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Autore: Emilia Zep    17/09/2016    2 recensioni
Plymouth 1715, il mercante Edward Knightley torna da un viaggio nel Nuovo Mondo riportando con sè, oltre al carico di zucchero, una ragazza misteriosa che ha chiesto soccorso alla sua nave...
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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Da quando nostro padre aveva riportato dal nuovo mondo Elinor Dougal, gli equilibri in casa nostra avevano preso una nuova piega. Per mia sorella Marianne esisteva solo Miss Dougal e tutti noi sembravamo apparile di colpo noiosi e ordinari. Di Catherine non aveva mai pensato altrimenti ma fino a quel momento era con lei che Marianne aveva l’abitudine di confidarsi, quanto meno per una questione d’età.  Catherine non doveva averle mai dato troppa soddisfazione in quel ruolo di devota confidente né ora che era stata sostituita sembrava che il fatto la turbasse più di tanto. Pareva aver accettato il nuovo ordine con la solita disposizione d’animo pacifica che mostrava verso ogni cosa. “La nostra Cathy è troppo buona!” Diceva sempre la mamma dandole un buffetto sulla guancia “ Ma per farsi strada ci vuole carattere.” Aggiungeva  con una punta di rimprovero “ Alla tua età bisognerebbe già avere qualche corteggiatore…” E guardava con aria sospettosa Marianne, che in quanto a corteggiatori sembrava intendersene.
Cathy arrossiva “ Certo, zia Abigail”
Catherine viveva con noi da quando aveva dieci anni. Nostro zio Robert, dopo la morte della zia Amy, era andato nelle Indie Occidentali al seguito del governatore Ashefield. Un luogo rude, violento, aveva detto, inadatto all’educazione di una bambina. Così aveva lasciato Cathy da noi. Tornava ogni tanto, portando con se’ regali esotici e storie di posti lontani. Tutti noi adoravamo le sue visite, stavamo le ore ad ascoltarlo fare i versi di animali che avevamo visto solo nei libri.
I primi tempi ricordo che Cathy gli scriveva spesso, quasi ogni giorno. E per mesi, tutte le mattine, si attaccava alla gonna della signora Williams, la governante, quando andava a ritirare la posta “C’è qualcosa per me?” . Ogni tanto arrivava un biglietto di auguri, giusto in tempo per il suo compleanno. Marianne diceva che non gliene aveva mai fatto leggere uno “Io le dico tutti i miei segreti ma lei di sé non dice mai nulla” Con l’arrivo di Miss Dougal però nostra sorella sembrava aver trovato pane per i suoi denti. Nonostante la mamma avesse disposto di far  dormire miss Dougal con Cathy, Marianne l’aveva reclamata per sé. Non faceva che parlare di lei “Elinor dice questo” “Elinor mi ha raccontato quell’altro“ La sera si chiudevano in camera a chiacchierare per ore ed ore.
A dire il vero tutti noi eravamo affascinati da Miss Dougal. Bella era bella, e nonostante vestisse sempre di nero come una puritana e non scoprisse mai le braccia e le mani – era molto difficile vederla senza guanti, persino in casa – aveva un guizzo ironico negli occhi verdazzurri, un modo di rispondere allegramente irriverente che la facevano sembrare tutt’altro che una religiosa radicale. “E’ per via dell’educazione che ho ricevuto” Si giustificava nel rifiutare  i  vestiti scollati, alla moda di Londra, che voleva prestarle Marianne “Via Elinor, sareste bellissima!” Miss Dougal alzava le spalle “ Sono cresciuta così, mi sentirei a disagio.”  Allo stesso modo si schermiva quando mostrava di non conoscere certi fondamentali dell’etichetta inglese “ Da noi nelle Indie le regole sono un po’ più elastiche. Marianne, datemi un pizzicotto se faccio qualche errore in pubblico!” scherzava con mia sorella che si sentiva tutta fiera di quel ruolo di consigliera.
Peter ed io, che allora eravamo considerati i piccoli di casa, nonostante io avessi già dodici anni, la osservavamo come una bestia rara. Ci sembrava conservasse il sapore del Nuovo Mondo, così come ce  lo eravamo figurato ascoltando le storie dello zio Robert o le conversazioni dei capitani dei bastimenti di nostro padre quando venivano in casa, per cena  o a parlare d’affari.  Nonostante il viaggio in nave e i giorni passati in Inghilterra Elinor Dougal aveva ancora qualche traccia dell’abbronzatura delle isole del sud.  I capelli neri, acconciati con cura e arricciati col ferro secondo le tendenze parigine suggerite da Marianne, mostravano ugualmente un’inclinazione ribelle.
“Dev’essere il vento delle Indie” ci dicevamo io e Peter “Sarà sicuramente molto più carico di sale di quello di qui.”
Quando avevamo l’occasione di parlarle da soli azzardavamo domande timide sul Nuovo Mondo. Le chiedevamo se anche lì le ragazzine andassero  a scuola, se esistessero davvero gli animali esotici di cui ci aveva parlato lo zio Robert e se per caso avesse mai visto gli uomini con la pelle nera. Miss Dougal sembrava divertita dalle nostre domande. Puntualmente demoliva ogni congettura mia e di Peter e quasi mi pareva che con lo sguardo ridesse di noi per la nostra ingenuità. Certo che le ragazzine inglesi delle Indie andavano a scuola, ci diceva. Andavano anche in chiesa, se proprio volevamo saperlo. E certamente aveva visto molti uomini dalla pelle nera lavorare nelle piantagioni, o anche a servizio. Non c’era nulla di cui entusiasmarsi tanto, sembrava dire il suo sorriso accondiscendente, nulla di straordinario. Eppure poi attaccava a raccontarci di schiavi rivoltosi che avevano sconfitto i propri guardiani e che vivevano in isole tutte loro dove uccidevano chiunque vi capitasse, anche per caso. Parlava di porti frequentati da uomini senza legge, di taverne in cui scoppiavano risse per un nonnulla. Lo faceva abbassando la voce e guardandoci fisso negli occhi, come a controllare le nostre reazioni senza mai lasciar capire davvero quando scherzasse e quando parlasse sul serio. Io coltivavo il sospetto che inventasse quelle storie di sana pianta, solo per divertirsi a vederci abboccare come due creduloni.
Ma la verità era che né Peter né io osavamo chiedere quello per cui davvero avremmo pagato oro. Cercavamo di avvicinarci all’argomento, di girarci attorno, ma non ci arrischiavamo ad andare oltre con domande dirette. La mamma e il papà ce lo avevano raccomandato: non bisognava tormentare miss Dougal su quella questione, l’argomento era da considerarsi  tabu’. Sarebbe stato davvero crudele nei confronti di Miss Dougal costringerla a rivangare momenti di disperazione ed angoscia al solo scopo di soddisfare le nostre curiosità infantili. Anche il dottor Barlow l’aveva detto: la cosa migliore era che Elinor si riabituasse gradualmente alla normalità e pian piano riuscisse dimenticare. Proprio questo, infatti, era  il motivo del suo soggiorno prolungato da noi.
Eppure sia Peter che io morivamo dalla voglia di sapere. Ogni volta che il mio sguardo si posava su di lei, a tavola o in giardino, non potevo fare a meno di immaginarmela sulla scialuppa, con i vestiti zuppi e i capelli sciolti, mentre remava nel tentativo di raggiungere l’Amelia, magari schivando anche qualche cannonata.
Perché questo ce l’avevano raccontato. Elinor Dougal era arrivata a bordo dell’Amelia, la nave su cui viaggiava nostro padre, da sola, su una lancia, dopo essersi liberata dalla cattura dei pirati. Era stata sotto sequestro per circa un mese, ci aveva detto papà. L’avevano presa in ostaggio quando avevano catturato la Victory, la nave con la quale Miss Dougal aveva preso un passaggio per l’Inghilterra. Qui pare che l’aspettasse uno zio, l’unico parente che le restava dopo la morte di suo padre.  Non erano salpati da molto tempo, quando i pirati avevano attaccato il bastimento. Stando ai racconti di nostro padre, il capitano della Victory era stato barbaramente ucciso, gli ufficiali abbandonati in mare, su una scialuppa, e mezzo equipaggio costretto a servire sulla nave pirata. Miss Dougal invece, unica donna a bordo, era stata presa prigioniera.
Quando era salita sull’Amelia, diceva nostro padre, era sconvolta e in stato confusionale. Fatto sta che sembrava che nessuno l’avesse aiutata a scappare, ma fosse riuscita a fuggire da sé rubando una lancia dalla nave pirata. Questo la rendeva ai miei occhi una specie di eroina invincibile. Come aveva potuto riuscirci? Aveva fatto in modo di non farsi scoprire? O aveva lottato mentre tentavano di fermarla? Forse la ciurma della Victory era dalla sua parte e aveva combattuto per lei? E cosa aveva provato in quel mese di prigionia?
Mi chiedevo se Marianne lo sapesse,  se almeno lei fosse riuscita a farselo raccontare in quelle loro chiacchierate notturne. Perché in famiglia, fin ora, nessuno aveva osato infrangere il tabù, tutti avevamo accuratamente evitato l’argomento né, da parte sua, Miss Dougal aveva mai preso l'iniziativa di parlarne per prima.
Proprio per questo rimasi di sasso quando, un pomeriggio, Elinor, facendo capolino in camera nostra, ci chiese allegramente a cosa stessimo giocando e mio fratello, senza colpo ferire, rispose “Ai pirati!”
  
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