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Autore: Pascal76    18/09/2016    1 recensioni
Quando il mondo ti crolla addosso, non lasciare mai che la cosa
ti distrugga, indipendentemente dalla violenza con cui ti colpisce.
Questo Nina lo sa.
Lo sa da quando il primo attacco ha ridotto tutte le persone che conosceva,
pure i genitori, in mostri assassini. Sa che un giorno splenderà il sole anche per lei e suo fratello, sa che un giorno tutto si sistemerà, anche se nulla sarà più come prima. Nina lo sa, e questo le basta per lottare, per far si che la malattia che silenziosamente le sta portando via il fratellino venga sconfitta.
Ma quando entrambi verranno portati al Bureau, centro di raccoglimento per i pochi sopravvissuti all'attacco, Nina avrà di fronte una realtà ben più amara della precedente a cui è sopravvissuta.
Capirà che ha di fronte una realtà ben più grande e complessa di lei, che a volte l'unica arma per vincere una battaglia è evitare che questa ti spezzi il cuore, o peggio ancora l'anima.
Genere: Avventura, Generale, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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« Nina! Ninaa! » bisbiglia mio fratello. Apro un occhio e lo guardo, cercando di capire che diamine gli succede. È sdraiato accanto a me, un braccio intorno ai miei fianchi, aggrappato come se temesse di essere abbandonato. Mi alzo sui gomiti e accendo la torcia accanto a me cercando di fare il minor rumore possibile.

Mio fratello inizialmente si copre gli occhi con le mani spaventato dalla luce troppo improvvisa, poi prende coraggio e le sposta. I suoi occhi marroni spalancati dalla paura mi guardano, finché non capisco che cosa effettivamente lo sconvolge.

« Oh Alex » sussurro. Frugo nello zaino e ne estraggo del sofficissimo cotone che uso per asciugargli il sangue colato dal naso. Con movimenti delicati, gli tappo una narice con del cotone pulito rimasto e mi assicuro che non ci siano tracce di sangue incrostato. Dopo aver finito gli do un leggero bacio sulla fronte. Scotta.

« Alex, ascoltami. Adesso vado di sopra a prendere delle garze dal kit di pronto soccorso della mamma e torno subito. Tu non muoverti e non far rumore, hai capito? » gli dico. Lui annuisce e prima che possa alzarmi dal nostro letto mi abbraccia forte. Io ricambio l'abbraccio e lo rassicuro dandogli leggere pacche sulle spalle e accarezzandogli i capelli un po' sporchi.

Quando mi lascia andare, mi alzo e in punta di piedi e raggiungo la scale. Salgo un gradino alla volta con molta cautela, temendo che un movimento sbagliato possa provocare scricchiolii fastidiosi capaci di attirare l'attenzione di ospiti indesiderati. Tutto fila liscio e, una volta raggiunto l'ultimo gradino mi giro e guardo mio fratello : è sdraiato sul letto abbracciato al cuscino, i capelli arruffati e l'espressione innocente e angelica di un bambino assopito.

Vederlo così mi mette tenerezza, e diciamo che è proprio questo a darmi la forza di andare avanti : voglio che Alex sopravviva. Prima del mio bene, voglio il suo. Voglio che ce la faccia, che superi ciò che sta tacitamente e inconsciamente affrontando. Dobbiamo farcela.


 

È cominciato tutto 6 o 7 mesi fa. Era una giornata tranquillissima di primavera e tutto sembrava andare bene. Uscimmo di casa, imboccammo la strada per la scuola di Alex, quando all'improvviso si sentì un coro di urla disumane.

Centinaia di migliaia di persone persero il senno e cominciarono a urlare disperate mentre il loro cervello si bruciava inspiegabilmente.

Quello era il primo attacco, ma nonostante tutto molti sopravvissero.

Si cominciarono ricerche per dare una spiegazione alla strage appena accaduta. Secondo alcuni era un virus, secondo altri si trattava di “onde magnetiche capaci di distruggere il cervello”, per altri ancora era una punizione inflitta da Dio. Sta di fatto che la soluzione a quel dilemma non la si trovò mai.

Quasi 2 settimane dopo, accadde di nuovo. Stavolta fu più atroce e più lungo e fece un numero di vittime pari alla quintuplo di quelle precedenti. Era come un sibilo fastidioso che ti spaccava i timpani e ti scuoteva le viscere. Quel giorno, nel tentativo di salvarmi e di coprirmi le orecchie, vidi i miei genitori trasformarsi in creature orribili piegate in due dal dolore. Si accasciarono a terra e il loro corpo cominciò a dimenarsi in preda agli spasmi.

Più tardi erano spariti.

Nel frattempo avevo messo al sicuro mio fratello. Entrando in camera sua, ringraziai ogni forma di Dio quando lo vidi sdraiato sul letto con le cuffie che gli avevo regalato a Natale sulle orecchie. Strizzava gli occhi e premeva le mani sulle cuffie, il che probabilmente lo salvò.

Pure io mi salvai.

Ma il “come?” e il “perché” rimasero un segreto, domande a cui non avevo mai risposto perché le mie priorità presto divennero altre. In casa il cibo scarseggiava e fuori l'ambiente era diventato ostile, oltre il fatto che avevo paura di uscire per cercare qualcosa e ritrovarmi sbranata da uno di quei mostri che a volte vedevo circolare come zombie.

Dopo un po' sparirono pure loro. Non seppi precisamente perché, ma fu rassicurante sapere che fuori non c'era più nessuno in grado di ucciderti. Quando lo dissi a mio fratello, la gioia fu tale da ritrovarmi costretta a potergli lasciare la libertà di correre e urlare per le strade di quello che un tempo era il nostro quartiere, ormai ridotto ad un mucchio di macerie. Io e Alex ci eravamo nascosti in taverna, dove non poteva trovarci praticamente nessuno se noi non l'avessimo voluto, il che era una fortuna, vista la condizione di certi edifici. Fu quel giorno che scoprii che mio fratello era malato. O almeno, la sua pelle presentava numerose - e a volte estese – chiazze violacee che non promettevano nulla di buono. All'inizio ignorai la cosa, ma man mano pure lui si accorse di avere qualcosa che non andava. Pensai che fosse l'ambiente, che magari era veramente un virus e Alex ne era stato infettato. Non potevo di certo saperlo con certezza – non c'era un'anima viva nel raggio di 4 chilometri, figuriamoci un medico – ma era l'ipotesi più accreditata. Quindi da quel giorno lo costrinsi a rimanere in taverna 24 ore su 24 e cercavo di contenere i sintomi il più possibile : impacchi ghiacciati, analgesici, antibiotici.

La mia più grande paura era quella che da un giorno all'altro Alex mi abbandonasse. Se fosse davvero successo non me lo sarei mai perdonato. Lui aveva ancora tanto da vivere e piuttosto avrei preferito morire io che veder morire lui in queste condizioni. Era semplicemente inaccettabile. 

   
 
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