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Autore: formerly_known_as_A    18/09/2016    1 recensioni
Takao non crede al colpo di fulmine e quello non è un colpo di fulmine.
Ma ci somiglia. È improvviso come una scarica elettrica e lo lascia allo stesso modo frastornato, incapace di fare altro che fissare il sorriso storto di Midorima che riatterra sul campo dopo un canestro perfetto.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shintarou Midorima, Takao Kazunari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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È strano. Takao non crede al colpo di fulmine e quello non è un colpo di fulmine.

Ma ci somiglia. È improvviso come una scarica elettrica e lo lascia allo stesso modo frastornato, incapace di fare altro che fissare il sorriso storto di Midorima che riatterra sul campo dopo un canestro perfetto.

È una sensazione inspiegabile, come se, all'improvviso, tutto il resto avesse smesso di esistere, di essere importante. Non ci sono i loro compagni di squadra, sbalorditi da quella mossa che hanno impiegato settimane a perfezionare. Non c'è l'allenatore che non ne sapeva nulla, ancora, perché i momenti in cui l'hanno provata sono stati segreti e nascosti, nel campetto accanto al parco in cui passano ogni sera dopo gli allenamenti, timorosi di non riuscire a farcela, eppure ben determinati a farcela.

Takao ha, in qualche modo, avuto la propria vendetta sulla Generazione dei Miracoli. Ma non gli importa più.

Perché tutto quello che vede, adesso, è il modo in cui l'angolo della bocca del suo partner è ancora increspato dal sorriso di chi ha rischiato tutto, rivoluzionando il proprio modo di giocare, riponendo una fiducia cieca in qualcun altro, qualcuno su cui non ha nessun controllo.

Eppure, Takao si sente all'improvviso come se fosse capace di piegarsi completamente al gioco del suo partner e quella sensazione gli trasmette una calma irreale, qualcosa di pericoloso, di potenzialmente doloroso, ma che lo fa sorridere.

È come un colpo di fulmine, mesi dopo aver conosciuto qualcuno.

L'allenatore chiede loro di rifarlo, ancora e ancora e Takao si sorprende di quanto sia facile, come se il suo passaggio e il tiro di Midorima fossero uno il prolungamento dell'altro. Si sente fiero per entrambi, come se anche lui fosse capace di fare quel tiro incredibile, come se facesse tiri da tre ad occhi chiusi.

Non è così, ovviamente, ma quando ancora Midorima si volta a guardarlo, prima di infilarsi nello spogliatoio, Takao è costretto a rallentare, i colpi nella schiena dei suoi compagni di squadra che non pesano nulla, in confronto al batticuore che sente.

Aspetta l'ultimo momento prima di andare a cambiarsi.


Anche se Midorima lo aspetta per ragioni che potrebbero non c'entrare per nulla con l'amicizia, è con un sospiro di sollievo che accoglie la visione in lontananza della sua schiena appoggiata ad un palo, accanto al deposito delle biciclette. Resta troppo a fissarlo, la sua altezza fasciata del nero della divisa scolastica che sembra allungarlo ulteriormente, i capelli impeccabili che, alla luce del lampione, sono di un verde così scuro da sembrare nero.

Ha in mano l'oggetto fortunato del giorno, un pettine antico di colore lilla e Takao sa di non doversi più fare domande su dove li trovi, eppure lo stesso è curioso, perché qualsiasi dettaglio, in quel ragazzo, lo affascina da ben prima del colpo di fulmine.

Rallenta di nuovo, incapace di correre verso di lui e dire qualcosa che potrebbe potenzialmente irritarlo. Lo osserva, invece, nessuna traccia di quel sorriso sulle labbra, ma un viso comunque bello, affilato, reso ancora più serio dalla montatura degli occhiali e il cipiglio severo tra le sue sopracciglia.

Non ha mai pensato che il suo partner non fosse bello, dalla punta dei suoi capelli improbabili alla curva delle sue ciglia folte, dalle dita sottili alle gambe lunghissime, perché solo un cieco non se ne accorgerebbe, eppure con lui si è sempre e solo sentito a proprio agio, pronto a prenderlo in giro, a stemperare la sua attitudine troppo seria, a farli funzionare come partner nonostante le differenze abissali che esistono tra di loro.

È molto diverso dall'improvvisa realizzazione che Midorima si fida ciecamente di lui, che è, in qualche modo, importante.

È come se quella sensazione avesse dato un senso ai lunghi minuti trascorsi in pullman a fissare le sue ciglia lunghe e l'ombra che creano sulle guance pallide, come se, all'improvviso, qualcuno gli avesse preso la mano ed avesse messo insieme gli indizi, mettendolo davanti all'inevitabilità dei fatti.

Midorima Shintarou è sempre stato bellissimo. E Takao l'ha sempre saputo. Ma non ha mai considerato cosa significasse davvero.

“Shin-chan!” lo chiama, facendolo sobbalzare. Il pettine gli scivola dalle mani ed è con un buffo movimento che riesce a recuperarlo prima che cada.

Takao ride, divertito, la scena che, inspiegabilmente, gli crea nel petto una sensazione quasi sgradevole, come se qualcuno si stesse divertendo a stringergli il cuore. Trova Midorima adorabile in un milione di modi ed è per questo che nemmeno prova a giocarsi a carta-forbice-sasso la possibilità di non guidare il carretto.

Pedalare può solo che fargli bene.

“Takao.”

Cerca di ignorarlo e dandogli le spalle è più facile che guardandolo. Può farcela. Gli basterà andare a casa e dormirci su. Non è il tipo da attaccarsi troppo ai colpi di fulmine in ritardo.

Il fatto che continui a pensare al sorriso del suo partner è irrilevante.

“Takao.” sillaba meglio Midorima, la o finale lunga come quando è arrabbiato per qualcosa.

Non ha il coraggio di voltarsi e non ha la prontezza mentale di aspettarsi che l'altro ragazzo faccia il giro per andargli davanti. Non si guardano direttamente, un'ombra scura sulle guance dell'ace che gli suggerisce un rossore che non sente di poter affrontare.

“Andiamo a casa!” esclama, fingendosi così entusiasta da farlo sobbalzare, l'ultima sillaba che suona come il gracchiare di un corvo ferito, di fatto attirando esattamente l'attenzione che non voleva.

“Takao.”

Ricorda perfettamente la prima impressione che ha avuto di Midorima, l'impressione che gli altri avevano di lui e che Takao ha inconsciamente assorbito, fino al loro primo incontro.

Midorima è uno tsundere, un ragazzo che non dice mai le cose direttamente, che nasconde i propri sentimenti dietro un movimento simile ad un tic per sistemarsi gli occhiali e un altrettanto irritante tic vocale. Midorima è il tipico secchione per cui conta solo studiare e che gioca a basket solo perché è semplice. Midorima ovviamente suona il piano, senza nessun cuore.

Ma Midorima non è nulla di tutto questo e a Takao spaventa quasi il modo in cui ai propri occhi è leggibile.

Non vorrebbe vedere l'insicurezza nei suoi tratti tesi, il modo in cui la mano sinistra si stringe intorno al pettine e la destra passa le dita sopra quelle fasciate, avanti e indietro come una sorta di carezza rassicurante.

Eppure non riesce a dimenticare la naturalezza con cui è riuscito a passargli la palla, il piegarsi di Midorima, con il passare dei mesi, ad un gioco a cui non era abituato e la fiducia che ora ripone negli altri.

“Grazie.” lo sente borbottare, lo sguardo ancora fisso su un lato del cancello d'accesso alla palestra e Takao non sa cosa fare. Vorrebbe abbracciarlo e dirgli che è un cretino troppo alto, vorrebbe promettergli che vinceranno, che quella fiducia è ben riposta, ma riesce solo a fissare lo sguardo su una ruota del carretto.

“Andiamo a casa.” dice soltanto, pentendosene immediatamente. Perché conosce Midorima e sa che quel semplice ringraziamento dev'essergli costato tantissimo. Perché Midorima è gentile e ha questa buffa tendenza ad aiutare gli altri anche se fa finta di non volerlo e per questo gli appare fragile, perso, quando riesce a guardarlo.

Non riesce a fare nulla mentre ancora aggrotta le sopracciglia e si sistema gli occhiali, ma quando gli dà le spalle, è come se qualcosa in Takao si sbloccasse, perché riempe la distanza tra loro con due passi soltanto.

“Ti ho visto sorridere. Quando ti ho passato la palla, quando hai fatto punto, hai sorriso! E... E non riesco a non pensare che è merito mio e faccio pensieri stupidi e inappropriati, ma giuro che mi basta dormirci su e domani starò sicuramente meglio!” lancia, finalmente, allungando una mano per trattenerlo per la giacca della divisa.

“...merito tuo.” lo sente borbottare e il suo tono lo fa ridere, ridere davvero.

“Sì, mi hai ringraziato. Scusa, Shin-chan, sono un po' confuso, stasera.” ammette, in imbarazzo. “Io... Io vado, ok? Ci vediamo domani mattina!” aggiunge, affrettandosi a dargli le spalle, obbligandosi a lasciare andare la sua divisa e quei sentimenti non del tutto nuovi, ma con finalmente un nome che già odia.

Dormire gli farà bene. Dormire gli rimetterà a posto il cervello.

“Tu mi rendi felice.”

Gli sembra di perdere la funzione delle gambe, di dimenticare come si cammini, come si respiri, poi, perché la voce di Midorima è inequivocabilmente quella che pronuncia quelle parole, seppur a fatica, quasi strozzandosi con la fine di esse.

Non dovrebbe girarsi tanto velocemente, eppure lo fa, non fermandosi nemmeno all'estremo rossore sulle guance dell'amico, annaspando per il contatto che lui stesso cerca con le mani sui suoi polsi. Gli toglie le mani dal volto, gli impedisce di nascondersi e Midorima è veramente adorabile.

Midorima ha quell'aria adorabile che fa venire voglia a Takao di proteggerlo ad ogni costo e contemporaneamente spezzarlo, quel moto di rabbia inspiegabile che si ha davanti ad un gattino sotto alla pioggia.

“Non ho detto niente di che, non farti strane idee!” sbotta e Takao, anche se non riuscisse a leggerlo come un libro illustrato e aperto davanti al proprio naso, saprebbe che invece è importante. E difficile. E Midorima è scosso e stringe troppo quel suo maledetto pettine e giura di lanciarlo nell'iperspazio, ma non riesce a fare a meno di guardarlo e basta, perché oltre gli occhiali i suoi occhi sono lucidi e le sue ciglia lunghe in modo imbarazzante continuano a sbattere come se tentasse di scacciare le lacrime, come una farfalla morente.

“Ora te le fai te le idee strane, Shintarou!” ribatte, sentendo il calore delle guance farsi spazio sulle orecchie e sul collo. Shin-chan è molto diverso da Shintarou, ma non avrebbe mai potuto pronunciare il suo cognome senza scavare troppa distanza tra di loro. “Smettila di essere carino! Potevo andare a casa e dormire e smettere di pensare al tuo stupido sorriso e le tue stupide ciglia e le tue stupide mani lunghe, invece devi essere carino e sorridere e dirmi che ti rendo felice e obbligarmi a dirti che mi piaci! Sei l'ace più irresponsabile che abbia mai conosciuto!” erompe Takao, sentendosi andare letteralmente a fuoco. A questo ritmo li ritroveranno al mattino come mucchietti di cenere, perché finiranno inevitabilmente per prendere spontaneamente fuoco per l'imbarazzo.

Takao è istintivo, non gli piace girare intorno alle questioni, eppure sa di aver sprecato un'occasione.

Se avesse pensato meglio al fatto che Midorima gli piace, forse gliel'avrebbe detto in modo diverso. Non davanti ad una cena a lume di candela, ma nemmeno accusandolo di esserne responsabile.

Che poi Midorima sia assolutamente responsabile di essere il ragazzo che gli piace è fuori discussione, ma, appena Takao realizza, sente di dovergli lasciare i polsi, lasciandogli modo, anche, di coprirsi il viso.

“Ti sei fatto idee strane?” chiede stupidamente conferma, come se potesse tornare indietro e affermare che tutto è solo uno scherzo ben architettato.

“Ti accompagno a casa.”

La voce di Midorima è calma, ma in un modo che sembra forzato, falso. Si sforza di guardarlo, anche se ha ancora una mano sulla faccia e la sua espressione è nascosta. Ma la punta delle sue orecchie è scura e, quando Takao finalmente abbassa lo sguardo, la sua mano è lungo il fianco, con le dita tese verso di lui.

La afferra, perché esitare significherebbe parlare ancora troppo e ora dubita che una notte di sonno riesca a mandare via la sensazione che quell'epifania sul campo da basket gli ha lasciato.

Che Midorima gli piaccia davvero, anche se ancora non ne conosceva il modo, non è solo questione di un momento di follia, della ragione ottenebrata da un mezzo sorriso.

E contro questo sente di non poter fare niente, a parte dondolare le mani legate tra loro ed incamminarsi verso casa.

   
 
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