse il diritto di stare lì ad aspettarla.

-Ho sempre saputo che non avresti retto, Biondina. Scommetto che stai sperando che io ti avessi uccisa, quel giorno a quella stupida festa per il Carnevale, mmh?-

Caroline lo ignorò del tutto. Se non poteva evitare che fosse proprio lui l’ultima persona che avesse visto in città, avrebbe fatto in modo che sapesse che niente di quello che le diceva l’avrebbe mai più ferita.

-Lo rincontrerai, Barbie.- sussurrò Damon, proprio nel momento in cui lei chiudeva la porta di casa.

Caroline si limitò ad alzare un sopracciglio interdetta, perché Damon non poteva sapere.

-Da qualunque cosa, o da chiunque, tu stia scappando… I nostri demoni non ci lasciano mai davvero per sempre.- concluse. -Addio Barbie.-

Era strano che l’unico che avesse preso sul serio il suo desiderio di scappare da Mystic Falls fosse stato proprio Damon, tra tutti.

Il pensiero la fece stare male, quindi, decise di non pensarci.
 
 
***


 
Lasciò Mystic Falls e non pianse. Lei era Caroline fottuta Forbes e non pianse.
 
 
***


 
Due miglia fuori da Mystic Falls lanciò dal finestrino i vestiti che lui le aveva regalato, il top verde smeraldo e la minigonna argentata. Lei non sarebbe più stata la piccola Caroline femminile che tutti ricordavano.


 
***


 
Compulse un rettore ad ammetterla al college.

Non in un college prestigioso, dove sua madre avrebbe voluto che andasse, ma in uno di quelli pubblici, dall’altra parte del mondo. Gli uomini, e anche alcune donne, si fermavano spesso a guardarla, come se sentissero che c’era qualcosa di diverso in lei, ed era così tipico della razza umana che fossero attratti da lei anziché scappare a gambe levate urlando. Andò a letto con chiunque glielo chiedesse e portò il titolo di “puttana” magnificamente.

Per tre anni portò i libri con sé e resistette alla tentazione di mordere la brunetta dalle gambe lunghe che le sedeva davanti e che le ricordava la ragazza che era stata -oh, così tanto tempo prima. Stefan sarebbe stato senz’altro orgoglioso di lei. Ottenne il secondo punteggio più alto del suo anno sulla tesi ‘Le teorie delle Femministe’ e rise da sola dell’ironia, perché nessuno la conosceva abbastanza da ridere con lei.

Si laureò perché così avrebbe voluto Liz Forbes. E non era questa, forse, la più ridicola, preziosa, scema ragione nella storia di sempre?
 
 
***
 
 

Si iniziò a tingere i capelli e a vestire in un modo che avrebbe fatto storcere il naso alla Caroline di prima.

Solo perché poteva.

Solo perché così era più facile.

Solo perché.


 
***


 
La prima volta che mise piede sul suolo di Roma, il cielo sopra la città eterna era plumbeo e lei si aspettò quasi di vederlo spuntare tra la folla accalcata all’aeroporto, come una scatola di sardine.

Si aspettò quasi di vederlo sbucare tra le persone assiepate vicino alla zona arrivi, come quel signore anziano, dagli occhi buoni, che reggeva, quasi fosse un premio, un cartellone che recava la scritta Bentornata Principessa.

Forse era un bene che non ci fosse.

Forse era un bene che non sarebbe mai venuta a prenderla all’aeroporto.

A New Orleans aveva una casa, una famiglia, una figlia

Non c’era -e non ci sarebbe mai stato- posto per lei nella vita di Klaus…


 
***
 


Una volta andò a Las Vegas perché tutti andavano a Las Vegas e lei non era nient’altro altro che un cliché.

La città brillava ed era cosi maledettamente piena di vita che Caroline pensò che la se stessa che era stata -oh, così tanto tempo prima- si sarebbe innamorata e non l’avrebbe mai più lasciata.

-Non ricorderai niente.- disse poco dopo, al ragazzo moro, occhi azzurri e assolutamente niente fossette. -Sei andato al Bellagio e hai giocato un po’ a poker. Quando ti sei stufato hai conosciuto una bella ragazza, l’hai invitata a cena e, dopo aver cenato, lei è dovuta scappare, e tu hai deciso che era tempo di andare a dormire.-

-Le coperte dell’hotel sono molto morbide.- mormorò lui, sotto compulsione, ma i suoi occhi si fermarono sulle sue zanne (quegli stessi occhi che le ricordavano quelli di Matt, a cui lei non era stata capace di resistere perché lei non era Stefan, ed era davvero stupida, superficiale, inutile e non forte abbastanza da resistere alla sua fame), il sangue ancora fluiva liberamente dal suo collo, sporcandogli permanentemente la maglietta. Klaus (e Damon) sarebbero stati fieri di lei. Il solo pensiero le fece venire voglia di vomitare.

Caroline si morse il polso e glielo offrì. Questo era quello che doveva a Stefan, non un briciolo di più, non uno di meno.


 
                                                                                                    ***
 
Le voci erano arrivate fino a lei.

Voci di una bambina speciale, perché nata dal seme dell’ibrido Originale, e dal ventre di una lupa, che si mormorava lui avesse conosciuto nella cittadina dove era nato.

Voci di una ragazza umana che era riuscita a rubargli il cuore morto.

Voci di un Re, chiamato Marcel, che era stato adottato dall’ibrido, per poi esserne ripudiato, una volta scoperto quello che aveva costruito nella città che un tempo chiamava casa

Voci di una città in costante guerra, ma che gli Originali stavano faticosamente riconquistando.

Il pensiero di Klaus con Hayley e con l’umana non le facevano venire il voltastomaco.

Nossignore.

Era Caroline Forbes!

Aveva visto di peggio che l’uomo che le aveva promesso il suo cuore e l’eternità spezzare la parola data.


(Come se i suoi giuramenti valessero, poi, qualcosa.)
 
 
***


 
Aveva un demone che le stava appoggiato sulla spalla, ma fingeva noncuranza.

Aveva un migliaio indistinto di volti di estranei in testa, ma fingeva disinvoltura.

Come se potessi ricordarli tutti, la prese in giro parte della sua mente, quella che era ancora umana e che aveva paura della promessa d’eternità che le aveva fatto secoli prima Klaus.

Come se potessi dimenticarne qualcuno, le rispose l’altra parte di sé, quella che era immortale e che beveva il sangue delle persone per vivere.

È solo un momento, passerà, dicono tutti.

È solo tutto il resto della mia vita, vorrebbe rispondere ora.

Solo per stanotte sarai un’estranea, anche a te stessa. Sarai una forma indistinta nella notte. Sarai…
 
 
***
 


Il mondo umano era in guerra.

Nazioni contro nazioni.

Fratelli contro fratelli.

Dobbiamo scappare, dobbiamo andarcene, dobbiamo…, aveva sentito dire spesso da sconosciuti.

Attacchi continui.

Treni che si scontravano.

La natura stessa si ribellava, scatenando terremoti, inondazioni ed incendi, che svettavano sulle prime pagine di tutti i giornali.


(Va tutto a nostro vantaggio, Barbie, come fai a non capirlo? Siamo predatori e questo non è altro che una montagna di buon cibo senza nemmeno dover andare a caccia, le avrebbe spiegato Damon secoli prima.)


Oggi ci sei, respiri, e mangi, e sei in grado di baciare tuo figlio, domani chissà, pensò Caroline, osservando un padre di famiglia carezzare teneramente la guancia di un bambino biondo, prima di sparire all’interno di un veicolo militare.

Realizzò che agli occhi del mondo non erano assolutamente niente.

Lei, Elena, Bonnie, Stefan, Matt, Tyler, Damon, Klaus

Polvere sei e polvere ritornerai, si legge nella Bibbia.

E Caroline Forbes non aveva mai pensato che lei (ed Elena, e Bonnie, e Stefan, e Matt, e Tyler, e Damon, e Klaus) avrebbero mai fatto quella fine, eppure...
 
 
***
 


Non ci fu nemmeno bisogno di girarsi.

Sapeva che l’aveva trovata, a L’Avana, in un locale più famoso per essere uno dei tanti ritrovi di Hemingway che per i cocktail.


(Il pensiero che fosse stato proprio lui, tra le milioni di miliardi di persone che conosceva, ad averla trovata per primo la faceva male, decise. E visto che faceva male, decise, anche, di non pensarci.)


Percepiva la pressione del vento differentemente quando c’era lui attorno. I suoi occhi le bruciavano la schiena.

Tutto era diverso, quando lui era presente.

L’aria aveva un profumo diverso.

Qualcosa di selvaggio, misto ad un accenno di pelle, sangue fresco e colonia muschiata.

Sarebbe dovuta scappare non appena i suoi sensi avevano avvertito una minima traccia di lui.


(Non seppe mai spiegarsi perché non l’aveva fatto.)


-Avresti potuto aspettare, non so… Cinquecento anni prima di venire a trovarmi.- disse, mettendoci tutto il veleno che riuscì a trovare.

Caroline ricordò che erano stati da sempre una coppia molto bene -o molto male, a seconda dei punti di vista- assortita. Erano, da sempre, stati una coppia che si urtava e spingeva in continuazione, nessuno dei due disposto a cedere di un passo sull’altro. Lingue taglienti e mani che cercavano di afferrarsi. Nessuno dei due disposto a dare, perché entrambi troppo impegnati a voler prendere all’altro…

-Sei troppo melodrammatica, amore.- notò lui, alzando gli occhioni blu al cielo e inclinando il capo di lato. -Andiamo, tesoro, sai bene quanto me che mi hai sognato tutte le notti da quando ci siamo lasciati a Mystic Falls.-

Klaus non poteva leggere nel pensiero, grazie tante!, regola numero uno del manuale per vampiri redatto da Damon Salvatore, né, tanto meno, brillare alla luce del sole e non poteva leggere nel pensiero, ma riusciva a leggere lei come fosse un libro aperto e quello faceva davvero, davvero schifo (per dirla in termini di Twiligh, significava che lei non era speciale. La mente di Bella non poteva essere letta da nessuno perché lei sì che era speciale; Caroline Forbes non era stata abbastanza fortunata perché lei non era speciale). Aveva sognato lui ogni notte da quando era partita.

-La vicina del piano di sotto.- scosse le spalle Klaus, rispondendo alla domanda inespressa della donna, perché entrambi sapevano che lei non gli avrebbe mai chiesto chi lo stesse informando sui suoi spostamenti (chiedere significava ammettere e non c’era assolutamente niente da ammettere, chiaro?). Lui girò il capo verso il bar e a lei venne voglia di colpirlo, per tutte le notti in cui i ricordi si erano fatti troppo opprimenti, e i giorni in cui si era svegliata di soprassalto, tormentata dalle ombre di passato troppo duro a morire, e tutte le nuove fantasie che le stavano, in quel momento assaltando la mente, come uno sciame di api impazzite.

Lui non lo notò (sembrò non notarlo, quanto erano diverse le due cose?).

-Hai cambiato stile.- commentò Klaus, osservando per una frazione di secondo i suoi capelli rossi, i pantaloni della tuta e la maglietta spruzzata di colori –che aveva fatto lei-, riportante la scritta Sono un’artista. Come se lui avesse il monopolio dei brutti dipinti, poi.

-Sei proprio una ragazzina.- mormorò Caroline. –Non sono più carina e tu hai smesso di essere innamorato di me? E’ proprio vero quando dicono che l’abito non fa il monaco.-

-Sei bella, Caroline.- odiò un poco come lo disse. Senza alcun tipo di inflessione. Come se fosse una cosa dannatamente ovvia e fosse irrealistico un mondo in cui lei fosse brutta.

Fate ad una ragazza qualche complimento e guardatela sciogliersi. Beh, lei non era più la vecchia Caroline, quindi bel tentativo, bellimbusto, ma qui la casa vince sempre.

-Avrei detto ordinaria, più che bella.- disse sottovoce la donna.

-Non capisco perché tu debba continuare a sottovalutarti, Caroline.- le rispose Klaus, abbassandosi per prendere un frammento di muro e osservarlo attentamente. La ragazza dovette trattenersi dal strappargliela di mano, perché quello era un monumento storico, okay?, e perché lui lo avrebbe trovato estremamente puerile.

E lei?

Lei non era più la piccola Caroline infantile.

Non lo sarebbe mai più stata.

-Cosa vuoi dire?- chiese.

Klaus scrollò le spalle, lasciando cadere il frammento di pietra, e la guardò. Caroline realizzò che stava evitando il suo sguardo solo quando, improvvisamente, non lo fece più.

-Non saresti stata ordinaria da umana, non vedo perché dovresti iniziare ad esserlo da vampira, tesoro.-

Calò un silenzio teso fra loro.

Un silenzio che sapeva di un passato lontano e di frasi non dette.

Un silenzio che gridava e rideva della sua stupidità.

Un silenzio che…   

-Permettimi di offrirti da bere.- riprese a parlare lui, come se niente fosse, come se non ci fosse stata una figlia da qualche parte ad aspettarlo, come se…

E Caroline… Beh, non era più la Caroline di cui lui si era innamorato, secoli prima.

La sua luce si era esaurita.

La sua forza dispersa. 

La sua bellezza scemata.

Eppure Klaus la guardava sempre come se fosse una Regina, come se fosse l’uomo più fortunato al mondo, solo perché sedutole accanto, come se...

-Come sta Hayley?-

Caroline osservò la mascella di Klaus irrigidirsi fino all’inverosimile.

-Lei non ha significato nulla per me. È stato l’errore di una notte e…-

-Parlami della signora Mikaelson, allora! Non mi dirai che sei qui per un’ultima bottarell…-

Lo stava ferendo deliberatamente.

Nell’unico modo che sapeva.

Nell’unico modo che conosceva.

Klaus scalciò lo sgabello, come tanti anni prima a Mystic Falls.

-Non osare, Caroline!- ringhio. -Non osare!-

Caroline stava per rispondergli a tono, mandandolo a quel paese, o peggio, ma Klaus fu più rapido.

-Il nostro è stato un matrimonio di convenienza.- disse, la voce priva di allegria -Lei è umana ed è una discendente di una delle famiglie più importanti della città. Camille… Lei... Non significa nulla per me. Ma Elijah…-

-Perché sei qui, Klaus?- chiese Caroline stancamente.

-Mi sei mancata, amore. E’ davvero così difficile da credere?- le rispose, sorriso arrogante e fossette in bella mostra.

Evidentemente anche lui aveva colto il parallelismo.

I suoi occhi avevano lo stesso calore che avevano a Mystic Falls quando si posavano su di lei.

Il suo sorriso aveva sempre quel tocco di perversione ed era sempre così maledettamente affascinante da darle quasi i brividi.

Klaus aveva mille anni, aveva visto Re e Regine salire al trono ed essere poi spodestati, aveva visto milioni di albe e milioni di tramonti, eppure guardava solo lei a quel modo.

Klaus aveva mille anni, aveva visto milioni di miliardi di uomini e di donne morire, aveva visto milioni di miliardi di bambini nascere, eppure guardava solo lei in quel modo che la faceva rabbrividire e fremere allo stesso tempo.

Klaus aveva mille anni, aveva visto con i suoi occhi l’eternità e sembrava subirne ancora il peso, spesso, aveva visto magie che andavano ben oltre la sua comprensione, eppure guardava solo lei a quel modo che la faceva commuovere al pensiero di ciò che erano stati, di ciò che sarebbero potuti ancora essere, di ciò che sarebbero sempre stati, e stringere il cuore in una morsa, nello stesso tempo.

E lo odiò per questo.

Perché i suoi occhi non vacillavano?

Perché spostava il capo leggermente all’indietro, parlandole?

Perché…

-Cosa ne è stato della sautate- Dio, non era certa della pronuncia della parola, perché Klaus l’aveva detta in quella sua maniera elegante, che lei non riusciva proprio a copiare. -e di tutto il discorso…?-

-Il dolore,- spiegò l’ibrido, interrompendola.- ci porta a fare scelte sbagliate. E la paura del dolore, fa ancora peggio. E si dice saudade, non sautate, tesoro.-

C’era una strana malinconia, mista ad una qual certa dose di mancanza, e al tempo stesso, c’era anche felicità nel tono di voce di Klaus.

Ed eccola lì, la sautate di Klaus.

O saudade.

O come diavolo si chiamava!

-Un bicchiere e basta.- lo avvisò Caroline, rispondendo alla sua domanda precedente, con un leggero sorriso ad aleggiarle sulle labbra.

-Me lo farò bastare.- mormorò lui, prendendola sotto braccio e conducendola in un altro bar.


(Il fatto che aveva accettato non significava nulla.

Non aveva niente a che fare con lui, chiaro?)
 
 
***
 


Rimase insieme a lei per i successivi tre giorni, spiegandole con maniacale precisione (Siamo uguali Caroline!) tutti i segreti di quella città meravigliosa.

-Devo andare.- si limitò a dirle la mattina del quarto giorno.

Non le disse che c’erano Hope, Camille e una guerra, a New Orleans, ad attenderlo ma Caroline lo conosceva abbastanza bene da sapere…


(Abbastanza bene, così tanto per l’invincibile Klaus Mikaelson, così poco per lei.)
 


                                                                                        ***
 


-Immagino sia un addio!- mormorò lei, accompagnandolo alla macchina.

-Preferisco dire che sia un ‘fino alla prossima volta’, amore!- disse Klaus chinandosi appena e depositando un leggero bacio all’angolo della sua bocca, prima di sparire nell’abitacolo della macchina e mettere in moto.


(Caroline si immaginò di fermarlo.

Immaginò la sua mano saettare sul suo braccio, un attimo prima che fosse entrato nel posto di guida.

Immaginò le parole che gli avrebbe rivolto:

-Non lasciarmi, ti prego. Ogni volta che vai via mi sembra che qualcuno mi stia infilando un paletto nel petto. Non lasciarmi da sola, con me stessa come unica compagnia. Perché mi fanno paura l’oscurità e i miei stessi demoni. Non lasciarmi…-

Mai gli avrebbe rivelato che avrebbe voluto solo l’angolo tra il suo collo e la sua spalla, quando faceva più male.

Quando si sentiva Atlante, che portava, sulla sua schiena, il peso dell’intero cielo.

Quando faceva…

Era il cattivo della storia, e i cattivi non capiscono quanto il mondo deluda anche i buoni.)
 


                                                                                          ***
 


Si rincontrarono, ovviamente, perché Caroline Forbes non era né speciale, né tanto meno fortunata, a Chicago.

La città aveva un fascino tutto particolare, tutto suo.

Diverso da quello di New York o di Madrid.

Le strade avevano uno strano lezzo di sangue e di sporcizia, i grattacieli sembravano essere dotati di vita propria e…

Era lì che Stefan aveva lo aveva incontrato, lì che Stefan si era innamorato di Rebekah, lì che…

-Buonasera amore.-

-Non può essere solo una coincidenza! Chi è che mi sta seguendo stavolta, mmh? Il vicino del piano di sotto o l’assistente di volo?- lo attaccò, inarcando le sopracciglia. -Deve essere stata quella salumiera linguacciuta.- borbottò poi.


(Klaus le aveva fatto una promessa, secoli prima –si sentì un po’ un’idiota, in quel momento, per averci creduto- quando lei era diversa, e la sua vita era diversa, e non sapeva la metà delle cose che sapeva in quel momento.)


Klaus si limitò a scuotere le spalle.

-Non puoi saperlo, amore. E se anche fossi nel giusto, un vero cacciatore non rivela mai le sue fonti.-

Caroline si impose di non ridere, dargli uno schiaffo o baciarlo (errore già commesso, grazie tante!), ma gli permise di spostarle un ricciolo ribelle.

-E la tua bellezza è pari solo alla tua arguzia, tesoro.- proseguì a parlare lui, ammiccandole.

-Immagino che non mi libererò mai te.- sospirò alla fine, accettando il braccio che lui le offriva.


(La stava marchiando.

L’aveva già marchiata con ogni tocco, con ogni sussurro nelle orecchie. Delicate –solo con lei, sempre per lei- dita le accarezzavano la pelle e le promettevano che sarebbe andato tutto bene. Mani intrecciate in una danza, che le avrebbero dato il mondo, se solo lei l’avesse voluto. La corteccia di un albero le graffiava la schiena, ma non le faceva male.

Nemmeno un po’.)


Klaus sorrise e scrollò le spalle.


(Il sorriso di Klaus non era mai del tutto dolce o rassicurante. C’era sempre una sottile traccia di oscurità, racchiusa tra le fossette e le labbra piene. Ricordò che il pastore Young era solito dire che il sorriso del diavolo non era mai del tutto dolce o rassicurante. Lei non andava in chiesa da un’eternità ma ricordava anche come il padre di April dicesse che il diavolo, spesso, si mascherava per nascondere la sua vera forma. Il suo volto non è mai quello del mostro, parlava. Dopotutto Klaus, ad un certo punto, era stato anche un angelo per lei. Ma il suo bell’aspetto non provava che lo fosse. Come, allo stesso tempo, non provava nemmeno che fosse malvagio. E Caroline non aveva mai davvero pensato che lui fosse del tutto crudele e senza cuore. No davvero… Era solo Klaus. Un uomo dannatamente complicato, con un’umanità nascosta che le dava i brividi e uno scudo di corpi che si portava sul bavero della camicia come fossero un premio.)


-Chicago è stata fondata a metà del XVIII secolo da una…-

-Tribù indiana. Il suo nome, anticamente, significava ‘porro selvatico’…- finì per lui la ragazza.

Caroline non sapeva se fosse la sua innata abilità di dimostrare che lei era intelligente abbastanza, o se fosse semplicemente la voglia di fare la prima della classe, ma l’uomo non sembrò offeso, anzi, sorrise ancora più apertamente e le scoccò uno sguardo ricolmo di ammirazione e di affetto.


(Non farti imbrogliare dalle fossette! Non farti imbrogliare dalla sua apparenza angelica! Non farti imbrogliare da quegli occhi! Non farti imbrogliare!… Cavolo!)


 
                                                                                             ***
 


Lei non chiedeva e lui non ne parlava.

Le uniche cose che sapeva di Camille erano, oltre al suo nome, voci e sussurri nel buio di un’eterna notte.


(Le avevano detto essere bionda, con gentili e carismatici occhi verdi.

Le avevano detto essere una donna che non aveva paura del mostro nascosto sotto gli occhi blu dell’uomo che, secoli prima, le aveva promesso il suo cuore e l'eternità.

Le avevano detto essere una tra le creature più compassionevoli e dolci che avessero mai incontrato.

E lo odiò, per aver scelto una donna tanto simile quanto -allo stesso tempo- diversa da lei.)
 

 
***



Aveva quarant’anni e ne dimostrava sempre diciassette (una volta Damon le aveva detto che sembrava ne avesse avuti quindici senza make up) e ancora non riusciva a comprarsi da bere senza dover usare la compulsione sul barista.

Con l’unica differenza che stavolta lui era lì, a guardarla come se fosse una bambina, e a Caroline dava fastidio.

Così fastidio che decise di iniziare a bere (molto più del dovuto, ma è una vampira! Rischi di comando etilico, meno di zero per lei) solo per dimostrare qualcosa, che al momento non ricordava nemmeno così bene.

Quaranta minuti dopo era ubriaca fradicia e l’unica cosa che desiderava era un mondo in cui nessun Klaus fosse mai nato, ma i suoi occhi erano dannatamente blu ed era il suo sangue a chiamarla, e Caroline pensò, solo per una frazione di secondo, che non ci sarebbe stato niente di male nell’affondare i canini nella tenera giugulare di Klaus, che glielo doveva, viste le due volte in cui ci aveva quasi rimesso la pelle, e che …

Chiunque abbia mai pensato che essere vampiri sia una figata, ha sbagliato alla grande!


 
***

 
 
-Caroline.- la chiamò, ad Oslo.

-Non chiamarmi Caroline.- sibilò a denti stretti la donna.

Klaus la guardò, un’espressione quasi comica sul volto, confusa e scettica, prima di voltare la testa verso la cassetta della posta.

Caroline sentì l’impellente bisogno di nascondere lo stupido nome sulla sua stupida buca delle lettere (e come le era venuto in mente di scegliere proprio quel nome tra tanti? E perché non era stata zitta? E perché…) o, eventualmente, che le crollasse in testa l’intero fiordo norvegese.

-Oh, capisco!- ghignò divertito. -Karolina Mikaelson.-

-Non l’ho fatto per te.- mugugnò Caroline, cercando una giustificazione plausibile per lo stupido nome che si era scelta. –L’ho fatto perché siamo in Norvegia e il tu… il vostro cognome suona meglio del mio qui.-


(Mai gli avrebbe confessato che, anche solo sentire la dirimpettaia chiamarla con il su… il loro cognome la faceva, in qualche modo, sentire più vicina a lui. A loro. All’idea di famiglia cui aveva voltato le spalle, secoli prima).


Il bastardo si limitò a sogghignare e a metterle una mano nella parte bassa della schiena, per guidarla verso la fortezza di Akershus.


 
***

 
 
Ci fu una quarta, una quinta, una sesta volta.

Arrivò a perdere il conto delle volte in cui lui la raggiungeva.


 
***

 
 
Lei non chiedeva e lui non ne parlava.

Le uniche cose che sapeva di Hope, oltre al suo nome, erano frutto di voci e di sussurri nel buio della notte.


(Le avevano detto essere scura di capelli, con gli occhi e l’esatto accento del padre.

Le avevano detto essere una bambina intelligente, come lo zio Elijah, vanitosa, come la zia Rebekah, leggermente attaccabrighe, come lo zio Kol, e terribilmente vendicativa, tutta suo padre.

Le avevano detto essere una bambina assolutamente deliziosa e molto più matura dei suoi sette anni di età.

E lo odiò per aver spezzato quella promessa del suo cuore e d'eternità.)
 
 
***

 
 
-Ho visto Katherine.- pigolò, una volta poggiandogli il mento sulla spalla, in un gesto che voleva essere innocente, ma che, agli occhi di loro due, e loro due soltanto, era tutt’altro. Il volto dell’uomo, che in quel momento le stava comprando il gelato (-È novembre, Caroline.- -E allora? Ho fame!-) si contorse in una maschera di gelida furia e di tormentata disperazione. Caroline fu sicura per un attimo che se non fosse stata lei l’ambasciatrice della notizia, Klaus non ci avrebbe pensato due volte e l’avrebbe uccisa. -Era con un uomo che assomigliava vagamente a tuo fratello.-

Non gli disse della felicità che aveva scorto -anche da lontano, anche in disparte- negli occhi di quello che aveva pensato essere il maggiore degli Originali, e in quelli della vampira che un giorno, secoli prima, le aveva giurato vendetta, per la sola colpa di non essere abbastanza intelligente, per la sola colpa di non essere abbastanza bella, per la sola colpa di non essere abbastanza Elena.

-Magari perché lo era, tesoro.- si limitò a sorridere falsamente lui, le labbra in una linea dura, le spalle rigide e tese.

Dovette reprimere l’urletto di sorpresa che rischiò di lasciarle le labbra (perché Elijah e Katherine? Seriamente? Come diamine hanno fatto a finire insieme?, e Questa si che era una notizia succulenta!, e...), prima di notare l’espressione dell’uomo.

-Credevo che Elijah fosse rimasto con te a New Orleans… Credevo…-

-Ci è rimasto, per un po’ di tempo.- disse duramente Klaus. -Poi la doppelganger gli ha scritto una lettera, o gli ha mandato un sms, e lui mi… ci ha lasciato.-

La donna dovette reprimere una risatina isterica, al pensiero di Klaus e una bambina di circa dieci anni, che non aveva mai visto, in una casa enorme, circondata dalla musica e dai video di Peter Pan, della Sirenetta, del Re Leone, delle Sailor Moon e di…

Ci furono un paio di istanti di silenzio.

-Ho sempre pensato che Peter Pan fosse un codardo. Ha avuto l’occasione della sua vita e l’ha sprecata per poter tornare sull’Isola che non c’è. È rimasto da solo e non può addossare la colpa a nessun altro che a se stesso. Ha preferito veder invecchiare Wendy con un altro uomo, piuttosto che decidere di crescere e seguirla. E per tua informazione, tesoro, Hope è una bambina troppo intelligente per mettersi a guardare le Sailor Moon.- commentò Klaus con un leggero ghigno ad aleggiargli sulle labbra piene.

Oooops, non si era resa conto di aver parlato.

Caroline si chiese se il velato riferimento alla scelta di non seguire Wendy da parte di Peter Pan fosse un parallelismo alla loro relazione.


(Era lui ad aver infranto la promessa, Cristo Santissimo! Era stato lui ad avere una bambina con la lupa più odiosa del mondo! Era stato lui ad essersi sposato! Era stato lui a preferire tutto quello a lei, e adesso voleva rigirarle la frittata?)


Si chiese anche come avesse fatto Klaus a fare un’analisi così cinica e fredda di un libro, poi diventato cartone animato, per bambini.

Forse era solo Klaus e non c’era poi molto da domandarsi.

Forse era solo Klaus che le stava tendendo un tranello.

Forse era solo Klaus.

Sventolò la mano destra davanti al suo volto, come per liquidare le sue parole.

-Cinquecento anni sono tanti per tenere il broncio.- borbottò alla fine Caroline, per cambiare discorso (e per fermare lo sguardo, dannatamente penetrante, che lui le stava lanciando), -Invitali per Natale! Elijah sarà contento.- disse poi a voce più alta.

Klaus rise freddamente.

La sua risata, quando rideva a quel modo, era spaventosa, realizzò, in un lampo di lucidità, la donna.

-Penso che tu non ti ricordi bene cosa Katerina mi ha fatto, tesoro!-

O cosa ha fatto a me, non disse Caroline, Mi ha ucciso, ha ucciso Damon e Stefan, ha fatto soffrire le pene dell’inferno ad Elena, a Bonnie, a…

-Alla fine, però, sei diventato quello che sei sempre voluto essere, no?- ribatté inarcando un sopracciglio, -Invincibile, immortale e tremendamente pieno di te.- elencando tutti gli aggettivi che le avevano detto appartenere all’uomo che le stava davanti.

Stavolta la risata dell’uomo fu più sincera.

-Touché, amore! Touché!- ripeté lui, sicuro di sé stesso.

Caroline sapeva che non li avrebbe mai e poi mai invitati per Natale, ma farlo ridere andava annoverata tra le sette meraviglie del mondo, considerò, osservando come gli occhi gli si riempivano di sottili rughine e buttava il capo all’indietro e…


 
***


 
Per poco non inciampò nella hall del suo hotel, e per quello, maledisse i suoi piedi, drammaticamente troppo piccoli.

La ragazza al bancone della reception sorrise un po’ troppo apertamente in direzione di Klaus e si chinò per far vedere lo scollo della maglietta nel raccogliere la penna che le era caduta. Caroline dovette resistere all’impellente bisogno di mettere un braccio intorno alla vita di Klaus.

Lei non era gelosa, chiaro?

Soprattutto non di Klaus.

Specialmente non di Klaus!


(Si chiese come sarebbe andata se avesse detto ad… Harper, lesse sul cartellino, che lo stava fissando come un assetato guarda un bicchiere d’acqua, che Si, lo vedo anche io che è bello come un dio greco e che ha un accento per cui anche Claudia Schiffer gli cadrebbe ai piedi, e ha le fossette, ed è più grande ma, per prima cosa, non sai di quanto è più grande, e per seconda, nel tempo libero fa il vampiro pazzo omicida, quindi, se fossi in te, riconsidererei le mie scelte di vita, e non esporrei più carne di quanto assolutamente necessario. No, non sarebbe andata molto bene. Probabilmente, avrebbe chiamato il 911 e le avrebbero fatto indossare una camicia di forza, ma avrebbe sempre potuto mangiarli tutti, quindi…)


-Che nome hai detto?-

-Mikaelson- sorrise lui.

La vampira realizzò con un paio di secondi di ritardo che Klaus la stava registrando con il suo cognome.

E quella era una cosa che Caroline Forbes non avrebbe mai e poi mia accettato!

-Forb…- iniziò a dire, e perché c’erano così tante tasche contenenti così tanti effetti personali non suoi (un lucido portafoglio di pelle nera con le iniziali N.M., un cellulare non suo, un pacchetto di fazzoletti) nel giubbotto di pelle, che lui le aveva costretto ad indossare poiché un leggero brivido di freddo le era sceso lungo la spina dorsale, quando lei stava semplicemente cercando la sua patente?

-Stanze separate?- la interruppe la receptionist, sorridendo speranzosa.

-No.- Klaus la osservò per un paio di secondi. -Ma letti separati!- aggiunse in extremis.

Da quando in qua Klaus Mikaelson non approfittava del suo stato di ubriachezza?


(Tempo prima, le avevano detto che la cattiveria di Klaus era paragonabile solo a quella del diavolo. Ora Caroline non ne era più tanto sicura.)


E perché la cosa la infastidita tanto?

-Buona notte, signore. Spero che lei e sua… sorella,-Caroline conosceva meglio di chiunque altro il potere del diniego. -possiate avere una buona permanenza.-

Klaus sorrise, come se la cosa fosse buffa e… Non lo era.

Non lo era minimamente!

-Non è mia sorella…-

-Oh.-

Entrambe le donne attesero, con il fiato sospeso, la giustificazione dell’uomo.

-…Sono suo padre.-

Caroline, inaspettatamente, si mise a ridere e lo odio un pochino di più per essere ancora in grado di farglielo fare, come se fossero ancora al concorso di Miss Mistyc Falls, e lui non avesse una famiglia, una casa, una…


 
***
 


Dormirono e basta.

Lui da un lato della stanza, lei dall’altro.

Non si scambiarono nemmeno una parola che non fosse la buonanotte.

Caroline sentì di odiarlo appena un po’ di più per questo.
 
 
***
 


Sognò di lui di nuovo. Ma quella notte lui era lì, a meno di cinque piedi di distanza, e improvvisamente, la frustrazione di quei dieci anni passati lontani, tutte le cose che si era dimenticata di dimenticare e tutti i sogni che non poteva controllare, si fecero prepotentemente sotto.

Realizzò di getto, come lui le fosse stato sempre accanto.

La sua voce non l’aveva mai per davvero lasciata.

All’epoca non l’aveva riconosciuta, perché troppo impegnata a scappare, dalle sue responsabilità, da lui, da tutto ciò che era conosciuto (Non siamo alberi, Carebear, le avrebbe detto suo padre, per l’uomo è assolutamente normale voler sperimentare cose nuove. Questo rende le cose incredibilmente più difficili, ma anche immensamente più interessanti).

Comprese che aveva aspettato secoli per vedere se quella debole scintilla di odio sarebbe divampata, scatenando un incendio.

Si avvicinò al suo letto. Lui era ancora sveglio. E Caroline non poteva leggere nel pensiero o brillare alla luce del sole, ma capì, solo in quel momento, il motivo dei letti separati. Poteva essere fatto in quel modo, e quel modo soltanto.

-Ti odio.- disse, le parole le uscivano dalla bocca bruciavano come acido. -Hai ucciso Elena, hai cercato di uccidere me per due volte e hai allontanato Tyler da Mystic Falls, Gesù, hai fatto tornare perfino Stefan Lo Squartatore di Monterrey, ti sei sposato e hai avuto una bambina da una delle persone che detesto di più sulla faccia della Terra. E io ti odio.-

Lei continuava ostinatamente a guardarlo.

L’uomo che le aveva dato gli incubi e che le aveva dato fantasie per quasi tutta la sua vita da non morta.

-Ti odio così tanto che mi dai la nausea.-

Lui non si mosse. Si limitò a stare fermo a fissarla (com’era tutto uguale a quel giorno nella foresta…). Il bastardo aveva le mani dietro la testa e non le rispondeva nemmeno. Nessuna giustificazione, nessuna spiegazione, nessuna scusa. Quasi sapesse che quello non era tutto quello che lei provava.

Una frazione di secondo dopo lei lo stava baciando (com’era tutto diverso da quel giorno nella foresta…), come se avesse bisogno di sapere che quella non era la sua mente che creava una fantasia, destinata a sparire con l’arrivo dell’alba. E lui la baciava di rimando. La bocca di Klaus era estremamente calda e soffice contro le sue labbra, il suo collo, il suo seno e il letto era davvero troppo piccolo per quello.
Lui quasi fermò le sue ministrazioni quando raggiunse la piccola cicatrice sulla sua spalla, la cicatrice che lui le aveva lasciato, mordendola, quel giorno nel salotto dei Gilbert, per baciarla gentilmente. Caroline fu quasi sorpresa di scoprire che stava piangendo; le silenziose scuse che le stava offrendo con la sua bocca le rendevano difficile fare il respiro profondo che voleva fare, ma che non le serviva davvero.
Le sue mani e la sua bocca erano ovunque. Sulla sua nudità, sul suo seno, dietro le sue orecchie, a ricordarle che questo era ciò che aveva sempre voluto. Per tutto il tempo che lei lo aveva saputo e per tutto quello che lui non le aveva dato la possibilità di realizzarlo.

Lei non lo perdonò. Lei non poteva perdonarlo. Ma era anche un perenne ricordo della ragazza che era stata, e pensò che lei avrebbe potuto amarlo quasi quanto disperatamente lo odiava per esserlo.


 
***

 
 
Caroline si chiese distrattamente quanto sarebbe stato disdicevole chiedergli di compellerla a dimenticare.

Ma i raggi del sole non la scaldavano più e lei non poteva farlo.


 
***

 
 
Klaus si stava imburrando una fetta di pane e aveva appena aperto la versione cartacea del Times e sembrava essere assorto nella lettura del periodico.


(-Vecchio!- aveva mormorato Caroline, alzando gli occhi al cielo di fronte a quell’esibizione di… Antichità. Lui ne aveva sorriso e non le aveva risposto niente, come se la trovasse una cosa buffa, come se la trovasse una cosa di poco conto, come se…)


Lei, invece, aveva scelto un caffè e stava leggendo la versione digitale di Vanity Fair sul suo iPad.

Klaus aveva i capelli ancora in disordine e indossava una henley blu scuro. Vicino a lui, c’era un’enorme valigia, contente un numero spropositato di giochi (che avevano scelto insieme.

Non ce la fai proprio a non aggiungere il danno alla beffa, eh Forbes?).

Era pronto per la partenza.


(Caroline pensò distrattamente che non era mai stato più bello di come lo era in quel momento.

Pensò anche alla connessione che aveva con quell’uomo.

Ricordò di una porta, che quel particolare uomo, tutto fossette e accento, le aveva detto che avrebbe tenuto sempre aperta qualunque fosse stata l’attesa e per lei. Soltanto per lei.)


-Mi ami?- chiese con tutta la nonchalance che riuscì a trovare, e continuando a sfogliare distrattamente le pagine.


(Le domande, quelle mute, erano state altre:

-Cosa è cambiato in dieci anni?-

-Perché non mi hai aspettato? La tua era una promessa e tu l’hai infranta. E…-

Ma, più di tutte, c’era stata un’affermazione:

-Sai, un giorno vorrò essere felice, e vorrei davvero, davvero essere felice con te, ma se non potrò esserlo con te, dovrò trovare un altro modo per essere felice, senza il tuo coinvolgimento.-)


Klaus soppesò la domanda per qualche secondo, dando un piccolo morso al sandwich e pulendosi la bocca con il tovagliolo.

-No, non ti amo.- le rispose lentamente, inclinando il capo di lato, come se la stesse studiando.

La donna aggrottò la fronte e spostò lo sguardo in un punto indefinito alle sue spalle, segno che era ferita (e lei che aveva ingenuamente pensato di aver lasciato il suo cuore spezzato e sanguinante ai piedi di Stefan, di Damon, di Matt, di Tyler e non aveva mai pensato che sarebbe stato lui a frantumarglielo e a lasciarne nient’altro che polvere).

-Ecco, vedi?- disse Klaus, usando un dito per spostarle il capo, per guardarla negli occhi. -Adesso ti starai chiedendo quale sia la tua colpa, perché io non riesca a volerti almeno un po’ di bene, cosa ti rende così imperfetta. Proprio per questo non posso amarti. Perché ci saranno giorni in cui sarò stanco, arrabbiato, con la testa tra le mie macchinazioni, e finirò inevitabilmente per farti del male. Ogni giorno accade che qualcuno calpesti i sentimenti di qualcun altro per noia, sbadataggine o semplice incomprensione. Ma se non sei tu la prima ad amarti almeno un po’, se non crei una corazza di pura gioia intorno al tuo cuore, le mie deboli frecce si faranno letali e ti distruggeranno.
La prima volta che ti ho incontrato, ho fatto un giuramento a me stesso: non ti avrei amata fino a che non fossi riuscita tu per prima ad amarti per come sei. Quindi, se mi chiedi se io ti ami, la mia risposta è no. Non posso ancora farlo.-

-Camille… Hope…-

-Camille non ha niente a che fare con quello che provo per te, tesoro. Mai ne ha avuto, mai ne avrà. E Hope… Hope sa già tutto di te. Quando verrai a New Orleans ti posso assicurare che mia figlia sarà l’ultimo dei tuoi problemi. Ho sempre pensato che quello che c’è tra noi meriti qualunque attesa.- Klaus riprese ad imburrarsi la fetta di pane, come se niente fosse accaduto, come se non le avesse fatto il discorso più bello della storia del mondo, come se…

Caroline sorrise, portando la tazza di caffè alle labbra per evitare di farsi vedere dall’uomo.

Klaus aveva detto quando verrai a New Orleans, come se nella sua mente non ci fossero dubbi che un giorno -tra un anno, o tra un secolo- lei sarebbe comparsa alla sua porta.

C’era, da qualche parte, nel mondo, una porta ancora aperta, soltanto per lei.

C’era, da qualche parte, nel mondo, una porta che sarebbe stata sempre aperta, soltanto per lei.

Perché non sarebbe stato oggi, probabilmente nemmeno domani, ma un giorno sarebbe stata sicura abbastanza da credere in sé stessa e in quel loro che aveva cercato di ignorare per anni.

Ci avrebbe creduto abbastanza da raggiungerlo.


(Intanto l’indomani mattina sarebbe partita per Barcellona.)
 
 
 
 
 
 
   
 
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