Fanfic che potrebbe costituire un
ipotetico missing moment più o meno sballato
con il canon. E’ What If, perché parte dal presupposto
che la notizia ivi citata sia arrivata a Konoha prima di Pein.
Non ha grandi pretese, se non quella di gettare un occhio su
un rapporto particolare che più d´una volta mi ha fatto sorridere.
Penso che difficilmente si possano trovare in Naruto due
personaggi meno compatibili e forse proprio lì sta il bello. Mi sono
resa conto che nella vita capita di stringere le amicizie più
impensabili, che magari finiscono col diventare importanti e perdurare a lungo
nel tempo. Credo che questo ne sia un esempio perfetto.
A voi.
suni
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A
volte non riusciva a far altro che starsene per conto proprio e pensare a
quanto per certi versi sarebbe stato meglio non aver mai avuto niente a che
fare con nessun Uchiha. Perché i membri di quella famiglia avevano nel
sangue una cattiva stella e un destino sfortunato che si ripercuoteva su chi
stava loro intorno in una catena dolorosa.
Alle
vecchie sciocchezze cui pensava
sempre, dei tempi di Obito, se n’erano aggiunte di nuove.
Per
esempio, il giorno in cui era nato il team Kakashi era stato Sasuke ad intuire
il da farsi, ad offrire a Naruto il suo pranzo. Non s’era aspettato di
meno da quell’allievo ombroso e acuto di cui già
all’Accademia si parlava come di un portento. Ne era stato orgoglioso
quasi senza conoscerlo.
Gli
piaceva, Sasuke, e di giorno in giorno quella preferenza si era saldata. Era un
ragazzino di poche parole, determinato e ambizioso, come lui, con fegato da
vendere, una mente pronta e una temerarietà sfacciata. Se l’aveva
riconosciuto superbo, gliel’aveva anche perdonato in virtù del
talento straordinario e dell’infanzia difficile. Era stato il primo della
lunga serie di errori da lui commessi come guida e insegnante; sembrava quasi
buffo, con il “suo” prima Uchiha aveva sbagliato nel lesinare
sull’affetto, col secondo invece si era lasciato troppo trasportare dal
sentimentalismo e dalla simpatia.
Si
era affezionato a Sasuke come Sarutobi doveva essersi
affezionato proprio ad Orochimaru e aveva volontariamente trascurato le sue
pecche e la sua arroganza in virtù delle speranze riposte
nell’avvenire dell’allievo prediletto. Aveva voluto guardare solo
il meglio di lui ed esserne fiero chiudendo un secondo occhio su tutto il
resto, perché era Sasuke e lui gli voleva semplicemente bene. In quella
prospettiva di esaltazione del ragazzino si era aspettato anche troppo da lui,
dando per scontata una maturità che non aveva senso pretendere da un
dodicenne. Aveva sbagliato.
E
le conseguenze erano state irrimediabili.
A
volte, non poteva far altro che continuare a rimestare considerazioni del
genere finché una sorta di nausea lo invadeva. Allora gettava uno
sguardo di commiato alla lapide, carezzando col l’occhio il nome di
Obito, e si allontanava per tornare a Konoha, per andare al quartier generale,
raggiungere i compagni o anche solo leggere qualche pagina in un luogo un
po’ più affollato, sgombrando la mente.
Ma
quel pomeriggio, no. Quel pomeriggio la nausea era arrivata e rimasta,
amplificandosi, senza che Kakashi muovesse un muscolo o si spostasse di un
metro dalla sua postazione di fronte alla lapide, continuando a fissarla senza
guardarla, perso nella marea della desolazione e dei rimproveri volti a se
stesso.
Il
sole battente delle ore centrali della giornata si era indebolito fino a
diventare un pallido chiarore e le dita del tramonto imminente tingevano il
cielo di prime striature violacee, e Kakashi osservava la lapide in silenzio,
le mani in tasca, le spalle incassate. Sapeva di avere da fare tutto quel che
aveva trascurato nelle ore precedenti, ma l’idea di rientrare, stavolta,
lo sprofondava in un malessere pungente, una sorta di disgusto generalizzato.
Immaginava qualche collega più giovane avvicinarlo per avere più
informazioni sulla notizia del giorno, e già avvertiva il senso di panico e la costrizione di dover
stiracchiare un sorriso grave e borbottare qualche frase di circostanza che non
stonasse con quanto si aspettavano da lui.
Non
aveva nulla di particolare da dire, del resto. Sasuke era entrato
nell’Akatsuki prendendo il posto del fratello da lui ucciso: per quanto
lo riguardava, era una novità che si commentava perfettamente da
sé.
E
no, non aveva nessuna voglia di parlarne.
Memoria
Istintivamente,
la prima cosa a cui Gai pensò fu Rock Lee. Si voltò persino verso
di lui, osservando la sua espressione di sorpresa e di contrarietà con
un crescente senso di sollievo. Impiegò qualche secondo a realizzare che
in realtà si era focalizzato su Lee perché il suo primo pensiero
inconscio si era volto automaticamente a Kakashi. Succedeva ogni volta che
qualcuno gli parlava di Sasuke Uchiha o semplicemente lo nominava. Il
collegamento gli sorgeva spontaneo, perché sapeva che il ninja copia era
stato legato all’allievo da un rapporto preferenziale non del tutto
dissimile a quello tra lui e Lee.
“Ma
perché?” chiese Lee animoso. “Non ha nessun senso che
Sas’ke faccia una cosa del genere!” aggiunse, con una sorta di
impotente irritazione. Lee un tempo aveva stimato il genio con genuina
ammirazione, tipica del suo animo pulito.
Gai
ne sorrise, tornando poi a voltarsi verso Genma.
“Kakashi
dov’è?” domandò spiccio.
L’altro
si strinse nelle spalle, pensoso.
“E’
qualche ora che non lo vedo. Ma non aveva l’aria… Credo volesse
starsene per i fatti suoi, sai com’è fatto,” rispose,
rigirando lo stecchino tra le labbra.
Gai
si limitò ad annuire gravemente, prima di voltarsi verso l’allievo
con un sorriso e spronarlo ad andare a casa e farsi una bella dormita per
riposarsi dopo la missione, così da poter riprendere l’allenamento
in ottima forma l’indomani, forte della sua gioventù. Lee
accettò con entusiasmo e scattò a casa di lena.
Lui
lo guardò allontanarsi assorto, senza più ombra di contagioso
sorriso. Aggrottò la fronte cupamente, sicché le sue folte
sopracciglia presero una piega tempestosa, e si diresse a colpo sicuro verso il
perimetro esterno di Konoha, certo che non vi fosse il minimo dubbio su quale
fosse il luogo in cui avrebbe potuto trovare il collega e rivale in quel
frangente.
Gai
sapeva che Kakashi aveva patito la partenza e il tradimento del giovane genio,
ovviamente. Lo sapeva anche meglio di tanti altri, perché con
l’andare degli anni aveva imparato a vedere ben al di là della
maschera, non solo materiale, che Kakashi indossava costantemente. A forza di
rivalità e provocazioni era arrivato a capirlo e conoscerlo forse meglio
di chiunque altro, e certo non era lui che il ninja copia poteva sperare di
ingannare con le maniere compassate, la sua flemma e il suo aplomb riservato.
La stima e il desiderio di affermazione degli anni dell’adolescenza
l’avevano condotto ad imparare Kakashi come s’impara uno stile di
combattimento, la reciproca considerazione degli anni seguenti aveva fatto
sì che arrivasse ad interpretare ogni gesto o comportamento
dell’introverso collega.
Non
lo lasciava trapelare, mantenendo la dovuta distanza che competeva ai loro
ruoli nello stesso modo in cui, supponeva, Kakashi fingeva di non notare tutto
quel che stava dietro le sue frasi magniloquenti e le sue sporadiche
spacconate.
Dunque,
aveva chiaro in mente quanto Kakashi stesse patendo la situazione e quanto
dovesse sentirsi colpevole. Né poteva stupirsene, ché il fallimento
era evidente e innegabile. Conoscendo la sua tendenza a macerarsi nei rimorsi
immaginava che questo secondo scorno si accavallasse alla responsabilità
nella morte di Obito e che la seconda mancanza si sommasse ai suoi occhi alla
prima in modo forse schiacciante. Sapeva per certo di tutte le belle speranze
che Kakashi aveva riposto in Sasuke Uchiha, perché erano le stesse che
lui aveva riposto e riponeva in Lee. Aveva ancora in mente la scintilla
d’entusiasmo che aveva acceso inconsapevolmente il suo occhio nel momento
in cui il chidori del ragazzino aveva trapassato la
corazza di sabbia di Sabaku no Gaara
ai tempi del torneo e la sua preoccupazione silenziosa e dolente per il Sigillo
di Orochimaru. Ricordava perfettamente la rigidità dei suoi movimenti e
della sua postura stanca quando era arrivato al villaggio trasportando Naruto
esanime dopo il suo scontro con Sasuke, al momento della partenza del genio per
Oto, e la sua amarezza che nessuna maschera sarebbe
bastata a dissimulare.
Gai
sapeva, ma sapeva anche che tormentarsi serviva a poco se non a demotivarsi.
Per
questo motivo fece la sua comparsa nella radura del monumento ai caduti con un
sorriso scintillante e una posa spaccona e, esattamente come aveva previsto,
trovò Kakashi lì, assorto e, in una sola parola, deprimente.
Osservava la lapide con angustia evidente, lo sguardo assente, la testa china
come se fosse stata gravata di un peso troppo schiacciante. Non si voltò
nemmeno a guardarlo, nonostante l’avesse sicuramente sentito arrivare.
“Kakashi!”
esclamò vivacemente lui, avvicinandosi con fare smargiasso e
provocatorio. “Stai qui a perder tempo, ti sarai mica messo in testa di
essere il migliore da queste parti, eh? Ti ricordo che sono in vantaggio nelle
nostre sfide!” affermò con soddisfazione, piantandosi accanto a
lui a gambe larghe.
Kakashi
sospirò impercettibilmente, chiudendo l’occhio per un istante.
“Gai,”
constatò, pacato.
Lui
rise sguaiatamente, fiero.
“Il
solo ed unico,” confermò deciso, ancora sorridendo. Gli
puntò il dito contro, trionfale. “Visto che sei qui a dormire sugli allori, ti
propongo una nuova sfida per stabilire chi sia il migliore tra noi,”
continuò, enfatico.
“Non
è giornata, Gai,” ribatté l’altro noncurante, con
vaga bonarietà.
“Dunque
il grande Kakashi Hatake preferisce la resa al confronto? E’ questo che
intendi?” lo rimbeccò lui solennemente, raddrizzando le spalle.
“Mi deludi, Kakashi, mi aspett…”
continuò saputo.
“Gai,”
lo interruppe Kakashi, lapidario. Si era voltato verso di lui, adesso, e lo
guardava con una specie di composta sconfitta, una rassegnazione tranquilla e
forse per questo ancor più triste da vedere. “Grazie. Ma non serve
a niente,” commentò schietto, quietamente, con un breve sorriso
serio e senz’allegria.
Gai
esitò per qualche secondo, preso in contropiede. Non si stupì del
fatto che Kakashi avesse intuito all’istante quali fossero le sue vere
intenzioni e avesse capito che il suo scopo era non lasciarlo lì da
solo, ma si sorprese piuttosto di quell’insolita trasparenza, di come non
avesse cercato di glissare sullo stato delle cose o sul proprio malumore. Gli
sembrò una confidenza inusuale e intuì il cedimento che ne era
alla base. Pericoloso, per uno shinobi.
Chinò
lo sguardo perdendo l’espressione allegra e si fece grave, ombroso.
Sospirò profondamente, portando a sua volta gli occhi verso la lapide
mentre si assestava accanto all’altro in posa più naturale,
contenuta.
“Hai
fatto del tuo meglio, Kakashi,” mormorò gravemente.
L’altro
non reagì per qualche secondo, distratto.
“Chissà,”
commentò infine, indifferente.
“Questo
non è il giusto atteggiamento,” lo riprese lui animandosi.
“Sembri un vecchio rincoglionito che non ha più kunai nel fodero. Ma tu sei Kakashi dello sharingan, il quasi numero uno di Konoha! Che figura
ci fai fare?” protestò, apparentemente indignato.
“Quelli
come noi invecchiano in fretta, ho idea,” osservò Kakashi
placidamente, quasi tra sé.
“Cazzate!
Io mi sento ancora giovane come quindici anni fa,” ribatté Gai
fiero, ammiccando con un breve e sfolgorante sorriso accompagnato da un segno
di vittoria col pollice alzato.
All’altro
sfuggì pure un leggero sorriso spontaneo, involontario. Gai lo
notò e acquisì nuova sicurezza, puntò il piede contro la
base del monumento e rizzò il capo con sfida.
“Per
dimostrartelo, intendo fare altri cinquecento giri intorno a Konoha sulle mani
se dovessi perdere la sfida di oggi!” affermò pomposo.
Kakashi
sospirò rassegnato, scuotendo appena la testa.
“La
nostra sfida di oggi,” proseguì Gai riflettendo febbrilmente,
“consiste nel vedere chi di noi due riesce a battere l’altro in una
prova di memoria: ricordare tutti i titoli dei libri di Jiraiya sama più
in fretta possibile!” scandì con impeto.
Kakashi
si voltò di nuovo verso di lui con un moto di genuina sorpresa,
sgranando appena l’occhio scoperto.
“Ma
tu non li legg…” iniziò perplesso,
interrompendosi a metà frase. Lo osservò per un istante –
Gai continuò a sorridere come un invasato, incrollabile – e gli
sfuggì uno sbuffo che sembrava un principio di risata sottovoce, genuina
e quasi complice. “Immagino di aver vinto a tavolino, dal momento che tu
non sai nemmeno il titolo della collana,” aggiunse svagato, gettando al
cielo un’occhiata distratta.
Gai
si dipinse in viso un’espressione di aperta sorpresa, accigliandosi poi
con contrarietà manifesta.
“Accidenti!
Non ci avevo pensato!” commentò, prima di mettersi a ridere con
fare imbarazzato. “Allora devo pagare pegno. Verifica tu stesso i giri
che…” continuò, risoluto.
“Non
è necessario,” lo interruppe Kakashi noncurante.
“Io
mantengo sempre la parola data, Kakashi!” tuonò lui, lapidario.
L’altro
annuì tra sé, cogitabondo e apparentemente preso dal problema.
Infilò una mano in tasca e lo osservò con assenso, prima di
grattarsi la tempia.
“Potremmo
dire che mi offri cena da Ichiraku, e io ti abbuono i duecento giri. In via del tutto
eccezionale,” propose cauto, dandogli stranamente corda.
Gai
finse di pensarci attentamente, accigliato e molto attento. Tentennò col
capo, sospirò profondamente e infine annuì maestoso, tendendogli
la mano. Kakashi la osservò per un istante, sbuffò con estrema
rassegnazione e infine la strinse svogliatamente.
“Affare
fatto,” stabilì Gai, prima di scoppiare a ridere soddisfatto. Era
andata anche meglio del previsto. “E adesso muoviti, Kakashi, mi è
giusto venuta fame,” aggiunse, mettendosi energicamente in marcia.
L’altro
annuì docilmente, gettando un’ultima brevissima occhiata alla
lapide prima di seguirlo mani in tasca sulla via del villaggio. Gai lo attese
finchè il ninja copia non l’ebbe affiancato, poi proseguì
sorridendo, la testa alta, il passo sicuro.
Kakashi,
di fianco a lui, sfoggiava a sua volta un vago sorriso.