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Autore: The_freedom_writers    16/09/2016    0 recensioni
Elu. Magica città degli alchimisti, creata per scampare dal Risolutore.
Gadriel, ragazzo della città di sopra.
Melisandre, ragazza della città di sotto.
Due persone totalmente diverse, ma si incontreranno e nascerà qualcosa. Qualcosa che cambierà il corso della storia. Qualcosa per cui vale la pena, anche se sbagliata.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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SALVE A TUTTI! PICCOLA PREMESSA: E' UNA PICCOLA STORIA CHE FA PARTE DI QUALCOSA DI PIU' GRANDE. E' LA STORIA DI DUE DEI PERSONAGGI PIU' IMPORTANTI DEL MIO MONDO. DITEMI COSA NE PENSATE E SE VOLETE SAPERNE DI PIU' SUL RESTO DELLA STORIA SCRIVETEMI. BUONA LETTURA ;) In un futuro non tanto lontano, il mondo era diverso da come molti lo ricordavano. Il Risolutore era tornato e, per molti alchimisti, tornarono i tempi bui. Era più assetato di potere, più cattivo e, decisamente, più pazzo di prima. Non risparmiava nessuno e il terrore tornò ad insidiarsi nella mente di tutti. Torture, omicidi di massa, trasmutazioni illegali ... era la fine. L’eletta fu uccisa; non si sa come, ma anche l’ultima ancora di salvezza andò distrutta e la speranza di un futuro migliore con essa. Guerra. Gli alchmisti (precari) del Risolutore avevano creato nuove tecnologie e nacquero le bombe. Paura. Non si fermavano, androno avanti; svilupparono il potere di queste bombe , rendendole ancora più devastanti: nacquero le bombe atomiche. Morte. La popolazione si blindava nelle loro case, ma non era abbastanza. Distruzione. Altri crearono dei bunker, ma non era mai abbastanaza ... la bomba distruggeva tutto. Desolazione. Un giorno, però, tutti gli alchimisti sopravvissuti sparirono e nessuno li vide più. Si “trasferirono”: avevano creato una città in mezzo all’oceano. Dove? Nessuno lo sapeva, tranne loro. Era una città enorme, una specie di Nuova Atlantide, protetta da un incantesimo potentissimo. Pace, prosperità e armonia regnarono per decenni. Il sapere crebbe, come crebbe il loro potere e la speranza di un mondo migliore. Diventarono sacerdoti, o per lo meno così li hanno definiti, il cui unico scopo era la conoscenza e il loro centro era la più grande biblioteca mai vista da occhio umano. Nell’altro emisfero, il Risolutore era infuriato. Non accettava la loro scomparsa, non accettava una vittoria così facile. Ora dominava tutto il mondo e gli omicidi cessarono, quasi. Il terrore regnava ancora, chi nasceva alchimista era condannato a morte certa e la vita considerata una maledizione. Il Risolutore non demordeva e mandò i suoi soldati a cercarli. Navigarono, ma non trovarono mai nulla. Il Risolutore era sempre più infuriato. Inviò altri uomini, ma a volte alcuni non tornavano. Per anni andò avanti questa folle ricerca, e per anni risultò inutile. Sempre più in collera, il Risolutore decise di andare di persona per mare. Non volle nessuno con sè, solo lui, l’ignoto e la voglia di sangue. Viaggiò per giorni, che si trasformarono in settimane e poi in mesi. Perse la cognizione del tempo. Da solo, nel bel mezzo dell’oceano, con scorte a sufficienza forse per ancora un mese. La stanchezza e la fame ( dato che doveva razionare il cibo) gli crearono allucinazioni, ma poi qualcosa cambiò. Nella terra ferma, intanto, stava iniziando ad insinuarsi l’idea che fosse morto e la gente cominciò di nuovo a vivere. Contrariamente a quello che si potesse pensare, anche i suoi soldati erano felici. Ogni giorno era una festa, dove si mangiava e beveva a volontà. La speranza tornò, come tornò anche la pace. Non fu l’unica cosa a tornare. Un giorno nuvoloso, mentre la pioggia cadeva piano sui tetti delle case, lui tornò. Non era morto, come poteva esserlo dopotutto. La felicità morì e sul volto della gente calò un velo di tristezza. Era bagnato, la sua figura imponente che si stagliava sulla folla. Ogni passo una lenta agonia. Arrivato a palazzo, si affacciò al balcone e, con enorme gioia, parlò al popolo. Aveva trovato la città degli alchimisti. Era talmente entusiasta di questa scoperta che non spercò tempo: mobilitò tutti i suoi uomini e posizionarono le bombe per un nuovo attacco. Assetato di sangue diede subito l’ordine e la bomba fu lanciata e il suo desiderio più profondo era quello di prenderli alla sprovvista. Nell’altro emisfero invece, gli alchimisti erano preparati. Percependo la sua presenza, avevano intuito che quando sarebbe tornato avrebbe dato l’ordine di distruggerli. Tuttavia non si aspettavano una così veloce reazione. Erano sì preparati, ma non del tutto. La bomba stava arrivando, ma la protezione per la città non era ancora pronta. Molti avevano paura e sparsero il panico tra i presenti. Altri invece erano fiduciosi e rimanevano lì, nella piazza, fermi con gli occhi puntati sulla bomba. Essa si avvicanava sempre di più. I secondi sembravano minuti e i minuti ore. Aspettavano, ecco cosa facevano. Finì in un attimo, un lampo di luce, un fungo di fumo nero e poi più nulla. Un lieve sorriso comparve sul volto del Risolutore: c’era riuscito, li aveva uccisi tutti. Contento del suo operato, quella notte dormì tranquillamente e pensò che quella sarebbe stata solo la prima di tante altre notti tranquille. Ma come ogni storia che si rispetti, non era la fine. Quando si è troppo certi che l’esito del proprio piano sia sicuro, immancabilmente succede qualcosa che lo rovina: erano ancora vivi. La protezione era stata issata giusto in tempo e si erano salvati. Tuttavia subirono dei danni, ma comunque risolvibili. Ci fu un primo momento di panico, quando videro che la città si divise a metà e una parte di essa stava affondando ... pensarono di non farcela. Ciononostante alcuni alchimisti si tirarono su le maniche e, con un potente incantesimo, riuscirono ad attaccare la parte sommersa della città con la parte inferiore della città in superficie. Divenne una città sottomarina, dove tutto era capovolto, e molti alchimisti andarono a vivere lì, non potendo vivere in superficie per il sovrannumero. Come facevano? Avevano creato una cupola contenitiva che produceva ossigeno in abboddanza. Ma questa cupola non serviva solo alla loro sopravvivenza : aveva anche diviso le due città. Con il tempo si andarono a creare due fazioni: quelli di sopra e quelli di sotto. Ovviamente quelli che abitavano in superficie erano considerati i migliori, invece quelli di sotto dei miseri poveri. Anche avendo gli stessi poteri, non andavano d’accordo. Gli anni passavano e le differenze tra le due parti crescevano. Erano arrivati al punto da non potersi vedere e correre “alle armi”. Forse il Risolutore non li aveva uccisi, ma in qualche modo era riuscito nel suo intento. Dopo quasi un secolo, la situazione era insostenibile. Le due città si separarono( non fisicamente) completamente. Ognuna divenne indipendente, con il proprio capo e le proprie regole. Dopo quasi un secolo, gli Arcani decisero di intervenire, per sistemare la situazione. Un pomeriggio di mezza estate, un giovane della città di sopra stava pescando ai confini della città. Seduto su degli scalini, con i piedi immersi nell’acqua, si chiedeva cosa ci fosse oltre l’orizzonte. Essendo nato lì, non sapeva come fosse il mondo al di fuori della loro città ed era curioso. Questo giovanotto si chiamava Gadriel; alto, capelli neri, occhi anch’essi scuri e pieni di vita, e un corpo di un giovane che non si era ancora sviluppato del tutto. Era solo immerso nei suoi pensieri; talmente assente dal resto del mondo da non notare la presenza di qualcuno. Sentendosi osservato, Gadriel si guardò intorno, ma non trovò nessuno. Una piccola vocina nella sua testa, però, gli disse che stava guardando nel posto sbagliato. Passarono minuti, ma la sensazione di essere osservato rimaneva. Iniziò ad irritarsi, ma poi la vide: era lì, una ragazza più o meno della sua stessa età, lo stava osservando. Le piante dei piedi poggiavano sull’acqua e la sua testa piegata in basso, o in alto, dipende dal punto di vista. Era una ragazza di sotto. Ma non aveva paura ... paura. Era giusto chiamarla così? Non sapeva neanche perchè le due città si fossero divise. Se lo era sempre chiesto, ma non aveva mai osato porgere questa domanda ai suoi genitori. Si guardavano, erano curiosi. Rimasero lì, in quella posizione per un po’; ma quando Gadriel decise di fare qualcosa, una voce lo chiamò e lui dovette andarsene, un po’ contro voglia. Dopo quell’inaspettato incontro, Gadriel non riuscì a togliersi dalla mente l’immagine di quella ragazza. Ogni giorno tornò in quel posto, nella speranza di rivederla, ma non si presentò mai. Passarono le settimane e Gadriel inizò a pensare di averla immaginata. Poi un giorno, eccola. Di nuovo lì, nella stessa posizione dell’altra volta, quasi come se volesse farsi riconoscere da lui. Gadriel si sedette sugli scalini e la osservò. Passarono di nuovo dei minuti così, poi, finalmente, lei fece qualcosa. Alzò una mano e lo salutò. Lui ricambiò e gli parve di aver visto l’accenno di un sorriso sul volto della ragazza. Si guardarono ancora, ma lei, poi, se ne andò. Tentò di fermarla, ma fu tutto inutile. Non si poteva oltrepassare l’acqua. Da quel giorno, il loro incontro diventò una specie di appuntamento: allo stesso orario, stesso posto, ma nessuna parola. Ma a Gadriel piaceva questa cosa; era diversa da tutto il resto, era come un piccolo segreto tra loro due: due persone che in realtà non dovrebbero neanche guardarsi. I giorni passavano e Gadriel si interrogava sempre più spesso su come entrare in contatto con lei. Poi, eccola: un’ idea. Era un alchimista, no? E come tale è in grado di fare tutto, no? Allora un giorno, con tutta la volontà che gli serviva, si mise all’opera e la creò: una carta e un inchiostro resistenti all’acqua. Così avrebbe comunicato con lei. Entusiasta di questa nuova scoperta, corse in quel luogo e la trovò già lì, ad aspettarlo. Ansioso di mostrarle il suo operato, prese la penna e scrisse il suo nome sul foglio; dopo aver concluso l’operazione, si sedette sugli scalini e mise il figlio in acqua. La ragazza, incuriosita dal suo comportamento, si abbassò e guardò il foglio. Dopo qualche istante, un ampio sorriso nacque sul suo volto e fece fermare il cuore di Gadriel. Non l’aveva mai notato prima, o forse non lo aveva ancora realizzato, ma era davvero una bella ragazza: occhi verdi, capelli castani, minuta e con le curve al posto giusto. Gadriel arrossì e lei lo notò. Poi si rese conto di una cosa: come avrebbe fatto lei a comunicare con lui? Ma, lo aveva già preceduto. A quanto pare era un’alchimista dell’acqua e, grazie a questo, utilizzò il suo elemento per scrivere una frase: «Ciao Gradiel, io mi chiamo Melisandre.» Melisandre... che bel nome, le si addiceva molto. E così, nacque la loro storia d’amore. Ogni giorno si vedevano e si raccontavano qualcosa di loro, delle loro esperienze. Avevano deciso di farlo in modo alternato: uno lei e uno lui, così da non sprecare subito gli argomenti. Era tutto perfetto, ma mancava qualcosa: volevano toccarsi. Passarono i mesi e questa voglia cresceva sempre di più, fino a diventare insopportabile. Si volevano, ma non solo fisicamente. Era qualcosa di più. Si appartenevano. Questa voglia era diventata così potente che decisero di non vedersi più per una settimana e, in quell’arco di tempo, avrebbero cercato un passaggio che collegasse le due città. Giorno e notte cercavano, non dormivano per non sprecare tempo. Era una questione di vita o di morte. Se non lo avrebbero trovato, il loro amore sarebbe stato puro e semplice desiderio mai incarnato. O come si dice: un amore platonico. Un giorno, grazie agli Arcani e alla loro forza di volontà, Melisandre lo trovò. Mancavano due giorni alla scadenza del patto e lei, entusiasta per la scoperta, non stava più nella pelle. Arrivò il giorno ed era felice come un bambino che ha appena scoperto come camminare. Ansiosa del suo arrivo, si muoveva avanti e indietro, smuovendo l’acqua con i suoi piedi. Infine, eccolo, in tutta la sua bellezza, ma era triste. Evidentemente non aveva trovato nulla, ma lei invece si. Quando arrivò, si buttò sugli scalini sbuffando, o almeno era quello che le sembrò. Troppo estasiata per trattenersi, scrisse sell’acqua la sua scoperta e il viso di Gadriel riacquistò il suo solito sorriso. Aveva trovato un passaggio nelle condutture, quelle ormai in disuso da un secolo, che alimentavano le due città prima che si separessero. Non volevano sprecare tempo e corsero subito lì. Melisandre conosceva la strada e riuscì a trovare subito il passaggio; Gadriel, invece, si perse nel tragitto. Melisandre aspettava già da un po’, stava incominciando a perdere le speranze, quando si sentì toccare sulla spalla destra. Voltandosi lo vide: era Gadriel. Non pensandoci più di tanto, lo abbracciò e lo strinse forte a sè e lo stesso fece lui. L’abbraccio si trasformò in un bacio; il bacio si trasformò nella ricerca del contatto e quest’ultimo si trasformò in amore. Ora erano completi. I mesi passarono e il loro amore si rafforzava sempre di più. Una sera, mentre erano abbracciati, Gadriel chiese a Melisandre un appuntamento: tra due sere, nella piazza della città di sopra, si sarebbe tenuto il ballo annuale sotto le stelle cadenti. Nessuno si sarebbe accorto che lei era una di sotto e, così facendo, potevano mostrarsi a tutti come una vera coppia. Lei, colma di gioia, acettò. Quella sera Melisandre era un incanto: quel vestito grigio cenere le donava moltissimo e il suoi occhi erano illuminati dall’amore e dalla curiosità di vedere la città di sopra. Arrivati in piazza, Gadriel la prese e incominicarono a danzare sotto le stelle. Non si era mai sentito così con qualcuno e lo stesso era per lei. Era come se non ci fosse nessuno: solo loro due, persi l’uno nello sguardo dell’altro e gli Arcani testimoni del loro amore. La gente li guardava incantati: sia perchè danzavano splendidamente, sia per l’intensità del loro amore, che si percepiva anche a chilometri di distanza. Melisandre era al colmo della sua gioia; nata in una famiglia povera e che la trattava male, non si sarebbe mai aspettta di trovare un ragazzo che l’amasse così tanto. Gadriel, invece, aveva avuto tante avventure, ma sapeva che questa sarebbe stata l’ultima: quella ragazza lo aveva cambiato, in meglio, e voleva proteggerla a tutti i costi. Erano nati per stare insieme e questo lo avevano notato anche le persone attorno a loro. La notte passava e loro continuavano a danzare. Gadriel, però, aveva in mente un’altra cosa: la prese per mano e la porto al confine della città, il loro posto speciale. Finalmente non erano più divisi dall’acqua e dalla cupola e quel posto era così simbolico per loro, che era il luogo ideale per vedere le stelle. Era tutto perfetto. Per anni, Melisandre desiderò vedere le stelle cadenti; per anni Gadriel aveva assistito a quello spettacolo tutto solo. Adesso, invece, vi stavano assistendo e con la persona che amavano di più al mondo. Nulla dura per sempre. Il Risolutore scoprì che la città non era andata distrutta. Adirato, soprattutto con se stesso e per la sua incompetenza, ordinò di fare fuoco in direzione della città. Era stato uno stupido a credere che fosse così facile distruggerli: erano come un’infezione, se non la curi bene ricompare. Melisandre e Gadreil erano al loro solito posto al confine della città, accoccolati l’uno sull’altra a godere delle gioie dell’amore. Era notte e le stelle erano chiare nel cielo, ma c’era qualcosa che non andava. L’acqua era agitata e Malesandre lo percepiva. Anche l’aria era diversa, come se qualcosa la stesse tagliando. Guardarono all’orizzonte e videro qualcosa che gli fece accapponare la pelle: una bomba. Spaventati dall’imminente futuro, i sue amanti corsero in città, urlando che una bomba stava per arrivare. Gli alchimisti di vedetta la notarono e diedero l’allarme. Era il panico. Non era pronti e questa volta sarebbe stata quella decisiva. Provarono lo stesso a creare la protezione, ma la paura era troppa. Era davvero la fine? Sì, se non fosse che Melisandre decise di dare una mano. Grazie alla sua affinità con l’acqua, aiutò gli alchimisti con questo elemento. Gadriel, però, non sapeva cosa fare. In questo caso si sentì inutile: non avere un elemento dominante, a volte, è una vera disgrazia. Anche gli ultimi alchimisti rinunciarono e lasciarono la città completamente alla mercè della bomba. Melisandre caddè a terra esausta, al centro della piazza, e subito Gadriel le corse incontro. La prese in braccio, facendola sedere con la sua schiena appoggiata al suo petto. Lei iniziò a piangere e Gadriel cercò di calmarla. Tra i singhiozzì, riuscì a capire che non voleva morire, o almeno non così. Voleva invecchiare con lui, avere dei figli e dei nipoti, e giocare con loro viziandoli come sanno fare solo i nonni. A gadriel scese una lacrima: anche lui voleva e desiderava quel futuro con lei. La bomba era sempre più vicina e la disperazione aummentava. Era la fine. Gadriel e Melisandre si guardavano negli occhi. Se quello era il loro ultimo momento, almeno lo avrebbero vissuto tra le braccia di chi amavano; almeno avrebbero guardato, per l’ultima volta, negli occhi quella persona; almeno avrebbero assaporato, per l’ultima volta, quel forte amore che li univa. La bomba era vicina, così tanto che se allungavi una mano potevi toccarla. Prima che potesse distruggere tutto, i due amanti si baciarono, un bacio puro e passionale, come il loro amore. Ma la bomba arrivò e tutto finì. Nero. Solo quello vedeva. Era sospeso. Fluttuava nel nero, nel vuoto. Non sentiva, nè odorava, nè percepiva nulla. Quello era diventato? Niente? Allora perchè pensava ancora. Forse era vero che dopo la morte, rimane solo lo spirito. Ma lui non vedeva nulla. Dov’era? Chi era? Nero ... nero ... cos’è il nero? Vuoto. Assenza di materia. Poi, qualcosa: una luce. Qualcosa di indefinito, a cui non sapeva dare un nome, laggiù, in fondo. Fondo ... si può definire così un preciso punto nel vuoto? Non c’è profondità, non c’è spazio. Ma quella luce era vera. C’era, esisteva. C’era qualcosa nella luce, però. Una cosa simile al vuoto. No. Non simile. Era diversa. Aveva ... una forma. Si, c’era qualcuno nella luce. Tuttavia non sapeve definire chi fosse. La luce aumentò la sua intensità, la figura si faceva sempre più vicina. Era una donna ... donna ... chi poteva essere, lui non conosceva nessuno. Sandra ... chi era? No, non era Sandra. Il suo nome era diverso, più melodioso ... melodioso ... sandra ... Melisandre! Ma come faceva a saperlo? Lo sapeva e basta. Era lei. Doveva raggiungerla. Una mano. Allora lui esisteva. La tese, per arrivare da lei. Aria. Qualcosa lo trascinava verso quella luce. Aumentò la velocità e in un attimo di gioia ulrò il suo nome. Poi nulla. Si risvegliò in un prato. Intorno a lui il verde si stagliava come se non avesse fine. La luce del sole illuminava il paesaggio. Aveva malditesta e non si sentiva le gambe. Si mise seduto e si guardò intorno: non si ricordava niente. Poi il mal di testa si fece più forte e ricordò. Aveva una missione: era stato incaricato dagli Arcani di distruggere il male. Loro avevano sbagliato e lui doveva aggiustare le cose. Tuttavia, non sarebbe stato lui a distruggerlo. Lui sarebbe stato solo un aiuto. Era facile come incarico; forse anche troppo facile. Alchimista Assoluto, ecco cos’era diventato. Tutto quello che ogni singolo mago aspira. Però, l’incarico affibiatogli dagli Arcani era impossibile, o almeno lo era per lui. Non poteva uccidere una persona, non riusciva neanche a pensare di fare del male a qualcuno. No, non sarebbe stato lui ad ucciderla. Allora chi? Questo gli Arcani se l’erano dimenticato. Doveva fare qualcosa e quel qualcosa poteva essere trovare il male e distruggerlo, o almeno in parte, prima che portasse morte e disperazione. Ma come avrebbe fatto? Dov’era? Dopo varie domande, tutte seguite da risposte vaghe o inesistenti, arrivò ad una decisione: meglio prevenire, che curare.
   
 
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