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Autore: Kara    04/05/2009    6 recensioni
"Non funziona così! I sentimenti non si possono accendere e spegnere a comando come una stupida lampadina, non posso dimenticare o innamorarmi di una persona solo perché lo voglio!"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Taki/Ted Carter, Teppei Kisugi/Johnny Mason
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il tempo necessario


Da quanto tempo la cosa lo infastidisse, non avrebbe saputo dirlo.
Non era da qualche giorno, ne era sicuro, era più probabile che fosse da qualche settimana o, addirittura, da qualche mese. Alla fine non era poi così importante saperlo. Fatto sta che l’irritazione era lì, a contorcergli continuamente le viscere e non sembrava avesse intenzione di voler smettere. Non era tanto quella a disturbarlo – chiunque al suo posto avrebbe provato gli stessi sentimenti – quanto la strana emozione che l’accompagnava e che, malgrado i suoi sforzi, non era riuscito a decifrare; anche in quel momento avvertiva la sua presenza molesta e ingombrante muoversi ai margini della coscienza ma, ogni volta che tentava di afferrarla, si ritrovava a mani vuote.
Sbuffò, passandosi una mano tra i capelli per allontanare il ciuffo ribelle che gli scendeva sulla fronte nel tipico gesto che compiva sempre quando si sentiva frustrato o irrequieto, e tornò a dedicarsi al quotidiano sportivo che stava leggendo.
Accavallò le gambe e sfogliò pigramente le pagine, saltando da un articolo all’altro, senza trovare nulla che lo interessasse veramente. Non riusciva a concentrarsi, i suoi occhi neri guizzavano nervosamente tra la carta stampata e il bancone del bar, impedendogli di prestare attenzione alle notizie.
Teppei era lì, seduto su uno degli alti sgabelli, il gomito puntellato sul lucido ripiano di legno e una mano a sostenere il mento mentre nell’altra stringeva un bicchiere ormai pieno soltanto di ghiaccio. Il suo sguardo era distante, perso nel vuoto, e un’espressione corrucciata offuscava il suo viso, solitamente illuminato da un allegro e vivace sorriso.
Socchiuse le palpebre con fare minaccioso quando il barman si avvicinò all’amico con una bottiglia in mano e imprecò a bassa voce quando Teppei rispose con un cenno di assenso alla muta domanda dell’uomo. Il barista prese un bicchiere pulito, lo riempì di liquido ambrato e lo servì al giocatore che lo portò immediatamente alle labbra.
Adesso basta!
Forse Teppei non aveva tenuto il conto di quanti drink si era già scolato dall’inizio della serata; lui, al contrario, l’aveva fatto e non era disposto a lasciarlo continuare. Era certo che l’amico non avrebbe gradito la sua interferenza ma giunti a quel punto se ne fregava altamente.
Senza contare che si stava facendo tardi e non era il caso che il Mister li trovasse ancora in giro, a bere per giunta!
Con un gesto brusco chiuse il giornale e lo lasciò cadere sul piccolo divanetto di alcantara blu sul quale era seduto, dove atterrò con un sommesso tonfo. Si alzò e attraversò la grande sala guardandosi intorno nell’ardente speranza che l'allenatore non comparisse all'improvviso: sarebbe stata veramente la fine, i loro culi avrebbero preso la forma della panchina.
I pochi clienti presenti nell'albergo, per la maggior parte uomini d'affari in viaggio di lavoro, erano già andati a dormire e anche i loro compagni di squadra si erano ritirati. Restavano loro due e una coppietta che amoreggiava in un angolo.
Quando si sedette sullo sgabello libero al suo fianco, Teppei non lo degnò di uno sguardo.
Lui non se ne meravigliò, ultimamente i rapporti tra di loro si erano fatti parecchio tesi.
Erano amici fin dai tempi delle elementari e, nel corso degli anni, avevano discusso diverse volte ma non erano mai venuti alle mani, come era quasi accaduto qualche giorno prima, all'inizio di quel ritiro. Se in quell’occasione non fossero intervenuti prontamente Izawa e Takasugi a separarli, se le sarebbero suonate di santa ragione.
Sapeva che il centravanti stava passando un brutto periodo e aveva cercato di essere paziente - lui che di pazienza ne aveva ben poca - ma a tutto c’è un limite e Teppei gli aveva fatto ben presto raggiungere il suo.
Negli ultimi quattro mesi aveva dovuto trattenersi più di una volta dall’afferrare la testa dell’amico e sbatterla contro il muro, nella vana speranza che un po’ di sana violenza riuscisse a farlo ragionare dal momento che le parole sembravano non sortire effetto.
Nonostante ciò non era arrabbiato con lui, quanto piuttosto con quel testa di cazzo che l’aveva ridotto in quel modo. Teppei era sempre stato allegro ed esuberante, pieno di gioia di vivere, ma ultimamente sembrava l’ombra di se stesso, e questo da quando Akira, il ragazzo con cui stava - e che lui non aveva mai potuto soffrire - l’aveva mollato senza motivo.
Lui si era ritrovato a fare di tutto per stargli vicino e fargli sentire il suo sostegno: lo aveva consolato subito dopo la rottura, gli aveva telefonato quasi tutte le sere per tenergli compagnia e aveva organizzato alcune rimpatriate con i vecchi compagni di squadra della Nankatsu. Per non farlo sentire solo, si era anche recato spesso a Osaka, nonostante la città in cui vivesse l'amico distasse più di cinquecento chilometri dalla sua: nessuna di queste iniziative era riuscita a scuotere Teppei dallo stato depressivo in cui sembrava essere piombato.
Alla fine, frustrato e impotente, vedendolo ancora abbattuto, il primo giorno del ritiro si era arrabbiato e aveva perso la pazienza. Gli aveva riversato addosso una valanga di parole dure e sferzanti, suscitando una pesante reazione nell’amico che l’aveva colpito con un pugno allo stomaco.
Il giorno dopo, sbollita la collera, aveva tentato di parlargli ma Teppei, cocciuto e orgoglioso come un mulo, non solo non l’aveva ascoltato ma gli aveva intimato di girargli alla larga: cosa che a malincuore aveva fatto. Anche se nessun altro oltre a Izawa e Takasugi aveva assistito all’alterco, il resto della squadra si era accorto che tra di loro era successo qualcosa.
Quella di urlargli contro non era stata la mossa più furba del secolo, al di là del pugno preso se n'era reso subito conto, ma non era riuscito a trattenersi; vederlo ridotto in quel modo, senza poter fare nulla per aiutarlo, gli faceva male in un modo che non avrebbe mai creduto possibile.
E non riusciva a spiegarsi il perché.
O meglio, se lo spiegava nell'unico modo che per lui avesse un senso: ‘fai del male a un mio amico e io ti rompo le ossa!’.
Chiaro e semplice, no?
Affetto e cameratismo: due parole che riassumevano il profondo rapporto che lo legava a Teppei, la base di quell’intesa così forte che li aveva portati, per anni, a costituire quella che era chiamata da tutti ‘Silver combi’.
Fissò per un istante il profilo dell’amico, incerto su cosa dire. Non voleva litigare nuovamente con lui ma non intendeva nemmeno lasciare che continuasse a bere in quel modo. Si strofinò la nuca con una mano, scrutando l’espressione intellegibile dell’altro e cercando, nello stesso tempo, di farsi venire una buona idea. Non voleva ricorrere alla forza, almeno non intendeva prenderla in considerazione come prima opzione, ma non si sarebbe certo tirato indietro se la cosa si fosse resa necessaria: sapeva bene che quando ci si metteva d'impegno Teppei era davvero testardo!
“Teppei” esordì a bassa voce, sospirando. “E’ tardi…”.
L’altro gli rivolse un’occhiata seccata e aprì la bocca per replicare ma poi parve ripensarci, perché posò il bicchiere sul bancone annuendo.
“Hai ragione Hajime” rispose sorridendo lievemente dell’espressione sorpresa che comparve sul volto dell’altro, come se fosse sicuro che non fosse quella la risposta che Hajime si sarebbe aspettata. “Forse è meglio andare a dormire”. Portò una mano alla tasca posteriore dei pantaloni neri che indossava e prese un sottile portafoglio di pelle dal quale trasse alcune banconote che porse al barman.
“Su, andiamo!”. Si alzò in piedi barcollando leggermente e Hajime fu subito pronto a sostenerlo, afferrandolo con forza per una spalla.
“Vieni, appoggiati a me” disse, passandosi il suo braccio intorno al collo e cingendogli la vita con il proprio.
“Lasciami andare, ce la faccio” protestò l'amico, strofinandosi il viso con la mano libera, nel tentativo di riprendersi. “Dammi solo un attimo, non sono ubriaco”.
“Non ce l'abbiamo un attimo, Teppei”. Sempre tenendolo stretto, Hajime si diresse il più velocemente possibile verso l'uscita della sala. “Se il Mister ci becca ancora in piedi a quest'ora saranno guai”.
Teppei fece una smorfia e non rispose, cercando di tenere il passo dell'altro senza gravargli troppo addosso.
Arrivati all'ascensore, si sciolse dalla stretta e si appoggiò con la schiena contro il muro, a occhi chiusi, mentre Hajime premeva il pulsante di chiamata, scrutandolo di sottecchi.
Sembrava leggermente stordito ma probabilmente aveva detto il vero poco prima, non era ubriaco e aveva il pieno controllo di se stesso.
“Andiamo”.
L'amico allungò di nuovo il braccio per afferrarlo ma Teppei aprì le palpebre e lo respinse gentilmente con la mano.
“Ce la faccio, sul serio” sorrise rassicurante, prima di entrare nella cabina, seguito a ruota dall'altro che continuava a fissarlo con preoccupazione.
Le porte si richiusero con un sibilo e l'ascensore iniziò a salire.
“Non sono ridotto così male come pensi” rincarò, ricevendo in risposta un ironico inarcarsi di sopracciglia. “Sai bene che, per quanto ci abbia provato più di una volta, mi è veramente difficile perdere il controllo” concluse scrollando le spalle e Hajime dovette, suo malgrado, convenire. Teppei aveva ragione. Era vero che aveva bevuto parecchio ma, chissà perché, anche quando si ubriacava, riusciva sempre a mantenere la consapevolezza delle sue azioni; certo, aveva i riflessi appannati, quando era di buon umore iniziava anche a ridacchiare senza ritegno, ma la chiarezza di pensiero non lo abbandonava mai.
Una volta si erano messi d'impegno per testare questa sua strana peculiarità e verificare i limiti della sua lucidità, ma non c'erano riusciti. L'unica cosa che avevano ottenuto erano stati: mal di stomaco, conati di vomito e una terribile emicrania il giorno dopo.
Si trattenne dal chiedergli perché allora avesse passato buona parte della serata al bar, a riempirsi di alcol, se era consapevole che non gli avrebbe fatto effetto e sbadigliò. Era stanco morto, gli allenamenti erano stati molto impegnativi quel giorno, senza contare la tensione e il nervosismo che aveva accumulato per tutta la sera mentre teneva sotto controllo l'amico.
Sbadigliò un'altra volta e cercò di allungare i muscoli contratti e doloranti della schiena, incrociando le dita e sollevando le braccia sopra la testa per estenderle il più possibile.
Chiuse gli occhi per un attimo e sospirò profondamente.
“Stanco?” chiese Teppei, lanciandogli un’occhiata amichevole a cui lui rispose con un cenno della testa e un impacciato sorriso, che mise ancora più in evidenza i suoi denti sporgenti.
“Un po’… ma ci vuole ben altro per abbattermi”. Lasciò ricadere le braccia e infilò le mani nelle tasche dei jeans, continuando a sorridere.
Si sentiva sollevato.
Finalmente la pesante cappa che aveva aleggiato su di loro durante i giorni precedenti si era dissolta e lui si sentiva leggero ed euforico come quando realizzava un gol. Represse a forza l'improvviso impulso di esultare per quella tacita pace fatta e lasciò che fosse la sua espressione felice a parlare per lui.
Fino a quel momento non si era reso conto di quanto la presenza di Teppei fosse importante nella sua vita, e aveva maledetto la propria dannata irruenza che spesso lo portava ad aprire la bocca e a darle fiato senza riflettere attentamente sulle conseguenze. Certo, di pazienza ne aveva dimostrata tanta, più di quanta pensasse di averne, e se per una volta l'aveva persa, be'... data la situazione era più che comprensibile. Inoltre, c'era sempre quella strana e misteriosa emozione che contribuiva a rendere i suoi sentimenti confusi.
Con un sobbalzo l'ascensore si fermò al piano e i due ne uscirono, incamminandosi verso le camere, il quieto silenzio della notte rotto dal rumore dei passi che risuonavano nel corridoio deserto.
Le porte delle loro stanze erano l'una di fronte all'altra ma quando le raggiunsero Teppei non estrasse la chiave magnetica dalla tasca dei pantaloni. Per qualche istante sembrò fissare, senza realmente vederlo, il numero inciso sulla targhetta dorata che ornava la porta di legno, poi, dopo aver chinato la testa, mormorò a voce così bassa che Hajime riuscì a stento a udirlo. “Mi dispiace per l'altro giorno, scusami per quel pugno”.
L'attaccante dei Verdy scosse la testa e sorrise; si avvicinò all'amico e gli mise una mano sulla spalla. “Quale pugno?” chiese in tono scherzoso e quando Teppei rialzò lo sguardo di scatto per fissarlo con perplessità, ammiccò.
I lineamenti di Teppei, inizialmente irrigiditi dalla sorpresa, si ammorbidirono, lasciando il posto a un'espressione colma di affetto. “Grazie” mormorò con voce soffocata.
“Su, andiamo a dormire”. Hajime si schiarì la gola e accentuò per un attimo la stretta sulla sua spalla prima di lasciarlo andare per aprire la porta della propria camera, che si spalancò con un sommesso cigolio.
Stava per augurargli la buonanotte quando il rumore dell'ascensore che si fermava al piano attrasse la sua attenzione. Certo che fosse l'allenatore, e per nulla ansioso di beccarsi una strigliata se il mister li avesse trovati ancora in piedi, agguantò senza tanti complimenti il braccio di Teppei e lo trascinò in camera, chiudendo velocemente l'uscio alle loro spalle. Il numero trentanove dei Cerezo Osaka, leggermente malfermo sulle gambe, perse l'equilibrio e, per non cadere rovinosamente a terra, si aggrappò con l'altro braccio al suo collo, costringendolo a indietreggiare e a puntellarsi con la schiena contro la porta per tenere entrambi in piedi.
Per un attimo rimasero così, strettamente avvinti, la fronte di Teppei poggiata nell'incavo della spalla di Hajime e le braccia di quest'ultimo a cingergli la vita.
Fu in quel momento che l'ex numero sette della Nankatsu avvertì una strana tensione nell'aria, come se un'invisibile carica elettrica avesse iniziato ad addensarsi nella penombra della stanza per poi riversarsi dentro il suo corpo; improvvisamente sentì un violento brivido corrergli lungo la schiena e lo stomaco contrarsi come una molla. Con il cuore in gola e l'animo pervaso da quella sconosciuta e intensa emozione, che una volta ancora prendeva prepotentemente dominio di lui, si scrollò di dosso l'amico e tastò freneticamente il muro con una mano, in cerca dell'interruttore della luce, che fece immediatamente scattare. L'oscurità venne subito dissipata dal chiarore, seppur soffuso, delle due applique poste ai lati del grande letto matrimoniale, e i due amici si ritrovarono faccia a faccia, ansante e turbato l'uno, frastornato e confuso l'altro.
Sorpreso dal suo strano comportamento, Teppei sbatté le palpebre un paio di volte e allungò una mano verso la parete, in cerca di sostegno. “Ma dì” si lamentò, tentando di recuperare un precario equilibrio. “Sei impazzito per caso? Stavi per mandarmi faccia a terra!”.
“Scusami” mormorò Hajime, cercando di calmare il respiro e il battito incomprensibilmente accelerato del cuore. “Ma ho sentito l'ascensore e pensavo fosse il mister...” si giustificò, ancora incapace di capire la reale motivazione della sconcertante emozione provata poco prima, quando aveva sentito il corpo di Teppei premere contro il suo.
In quel momento, fuori della porta, si udì il tecnico parlare a voce alta con il suo secondo.
“Visto?” sussurrò, facendogli cenno di scostarsi dalla porta per spostarsi sull'altro lato della camera, dove avrebbero potuto parlare senza timore di essere uditi.
“Avevi ragione. Credo che dovrai ospitarmi per un po’” sbadigliò Teppei, sedendosi sul letto con un sospiro di sollievo e lasciandosi cadere a corpo morto all'indietro. “E' meglio che non mi muova da qui per ora, quello starà pattugliando il corridoio”. Intrecciò le mani dietro la nuca, si sistemò più comodamente e sbadigliò di nuovo. “Sono distrutto” mugugnò, chiudendo stancamente le palpebre.
“Ci credo” ribatté Hajime, raggiungendolo. Non si sedette vicino a lui e preferì rimanere in piedi, con le gambe leggermente divaricate e le braccia conserte. “Hai bevuto come una spugna” aggiunse con un tono velatamente polemico, le labbra contratte in una smorfia severa.
L'altro sbuffò e non replicò, limitandosi a girare il viso dall'altra parte.
Lì per lì, Hajime non capì perché avesse nuovamente tirato fuori quel discorso, ben sapendo che non sarebbe servito a niente, a parte causare un altro e ben più violento litigio. Non voleva discutere ancora con Teppei, per questo non capiva lo strano impulso che lo stava spingendo a provocarlo e che non riusciva a controllare.
Sciolse le braccia e iniziò a camminare su e giù, passandosi una mano tra i capelli.
“Devi smetterla con questo atteggiamento Teppei, ti stai facendo soltanto del male. Cosa sarebbe successo se il Mister ti avesse beccato a bere? Me lo dici? Possibile che non ti importi più di niente? Nemmeno del calcio? Eppure è sempre stato il tuo sogno giocare in nazionale! Non metterlo in pericolo proprio ora. In assenza di Tsubasa e degli altri titolari, la nostra presenza è fondamentale”.
“Inizi a ripeterti Hajime e io sono stanco di starti a sentire. Perché non vuoi lasciarmi in pace?”.
Già, perché non lo lasciava in pace?
Nei mesi precedenti aveva fatto di tutto per farlo ragionare e senza ottenere risultati apprezzabili. Forse era veramente arrivato il momento di lasciar perdere. Se Teppei voleva rovinarsi la vita era libero di farlo, no? Dopotutto la vita era la sua ed era suo diritto viverla come voleva. Aveva ventidue anni, era grande abbastanza. Perché si stava immischiando più del dovuto? Proprio lui, che aveva sempre ritenuto la libertà un valore da difendere con le unghie e con i denti.
Eppure, nonostante tutte le sue convinzioni, non riusciva ad abbandonare l'amico al suo destino, non riusciva a voltargli le spalle, come avrebbe fatto con chiunque altro.
Non poteva.
“Perché sono tuo amico e mi preoccupo per te!” affermò, alzando leggermente la voce e fermandosi di nuovo davanti a lui, le mani sui fianchi. “E mi dispiace vederti gettare al vento il sogno di una vita per uno stronzo!”
Teppei si sollevò a sedere di scatto e lo fissò con uno sguardo infuocato. Hajime vide le sue iridi color cioccolata, lucide per il troppo alcol ingerito, farsi roventi e la bocca incurvarsi in una piega irosa.
“Ma cosa ne vuoi sapere tu? Eh? Dimmi! Proprio tu che passi da una donna all'altra senza farti mai problemi! Ne hai mai amata qualcuna? No! Hai sempre e solo voluto portartele a letto! Come puoi dare giudizi? Come? Sei così superficiale!”. Sputando ogni parola come se fosse un insulto, Teppei si alzò dal letto e strinse i pugni; sembrava veramente fuori di sé ma l'attaccante dei Verdy non indietreggiò di un passo e lo affrontò con la stessa decisione.
“Non dire cazzate Teppei! Sai bene che quelle donne non sono seriamente interessate a me, ma soltanto al giocatore di calcio! Pensi davvero che qualcuna di loro mi ami veramente? Che ami il ragazzo dentone e bruttino che si cela sotto la divisa? Sei un ingenuo se pensi questo! Mi cercano perché sono un professionista della J-League, un volto noto con il quale farsi vedere in giro. Si servono di me esattamente come io di loro. Questa è la verità! E ti dirò un'altra cosa: Akira ha fatto lo stesso con te!”
A quelle parole Teppei gli si fece sotto e lo afferrò con violenza per la morbida stoffa della camicia blu che indossava, portando il proprio viso a pochi centimetri dal suo.
Hajime non aveva mai visto il suo volto così da vicino. Per la prima volta in vita sua si accorse che le ciglia di Teppei erano lunghe e folte come quelle di una donna e quel particolare lo distrasse, facendogli perdere, per un attimo, il filo dei pensieri. Fu il lampo minaccioso che brillò tra quelle ciglia che si era incantato ad osservare a riportarlo alla realtà. Ricambiò la stretta, afferrando i suoi polsi e stringendoli con forza tra le dita magre. I lineamenti del viso rigidi e duri come quelli di una statua.
“Dici così perché non l'hai mai potuto soffrire!” replicò Teppei. “E le tue sono solo scuse! Se fossi veramente interessato a una storia seria ti cercheresti una donna diversa. Perché non lo fai? La realtà è un'altra, vuoi quelle donne perché hai paura di amare! Hai paura di perdere la tua adorata libertà! Per questo non riesci a capire come mi sento! Ma io non sono come te! Non ho paura di amare e nemmeno di soffrire!”.
“Stai soffrendo per uno che non ti merita! Te lo vuoi mettere in testa?” gridò Hajime, fulminandolo con lo sguardo e serrando la mascella.
Le sue parole l'avevano punto sul vivo, toccando un nervo scoperto e dolente. Si era chiesto spesso perché non fosse mai riuscito a innamorarsi di una donna, e l'unica risposta sensata che era riuscito a darsi era che amava troppo la libertà per rinunciarci così facilmente. Ma non era sicuro che quella fosse la risposta giusta.
“E comunque non stiamo parlando di me, ma di te!” continuò, sempre più inalberato. “Non hai sofferto abbastanza? Perché non ti decidi a voltare pagina? Il mondo è pieno di uomini. Trovatene uno che ti meriti davvero!”.
Sentì la presa sulla camicia accentuarsi e vide i denti bianchi di Teppei balenare, quando le sue labbra si arricciarono in una smorfia minacciosa.
“Certo! Per te è tutto facile, Hajime! Chiodo schiaccia chiodo vero? Ma non funziona così! I sentimenti non si possono accendere e spegnere a comando come una stupida lampadina, non posso dimenticare o innamorarmi di una persona solo perché lo voglio! Cosa vorresti che facessi? Che andassi a caccia di prede come fai tu? Tanto uno vale l'altro?”.
“Dannazione Teppei! Non ti sto dicendo di accontentarti del primo che capita! Cazzo! Ti sto solo dicendo di guardarti intorno! Magari la persona che può renderti felice è più vicina di quanto pensi!”. Strinse con ancora più forza le dita sui suoi polsi, fissandolo torvo. Sentire l'altro ribattere con tanta convinzione alle sue argomentazioni lo mandava in bestia. Non voleva che continuasse a pensare ad Akira, voleva che pensasse soltanto a...
Non ebbe il tempo di concludere il pensiero che si sentì strattonare con violenza. “Ma che razza di scemenze stai dicendo? Ma ti senti quando parli?” lo udì chiedere con una voce rabbiosa e sarcastica allo stesso tempo. “Stai dicendo un mucchio di banalità!”.
“Scusa tanto se sto cercando di aiutarti, eh?” ribatté, usando lo stesso tono tagliente che aveva usato Teppei, mentre un groviglio di emozioni confuse si agitava nelle sue viscere, l'ira che scorreva con furia nelle vene, insieme al sangue, fino a raggiungere ogni più remota cellula del suo corpo, spazzando via ogni residuo tentativo di controllare parole e pensieri.
“Ma io non lo voglio il tuo aiuto! Ti ho chiesto di lasciarmi in pace! Perché insisti?”.
“Perché ti amo, cazzo! TI AMO!!” esplose, staccandolo a viva forza da sé e spintonandolo via, il petto che si alzava e abbassava affannosamente e i battiti del cuore che rimbombavano nel torace e nelle orecchie.
L'eco delle sue parole si spense nel silenzio incredulo e improvviso che piombò con violenza nella stanza.
Per alcuni interminabili minuti rimasero immobili a fissarsi, incapaci non solo di proferire parola ma anche di dare un senso a quanto appena accaduto. Hajime non riusciva a credere di aver fatto un'affermazione del genere; finché non aveva pronunciato quelle parole non si era reso conto dei reali sentimenti che provava per Teppei. Certo, era consapevole della forza del legame che li univa, ma che fosse amore e non semplice amicizia non avrebbe mai potuto immaginarlo. Eppure di segnali premonitori ce n'erano stati tanti, piccole avvisaglie che avrebbero dovuto metterlo in guardia: la profonda avversione per Akira - la prima storia seria di Teppei - l'inconfessabile gioia che aveva provato quando aveva saputo della loro rottura, la crescente irritazione nel vedere l'amico sempre più abbattuto, senza contare quella strana emozione che non aveva mai compreso e che ora riusciva finalmente a inquadrare.
Amore... era veramente così?
Era davvero innamorato di Teppei?
Del suo migliore amico?
Non riusciva a crederci, non poteva essere vero... eppure... non poteva negare che quelle parole fossero uscite dalle sue labbra; che quel sentimento, di cui fino a qualche istante prima aveva ignorato l'esistenza, fosse cresciuto in segreto, lentamente, nella parte nella parte più nascosta del suo cuore, fino a vivere di vita propria.
Con lo stomaco in subbuglio, il volto paonazzo e la gola secca, distolse lo sguardo e indietreggiò, quasi a voler mettere quanta più distanza possibile tra lui e Teppei, tra lui e quei sentimenti che non era certo di voler provare. Aveva sempre pensato di essere eterosessuale, nulla fino a quel momento gli aveva fatto supporre il contrario, ma ora... cos'era successo?
Cosa era cambiato dentro di lui?
I suoi polpacci sfiorarono il bordo del letto dove, senza più forze, crollò a sedere, la mente che annaspava nel tentativo di dare una risposta coerente alle mille domande che gli vorticavano nella testa. Lentamente si piegò su se stesso e rimase lì, a capo chino, con le braccia mollemente abbandonate sulle ginocchia e l'espressione stordita di un pugile che ha appena subito un pesante knock out.
Non si mosse né alzò lo sguardo da terra quando l'altro, il cui volto era divenuto bianco come quello di una statua di marmo, venne a sedersi accanto a lui. Hajime sentì il materasso cedere sotto il suo peso e non riuscì a reprimere il brivido che quella vicinanza gli procurò. Con la coda dell'occhio lo vide assumere la sua stessa postura e sospirare piano.
“Hajime...”. La sua voce era bassa e velata, e l'attaccante dei Verdy vi avvertì incertezza ma anche la presenza di una forte emozione che non riuscì a decifrare.
“Per favore, non dire nulla” lo bloccò, scuotendo appena la testa e abbozzando un pallido sorriso. “Non voglio parlarne. La cosa migliore è far finta che non sia accaduto nulla e continuare a ignorarci come abbiamo fatto finor...”
“E tu pensi di riuscirci?” lo interruppe Teppei, sollevando lo sguardo per fissarlo con gli occhi sgranati.
“Non lo so!” rispose, corrugando la fronte e stringendo le labbra, le iridi nere puntate con ostinazione sul pavimento. “Ma non vedo altre soluzioni! E poi non era quello che volevi? Sei stato tu a chiedermi di lasciarti in pace, no? Ed è quello che ho intenzione di fare!”.
Il silenzio cadde di nuovo, mentre entrambi tornavano a immergersi nei propri pensieri.
Hajime si sentiva confuso, combattuto come non gli era mai accaduto.
uella situazione lo stava mettendo pesantemente in crisi, non sapeva cosa fare, come reagire. Da una parte c'erano quei sentimenti e quelle pulsioni di cui era diventato improvvisamente conscio e che non riusciva, per quanto lo volesse con tutto se stesso, a ignorare, e dall'altro c'erano dubbi e pregiudizi che non era sicuro di poter superare.
E paura. Paura di non riconoscersi più, di smarrire la propria identità, di perdere la stima e la considerazione di se stesso che, con fatica, si era costruito nel corso degli anni.
“Non credo che potrei far finta di nulla” sussurrò Teppei, quasi parlando a sé stesso, rompendo il silenzio e riportandolo con i piedi per terra.
“Eh?”. Hajime girò la testa e lo scrutò con attenzione, mentre la sorpresa si dipingeva sul suo volto. Non era certo quella la reazione che si era aspettato. Pensava che ne avrebbe approfittato per cogliere la palla al balzo e chiudere definitivamente i rapporti tra di loro: forse, era quella l'unica strada percorribile per loro due. Giunti a quel punto non potevano fare altro.
Sì.
Non vedersi più era la soluzione migliore.
Con la lontananza quei sentimenti sarebbero sicuramente scomparsi e lui non avrebbe più dovuto preoccuparsi.
Il suo cuore, tuttavia, si ribellò a quel pensiero; ora che l’amore si era finalmente palesato non aveva nessuna intenzione di ignorarlo, voleva viverlo. Fino in fondo.
“Ho detto che non potrei far finta di nulla” ripeté il ragazzo, lanciandogli un'occhiata esitante.
“Cosa vuoi dire?”.
Teppei non rispose alla sua domanda. Chinò di nuovo lo sguardo e prese a parlare sommessamente.
“Avevi ragione. Su tutto. Non volevo colpirti, non è con te che ce l'avevo ma con me stesso. Avevo creduto ad Akira e scoprire che non mi amava come aveva sempre giurato, mi ha fatto male. Ma quello che mi ha dato più fastidio è l'avergli permesso di ingannarmi così a lungo. Mi sono fatto fregare come uno scemo e questa cosa non mi è andata giù. Mi dispiace, in questi mesi tu hai cercato di starmi vicino e io ti ho scaricato addosso tutta la mia rabbia. Ma con chi altri avrei potuto farlo se non con te? Con chi, se non con l'unica persona che, ne ero sicuro, avrebbe continuato a volermi bene e a restare al mio fianco, nonostante tutto? Con chi, se non con il mio migliore amico?”. Fece una pausa quasi infinitesimale prima di mormorare, con un tono così basso che costrinse Hajime a tendere le orecchie per poterlo udire. “La persona che ho sempre amato più di ogni altra al mondo. Ma alla quale non mi sono mai permesso di pensare, perché sapevo di non avere nessuna possibilità”.
A quelle parole Hajime ebbe un sussulto, come se una mano invisibile gli avesse artigliato i polmoni, e per qualche secondo smise di respirare. Fece per parlare, deciso a interromperlo. Non voleva che continuasse, non voleva sentire quello che gli stava dicendo perché quello che le sue parole rivelavano, quello che potevano significare per entrambi, era un qualcosa che non si sentiva ancora pronto ad affrontare.
“Aspetta! Fammi finire” lo pregò Teppei, drizzandosi per guardarlo dritto negli occhi. C'era calore nelle sue iridi di cioccolata, c'era dolcezza e l'ombra di un qualcosa che fece impazzire il cuore di Hajime, facendolo scalpitare come un cavallo imbizzarrito.
“Non posso obbligarti a parlarmi ancora se non vuoi, non posso obbligarti a rimanere mio...” La voce si incrinò impercettibilmente. “...amico, non sarebbe giusto”. Si sforzò di sorridere, ma senza successo, mentre l'imbarazzo colorava di rosso le sue guance e il suo sguardo tornava a puntare il pavimento. “Immagino che per te questa scoperta sia una cosa sconvolgente e che tu non ti senta pronto ad affrontarla”.
Si interruppe e trasse un profondo sospiro, guardandosi le scarpe da ginnastica, apparentemente incapace di incrociare i suoi occhi.
“Lo capisco bene. So cosa significa sentirsi diversi dagli altri, ci sono passato prima di te, ma so anche che nascondere la testa sotto la sabbia e fare finta di niente non cambia le cose, non cambia quello che sono. Ma se è questo quello che vuoi... sono disposto ad accettare ogni tua decisione. Se non vorrai più… vedermi… lo capirò” concluse roco, girando il viso dall'altra parte, come a volergli nascondere il dolore che stava provando.
“Teppei...” mormorò Hajime, dopo quello che parve un tempo interminabile, allungando istintivamente una mano verso di lui, mano che, a dispetto della sua volontà, si posò sui folti riccioli bruni, sfiorandoli con una leggera carezza. Erano soffici al tatto, più di quanto si sarebbe mai immaginato. “Mi dispiace...”. Socchiuse le palpebre, cercando le parole adatte per esprimere al meglio i suoi sentimenti. “Mi dispiace Teppei ma non mi sento pronto per questo genere di rapporto e non so se lo sarò mai. Ho bisogno di tempo per chiarirmi le idee, per capire chi sono e cosa voglio. Hai ragione, questa scoperta mi ha sconvolto, non avrei mai pensato che sarebbe potuta succedermi una cosa del genere. Non mi sento più io e non so cosa fare. Sono troppo confuso. Al momento l'unica cosa che vorrei è fuggire il più lontano possibile da qui”.
Sentì il corpo dell'altro irrigidirsi sotto le sue dita, ma non avrebbe saputo dire se per quanto aveva appena detto o per il modo in cui lo stava accarezzando. Lentamente la sua mano abbandonò i capelli, sfiorò appena la nuca e si fermò su una spalla dove indugiò per qualche istante; con gentilezza lo obbligò a girarsi per attirarlo a sé.
Non si rese conto di quello che aveva fatto, finché non si trovò il volto di Teppei a pochi centimetri dal suo. Studiò quei lineamenti che conosceva bene come se non li avesse mai visti prima: le ciocche scure che si arricciavano morbidamente sulla fronte alta, il naso dritto e le labbra umide e socchiuse. Sollevò lo sguardo per immergerlo in quello marrone scuro che lo stava fissando titubante; vi lesse paura e dolore, ma anche affetto e rassegnazione.
In quel momento capì la profondità del sentimento che Teppei provava per lui, capì che l'amico era veramente disposto a farsi da parte come aveva affermato, persino a scomparire dalla sua vita se questo poteva farlo sentire meglio.
Sospirò, quasi con rimpianto. “Non sono pronto” ribadì, come a voler convincere più se stesso che l'altro.
Ma non lo allontanò.
Al contrario, si lasciò scivolare all'indietro, trascinandolo con sé, fino a che entrambi sprofondarono tra le morbide coperte del letto.
Si voltò verso Teppei e lo cinse anche con l'altro braccio, facendogli appoggiare la testa sulla sua spalla per sentirlo più vicino. Accostò il viso alla sua guancia e aspirò l'aroma dolce e fresco del dopobarba, mischiato a quello più intenso e inebriante della pelle. Si sentì girare la testa e si aggrappò a lui con maggiore forza, come se quell'abbraccio avesse il potere di scacciare gli spettri delle paure e delle preoccupazioni che si agitavano nel suo animo. Il suo corpo stava reagendo a quel contatto come non aveva mai fatto prima e lui, a dispetto di tutto, si sentiva vivo ed eccitato: un lungo fremito lo scosse da capo a piedi.
Teppei si strinse a lui e si avvinghiò alla sua camicia, nascondendo il volto contro il suo collo, le labbra a pochi millimetri dalla sua gola. La sua voce gli giunse soffocata e leggermente ansante, segno che quella vicinanza stava avendo effetto anche su di lui. “Nemmeno io sono pronto; ho chiuso da poco una storia e non me la sento di iniziarne subito un'altra”.
Incapace di sopportare oltre quell’emozionante contatto e di controllare ulteriormente le reazioni del suo corpo, Hajime fece appello a tutta la sua forza di volontà e allentò la stretta, allontanandolo da sé con gentilezza. “Siamo d'accordo allora, ci prenderemo tutto il tempo necessario” mormorò, lasciandolo andare e scostandosi un poco, ma cercando lo sguardo dei suoi occhi scuri.
“Sì” rispose Teppei, raggomitolandosi al suo fianco e rivolgendogli un luminoso sorriso, di quelli che da mesi non comparivano più sulle sue labbra. “Tutto il tempo necessario”.

 

Fine...


...e palla al centro.

 

Inizio con il dire che non sono per niente soddisfatta di questo racconto. Sarà che l'ho scritto per "tigna" e non con ispirazione (se aspetto di avere ispirazione in questo periodo "famo notte") e quindi ne sento tutti i limiti, sia di stile che di idee. 
Comunque eccolo qui.

Ringrazio Eos e Berlinene che mi hanno sopportato durante le crisi e che hanno letto le varie versioni in anteprima:)

Credits:

I personaggi di Capitan Tsubasa appartengono a Yoichi Takahashi che ne detiene tutti i diritti.

 

 

  
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