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Autore: Marilia__88    22/09/2016    2 recensioni
A volte la vita non va come vorremmo. A volte ci pone davanti ostacoli troppo difficili da superare. A volte, quando tutto sembra andare per il verso giusto, accade qualcosa che ci porta verso nuove strade, spesso troppo oscure.
Questo è ciò che è successo a Sherlock Holmes. Un uomo che amava la sua vita. Un uomo che da un giorno all'altro ha perso tutto, anche la voglia di andare avanti. Forse l'incontro con qualcuno di speciale può fargli capire che c'è ancora qualcosa di bello nella vita, che può ancora fare qualcosa di buono e lasciare un segno indelebile del suo passaggio su questa terra.
JOHNLOCK! - Ispirata al libro "IO PRIMA DI TE".
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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                      ME BEFORE YOU




 


                                                                
                                                                  Discovery





… La verità era che non riusciva a sopportare di vederlo soffrire.
La verità era che teneva a lui più di quanto avesse mai immaginato, più di quanto avesse mai voluto.
E questo faceva paura.
 
 
 



 
Il ricordo della felicità non è più felicità;

il ricordo del dolore è ancora dolore.

(G.G.Byron)
 
 






Mike uscì dalla dependance due ore dopo. Aveva monitorato attentamente le condizioni di Sherlock, eseguendo tutte le procedure adeguate per aiutarlo a riprendersi.

Trovò John seduto sui gradini esterni. Non indossava la giacca e tremava leggermente a causa del freddo.

La neve continuava a cadere in abbondanza e, con l’avvicinarsi della sera, si era alzato un venticello così gelido, tanto da riuscire a penetrare fin dentro le ossa.

“John…” lo chiamò con cautela.

Il medico non rispose. Continuava a sfregarsi le mani nel tentativo di riscaldarle e fissava insistentemente un punto indefinito davanti a sé.

Stamford si sedette di fianco a lui. “Stai bene?”.

John annuì semplicemente e sospirò.

“Entra dentro. Ti prenderai un accidente se continui a rimanere qui al freddo”.

Il medico si passò le mani gelide sul viso. Sperava che quel freddo inteso riuscisse ad anestetizzare, almeno in parte, tutta la sofferenza e tutta la paura che gli stavano comprimendo lo stomaco in una morsa dolente.

“Mike, non pensavo che vederlo in quelle condizioni potesse sconvolgermi così tanto” confessò poi con un filo di voce.

Mike sorrise e gli passò una mano sulla schiena. “Anche per me non è mai facile, John. Gli voglio bene ed è normale sentirsi così”.

“Ma sono un medico. Dovrei riuscire a mantenere un certo distacco”.

“Lo so, ma il distacco professionale va un po' a farsi benedire quando entrano in ballo i sentimenti” rispose dolcemente Stamford “E non devi fartene una colpa”.

John si voltò verso di lui e sorrise leggermente imbarazzato.

Mike ricambiò il sorriso. “Ora vai dentro. Io devo andarmene. Controllargli la temperatura ogni due ore, ma ormai non dovrebbe avere più problemi. In caso, sai cosa fare”.
 
 
 









Il signor Holmes entrò nella stanza di suo figlio.

Osservò la piccola figura di John rannicchiata sulla poltrona di fronte al letto di Sherlock. Teneva una tazza di tè tra le mani, che sorseggiava ad intervalli regolari.

“John, il suo orario è finito da un po', ormai. Vada pure, posso restare io con lui”.

“No, non si preoccupi. Preferisco restare qui questa notte. Vada pure a riposarsi, la avviso in caso di problemi” rispose John.

Siger si lasciò sfuggire un lieve sorriso. Diede un’ultima occhiata a suo figlio, che giaceva nel letto profondamente addormentato, e poi di nuovo a John. “Va bene. La ringrazio”.

Il medico passò le ore successive ad osservare Sherlock. I suoi riccioli ribelli, forse un po' troppo lunghi, che ricedevano sul cuscino; i lineamenti del suo viso, provato e debilitato dalla sua condizione; i suoi zigomi pronunciati, da sembrare quasi taglienti; quello strato di barbetta incolta, che nascondeva un po' della sua carnagione pallida. Riuscì a catalogare mentalmente tutti quei piccoli dettagli e si ritrovò a sorridere mentre lo faceva.

Vedeva il suo petto alzarsi e abbassarsi da sotto le coperte. Il suo respiro ancora leggermente affannato a causa della febbre.

Sembrava un uomo così fragile ed indifeso. Decisamente l’opposto di come appariva nelle numerose foto che aveva visto su quegli articoli.

Non poteva fare a meno di chiedersi come sarebbe stato incontrarlo prima del suo incidente. Come sarebbe stato il loro primo incontro? Lo avrebbe trattato con diffidenza, lo avrebbe completamente ignorato o lo avrebbe accolto di buon grado nella sua vita?

Magari lo avrebbe trascinato su una scena del crimine e avrebbero parlato del più e del meno di fronte ad un cadavere, ridendo di quanto potesse sembrare assurda quella situazione.

Magari Sherlock avrebbe esposto con altezzosità le sue strabilianti deduzioni e lui si sarebbe lasciato sfuggire un “fantastico”, non curante di tutte le persone che avevano intorno.

Magari avrebbero risolto un caso insieme o avrebbero rincorso qualche criminale per le strade di Londra, gamba permettendo, naturalmente.

Tutti quei “magari”, tutti quei dubbi e tutte quelle fantasie su come sarebbe potuto essere, pesavano sul cuore come dei grossi macigni.

Non poteva sapere come sarebbe stato e, purtroppo, non avrebbe mai potuto scoprirlo.



 
“Che ore sono?” la flebile voce di Sherlock lo fece sussultare.

John si alzò di scatto dalla poltrona e si avvicinò a lui. “Sono le undici”.

“Cosa ci fai qui a quest’ora? Il tuo orario è finito da un pezzo!” esclamò Holmes visibilmente sorpreso.

“Rimango qui per questa notte. Preferisco tenerti sotto controllo”.

“Già, potrei decidere di scappare via!” ironizzò Sherlock. Quelle parole, però, non fecero ridere né lui, né il medico, ma riuscirono a creare soltanto, intorno a loro, un clima di profonda tristezza ed angoscia.

John fece un profondo respiro. “Posso chiederti una cosa?”.

Holmes lo guardò e sorrise. “Suppongo che tu stia per farlo comunque”.

“Com’è successo?”.

“Come mi sono ridotto così?” chiese Sherlock, ritornando serio.

“Si”.

“Mi stavo recando su una scena del crimine. E una moto mi ha investito”.

Il medico sospirò ed abbassò lo sguardo.

“John, che c’è?”.

“Niente…”.

Holmes alzò gli occhi al cielo e sbuffò spazientito. “C’è qualcosa che non va, riesco a leggerlo nei tuoi occhi”.

“Ti ricordi qualcosa di oggi pomeriggio?” chiese John titubante.

“Solo di aver chiesto a mio padre di aiutarmi a mettermi a letto. Perché?”.

“No, niente. Lascia stare”.

“Per l’amor del cielo, John! Vuoi deciderti a parlare?” sbottò Sherlock esasperato.

“Mentre deliravi a causa della febbre alta” iniziò il medico con voce tremante, continuando a fissare il pavimento “mi hai detto che volevi andartene da qui…e m-mi hai chiesto di riportarti a casa tua” aggiunse con un evidente difficoltà.

Era difficile dover ritornare con la mente a quei momenti, a quei ricordi.

Holmes aprì la bocca per rispondere, ma la richiuse subito dopo. Non sapeva cosa dire. Senza neanche rendersene conto, era riuscito a dare voce al suo più grande e tormentato desiderio nascosto.

“Non lo sopporti, vero? Vivere qui, intendo.” chiese tristemente John.

“Già…”.

“Non hai mai pensato di riprendere il tuo lavoro? Di trovare un modo che ti permettesse di svolgerlo comunque?”.

Sherlock spostò lo sguardo verso il soffitto. Era uno sguardo carico di amarezza. “Certo che ci ho pensato, John! Ci ho pensato così tante volte!” rispose con voce rotta mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime “Sai, subito dopo l’incidente ho anche creduto di poterci riuscire, di poter riprendere in mano la mia vita come se niente fosse…ma purtroppo poi ho capito che la realtà era ben diversa”.

Il medico avvertì nuovamente quella fitta nel petto. “Scusami, non avrei dovuto farti tutte queste domande. Forse è meglio se vado di là e ti lascio riposare” disse, avviandosi verso la porta.

“No, John. Resta, ti prego. Dimmi qualcosa di bello”.

John si voltò e sorrise. “Cosa vuoi che ti dica? Hai già praticamente dedotto tutta la mia vita solo guardandomi!”.

“Cos’è successo in Afghanistan? Ti hanno sparato?” chiese Holmes a bruciapelo, guardando verso la gamba.

Il medico strinse le labbra ed annuì. “Si, alla spalla”.

“Oh, la spalla. Come pensavo!” esclamò Sherlock pensieroso.

“No, non è vero!”.

“Quella sinistra”.

“Hai tirato ad indovinare!” ribatté John, ridacchiando divertito.

“Non lo faccio mai” rispose Holmes con una finta espressione offesa.

“Si, invece!”.

Anche sul volto di Sherlock si allargò un sorriso.

I due si fissarono per qualche istante, poi scoppiarono a ridere.
 
 






 
Stava correndo lungo Baker Street alla ricerca di un taxi.
Il cellulare squillò nella sua tasca e, incurante della pioggia, lo afferrò e rispose. “Sherlock Holmes”.

“Sherlock, ma dove diavolo sei?”. Dall’altro capo del telefono la voce di Greg risuonò con urgenza.

“Sto arrivando!” rispose “Sembra che tutti i taxi della città siano spariti!”.

“Vengo a prenderti?”.

Vide un taxi fermo dall’altra parte della strada che sembrava libero. “Sto arrivando” disse prima di chiudere la telefonata “Taxi!” urlò, iniziando ad attraversare la strada.

Sentì il rombo di una moto che correva esattamente nella sua direzione ad una velocità folle. Era ormai già troppo vicina per evitarla. Il cellulare gli cadde dalle mani, infrangendosi sull’asfalto bagnato. Sentì un urlo, probabilmente il suo.

L’ultima cosa che vide fu un guanto di pelle nera, un volto sotto ad un casco e il suo stesso choc riflesso negli occhi di un uomo.

E poi più nulla.

 
Sherlock si svegliò di soprassalto. Sentiva le lacrime pizzicare fastidiosamente agli angoli degli occhi.

Non era la prima volta che aveva quell’incubo. Non era la prima volta che sognava il giorno del suo incidente, ed era stanco di dover rivivere costantemente quello straziante episodio della sua vita.

Cercò John con lo sguardo e notò che la poltrona era vuota. Poi alzò lentamente la testa, quel poco che gli era possibile, e lo vide. Si era addormentato in un angolo, ai piedi del suo letto.

Era rannicchiato su sé stesso, coperto semplicemente da un piccolo plaid.

In quel momento si trovava così vicino, eppure così lontano. Se solo avesse potuto muovere la gamba, avrebbe potuto sentire il confortante calore del suo corpo diffondersi da fin sopra le coperte.

Era profondamente addormentato, ma il suo volto non era pianamente disteso. Di tanto in tanto poteva intravedere qualche piccola smorfia o riusciva a percepire alcuni movimenti improvvisi delle sue braccia.

Non poteva credere che un uomo così straordinario fosse disteso lì, nella sua stanza, sul suo letto, e che si trovasse lì soltanto per lui.

Pensava di trascorrere il suo ultimo anno di vita da solo. Pensava di dover sopravvivere giorno dopo giorno, desiderando ardentemente l’avvicinarsi della data prestabilita. E invece quel piccolo e grande uomo, così forte e fragile al tempo stesso, non solo era entrato nella sua vita, ma la stava stravolgendo, la stava ravvivando, come un improvviso e straordinario miracolo.

Ecco, era proprio questo.

John Watson era il suo miracolo. Era l’unico pensiero che gli facesse desiderare, nonostante tutto, di svegliarsi al mattino.
 
 









“Non posso credere che tu l’abbia fatto, Mycroft!”. John venne svegliato dall'acuta voce di Violet. Stava discutendo con il maggiore dei suoi figli in giardino e, dal tono di voce esasperato, doveva trattarsi di qualcosa di grave.

Solitamente non aveva l’abitudine di origliare le conversazioni altrui, ma qualcosa gli diceva che stessero parlando di Sherlock e, in quel caso, doveva assolutamente sapere cosa fosse successo.

Uscì fuori e si avvicinò leggermente, nascondendosi dietro una grossa quercia.

“Ti ripeto che è stato lui a chiedermelo” rispose Mycroft visibilmente infastidito.

“Si può sapere che sta succedendo?”. Siger si avvicinò ai due con l’aria di chi teme una risposta sincera.

Violet passò una busta a suo marito. “Ho trovato questa lettera nel suo ufficio. Ho capito subito di cosa si trattava dal francobollo svizzero” spiegò, indicando suo figlio con lo sguardo.

Il signor Holmes lesse velocemente i fogli e sospirò. “Quindi è deciso ad andare fino in fondo?” chiese tristemente.

“Si. Fra qualche mese ci comunicheranno la data esatta. Ma da quel che so, dovrebbe coincidere all’incirca con lo scadere dell’anno che avevate già concordato con lui” rispose con freddezza il maggiore.

“Come puoi restare impassibile di fronte a tutto questo? È tuo fratello! Non posso credere che tu sia disposto ad aiutarlo a togliersi la vita!” sbottò Violet tra le lacrime.

Mycroft alzò gli occhi al cielo spazientito. “Non capisci che è questo quello che vuole? Preferisci che ci riprovi qui, come ha fatto mesi fa? E comunque il vostro accordo prevedeva un anno ed intende rispettarlo”.

“L’accordo prevedeva un anno, certo, ma per fargli cambiare idea!” ribatté la signora Holmes, lanciando uno sguardo d’aiuto verso suo marito.

Siger le passò un braccio sulle spalle e l’attirò a sé. “Abbiamo ancora tempo, cara. Il fatto che abbia presentato la richiesta non vuol dire che non possa ancora cambiare idea”.

Il maggiore arricciò le labbra, umettandole nervosamente con la lingua. “E voi pensate che il dottor Watson possa riuscirci, non è così?” chiese con scetticismo “Conosco bene Sherlock e posso assicurarvi che non cambierà idea. E se davvero credete che quel medico possa riuscirci, vi state soltanto illudendo!” aggiunse, prima di avviarsi lentamente e con eleganza verso l’entrata della villa.

John si poggiò con la schiena al tronco della quercia. Stava tremando.

Strinse maggiormente la presa sull’impugnatura del suo bastone per aiutarsi a rimanere in piedi. Sentiva le gambe molli e temeva di crollare rovinosamente a terra.

Ora tutto aveva un senso. Le cicatrici sui polsi di Sherlock, il suo contratto stabilito rigorosamente per un anno, l’apprensione e la costante attenzione dei coniugi Holmes sul rapporto che stava creando con il loro figlio minore.

Chiuse gli occhi ed inspirò profondamente. Si sentiva frustrato, deluso, arrabbiato.

In gioco non c’era soltanto la vita di Sherlock, ma c’era anche la sua.

A nessuno era venuto in mente di pensare anche ai suoi sentimenti? Come potevano affibbiargli un ruolo così importante, una funzione così decisiva, tenendolo allo scuro di tutto?

E se avesse fallito? Se Sherlock non avesse cambiato idea, cosa avrebbe fatto? In quel caso non poteva tornare alla sua inutile e vecchia esistenza come se non fosse mai successo niente.

Iniziava a tenere a lui, in un modo così intenso e profondo da lasciarlo senza fiato. Ed ora la sua vita e anche la propria erano appese ad un filo, e stava a lui riuscire a trovare un equilibrio, riuscire a trovare un modo per evitare che si frantumassero entrambe in mille pezzi.

Era una responsabilità troppo grande e, purtroppo, non era sicuro di essere forte abbastanza.












Angolo dell'autrice: Salve! Eccovi il quinto capitolo.
In questo capitolo abbiamo i pensieri di John e Sherlock. Vediamo più da vicino cosa provano e cosa pensano l'uno dell'altro. 

L'amarezza del nostro detective e la sua tristezza nel ricordare la sua vecchia vita si fanno sentire anche qui, ma purtroppo è questo il tema centrale dell'intera storia.

Anche in questo capitolo ho inserito alcune frasi del libro, altre che ci sono anche nel film e altre della serie tv. Insomma, la mia opera di collage continua! ;)

Il finale è purtroppo un pò amaro. Il nostro caro dottore è venuto a sapere della decisione di Sherlock e del ruolo che lui ha in tutta questa faccenda. Nel libro, ma soprattutto nel film, è il padre di Will ad aiutare il figlio a fissare la data, ma in questo caso non potevo dare questo ruolo al tenero signor Holmes...e poi ho pensato...chi potrebbe farlo se non Mycroft? Apparentemente aiuta suo fratello con freddezza, quasi con distacco, ma in fondo è così che lui affronta le cose ed è l'unico modo che conosce per fare qualcosa di buono per Sherlock. 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Grazie a chi sta seguendo la storia e a chi vuole lasciare un commento. Alla prossima ;)

 
   
 
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