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Autore: suni    04/05/2009    5 recensioni
Una notizia bomba, un sensei amareggiato, una lapide commemorativa e un amico/nemico che a non fare niente non ci sta.
A chi crede che, in fondo, rivalità e affetto siano molto spesso legati a doppio filo.
[What If? e SPOILER!]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gai Maito, Kakashi Hatake
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: Spoiler!
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Non sapeva quale fosse il momento esatto in cui era cominciato

Fanfic che potrebbe costituire un ipotetico missing moment più o meno sballato con il canon. E’ What If, perché parte dal presupposto che la notizia ivi citata sia arrivata a Konoha prima di Pein.

Non ha grandi pretese, se non quella di gettare un occhio su un rapporto particolare che più d´una volta mi ha fatto sorridere.

Penso che difficilmente si possano trovare in Naruto due personaggi meno compatibili e forse proprio lì sta il bello. Mi sono resa conto che nella vita capita di stringere le amicizie più impensabili, che magari finiscono col diventare importanti e perdurare a lungo nel tempo. Credo che questo ne sia un esempio perfetto.

A voi.

suni


 

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A volte non riusciva a far altro che starsene per conto proprio e pensare a quanto per certi versi sarebbe stato meglio non aver mai avuto niente a che fare con nessun Uchiha. Perché i membri di quella famiglia avevano nel sangue una cattiva stella e un destino sfortunato che si ripercuoteva su chi stava loro intorno in una catena dolorosa.  

Alle vecchie sciocchezze cui pensava sempre, dei tempi di Obito, se n’erano aggiunte di nuove.

Per esempio, il giorno in cui era nato il team Kakashi era stato Sasuke ad intuire il da farsi, ad offrire a Naruto il suo pranzo. Non s’era aspettato di meno da quell’allievo ombroso e acuto di cui già all’Accademia si parlava come di un portento. Ne era stato orgoglioso quasi senza conoscerlo.

Gli piaceva, Sasuke, e di giorno in giorno quella preferenza si era saldata. Era un ragazzino di poche parole, determinato e ambizioso, come lui, con fegato da vendere, una mente pronta e una temerarietà sfacciata. Se l’aveva riconosciuto superbo, gliel’aveva anche perdonato in virtù del talento straordinario e dell’infanzia difficile. Era stato il primo della lunga serie di errori da lui commessi come guida e insegnante; sembrava quasi buffo, con il “suo” prima Uchiha aveva sbagliato nel lesinare sull’affetto, col secondo invece si era lasciato troppo trasportare dal sentimentalismo e dalla simpatia.

Si era affezionato a Sasuke come Sarutobi doveva essersi affezionato proprio ad Orochimaru e aveva volontariamente trascurato le sue pecche e la sua arroganza in virtù delle speranze riposte nell’avvenire dell’allievo prediletto. Aveva voluto guardare solo il meglio di lui ed esserne fiero chiudendo un secondo occhio su tutto il resto, perché era Sasuke e lui gli voleva semplicemente bene. In quella prospettiva di esaltazione del ragazzino si era aspettato anche troppo da lui, dando per scontata una maturità che non aveva senso pretendere da un dodicenne. Aveva sbagliato.

E le conseguenze erano state irrimediabili.

A volte, non poteva far altro che continuare a rimestare considerazioni del genere finché una sorta di nausea lo invadeva. Allora gettava uno sguardo di commiato alla lapide, carezzando col l’occhio il nome di Obito, e si allontanava per tornare a Konoha, per andare al quartier generale, raggiungere i compagni o anche solo leggere qualche pagina in un luogo un po’ più affollato, sgombrando la mente.

Ma quel pomeriggio, no. Quel pomeriggio la nausea era arrivata e rimasta, amplificandosi, senza che Kakashi muovesse un muscolo o si spostasse di un metro dalla sua postazione di fronte alla lapide, continuando a fissarla senza guardarla, perso nella marea della desolazione e dei rimproveri volti a se stesso.

Il sole battente delle ore centrali della giornata si era indebolito fino a diventare un pallido chiarore e le dita del tramonto imminente tingevano il cielo di prime striature violacee, e Kakashi osservava la lapide in silenzio, le mani in tasca, le spalle incassate. Sapeva di avere da fare tutto quel che aveva trascurato nelle ore precedenti, ma l’idea di rientrare, stavolta, lo sprofondava in un malessere pungente, una sorta di disgusto generalizzato. Immaginava qualche collega più giovane avvicinarlo per avere più informazioni sulla notizia del giorno, e già avvertiva il senso di  panico e la costrizione di dover stiracchiare un sorriso grave e borbottare qualche frase di circostanza che non stonasse con quanto si aspettavano da lui.

Non aveva nulla di particolare da dire, del resto. Sasuke era entrato nell’Akatsuki prendendo il posto del fratello da lui ucciso: per quanto lo riguardava, era una novità che si commentava perfettamente da sé.

E no, non aveva nessuna voglia di parlarne.

 

 

 

 

Memoria

 

 

 

Istintivamente, la prima cosa a cui Gai pensò fu Rock Lee. Si voltò persino verso di lui, osservando la sua espressione di sorpresa e di contrarietà con un crescente senso di sollievo. Impiegò qualche secondo a realizzare che in realtà si era focalizzato su Lee perché il suo primo pensiero inconscio si era volto automaticamente a Kakashi. Succedeva ogni volta che qualcuno gli parlava di Sasuke Uchiha o semplicemente lo nominava. Il collegamento gli sorgeva spontaneo, perché sapeva che il ninja copia era stato legato all’allievo da un rapporto preferenziale non del tutto dissimile a quello tra lui e Lee.

“Ma perché?” chiese Lee animoso. “Non ha nessun senso che Sas’ke faccia una cosa del genere!” aggiunse, con una sorta di impotente irritazione. Lee un tempo aveva stimato il genio con genuina ammirazione, tipica del suo animo pulito.

Gai ne sorrise, tornando poi a voltarsi verso Genma.

“Kakashi dov’è?” domandò spiccio.

L’altro si strinse nelle spalle, pensoso.

“E’ qualche ora che non lo vedo. Ma non aveva l’aria… Credo volesse starsene per i fatti suoi, sai com’è fatto,” rispose, rigirando lo stecchino tra le labbra.

Gai si limitò ad annuire gravemente, prima di voltarsi verso l’allievo con un sorriso e spronarlo ad andare a casa e farsi una bella dormita per riposarsi dopo la missione, così da poter riprendere l’allenamento in ottima forma l’indomani, forte della sua gioventù. Lee accettò con entusiasmo e scattò a casa di lena.

Lui lo guardò allontanarsi assorto, senza più ombra di contagioso sorriso. Aggrottò la fronte cupamente, sicché le sue folte sopracciglia presero una piega tempestosa, e si diresse a colpo sicuro verso il perimetro esterno di Konoha, certo che non vi fosse il minimo dubbio su quale fosse il luogo in cui avrebbe potuto trovare il collega e rivale in quel frangente.

Gai sapeva che Kakashi aveva patito la partenza e il tradimento del giovane genio, ovviamente. Lo sapeva anche meglio di tanti altri, perché con l’andare degli anni aveva imparato a vedere ben al di là della maschera, non solo materiale, che Kakashi indossava costantemente. A forza di rivalità e provocazioni era arrivato a capirlo e conoscerlo forse meglio di chiunque altro, e certo non era lui che il ninja copia poteva sperare di ingannare con le maniere compassate, la sua flemma e il suo aplomb riservato. La stima e il desiderio di affermazione degli anni dell’adolescenza l’avevano condotto ad imparare Kakashi come s’impara uno stile di combattimento, la reciproca considerazione degli anni seguenti aveva fatto sì che arrivasse ad interpretare ogni gesto o comportamento dell’introverso collega.

Non lo lasciava trapelare, mantenendo la dovuta distanza che competeva ai loro ruoli nello stesso modo in cui, supponeva, Kakashi fingeva di non notare tutto quel che stava dietro le sue frasi magniloquenti e le sue sporadiche spacconate.

Dunque, aveva chiaro in mente quanto Kakashi stesse patendo la situazione e quanto dovesse sentirsi colpevole. Né poteva stupirsene, ché il fallimento era evidente e innegabile. Conoscendo la sua tendenza a macerarsi nei rimorsi immaginava che questo secondo scorno si accavallasse alla responsabilità nella morte di Obito e che la seconda mancanza si sommasse ai suoi occhi alla prima in modo forse schiacciante. Sapeva per certo di tutte le belle speranze che Kakashi aveva riposto in Sasuke Uchiha, perché erano le stesse che lui aveva riposto e riponeva in Lee. Aveva ancora in mente la scintilla d’entusiasmo che aveva acceso inconsapevolmente il suo occhio nel momento in cui il chidori del ragazzino aveva trapassato la corazza di sabbia di Sabaku no Gaara ai tempi del torneo e la sua preoccupazione silenziosa e dolente per il Sigillo di Orochimaru. Ricordava perfettamente la rigidità dei suoi movimenti e della sua postura stanca quando era arrivato al villaggio trasportando Naruto esanime dopo il suo scontro con Sasuke, al momento della partenza del genio per Oto, e la sua amarezza che nessuna maschera sarebbe bastata a dissimulare.

Gai sapeva, ma sapeva anche che tormentarsi serviva a poco se non a demotivarsi.

Per questo motivo fece la sua comparsa nella radura del monumento ai caduti con un sorriso scintillante e una posa spaccona e, esattamente come aveva previsto, trovò Kakashi lì, assorto e, in una sola parola, deprimente. Osservava la lapide con angustia evidente, lo sguardo assente, la testa china come se fosse stata gravata di un peso troppo schiacciante. Non si voltò nemmeno a guardarlo, nonostante l’avesse sicuramente sentito arrivare.

“Kakashi!” esclamò vivacemente lui, avvicinandosi con fare smargiasso e provocatorio. “Stai qui a perder tempo, ti sarai mica messo in testa di essere il migliore da queste parti, eh? Ti ricordo che sono in vantaggio nelle nostre sfide!” affermò con soddisfazione, piantandosi accanto a lui a gambe larghe.

Kakashi sospirò impercettibilmente, chiudendo l’occhio per un istante.

“Gai,” constatò, pacato.

Lui rise sguaiatamente, fiero.

“Il solo ed unico,” confermò deciso, ancora sorridendo. Gli puntò il dito contro, trionfale. “Visto  che sei qui a dormire sugli allori, ti propongo una nuova sfida per stabilire chi sia il migliore tra noi,” continuò, enfatico.

“Non è giornata, Gai,” ribatté l’altro noncurante, con vaga bonarietà.

“Dunque il grande Kakashi Hatake preferisce la resa al confronto? E’ questo che intendi?” lo rimbeccò lui solennemente, raddrizzando le spalle. “Mi deludi, Kakashi, mi aspett…” continuò saputo.

“Gai,” lo interruppe Kakashi, lapidario. Si era voltato verso di lui, adesso, e lo guardava con una specie di composta sconfitta, una rassegnazione tranquilla e forse per questo ancor più triste da vedere. “Grazie. Ma non serve a niente,” commentò schietto, quietamente, con un breve sorriso serio e senz’allegria.

Gai esitò per qualche secondo, preso in contropiede. Non si stupì del fatto che Kakashi avesse intuito all’istante quali fossero le sue vere intenzioni e avesse capito che il suo scopo era non lasciarlo lì da solo, ma si sorprese piuttosto di quell’insolita trasparenza, di come non avesse cercato di glissare sullo stato delle cose o sul proprio malumore. Gli sembrò una confidenza inusuale e intuì il cedimento che ne era alla base. Pericoloso, per uno shinobi.

Chinò lo sguardo perdendo l’espressione allegra e si fece grave, ombroso. Sospirò profondamente, portando a sua volta gli occhi verso la lapide mentre si assestava accanto all’altro in posa più naturale, contenuta.

“Hai fatto del tuo meglio, Kakashi,” mormorò gravemente.

L’altro non reagì per qualche secondo, distratto.

“Chissà,” commentò infine, indifferente.

“Questo non è il giusto atteggiamento,” lo riprese lui animandosi. “Sembri un vecchio rincoglionito che non ha più kunai nel fodero. Ma tu sei Kakashi dello sharingan, il quasi numero uno di Konoha! Che figura ci fai fare?” protestò, apparentemente indignato.

“Quelli come noi invecchiano in fretta, ho idea,” osservò Kakashi placidamente, quasi tra sé.

“Cazzate! Io mi sento ancora giovane come quindici anni fa,” ribatté Gai fiero, ammiccando con un breve e sfolgorante sorriso accompagnato da un segno di vittoria col pollice alzato.

All’altro sfuggì pure un leggero sorriso spontaneo, involontario. Gai lo notò e acquisì nuova sicurezza, puntò il piede contro la base del monumento e rizzò il capo con sfida.

“Per dimostrartelo, intendo fare altri cinquecento giri intorno a Konoha sulle mani se dovessi perdere la sfida di oggi!” affermò pomposo.

Kakashi sospirò rassegnato, scuotendo appena la testa.

“La nostra sfida di oggi,” proseguì Gai riflettendo febbrilmente, “consiste nel vedere chi di noi due riesce a battere l’altro in una prova di memoria: ricordare tutti i titoli dei libri di Jiraiya sama più in fretta possibile!” scandì con impeto.

Kakashi si voltò di nuovo verso di lui con un moto di genuina sorpresa, sgranando appena l’occhio scoperto.

“Ma tu non li legg…” iniziò perplesso, interrompendosi a metà frase. Lo osservò per un istante – Gai continuò a sorridere come un invasato, incrollabile – e gli sfuggì uno sbuffo che sembrava un principio di risata sottovoce, genuina e quasi complice. “Immagino di aver vinto a tavolino, dal momento che tu non sai nemmeno il titolo della collana,” aggiunse svagato, gettando al cielo un’occhiata distratta.

Gai si dipinse in viso un’espressione di aperta sorpresa, accigliandosi poi con contrarietà manifesta.

“Accidenti! Non ci avevo pensato!” commentò, prima di mettersi a ridere con fare imbarazzato. “Allora devo pagare pegno. Verifica tu stesso i giri che…” continuò, risoluto.

“Non è necessario,” lo interruppe Kakashi noncurante.

“Io mantengo sempre la parola data, Kakashi!” tuonò lui, lapidario.

L’altro annuì tra sé, cogitabondo e apparentemente preso dal problema. Infilò una mano in tasca e lo osservò con assenso, prima di grattarsi la tempia.

“Potremmo dire che mi offri cena da  Ichiraku, e io ti abbuono i duecento giri. In via del tutto eccezionale,” propose cauto, dandogli stranamente corda.

Gai finse di pensarci attentamente, accigliato e molto attento. Tentennò col capo, sospirò profondamente e infine annuì maestoso, tendendogli la mano. Kakashi la osservò per un istante, sbuffò con estrema rassegnazione e infine la strinse svogliatamente.

“Affare fatto,” stabilì Gai, prima di scoppiare a ridere soddisfatto. Era andata anche meglio del previsto. “E adesso muoviti, Kakashi, mi è giusto venuta fame,” aggiunse, mettendosi energicamente in marcia.

L’altro annuì docilmente, gettando un’ultima brevissima occhiata alla lapide prima di seguirlo mani in tasca sulla via del villaggio. Gai lo attese finchè il ninja copia non l’ebbe affiancato, poi proseguì sorridendo, la testa alta, il passo sicuro.

Kakashi, di fianco a lui, sfoggiava a sua volta un vago sorriso.

 

   
 
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