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Autore: summer_day    19/09/2016    2 recensioni
“No…” mormora Clarke.
Un’idea! Serve una soluzione, maledizione!
Il barile sotto il ragazzo vacilla.
“Non fatelo…” la voce è poco più di un sussurro.
“Il codice Clarke.”
“Non posso! I-io non posso!” lacrime silenziose scorrono sul suo viso. Le sembra di impazzire.
Lo uccideranno! Lo uccideranno e lei non può impedirlo!
Un clangore metallico e i piedi di Bellamy sono sospesi nel vuoto.
Genere: Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Cominciate con Bellamy Blake.”
Una lacrima scende sul volto sporco ed insanguinato di Clarke, ma a malapena se ne accorge. Tutto ciò a cui riesce a pensare è che sua madre ha appena dato l’ordine di portare sopra Bellamy per potergli fare del male, perché lei non ha ceduto alla richiesta di rivelare il codice d’accesso.
Ascende superius. Queste due parole dovrebbero poter salvare tutti, eppure adesso stanno per farle ferire - anche se indirettamente, ma la responsabile resta sempre lei  - una delle persone più importanti della sua vita. O peggio, perché sa che A.L.I.E. non si fermerà davanti a nulla: ne hanno avuto la conferma pochi giorni prima con Raven, e sulla piattaforma di Luna. Vorrebbe poter fare qualcosa, dire qualcosa per impedire loro di farlo, ma è in grado solo di annaspare in cerca di ossigeno e di un’idea. Istintivamente la sua mente corre a non più di qualche settimana fa quando Roan l’aveva catturata. Bellamy era comparso dal nulla nel rifugio, travestito da terrestre della nazione del ghiaccio quasi lo aveva scambiato per uno di loro ma quando poi si era inginocchiato e l’aveva guardata ogni dubbio si era dissipato. I suoi occhi, così simili all’onice nero, avevano riportato alla mente ricordi e sensazioni che pensava di aver annullato, sentimenti come felicità sollievo e affetto, che non pensava fosse possibile per lei provare ancora. Quegli stessi occhi che per tantissimo tempo avevano popolato i suoi sogni: erano comprensivi, pieni di un perdono che non credeva  – crede – di meritare. Occhi che in quel momento erano talmente concentrati sui suoi, sulle corde che le segavano i polsi, il pezzo di stoffa che le impediva di scandire parole comprensibili – ma non il suo nome – e il sangue che le sporcava il viso, suo e non, da non accorgersi di Roan dietro di lui. Aveva supplicato per la sua vita. “No ti prego, ti prego non farlo! Farò qualsiasi cosa! Smetterò di lottare ma ti prego non ucciderlo!”. Erano state queste la parole esatte, ma ora… avrebbe potuto farlo di nuovo? Avrebbe potuto supplicare per la sua vita?
 
“Andiamo. Vuole Bellamy.”
Ha appena il tempo di realizzare il significato di queste parole che due paia di braccia lo costringono ad alzarsi ed avanzare verso il corridoio scuro. Octavia prova a impedire loro di portarlo via, o perlomeno di capire, ma viene colpita allo stomaco e Bellamy non può far altro che rassicurarla con un “Va tutto bene O” che entrambi sanno essere una grandissima bugia. Ma non può farne a meno, è la sua sorellina: finché lei sta bene a lui non interessa altro, nemmeno la sua vita. Per questo non oppone resistenza mentre lo conducono nell’ascensore, serra gli occhi mentre le porte vengono chiuse e cominciano la salita.
Sa bene perché lo stanno portando su: Clarke non gli avrà rivelato il codice e dato che hanno bisogno di lei viva tortureranno lui. Non ha paura - non per sé stesso almeno -, il dolore fisico non lo spaventa.
La salita è relativamente breve ed immediatamente viene spinto fuori e condotto verso la sala del trono del comandante. Ironico come qualche tempo prima si fosse precipitato lì dentro per salvare i suoi da una trappola, anche se poi si era rivelato un inganno, ed ora invece è legato e sta andando incontro a Dio solo sa cosa. Appena aprono le porte la vede ed un moto di rabbia si impossessa della sua mente: braccia, gambe e collo sono legati con cinghie di cuoio ad una struttura in ferro, i capelli biondi arruffati, alcune lacrime sfuggono dagli occhi color dell’oceano per scivolare sulle guance sporche, lasciando delle nuove scie bianche che si uniscono a quelle vecchie,  e sul petto scendono due rivoli di sangue.
Nel momento in cui Bellamy entra gli occhi di Clarke scattano verso di lui e lo osservano attentamente , memorizzando ogni dettaglio: l'uniforme delle guardie è leggermente strappata e in alcuni punti è sporca di sangue - il suo?- ; anche il viso è macchiato dello stesso liquido, pieno di tagli e lividi, ma nonostante tutto lo sguardo non vacilla nemmeno per un secondo,  è forte, fiero e determinato.  Solo adesso che i loro occhi si incontrano la ragazza si rende conto si star piangendo, ma prima che lo sguardo di Bellamy parli per lui, i due che lo hanno trascinato fin lì lo obbligano ad andare verso una di quelle croci che hanno visto entrando a Polis.  Prova ad opporre resistenza, sferra un paio di pugni ma sembra del tutto inutile e alla fine si trova lungo la parete alla sinistra di Clarke, con le braccia bloccate da spesse catene. Da questa posizione nota Jaha ed Abby in disparte con una ragazza terrestre, che deduce essere Ontari.  La dottoressa, quando vede che Bellamy è stato immobilizzato, prende qualcosa da una borsa nera e si avvicina a lui. Si volta verso Clarke, mettendo ben in mostra la lama con l’impugnatura già sporca di sangue, e le dice: “Qual è il codice d’accesso?”
Clarke boccheggia. Non sa cosa fare. L’unica cosa di cui è assolutamente consapevole è la lama, rossa del suo sangue, nella mano di sua madre. Sta per prendere fiato per parlare quando una voce profonda la interrompe.
“Clarke.”
Non aggiunge altro, ma avverte un’urgenza che la costringe a spostare lo sguardo su di lui. Come al solito quegli occhi d’onice comunicano molto più delle parole: dicono decisi “Non farlo.”.
Bellamy aveva visto l’incertezza nell’espressione di Clarke e sapeva perfettamente  quali pensieri affollassero la sua mente, per questo motivo aveva deciso che avrebbe scelto lui. Non avrebbe permesso che a causa sua i loro amici fossero condannati, gli sarebbe dovuto costare la vita.
Clarke capisce. Hanno sempre comunicato in questo modo: con una semplice occhiata, un cenno notato solo dai loro occhi ben attenti, avevano preso decisioni difficili ed elaborato piani pericolosi. Adesso lo sguardo di lei dice: “Mi dispiace” e quello di lui: “Lo so. Va fatto.”
Abby, vedendo la nuova forza negli occhi della figlia trasmessale dal ragazzo, immediatamente fa segno ad un terrestre che si occupa di togliergli giacca e maglietta. Clarke ha appena il tempo di sentire il rumore della stoffa strappata che una profonda scia rossa compare sul petto di Bellamy. Egli emette un gemito soffocato ripromettendosi, vedendo gli occhi lucidi che ha di fronte, di non lasciarsi cogliere nuovamente di sorpresa, altrimenti tutto sarà stato inutile.
Jaha, che finora era rimasto in disparte, si allontana da Ontari e prende parola:        
“Clarke, non far soffrire così Bellamy. Sai benissimo come impedirlo. E poi quanto pensi che possa resistere? È forte ma fino a che punto? Davvero vuoi avere anche il suo sangue sulle tue mani? La consapevolezza che anche la sua morte è a causa tua?”
L’ex cancelliere non accenna a voler interrompere la raffica di domande. Ogni frase è come una stilettata al veleno direttamente al cuore della ragazza, e Bellamy ne è ben cosciente. Sa che Clarke incolpa sé stessa per tutto ciò che è accaduto: sono una sua responsabilità i morti di Mount Weather, quelli di Tondc, Finn, e ora anche Lexa… sono tutti fardelli che sa porterà sulla coscienza per sempre, e il loro sangue non andrà mai via dalle sue mani. E lui, per colpa della sua rabbia distruttiva, non ha mancato di ricordarglielo. Si pente per quello che le aveva detto, è una delle cose che rimpiange di più.
“Non sei tu il capo qui, ed è una buona cosa perché la gente muore quando sei in carica.”
Si era odiato mentre lo diceva e non crede smetterà mai di farlo.  E ora Jaha sta facendo esattamente la stessa cosa. È una tortura psicologica per lei, ed è un tormento per Bellamy vederla soffrire così sapendo che gran parte di quella sofferenza è stata inflitta anche dalle sue parole.
Clarke non riesce ad alzare lo sguardo né su Thelonious, né su sua madre, né su Bellamy. Ha le labbra serrate per impedirsi di singhiozzare, nonostante tutto ciò che le viene detto sia l’indiscutibile verità; non vuole dare ad A.L.I.E. la soddisfazione di vedere l’effetto di quelle parole su di lei.
“Dacci il codice Clarke, e tutto questo finirà”.
Dato il silenzio della figlia Abby torna a rivolgere l’attenzione sul ragazzo, lo sguardo freddo e vuoto mentre posa nuovamente la lama sul suo petto, questa volta molto – troppo- lentamente, e mentre lui a stento trattiene un lamento.
 
Non sanno per quanto tempo sono andati avanti.
I secondi sembrano minuti, i minuti ore e le ore giorni. La luce fuori si è spenta da un tempo che sembra infinito.
Il busto di Bellamy è coperto da tagli profondi – ognuno accompagnato da versi di dolore più o meno forti – da cui scendono rivoli rossi, il sangue ha formato una macchia larga ai suoi piedi, il volto stremato è coperto di lividi ed imperlato di sudore , le braccia e le gambe tremano leggermente per la fatica di mantenere le stessa posizione per ore. Lo stesso vale per Clarke: gli arti sono dolenti, a causa delle ferite sul petto anche respirare fa male, gli occhi bruciano per le lacrime trattenute e tradiscono la stanchezza.
Sono rimasti soli, solo due uomini fuori la porta chiusa lasciati a sorvegliarli, il silenzio opprimente interrotto solo da respiri – soprattutto quelli di Bellamy – corti ed affannosi.
“Come stai?”
È il ragazzo a rompere la quiete.
“Bene”, la risposta frettolosa. Non è affatto così, entrambi lo sanno, ma di solito quella piccola bugia, che hanno detto fin troppe volte, dà conforto ad almeno uno dei due.
“Clarke…”
Vuole che alzi lo sguardo, che non sfugga come sempre ai suoi occhi. Non ora che potrebbe essere una delle loro ultime possibilità di parlare.
“Tu piuttosto come ti senti?”
“Mai stato meglio” scherza per allentare la tensione.
La testa della ragazza scatta verso di lui, permettendogli di guardarle il volto e lasciandolo senza parole.
“Ma come fai a scherzare? Come fai a parlarmi ancora, dopo tutto quello che ti stanno facendo per colpa mia?” alza leggermente la voce.
Non la aveva mai vista crollare così. Non sembra nemmeno più lei: il labbro inferiore trema incontrollato nel tentativo di soffocare i singhiozzi che le scuotono il petto, stille salate scivolano velocemente sulle guance senza fermarsi, e sembra che l’oceano blu dei suoi occhi sia straripato dai confini da lei stessa imposti, riversando insieme alle lacrime i sentimenti che finora ha tenuto dentro di sé. Dicono che non avrebbe dimenticato facilmente quello che Bellamy è stato costretto a subire quel giorno. Tagli su tagli, ognuno più profondo di quello precedente ed addirittura alcuni vicino ad arterie o vene importanti, che la mano di sua madre ha provocato; il sangue che cola lentamente e forma sul suo petto macabri disegni; il tremito del suo corpo mentre si prepara ad una nuova ondata di dolore; ogni singolo respiro trattenuto per evitare di gridare… Tutto questo sarebbe stato impresso a fuoco nella sua memoria fino alla sua morte.
La consapevolezza di ciò gli fa male più di ogni ferita infertagli in quelle ore. È un dolore che desidera prendere su di sé per alleggerire il cuore di Clarke che già porta fin troppi pesi.
Ora è il turno del ragazzo di evitare il suo sguardo. Non sa cosa dire.
“Non è colpa tua” ? “È stata una mia decisione”? Nulla di tutto questo potrebbe farla sentire meglio, farla smettere di piangere - infatti ormai non si preoccupa neanche più di trattenersi - . Ancora una volta la sofferenza di Clarke diventa quella di Bellamy, ed è atrocemente doloroso.
“Clarke…” torna a guardarla negli occhi.
“Cosa?” la voce trema e le lacrime scorrono, ma lei non si nasconde.
“Ricordi quando a Mount Weather abbiamo tirato quella leva? Lo abbiamo fatto insieme. Era l’unica scelta che avevamo per salvare tutti, e l’abbiamo fatto. Adesso dobbiamo fare lo stesso, e lo faremo. Insieme. È la nostra sola opzione e non possiamo condannare tutti.”
È stato difficile rievocare quei momenti. Tormentano ancora i sogni di entrambi. A volte Bellamy crede di vedere i loro volti: Maya, suo padre, il figlio di Lovejoy, persino Dante. Poi si accorge che non sono altro che i loro fantasmi che infestano la sua mente.
“Bellamy, io ho paura.” ammette Clarke chinando il capo.
“Non devi preoccuparti, non ti faranno nulla.” E di questo ne è certo. È troppo preziosa perché rischino in qualsiasi modo la sua vita.
“Non intendevo per me…” continua lei.
Anche Bellamy ha paura. Teme di non rivedere più Octavia, di non avere la possibilità di farsi perdonare da lei per le cose orribili che ha fatto, di non rivedere più i volti dei suoi amici… di non poter più vedere il viso di Clarke.
“Non ti libererai di me così facilmente.” Dice in risposta, esibendo un sorriso amaro.
In quel momento Abby e Jaha irrompono nella stanza, seguiti da un uomo di Arkadia. Questo si avvicina a Bellamy e lo osserva con lo sguardo freddo e assente tipico di chi ha preso il chip.
A Clarke non è sfuggita la sua presenza; davanti al ragazzo sembra quasi imponente e minaccioso, sebbene sia più alto di soli pochi centimetri.
“Qual è il codice d’accesso Clarke?” chiede Abby come un automa.                                         
“Non posso dirtelo.” risponde determinata.
Bellamy le ha dato nuovo coraggio con le sue parole: le ha ricordato che non è da sola a lottare, perché al suo fianco lui ci sarà sempre. E lei ha fiducia in lui.
Ad un cenno di Jaha l’uomo comincia a colpire il ragazzo con pugni potenti. Non era preparato a questo e viene colto di sorpresa dal dolore alla mascella, seguito immediatamente da un colpo alla bocca dello stomaco. Dopo quattro colpi l’uomo di ferma e Thelonious ripete la domanda; il silenzio che ne segue viene sostituito in pochi secondi dal rumore sordo dei pugni e dai gemiti di Bellamy. Ha gli occhi serrati e il cuore batte nel petto come un martello pneumatico; alcune ferite che prima si erano richiuse ora perdono nuovamente il prezioso sangue, di cui avverte il sapore metallico anche in bocca e sente scorrere su una tempia.
“Fermo! No fermati!”
È Clarke. Non si è nemmeno accorta di quello che stava dicendo finché non è uscito dalla sue labbra. Ma non può continuare a guardare e restare impassibile mentre Bellamy viene picchiato a sangue. Sente una morsa al cuore per ogni colpo che va a segno e per ogni smorfia di dolore che compare sul suo volto.
“Sai come fermarlo.” Le risponde Abby.
“I-io…”
Sta vacillando.
“Non…dirlo…” boccheggia Bellamy sforzandosi ad alzare lo sguardo.
Un altro pugno gli raggiunge lo stomaco e lo costringe a tossire. Clarke con orrore vede il sangue scivolare dalle labbra, ormai scarlatte, e imbrattargli il mento. Subito dopo altri due lo colpiscono al volto ed improvvisamente le sue gambe cedono e lui perde i sensi.
“Bellamy!” grida Clarke terrorizzata, divincolandosi per tentare di liberarsi e raggiungerlo.
“È ancora vivo,” annuncia con freddezza Abby “pensa bene a cosa fare mentre si riprende.”
E i tre escono dalla sala.
“Bellamy!” l’eco del suo nome rimbomba nella sala, ma il ragazzo non si muove.
“Oddio… Bellamy apri gli occhi!”
Clarke singhiozza mentre parla. Cosa ha fatto? Li ha provocati, spinti a ricorrere ad altre e più dolorose misure per farla parlare, e Bellamy è stato quello che ne ha dovuto subire le conseguenze.
“Lo so che mi senti, svegliati!” continua.
Il mondo arriva ovattato alle orecchie del ragazzo. Sente una voce ma non riesce ad identificarla né a capire cosa dice. Riprende lentamente coscienza ed ogni parte del suo corpo man a mano torna ad avvertire il dolore dei colpi subiti: i tagli sul petto bruciano, sente il volto gonfio, lo stomaco implora pietà per quei pugni violenti. Quanto tempo è passato? Non capisce più nulla. Nella sua testa c’è solo confusione. È come se il mondo gli girasse intorno e lui lo avvertisse anche senza aprire gli occhi; sembra di stare sulla navicella con cui sono atterrati sulla Terra sei mesi prima. Cercando di combattere la nausea prova ad alzare le palpebre pesanti, senza molti risultati. Ora le parole che sente sono più chiare: dicono il suo nome e lo incoraggiano ad aprire gli occhi.
La voce singhiozza e lui sente di conoscerla, ma non riesce a ricordare. Nella sua mente vorticosa scorrono le immagini di alcuni volti: Octavia, Jasper, Monty, Raven, Miller, Murphy… perfino Murphy!
“Bellamy! Ti prego apri gli occhi!”
È Clarke.
Apre di scatto gli occhi e la bocca cercando di respirare meglio, ma tutto ciò che ottiene è un suono strozzato.
Finalmente si è svegliato. Il sollievo colpisce Clarke con un’intensità indescrivibile. Non era stato così forte quando aveva saputo che non era rimasto ucciso nell’esplosione dei razzi, nemmeno quando l’aveva visto tornare ad Arkadia insieme ad Octavia, Monroe ed una ragazza della stazione industriale, né quando aveva sentito la sua voce attraverso la radio, neanche quando l’aveva visto aprire la porta nei tunnel dei mietitori dopo giorni che avevano perso i contatti con lui. Il conforto è tale da bloccarle il respiro. Lo sguardo di Bellamy immediatamente cade sulla figura di Clarke: sulle labbra ha un sorriso tremante ed incerto e gli occhi vagano senza sosta sul suo viso, come ad accertarsi che non sia un miraggio.
“Bellamy…” singhiozza “Come ti senti?”
“Ho la testa che è un casino e la vista un po’ appannata.”
“Devi avere una leggera commozione celebrale.” Analizza il medico che è in lei.
“Quel tizio ci è andato giù pesante..” Ora Bellamy riesce a reggersi meglio sulle gambe, dando tregua alle braccia che imploravano pietà.
La porta si spalanca rumorosamente facendo entrare Jaha e due uomini, uno di Arkadia e l’altro un terrestre, che avvicinano un braciere acceso al ragazzo mentre Thelonious parla con Clarke.
“Clarke ci serve il codice.”
La ragazza lo fissa con occhi di sfida, determinata a non fiatare. Tra i tizzoni ardenti del braciere, intanto, viene messo un coltello a lama lunga.
“Non costringermi a farlo.” Dice Jaha rispondendo allo sguardo di Clarke con altrettanta forza.
“La tua ostinazione non farà altro che prolungare le sue sofferenze” ed indica Bellamy.
Come se queste parole fossero state un segnale uno dei due uomini estrae la lama incandescente e con uno scatto improvviso la poggia sul fianco destro del ragazzo.
Non riesce a trattenere le urla. Tutto il corpo ha uno spasmo per il dolore: gli sembra di non aver mai sofferto più di così; ciò che aveva subito dentro Mount Weather a confronto è una carezza. L’odore della propria carne bruciata gli invade prepotente le narici e la sua mente non riesce a percepire altro se non la sensazione di andare completamente a fuoco. Finalmente la lama viene allontanata lasciando un segno rosso vivo e il corpo martoriato in preda al dolore lancinante.
L’ex cancelliere torna a rivolgersi alla ragazza che aveva distolto lo sguardo e serrato gli occhi umidi, incapace di assistere a quella tortura.
“Allora Clarke?”
Lentamente - quasi non ne avesse il coraggio - alza la testa in direzione di Bellamy: sembra sia sul punto di svenire nuovamente, è pallido e ricoperto da un velo di sudore, col volto contratto per il dolore… l’eco delle sue urla continua a rimbombare nelle orecchie e nella mente di Clarke.
Come può costringerlo a soffrire ancora?
Thelonious interpreta il silenzio come una risposta negativa e di nuovo la lama incontra la pelle di Bellamy, che non ha la forza di trattenersi.
Clarke vede il mondo tremante a causa delle lacrime e, nonostante sappia di non poter veramente porre fine a quella sofferenza, non riesce a fare a meno di provare a farli smettere.
“Per favore basta! Fermi!”
Il grido di Clarke supera quelli assordanti di Bellamy, ma il ragazzo non può far altro che registrarlo nel piccolo spazio della sua mente non occupato dalla sofferenza. Ogni secondo che passa il calore diventa sempre più insopportabile, gli sembra quasi che la pelle si stacchi da lui e lasci la carne in balia del fuoco.
Dopo quella che sembra un’eternità il metallo arroventato lo lascia, permettendo alle sue corde vocali di fermarsi e alla mente e al corpo di riprendersi. Anche la gola di Clarke brucia; non ha smesso di urlare neanche per un attimo.
“Forse se tu sapessi cosa sta subendo quel ragazzo saresti più motivata…” propone Jaha e, ad un suo cenno, l’aguzzino si incammina verso di lei col coltello, arancione brillante per il calore, nella mano.
“Non azzardatevi…”
È Bellamy ad aver parlato. Il tono delle sue parole è deciso, forte e minaccioso; la ragazza osserva con occhi sgranati il volto serio che, nonostante ciò che ha appena subito, è fiero e da cui non traspare la minima sofferenza o esitazione.
Quando aveva sentito quello che Jaha minacciava qualcosa nel suo cervello era scattato e si era immediatamente girato verso di lui e pronunciato quelle parole. Purtroppo non può dirsi uno scontro pari perché lui è immobilizzato e ferito mentre l’uomo può fargli quel che vuole – e soprattutto può farlo a Clarke. La vede lì, con le lacrime agli occhi azzurri luccicanti e spalancati per quella sua reazione improvvisa, che lo osserva con le labbra leggermente dischiuse per la sorpresa. Non può permetterlo: ogni ferita è dolorosa come una coltellata – guarda con rabbia i due rivoli di sangue secco che imbrattano la pelle bianca, desiderando di farla pagare a chiunque abbia osato toccarla -; vorrebbe essere libero per frapporsi tra lei e la lama bollente, proteggerla da quella sofferenza, prenderla su di sé se necessario. E invece non può che stare a guardare impotente.
Il cuore di Clarke batte sempre più velocemente mentre l’uomo si avvicina: non vuole mostrarsi debole perciò tiene lo sguardo fisso davanti a sé e le labbra strette in una linea dura. Non batte ciglio mentre le viene alzata la maglia lasciando scoperta la pancia, né quando la voce di Thelonious le annuncia: “Ultima possibilità.”.
E poi lo sente, poco sotto lo stomaco. Tutto ciò che le sfugge è un gemito mentre mantiene il controllo sul resto del corpo. Si morde le labbra fino a sentire il sapore metallico del sangue  – qualche goccia le macchia il contorno della bocca - , i pugni dietro la schiena stretti e tremanti, ma gli occhi anche se leggermente lucidi non vacillano. Il calore scompare e la ragazza riprende fiato insieme a Bellamy che, mentre teneva lo sguardo fisso su di lei, aveva continuato a ringhiare frasi sconnesse:
“Non osate toccarla! Maledizione fermati! Me la pagherete!”
Thelonious , sul cui volto per un attimo è comparsa una smorfia di frustrazione, prende ancora la parola:
“Ora che ne hai avuto un assaggio, tieni bene a mente quello che con la tua testardaggine gli stai infliggendo” dice alludendo a Bellamy.
I due uomini si apprestano a riscaldare nuovamente la lama…
 
Hanno completamente perso la cognizione del tempo. Fuori si sente il rumore della pioggia scrosciante ed il fragore dei tuoni; una tempesta in piena regola. L’unica luce nella sala del trono è fornita dalle candele e Bellamy non saprebbe dire se sia giorno oppure notte. I due hanno alternato fasi di veglia ed incoscienza – troppo tesi per dormire e troppo esausti per restare lucidi - , ora Clarke sta riposando inquieta e il ragazzo la osserva silenzioso.
Quanto sono cambiati dall’ultima volta che è successo? Quanto è cambiato il mondo in solamente tre mesi? Sono distrutti da quello che hanno dovuto fare, le scelte sbagliate che hanno preso, gli orrori che hanno visto ed affrontato, il male che si sono fatti a vicenda. Eppure sono lì, ancora loro stessi.
Esattamente come l’ultima volta mentre i pensieri di Bellamy corrono, Clarke si sveglia puntando gli occhi oceano dritti nei suoi. Un fulmine per un attimo inonda la stanza di luce bianca.
Non parlano ma quel silenzio è confortante e familiare; continuano a scrutarsi e comunicare con lo sguardo, a malapena consapevoli del tempo che passa e del temporale. È come se tutto si fosse fermato all’interno di quella bolla sicura ed accogliente. Sanno che dovrebbero escogitare un modo per liberarsi – non possono restare lì per sempre! – e per recuperare la Fiamma, ma i polsi legati ricordano ferocemente ad entrambi che non hanno possibilità di farlo.
Nonostante quell’assurda situazione, il pericolo che corrono, per Clarke la cosa essenziale è che Bellamy stia bene, e per Bellamy che Clarke sia al sicuro: in quel momento non importa altro. Nessuno dei due avrebbe pensato sei mesi prima che l’altro sarebbe diventato così importante. Quando si erano incontrati per la prima volta erano semplicemente la principessa coraggiosa e il re ribelle. Sembra passata una vita da allora… da quando tutto era ancora semplice, quando erano pieni di speranza e di fiducia nella casa sconosciuta dell’umanità, nella Terra.
“Dovresti riposare” dice Clarke, senza spostare gli occhi da quelli color onice di Bellamy.
“Sto bene” minimizza lui chiudendo la conversazione.
Ritorna il silenzio e loro continuano a farsi trasportare dal flusso dei pensieri.
Il boato della porta che si spalanca interrompe la quiete ed improvvisamente tutto sembra diventare frenetico. Ad irrompere nella stanza sono Abby e due terrestri e, senza alcuna perdita di tempo, la donna si mette davanti la figlia mentre uno dei due va da una parte all’altra della sala quasi febbrilmente.
“Clarke abbiamo bisogno di quel codice” pronuncia inflessibile la dottoressa “È l’ultima possibilità che hai per dircelo. Se non lo farai le conseguenze saranno irreparabili”
Sua madre si sposta indicandole il terrestre che si avvicina dal lato opposto della stanza: sta annodando una spessa corda bianca. Inizialmente non comprende la minaccia – è un semplice pezzo di corda! – ma poi capisce ed è come se la sua mente sia andata in blackout; il cervello non elabora pensieri coerenti e tutto è scomparso tranne il cappio appena legato.
“Non preoccuparti, non è per te.”
“Sarebbe meglio se lo fosse” , l’unica cosa che vorrebbe dire non riesce ad uscire dalle labbra intorpidite. È solamente in grado di guardare il ragazzo che per colpa sua sta per essere impiccato.
Ora che la consapevolezza di quello che sta per accadergli occupa prepotentemente la sua mente, il cuore di Bellamy accelera e si forma un nodo in gola che gli fa mozzare il respiro. Mentre gli uomini sistemano la corda su una trave Abby continua ad incalzare Clarke. Una parte del cervello della ragazza cerca furiosamente una scappatoia, l’altra invece è ancora paralizzata per lo shock. Come può salvarlo? Condannerebbe tutti ad essere schiavi di A.L.I.E.? Ciò che sa per certo è che non può perderlo. Non può vedere morire anche lui.
Le catene che gli tenevano le braccia bloccate vengono sciolte e il corpo di Bellamy cade in avanti a malapena retto dalle gambe, come una marionetta a cui vengono tagliati i fili. È troppo debole per opporre una vera resistenza contro le mani serrate sugli arti superiori ma non intende arrendersi e morire senza aver fatto nulla, non vuole rassegnarsi. Clarke osserva gli strattoni stanchi del ragazzo mentre viene portato verso la parete destra della sala, sotto la trave.
“Qual è il codice?” dice Abby.
Non risponde, ha la bocca socchiusa e il petto si muove freneticamente su e giù. Ad un cenno della dottoressa Bellamy viene spinto a salire su un piccolo barile di metallo dall’equilibrio incerto. Deglutisce vistosamente trovandosi la corda davanti al volto e i suoi occhi corrono al viso di Clarke per quella che potrebbe essere l’ultima volta.
Trema. È terrorizzata. Il suo sguardo azzurro fisso su di lui sembra chiedergli scusa; vorrebbe confortarla ma può solo rivolgerle un mezzo sorriso rassicurante, nonostante egli stesso sia impaurito. Non vuole morire: vuole vivere per meritarsi il perdono di sua sorella e di tutti quelli che ha deluso, vuole riuscire a perdonare sé stesso. I terrestri gli mettono il cappio intorno al collo.
“No…” mormora Clarke.
Un’idea! Serve una soluzione, maledizione!
Il barile sotto il ragazzo vacilla.
“Non fatelo…” la voce è poco più di un sussurro.
“Il codice Clarke.”
“Non posso! I-io non posso!” lacrime silenziose scorrono sul suo viso. Le sembra di impazzire.
Lo uccideranno! Lo uccideranno e lei non può impedirlo!
Un clangore metallico e i piedi di Bellamy sono sospesi nel vuoto. La corda gli schiaccia la trachea impedendo all’aria di arrivare ai polmoni.
“No!” sente Clarke che grida e singhiozza.
“Ti prego! Ti prego!”
Sua madre? A.L.I.E.? Non sa neanche lei chi sta implorando. Cerca freneticamente di liberare i polsi. Deve tirarlo giù. Quanto tempo è passato?
La vista gli si sta lentamente oscurando e comincia a non sentire più gli arti inferiori. È davvero qui che finisce allora?
I movimenti del ragazzo stanno diventando sempre più lenti e deboli.
“No basta! Basta!”
Lo sta perdendo. Sta perdendo Bellamy. Bellamy non respira più.
Qualcosa scatta dentro di lei: ha preso una decisione senza nemmeno rendersene conto. Sta prendendo fiato per gridare quando la porta si apre violentemente e due persone, con un fucile a testa, sparano ai terrestri e ad Abby. Tutti e tre cadono e per un attimo Clarke pensa con orrore che siano morti. Il gelo nelle sue vene si interrompe quando però nota sul braccio della madre una freccetta bianca e rossa: sono i tranquillanti che venivano usati dagli uomini di Mount Weather.
Miller le si avvicina mentre velocemente Murphy taglia la corda che tiene Bellamy sospeso e il ragazzo cade con un tonfo pesante. Clarke nota di sfuggita Nathan che la libera – il sangue fluisce quasi dolorosamente nelle mani intorpidite – tanto che è concentrata sulla figura inerme distesa supina a terra. Appena si rende conto di potersi muovere si precipita verso di lui; Murphy ha già allentato la corda intorno al suo collo perciò con mani tremanti e caute la rimuove completamente e, col cuore in gola, poggia l’orecchio sul petto del ragazzo. Lo sente… il battito del suo cuore è lento, ma l’organo pulsa con decisione e senza incertezze, e a Clarke sembra la melodia più bella che esista. Alza il capo osservando attentamente il suo viso: sul collo è ben evidente il segno rosso della corda, le labbra sul volto sporco di sangue secco sono socchiuse e gli occhi, che prima erano chiusi, ora sono semi aperti e due pietre d’onice brillante la stanno scrutando. Non si è neanche accorta di aver ripreso a piangere – stavolta di felicità. È lì, vivo; addirittura accenna un sorriso che contagia anche lei. In pochi attimi il sollievo lascia spazio alla sensazione di averlo quasi perso che, prepotente, genera nuove stille nei suoi occhi. Lo abbraccia, teme di potergli aver fatto male – in fondo è coperto di ferite e lividi – ma lui non emette alcun verso di dolore, anzi le sue braccia salgono sulla schiena della ragazza e la stringono.
“Bellamy, Bellamy, Bellamy…” strizzando gli occhi singhiozza il suo nome senza sosta, quasi ad accertarsi che sia reale.
“Va tutto bene Clarke, va tutto bene…” la stringe un po’ più forte. Questa volta non è una bugia; va veramente tutto bene perché sono feriti e stanchi, ma sono vivi.
Sono a malapena consapevoli dei commenti sarcastici di Murphy – che non sanno neanche perché sia lì, tanto per cominciare – né di Miller che li aggiorna sulla situazione. Colgono degli sprazzi: “Tre giorni… recuperare munizioni… gli altri stanno arrivando” ma di quello se ne occuperanno dopo.
Bellamy sente dolore in ogni cellula ed accoglie ogni fitta felicemente, mentre la ragazza tra le sue braccia continua ad ascoltare il suo cuore palpitante: l’universo si è fermato in quel momento.
“Stavo per dirlo” sussurra ad un tratto Clarke, ancora stretta nel suo abbraccio e la voce tremula.
“Cosa?” risponde confuso.
Dopo un attimo di pausa la ragazza prosegue.
“Io stavo per rivelare il codice.”







Salve a tutti!
È la prima storia che scrivo su questa serie tv perciò siate clementi >.<
L'idea mi è venuta vedendo la 3x15, nel momento in cui Abby pronuncia le parole (che quindi sono diventate di prepotenza il titolo della fic) "Start with Bellamy Blake"
A quel punto ho immediatamente immaginato come sarebbero potute andare le cose se Murphy non fosse intervenuto. E quindi ecco qui cosa ha prodotto la mia immaginazione!
Grazie a chiunque leggerà e/o recensirà.
Baci dalla vostra Summer_day <3 
   
 
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