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Autore: Haynim    19/09/2016    0 recensioni
Chohy e Namjoon erano amici.
Sì, erano, perché da un giorno all'altro hanno iniziato a farsi la guerra,
una guerra a cui nessuno dei due sembrava voler rinunciare.
Ma cosa succede quando qualcuno si mette in mezzo al loro gioco senza preavviso?
E cosa succede se questo qualcuno decide di rompere le regole silenziose
e gli equilibri che con fatica si sono venuti a creare?
Ecco a voi il primo racconto della serie "Tales for a Week", spero vi possa piacere!
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Ringrazio davvero tanto tanto la mia bias, nonché mogliettina,
Jade Converse per il sostegno e i consigli e quella super pazza di
Eli perché senza di lei probabilmente non avrei mai scritto questa cosa xD
Vi voglio bene ♥
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kim Namjoon/ RapMonster, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tales for a Week'
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Erano lì ad osservarsi, 
pallidi entrambi ma per motivi completamente diversi. 
Nonostante si trovassero in un posto affollato 
tutto quello che riuscivano a vedere 
erano le loro due figure e nient'altro. 
Intorno a loro le persone bisbigliavano, 
si scambiavano pareri, informazioni 
(la maggior parte delle quali totalmente false e frutto di fantasia) 
e ipotizzavano un possibile pronostico della situazione. 

Ai loro spettatori non importava sapere 
come poteva sentirsi uno dei due, no. 
A loro importava solo scommettere 
e divertirsi mettendo in giro notizie false da un giorno all'altro, 
a loro piaceva ingigantire le questioni 
piuttosto che metterle a tacere. 
Ma in quel momento a nessuno dei due importava 
cosa avevano da dire gli altri. 
A loro importava solo quello che la loro testa gli stava dicendo, 
riuscivano a dare peso solamente ai loro pensieri. 

«Con che coraggio..»

Chohy cercava ancora di trattenere le lacrime 
e di sciogliere il nodo che la strozzava ma, 
non appena provava ad aprire bocca, 
la stretta si intensificava e il dolore si faceva sentire 
più forte di prima. Il risultato, alla fine, 
era quello di non riuscire a parlare se non sussurrando. 

Dall'altra parte della stanza, Namjoon cercava di mascherare, 
come suo solito, le emozioni 
dietro un'apparenza tranquilla e rilassata. 
Ci stava provando con tutto se stesso ma era davvero dura, 
talmente dura che un rivolo di sudore 
gli era sceso lungo la tempia. 
Da che ne aveva memoria Chohy non aveva mai pianto 
né di fronte a lui né per causa sua. 
Vederla lì, in lacrime, apparentemente disperata, 
era una pugnalata al cuore. 
Si sentiva male, voleva alzarsi, 
prenderla per il polso e portarla via ma non poteva. 
Anzi, non riusciva. Qualcosa gli impediva di farlo. 
Da quando era diventato così? 
Da quando aveva buttato nel cestino 
la sua impulsività per seguire il raziocinio? 
A quei pensieri si sentì ancora peggio, 
tanto da arrivare a ritenersi una persona orribile 
e senza alcun sentimento. 

Quando Chohy pronunciò quelle parole 
non fece altro che rincarare la dose, 
non fece altro che pugnalare ancora il petto del ragazzo. 
Nonostante avesse sussurrato, 
dal suo tono poteva percepire chiaramente 
tutto il mix di emozioni che provava: rabbia, 
angoscia, tristezza, amarezza ma soprattutto delusione. 
Delusione per cosa? Cosa aveva fatto? 
Subito si mise a pensare agli istanti precedenti l'entrata nell'istituto, 
quelli che aveva passato in sua compagnia. 
Se era uscita di sé solo per una cuffia rubata 
e due frasi scambiate allora la loro relazione era irrecuperabile. 
Ma poteva davvero aver innescato una simile reazione 
per quel poco che aveva fatto? 
Chohy non era pazza e non era nemmeno 
il tipo di ragazza che va fuori di sé per un nonnulla. 
Allora cosa si era perso? 
Iniziava ad irritarsi, quella situazione era per lui un fottutissimo enigma. 
Ciononostante non perse mai il contatto 
coi suoi occhi colmi di lacrime. 

«Con che coraggio hai potuto farlo?» 

Questa volta il tono era di un'ottava più alta. 
Non perché avesse trovato il coraggio per parlare, 
non perché si fosse fatta scivolare via tutta la frustrazione 
e le pessime sensazioni che provava. 
Aveva alzato il tono per nascondere la sua fragilità, 
almeno in quel momento voleva apparire ferma e sicura davanti a lui. 
Voleva fargli capire che non aveva più voglia di giocare, 
non così. Voleva fargli sapere che non lo avrebbe perdonato, 
sperava di trasmetterglielo attraverso i suoi gesti, 
il suo tono ed infine le sue parole. 

«Con che coraggio puoi giocare con la vita altrui in questo modo?» 

Le parole iniziarono a trovare forma piano piano, 
tanto che la ragazza dovette trattenersi 
dal non lasciarle andare tutte in un unico flusso. 
Gli occhi iniziavano a bruciarle, probabilmente le si erano arrossati, 
e delle calde lacrime avevano iniziato a sfuggire al suo controllo 
per scendere lievi sulle sue guance. 
Non sapeva a chi si stesse riferendo con quella frase, 
non sapeva se stava parlando di quel povero animale 
ancora nel suo armadietto o della sua vita stessa. 
Alla fine era vero, aveva giocato anche con la sua vita. 
Ma la cosa più difficile e fastidiosa da ammettere 
era che lei gliel'aveva permesso e che, 
arrivati a quel punto, la colpa era solo sua. 
E forse se ci avesse dato un taglio prima, 
quel povero e malcapitato uccello non sarebbe stato usato 
ingiustamente per quel fine. 

Di fronte a quella consapevolezza la vista le si appannò ancora di più.
Le gambe cominciarono a tremare 
e non riusciva più a trattenere i singhiozzi. 
Dovette trarre forza da quel briciolo di insensibilità e freddezza 
che poteva sentire in fondo al turbine 
di emozioni che la stava consumando, 
per poter girare i tacchi e correre verso il bagno al piano superiore. 
La forza che aveva trovato l'aveva spinta a fare gli scalini a due a due 
senza sentire la fatica e a compiere gli ultimi passi 
che la distanziavano dalla toilette 
ancora più velocemente di quanto si aspettasse. 

Una volta entrata, si chiuse nel bagno più lontano dalla porta, 
quello che solitamente usavano le inservienti 
come ripostiglio delle scope, e lasciò andare, per la prima volta dopo anni, 
tutto quello che aveva trattenuto e che lentamente 
l'aveva logorata e la stava ancora logorando dentro. 

E mentre lei lasciava sfogare il male che aveva assorbito, 
nella classe al piano di sotto sembrava appena esplosa una bomba. 
Gli studenti che avevano assistito alla scena erano in fermento 
e non smettevano più di parlare e di lanciare occhiate o frecciatine 
a Namjoon, che prontamente e puntualmente li ignorava. 
Quando Chohy era scappata aveva passato un minuto buono 
a rimettere in ordine i pensieri, finché il solito ritardatario 
era arrivato di corsa con uno stupido sorriso stampato sulla faccia 
e aveva detto: 
«Qualcuno ha messo un uccello morto nell'armadietto di Bang!» 

Coglione 
era la prima cosa che gli era venuta in mente guardando 
quella sottospecie di omuncolo che, 
dopo aver svelato l'arcano, aveva iniziato a vantarsi 
e a ridere come un ebete assieme agli altri. 
Come poteva ridere in un momento come quello? 
Era arrabbiato, era parecchio arrabbiato. 
E testimone della sua ira era un piccolo pezzo di carta 
che aveva appallottolato e stretto in un pugno, 
talmente forte da volerlo quasi disintegrare.
 A quel punto tra i tanti pensieri che affollavano la sua mente, 
uno emergeva più di tutti: voleva trovare il colpevole e, 
in quel momento, voleva anche cambiargli per bene i connotati. 
Sicuramente, se gli fosse capitato a tiro in quel preciso istante, 
avrebbe dovuto preoccuparsi soprattutto della parcella del suo dentista. 

«Ehi Namjoon» 

Jundae si era voltato verso di lui, 
probabilmente per cercare di calmarlo.. 

«Hai davvero fatto una cosa simile?» 

.. Oppure voleva solo farlo incazzare ancora di più. 

«Ti sembro così idiota?» 

Lo sguardo di Namjoon era così tagliente e serio 
che a Jundae vennero i brividi, avrebbe dovuto mordersi 
la lingua piuttosto che continuare a buttare legna al fuoco. 
A Namjoon il ragazzo non andava per niente a genio, 
sin dalla prima volta in cui lo aveva sentito parlare. 
Gli sembrava il solito ragazzino viziato e strafottente, 
uno di quelli abituati ad avere sempre tutto, 
uno di quelli pronti a metterti nei guai per scagionarsi. 
Da quando era entrato nel suo gruppo di amici tutti 
avevano iniziato a trattarlo bene, 
non per simpatia quanto per i suoi soldi. 
Lui lo sapeva e, a quanto pareva, gli andava bene così. 
Il suo "potere" si limitava a quello, 
a pezzi di carta che avevano più valore di quanto valessero davvero. 
Sapeva anche che l'unico su cui l'incantesimo 
del denaro non aveva effetto era proprio lui, 
inoltre era consapevole del fatto che lui 
non provasse simpatia nei suoi confronti. 
Per questo aveva iniziato a cercare di ingraziarselo, 
senza mai avere successo. 
Per quanto riguardava Namjoon, invece, 
meno lo vedeva e meno pensieri aveva. 

Il professore entrò in classe, 
placando una volta per tutte il brusio degli studenti 
e attirando l'attenzione su di sé. 
Jundae si girò, non aveva più avuto il coraggio di dire niente. 
Proprio mentre si stava girando però gli occhi di Namjoon 
scorsero qualcosa che gli fece ribollire il sangue. 
Tra il bottone e l'asola della manica dell'uniforme del ragazzo, 
era rimasta impigliata una piccola piuma scura. 
Cercò il più possibile di mantenere la calma e di non tirargli 
un pugno talmente forte da catapultarlo contro la lavagna. 
Non ci voleva un genio per capire come avesse fatto 
quella piuma a finire in quel posto. 
I suoi sospetti furono alimentati nello stesso istante in cui 
ripensò a che tipo di persona fosse Jundae. 

«Abbiamo saputo che qualcuno si è divertito a spaventare un'alunna» 

Il professore scrutò i suoi allievi, 
non capacitandosi del perché uno di loro si fosse spinto tanto oltre. 

«Chiunque sappia qualcosa è pregato di parlare con qualcuno 
del corpo docenti durante le prossime pause. 
E ora torniamo a noi, avete svolto gli esercizi?» 

Namjoon voleva davvero smascherare lo stupido 
che in quel momento era seduto di fronte a lui. 
Ma prima di farlo aveva bisogno di scoprire la motivazione 
che lo aveva spinto a tanto e, soprattutto, di prove. 

Chohy aveva saltato la maggior parte delle lezioni, 
non aveva avuto il coraggio di uscire dal bagno 
e farsi vedere in giro. Dopo il suono dell'ultima campanella 
aveva aspettato una decina di minuti 
prima di alzarsi e tornare a casa. 
Era stremata dal pianto che l'aveva consumata, 
aveva gli occhi gonfi e iniziava a sentire un principio di mal di testa. 
Si sentiva a terra, peggio di uno straccio. 
Dopo aver salutato sua madre, 
sperando che non si fosse accorta di niente, 
era salita nella sua stanza, aveva chiuso la porta, 
aveva appoggiato lo zaino sulle scrivania e, 
come di consueto, si era buttata di peso sul letto. 
Diversamente da qualche ora prima, 
aveva la mente completamente vuota, priva di ogni pensiero. 

Il cellulare vibrò dentro alla tasca del suo zaino, 
emettendo un ronzio fastidioso. 
Probabilmente è Lihan 
pensò, alzandosi e trascinandosi fino al tavolo. 
Recuperò il dispositivo, non sorprendendosi 
nemmeno del fatto di aver avuto ragione. 
La sua amica le aveva inviato una valanga di messaggi 
in cui le chiedeva come stava e in cui le faceva sapere 
che era davvero preoccupata. 
Non aveva voglia di rispondere, non in quel momento. 
Tornando alla home dell'applicazione non poté 
non notare la conversazione con quel numero anonimo 
che le aveva fatto i complimenti per l'immagine del profilo. 
Mossa da una sensazione di vuoto e tristezza 
si affrettò a cambiare di nuovo la foto, mettendone una a caso. 
Si mosse di nuovo fino al letto e ci si sdraiò nuovamente sopra. 
Chiuse gli occhi e la stanchezza 
la avvolse fino a farla addormentare. 

Quando si svegliò era tardo pomeriggio, 
le luci aranciate del tramonto facevano capolino nella sua 
stanza passando attraverso il tessuto leggero delle tendine. 
Ringraziò il suo subconscio per non averle fatto sognare nulla, 
ci mancava solo più quello come botta finale per metterla KO. 
Cercò nuovamente il telefono per verificare l'ora e, 
dopo averlo trovato, notò un nuovo messaggio. 

+82 xxx xxxxxxx 
Perché hai cambiato foto? 
Quella di prima era molto meglio 

Ancora quella persona anonima. 
Chohy iniziò a pensare che dietro a quel numero 
si nascondesse uno stalker. Pensò di non rispondergli, 
lasciandolo con un semplice "visualizzato". 
Riflettendoci, però, quando lei gli aveva risposto la prima volta 
lui non aveva continuato il discorso. 
A quel pensiero si disse che forse 
la persona dietro a quel numero non era così male. 
In più sentiva il disperato bisogno di parlare con qualcuno 
che non fosse nella sua situazione,
 aveva bisogno di un consiglio da un'esterno. 

E così alla fine gli rispose.

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Ciao a tutte! Scusate se non ho più aggiornato >.<
Ho pubblicato tutto su Wattpad e mi sono dimenticata
di scrivere qui!! Se vi va di andare a leggere la storia lì
il mio nome è @BelleTower.
Se invece preferite rimanere su questa piattaforma, beh,
non disperate! Aggiornerò anche qui! :D

Un baciuz

   
 
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