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Autore: Merlo    05/05/2009    3 recensioni
La storia narra di certi avvenimenti che successero al Santuario, circa un anno o due prima della morte di Aiolos, con la spiegazione dell'origine (da qui il lungimirante titolo xD) di un paio di personalità che mi intrippano particolarmente.AAA: prima di tutto, è una one shot solo perché non avevo vogli di dividerla in capitoli. insomma, per essere una one shot, è piuttosto lunghina. per le età dei vari personaggi, aggiungete 10 a quelle segnate su wikipedia et poscia sottraete 14. Avrete uno schema indicativo.Inoltre; non sono certo del rating, visto che è la mia prima pubblicazione. Se qualcuno pensa sia basso, avvisatemi.Ultime due precisazioni: sì, Saga è un frustone dichiarato praticamente per tutta la storia, anche se non avviene praticamente nulla. E episode G e LC non sono presi in considerazione.
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cancer DeathMask, Capricorn Shura, Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Sagittarius Aiolos
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La voce parlò, parlò come una stella in procinto di trasformarsi in buco nero, un uragano che devasta la superficie della terr

La voce parlò, parlò come una stella in procinto di trasformarsi in buco nero, un uragano che devasta la superficie della terra, un maremoto che inghiotte la costa.

“E’ giunta l’ora.”

E, come ebbe parlato, tutto si fermò ad ascoltare: la voce aveva parlato.

“Il momento che da millenni era stato fissato è giunto. Le stelle stesse lo decretano, con la posizione raggiunta dopo infiniti moti lungo tracciati decisi quando ancora ombra e luce convivevano la medesima natura.

Che io sia dunque libero da questa mia prigione, per poter richiamare il mio esercito e condurre il destino al proprio fine.”

 

Le stelle parvero tremare, nel vuoto cosmico, mentre antiche catene e sigilli millenari venivano distrutti da un’energia più antica dell’universo stesso, un’energia di potenza infinita ed incontrollabile.

 

--

 

L’uomo si svegliò senza fare alcun movimento.

Nel buio che lo avvolgeva, riusciva a sentire nettamente la voce che parlava da un luogo infinitamente distante, più lontano del tramonto.

Con altrettanta chiarezza avvertiva l’energia vibrante che sottostava alla voce, capace di inghiottire qualunque cosa che incontrasse, assimilarla e farla parte di sé.

E, contemporaneamente, sentiva fluire nel proprio corpo un’energia ben nota, quella che non avvertiva più da anni ed anni, la sentiva rinvigorire le ossa ed i muscoli mentre gli indicava il suo compito.

“E così è arrivato il tempo che io porti a termine il mio compito.” Pensò “Mio signore, sarò all’altezza di tale incarico.”

Si alzò dal pagliericcio e, con mosse rapide e decise, indossò i sandali ed il mantello; poi si avvicinò allo scrigno che proteggeva, pronto anche a sacrificare la propria vita per non permettere che il suo contenuto venisse rubato.

Lo aprì e, con un attimo di reverenziale timore, prese l’oggetto che proteggeva.

S’incamminò nella notte eterna che lo avvolgeva.

 

“Strana notte, vero?”

Aiolos non si mosse minimamente, seduto all’entrata della Casa del Sagittario, vedendo arrivare il cavaliere dei Gemelli.

“È così, Saga. Sembra quasi che le stelle stiano piangendo”

Il custode della Terza Casa si sedette accanto al cavaliere del Sagittario.

“È tutto così tranquillo. Nessuna nuvola, non un alito di vento, e persino gufi e civette sono stranamente silenziosi. Una notte come ce n’è una su un migliaio, direi.”

Aiolos fece un mormorio di assenso. Sempre senza accennare il minimo spostamento, si rivolse a Saga

“Piuttosto, cosa ti porta alla Casa del Sagittario, così distante dalla tua?”

“Oh, niente di particolare. Avevo voglia di sgranchirmi un po’ le gambe e di far quattro chiacchiere con qualcuno.”

Aiolos ridacchiò
”E per fare quattro chiacchiere c’era bisogno di arrivare così lontano, con due Case abitate ben più vicino alla tua di quanto non sia questa?”

Il cavaliere dei Gemelli si irrigidì cambiando contegno.

“Se non sono gradito, posso andarmene” e fece per alzarsi.

“No, no, non fraintendermi” Aiolos gli mise una mano sulla coscia per farlo sedere “Scusa se sono stato inospitale, ma questa sera non mi sento tranquillo.”

“Bisticciato con tuo fratello?”

“No, niente di tutto ciò. Ho come un brutto presentimento.”  Si stiracchiò “Mi sento in ansia. Sento come se da un momento all’altro qualcosa di terribile dovrebbe cadere fra capo e collo a tutti noi.”

Saga giocherellava con una ciocca di capelli.

“Secondo me sei semplicemente troppo agitato per via di tuo fratello.”

“Cosa intendi?”

“Beh, sai, averne uno comporta grandi responsabilità.” Il tono cambiò, come se pensasse ad alta voce “E’ difficile fungere da genitori e contemporaneamente essere Cavalieri di Atena.”

Aiolos lo squadrò perplesso

“E tu come fai a…”

“Oh, beh, nulla, immaginavo.”

Il cavaliere dei Gemelli distolse lo sguardo da Aiolos; sembrava improvvisamente imbarazzato, come se avesse detto qualcosa che non avrebbe dovuto.

Seguì qualche attimo di imbarazzante silenzio.

Aiolos tossicchiò

“Fra quanto credi che saranno completati i ranghi dei Cavalieri d’Oro?”

“Mh? Oh, beh. Spero il più presto possibile. Mi mette a disagio sapere che solo cinque di noi sono alle loro Case. E Mu e quel Deathmask sono ancora dei ragazzini.”

“Saranno anche dei ragazzini, ma mi sembrano entrambi piuttosto promettenti. Penso che quando avranno imparato a controllare a dovere il loro cosmo saranno forti guerrieri.”

Saga sbuffò

“Sì, può essere. Ad ogni modo, l’unico capace mi pare Shura, al momento. Oltre a noi due, immagino.”

“Non sei un po’ troppo duro con loro?”

Saga si irrigidì leggermente

“Sono duro perché non mi sembrano sinceramente in grado di sostenere il peso del titolo che portano. Abbiamo il compito di difendere il Gran Sacerdote, e, quando si sarà reincarnata, anche Atena stessa. Non possiamo assolutamente permetterci di avere debolezze nei nostri ranghi.”

Il Cavaliere del Sagittario stette in silenzio per qualche secondo, poi guardò Saga dritto negli occhi, con uno sguardo leggermente duro

“Non disprezzare così questi nostri giovani compagni d’arme, e non porre noi su un piedistallo. Stai dimenticando che anche noi, quando abbiamo iniziato, non eravamo meglio di loro; sono sicuro che stanno facendo quel che possono per essere all’altezza del loro titolo. Ma ci vuole tempo per essere degni del titolo di Cavaliere d’Oro e, sinceramente, non penso che neppure noi due lo siamo.” Si scostò un ciuffo di capelli dalla fronte “Voglio dire, siamo stati i primi due a guadagnarci le nostre armature d’oro. Non abbiamo mai visto nessun altro del nostro rango, non abbiamo potuto imparare nulla dal suo comportamento.” Fece una piccola pausa, come riflettendo su cosa dire. “Non sappiamo se ci stiamo comportando come dovremmo. Non sappiamo se saremo in grado di proteggere il Santuario, in caso di attacco, né tantomeno Atena stessa. No, non abbiamo alcun diritto, io e te, di ritenerci migliori dei nostri nuovi compagni.”

Continuò a fissare Saga dritto negli occhi fino a che questi non abbassò lo sguardo, tremando leggermente per il rimprovero che sentiva nelle parole di Aiolos, mentre sentiva il volto infiammarsi e le lacrime salire agli occhi.

Aiolos gli passo una mano sulle spalle

“Non prendertela, Saga. Non volevo essere brusco; sono solo dubbi che avevo da qualche tempo e che tu mi hai dato l’occasione di sfogare.” Lo strinse in un abbraccio consolatorio “Non pensare che ti disprezzi o qualcosa del genere per ciò che ti ho detto.”

Saga si abbandonò per qualche momento a quell’abbraccio quasi paterno, poi se ne staccò e si alzò.

“Bene, io torno alla mia Casa. Grazie per la chiacchierata.”

Aiolos lo salutò con un cenno del capo e lo osservò mentre si metteva l’elmo ed iniziava lentamente a scendere le scale.

 

-

 

Deathmask vagava per le stanze della Casa del Cancro senza posa. Non riusciva in nessun modo a restare fermo, quella notte, tanto era profondamente irrequieto.

Si sentiva stranito, non ancora abituato alla sua nuova abitazione – e nemmeno a quello che gli era stato detto essere il suo ruolo. Non era stato portato al Santuario da più di un mese, e quello che era diventato il suo alloggio gli sembrava enorme, vuoto ed inospitale; i primi giorni aveva anche avuto un certo reverenziale timore nell’esplorarlo, timore che tutt’ora restava di sottofondo in ogni suo spostamento nella Casa.

E anche la sua armatura… Beh, gli metteva profondamente soggezione vestire una delle dodici armature più potenti dell’intero Santuario. Era abituato alla semplice armatura che portava durante l’allenamento, ed ora indossare quella cosa d’oro lo metteva profondamente a disagio.

E pensare che potesse essere viva, avere una volontà propria, giudicare tutto ciò che faceva, giudice silenzioso cui era impossibile nascondere alcuna azione…

Rabbrividì leggermente e, scrollando le spalle, cercò di pensare ad altro.

Ad esempio, a come rendere quel luogo meno impersonale.

Diavolo, le alte pareti di marmo prive di qualsiasi colore gli aumentavano immensamente quel timore che provava ogni volta che si aggirava nei lunghi corridoi della Casa del Cancro.

E poi, l’enormità della Casa gli dava un immenso senso di solitudine. Solo, lontano da chiunque, con l’unica compagnia rappresentata da quel Mu e quel Saga. Degli altri due cavalieri ricordava appena il nome, e li aveva visti solo una volta, al suo arrivo al Santuario, quando erano venuti a dargli il benvenuto. 

Saga gli metteva una grandissima soggezione. Riusciva a percepire la sua immensa forza, ed anche il suo prendere estremamente sul serio il rango di Cavaliere d’Oro; sembrava che vivesse solo in funzione di tale rango, privo di qualsiasi altro motivo di vita. Anche poco prima, quando era passato per la Casa del Cancro, Deathmask lo aveva evitato, ringraziando mentalmente l’ideatore della Casa, che aveva fatto sì che, per passarvi attraverso, fosse possibile usare solo un lungo corridoio passante per la sala centrale, cosa che aveva permesso a Deathmask di evitare l’incontro riparandosi nella parte della Casa utilizzata come alloggio. Non aveva alcuna voglia di sentire la voce di quell’uomo che lo intimidiva terribilmente.

Mu lo faceva sentire a disagio per tutt’altri motivi; le poche volte in cui aveva avuto occasione di parlarci, gli era parso che gli penetrasse dentro la testa. Quegli occhi, penetranti ma lontani, lasciavano trasparire che, anche se prestava la massima attenzione a quello con cui stesse parlando, allo stesso tempo la sua mente era persa dietro pensieri che Deathmask non riusciva nemmeno ad intuire.

E, appunto, sembrava quasi che leggesse nel pensiero, con quello sguardo contemporaneamente pacato e terribile.

Comunque fosse, preferiva girare alla larga da quei due. E non aveva la benché minima intenzione di scoprire come fossero il Cavaliere del Sagittario e quello del Capricorno.

Deathmask si appoggiò ad una colonna, maledicendo fra sé e sé il momento in cui aveva iniziato ad allenarsi per conquistare l’armatura del Cancro. Rimase qualche minuto in silenzio, in compagnia solo del proprio respiro.

 

Rumore di passi nella Casa. Il Cavaliere dei Gemelli tornava già?

Bah, certamente doveva essere lui. Non c’era nessun motivo per scomodarsi.

“C’è nessuno?”

Deathmask fece uno scatto improvviso.

Quella voce!

Corse rapidamente lungo i corridoi della Casa che lo separavano dalla sala centrale.

Un uomo con indosso un’armatura d’argento si aggirava nella grande stanza, lo sguardo che si attardava ad ammirare l’architettura del luogo; quando Deathmask entrò, si volse lentamente verso di lui ed un sorriso si affacciò sul suo volto.

Per qualche secondo i due stettero in silenzio a guardarsi ad alcuni metri di distanza; poi l’uomo ruppe il silenzio.

“Felice di rivederti, Deathmask, mio allievo prediletto.”

Deathmask si sentiva imbarazzato a trovarsi di fronte all’uomo che per lunghi anni lo aveva allenato, insegnandogli ogni cosa che sapesse sul cosmo, sulle armature, sull’essere Cavaliere di Atena, insomma su tutto ciò grazie a cui Deathmask aveva ottenuto l’armatura del Cancro.

Il maestro mosse qualche passo verso quello che era stato il suo allievo.

“Perché stai lì fermo ed in silenzio? Non sei felice di rivedermi?”

E queste cose le diceva con la voce fintamente crucciata, mentre sul suo volto era ben visibile un enorme sorriso.

Deathmask aprì e richiuse più volte la bocca a vuoto, senza emettere un solo suono, fino a quando non proruppe in un gemito.

“Maestro…”

 

“Cavaliere d’Oro custode della Casa del Cancro. Beh, non posso che essere onorato di aver addestrato uno del tuo rango.”

Si avvicinò a Deathmask e gli mise le mani saldamente sulle spalle, scuotendolo leggermente

“Bene, bene. Fa un certo effetto vederti indossare quest’armatura, anche se ne ho già avuto occasione.”

Deathmask accennò un timido sorriso.

“Cosa vi porta al Santuario, maestro?”

“Oh, avevo solo voglia di farti visita. Insomma, vale pur la pena fare un viaggio non poi così lungo, per vedere il mio allievo più dotato mentre presiede ad una delle Dodici Case, non credi?”

Il volto di Deathmask si oscurò leggermente; il maestro, notando il cambiamento improvviso, inclinò leggermente la testa di lato.

“Che c’è? Non sei soddisfatto di aver ottenuto ciò per cui hai sofferto per anni?”

Deathmask si sottrasse alla presa del maestro.

“Non sono sicuro che fosse questo quello che volevo, alla fine. Lo immaginavo diverso.”

Si allontanò e mosse qualche passo lungo la sala.

“Sono al Santuario da poco tempo, eppure mi sembra di averci già trascorso una vita intera. Ho trascorso lunghe notti insonni a rigirarmi nel letto, cercando di capire cosa volessi, come immaginassi che fosse essere un Cavaliere d’Oro. E ora…” si fermò, girandosi verso il maestro “Non so nemmeno cosa sono diventato. Non so nemmeno se sono in grado di sostenere questo ruolo. Forse sarebbe meglio se rinunciassi a tutto e tornassi alla mia vera casa.”

“Non ci pensare nemmeno.”

La voce del maestro si era fatta improvvisamente dura, e Deathmask si bloccò, sorpreso.

“Ti sei allenato per dieci lunghi anni per raggiungere questo risultato, ti vieto espressamente di rinunciare per un momento di debolezza.” Avanzò verso Deathmask guardandolo dritto negli occhi “Hai rinunciato al tuo nome, per diventare quello che sei. Ti ricordi? Giurasti che, se ci fossi riuscito, ti saresti chiamato Deathmask in onore della maschera funeraria di tuo padre, unica cosa che ti restava di lui dopo la sua morte.”

“Ed ora, dopo anni di duro allenamento, di ossa rotte e di litri di sudore persi sotto il sole, vorresti rinunciare solo perché ti senti un po’ spaesato?”

Deathmask stette immobile, il respiro improvvisamente più affannoso.

Il maestro addolcì il tono e lo sguardo.

“Ogni cavaliere ha avuto il suo momento di dubbio, sappilo. Neppure io sarei più il Cavaliere di Orione, se avessi dato ascolto alla sfiducia. Stai tranquillo, prima o poi capirai a fondo quello che devi essere. E sappi che l’armatura non ti avrebbe scelto, se non fossi più che degno di indossarla.”

“So che ti possono sembrare parole dure, quelle che ti dico, ma devi capire che ti meriti la tua armatura, e che sarebbe stupido mollare dopo così poco tempo che il Santuario ti ha accettato. Ricorda qual è il tuo compito. Tu sarai uno di quelli che, in un futuro non troppo lontano, dovranno proteggere la reincarnazione di Atena, difendere la giustizia e la pace nel mondo. Non è facile abituarsi ad una tale condizione, ma, se resisti, ci riuscirai.”

Deathmask non riuscì a trattenere le lacrime, e si gettò fra le braccia del maestro.

 

-

 

Il soldato gettò un rapido sguardo al cielo. C’era qualcosa che non gli quadrava, ne aveva l’impressione sin dall’inizio della ronda, ma non riusciva a capire cosa lo inquietasse.

Bah, bubbole. Non era pagato per tenere sotto sorveglianza il cielo, ma per fare la ronda, e per fortuna il turno stava anche per finire.

Beh, a dire il vero era stata una serata rilassante. Nulla da segnalare, tranne un paio di coppiette che sembravano aver scelto i prati vicino al Santuario per appartarsi, e che aveva accuratamente evitato di disturbare. In fondo, erano giovani, che si divertissero. E, forse, se al suo ritorno a casa avesse trovato Khara ancora sveglia…

Mh? Rumore di passi decisi, che non si preoccupavano di non farsi notare.

Sfoderò la daga e si voltò verso la direzione da cui provenivano.

“Chi va là? Fermi ed identificatevi.”

Chiunque stesse camminando non sembrò aver minimamente ricevuto il messaggio. Oh, maledizione.

“Fermi, ho detto, o darò l’allar…”

Una luce improvvisa nel buio, un dolore lancinante che correva lungo tutta la spina dorsale.

Confuso, si rese conto di essere sdraiato per terra e di non provare più il dolore che sentiva un solo istante prima.

Si alzò. Anzi, no. Cosa diavolo?! Ci riprovò. Nulla.

Doveva essere ancora stordito per il dolore di prima.

Provò ad urlare per dare l’allarme.

Non riuscì ad emettere alcun suono, e nemmeno ad aprire la bocca.

Oh, merda.

Era paralizzato?

Dannazione, riusciva a muovere solo gli occhi. Non sentiva nemmeno di avere un corpo.

Lo sguardo gli cadde sul braccio destro. Si rese conto che il gomito formava un angolo totalmente innaturale. E, con grande terrore e disgusto, che un pezzo d’osso, appuntito e bianco, fuoriusciva dall’avambraccio.

Come faceva a non sentire dolore?

Provò di nuovo a muoversi, ma non ci riuscì. Qualunque cosa fosse successa, doveva avergli fatto qualcosa alla spina dorsale.

Quindi era paralizzato.

Il panico. Provò ad urlare, a fare qualcosa, a dimenarsi, ma rimase immobile, come sepolto vivo, una mente ancora viva in un cadavere.

 

--

 

Deathmask si sedette accanto al maestro, fuori dalla Casa del Cancro. Dopo essersi sfogato piangendo come un bambino fra le braccia di colui al quale doveva tutto ciò che era, aveva ripreso un certo contegno, ed aveva proposto di andare a parlare fuori, aveva bisogno di una boccata d’aria fresca.

“Dunque” fece il cavaliere di Orione, quando Deathmask si fu seduto “Ti sei calmato?”

Deathmask assentì, leggermente schivo per la vergogna di essersi lasciato andare al pianto così facilmente, lui, un Cavaliere d’Oro.

“Maestro, chiedo scusa per…”

Mentre parlava diede per caso un rapido sguardo alla volta stellata sopra di loro. Si interruppe, interdetto.

Qualcosa non era al posto giusto.

Deathmask non era solito guardare spesso il cielo, ma, durante i lunghi anni dell’addestramento, aveva imparato a memoria la posizione di ogni singola stella. Ed ora, anche se confusamente, sentiva che c’era qualcosa di strano nel cielo.

Poi, proprio sotto i suoi occhi, la stella centrale della cintura di Orione scomparve.

Restò a bocca aperta, incapace di parlare, gli occhi fissi sul nulla che aveva preso il posto dell’astro.

“Cosa c’è, Deathmask?”

Sentì appena il maestro parlargli, ma lo ignorò completamente, preso com’era a fissare il cielo.

Rapidamente si rese conto della mancanza di altre stelle. Il Cane Minore era completamente scomparso. Al Toro mancava una delle punte dei corni. Confusamente registrò anche altre mancanze, ma non individuò le stelle precise.

“Oh.” Il maestro pareva aver notato cosa stesse turbando il suo vecchio allievo.

Per qualche secondo vi fu il silenzio più totale, poi Deathmask fu preso da un attacco di panico.

Qualunque cosa stesse accadendo, era un pessimo segno. Il respiro gli si fece affannoso, mentre cercava di decidere cosa fare.

Si girò verso il maestro, che era ancora intento a guardare stupefatto il cielo.

Dannazione, doveva fare qualcosa. Era un Cavaliere d’Oro, che gli piacesse o meno, non poteva restare lì seduto ed imbambolato. Forse era quella l’occasione per calarsi nel ruolo.

Si alzò di scatto.

“Maestro. Vado ad informare il Gran Sacerdote di quello che sta accadendo. Voi restate qui e custodite la Casa del Cancro in mia assenza.”

Il Cavaliere di Orione lo guardò dritto negli occhi, annuì decisamente e si alzò.

“Bene. Allora vai, corri, non c’è tempo da perdere. Qualunque cosa stia accadendo, è grave.”

Deathmask si girò ed iniziò a correre.

 

 

Mu scrutava l’orizzonte dall’entrata della Casa del Montone Bianco; era quasi sicuro di aver avvertito un cosmo sconosciuto, per un attimo.

Avanzò di qualche passo nel buio per vedere meglio se qualcosa si stesse movendo nella notte.

No, era inutile. Con quel buio, non sarebbe mai riuscito a vedere alcunché muoversi, finché non fosse arrivato ad una distanza sufficiente da essere colpito.

Ritirarsi nella Casa sarebbe stato molto più prudente, e così fece, arretrando nel grande atrio fiocamente illuminato da qualche torcia.

 

Non si era ancora bene abituato a stare fra quelle mura; era un luogo grande e spazioso, sì, senza dubbio, ed anche bello, senza alcun dubbio. Ma sentiva una certa nostalgia per le distese del Jamir, per i suoi monti, per lo stesso cielo sotto il quale si era allenato, che, anche se dal punto di vista della mappa stellare non era cambiato di molto, era… diverso. Non trovava altro modo per descriverlo.

Ma, ad ogni modo, ora il suo dovere era presiedere a quella Casa.

In fondo, sapeva già cosa avrebbe dovuto aspettarsi una volta finito l’addestramento; certo, ciò non gli toglieva una certa nostalgia di quella che era stata per anni la sua casa, ma conoscere l’importanza del proprio compito lo faceva sentire molto meglio.

Dopotutto, lo aveva voluto con ogni forza, desiderava ardentemente proteggere quella che pensava fosse la vera giustizia.

Continuando a guardare verso l’oscurità dell’esterno, si riconobbe fortunato, per di più, nell’esser stato addestrato da chi era già stato un Cavaliere d’Oro e per di più reggeva il Santuario.

Il maestro Shion era stato quasi un secondo padre per lui – lo aveva aiutato nei momenti in cui si era disperato le volte che non riusciva a mettere in pratica nulla di quello che aveva imparato, gli aveva spiegato concetti di cui non sospettava nemmeno l’esistenza, aveva fatto in modo che gli fosse ben chiara ogni parte del verbo di Atena.

Di certo partiva sapendo già cosa dovesse essere, almeno in linea generale, un difensore del Santuario, cosa che, ne era conscio, era stata più problematica da capire per gli altri cavalieri già presenti.

Forse l’unico che aveva avuto meno problemi, oltre a lui, era stato Shura del Capricorno, che aveva avuto raramente l’occasione di vedere, ma che sapeva essere pervaso da una incrollabile fede in Atena, cosa che certamente lo aveva aiutato nella comprensione del suo ruolo.

Per gli altri doveva essere stato complicato – molto complicato – riuscire a capire come comportarsi.

Quel Deathmask, ad esempio. Sembrava essere messo a disagio dalla sua nuova condizione. Raramente usciva dalla sua Casa, e quelle poche volte non si spostava se non per salire o scendere pochi gradini, per poi tornare indietro.

Avrebbe voluto aiutarlo, ma sembrava che fosse lui stesso ad evitare volontariamente qualsiasi contatto.

Sarebbe rimasto un osservatore ancora per qualche tempo, poi avrebbe provato a dargli una mano, se le cose non fossero migliorate.

Non avrebbe mai ringraziato abbastanza il maestro Shion per l’aiuto che gli aveva dato, questo era poco ma sicuro; il solo vedere le condizioni in cui versava il Cavaliere del Cancro lo faceva sentire un privilegiato.

 

Continuò a guardare verso l’esterno per qualche minuto, ma poi lasciò perdere; doveva essersi sbagliato. In fondo, per quanto velocemente si fosse adattato alla vita nel Santuario, era pur sempre il più giovane dei cavalieri che difendevano le Dodici Case, almeno in quel momento, poteva essersi confuso.

Ecco, sì, quello lo lasciava ancora perplesso: pur essendo un Cavaliere d’Oro non padroneggiava ancora alla perfezione il proprio cosmo, né il settimo senso.

Personalmente, si riteneva un po’ troppo giovane per l’armatura che gli era stata concessa; cosa sarebbe successo in caso di attacco da parte di qualcuno che non era in grado di affrontare?

E, per di più, essere il custode della prima delle Dodici Case gli metteva una certa apprensione.

Sapere di dover essere necessariamente il primo baluardo della difesa del Santuario lo preoccupava. Subire per primo ogni attacco, doversi impegnare per primo a respingere qualsiasi offensiva, per di più con le sue capacità non ancora totalmente sviluppate – almeno sperava. Non sarebbe stato affatto bello che restassero al livello a cui erano.

No, sciocchezze. Il Gran Sacerdote in persona lo aveva addestrato e nominato Cavaliere della Prima Casa. Certamente c’era un buon motivo per cui lo aveva fatto.

Certo questo non lo esimeva dall’impegnarsi a migliorare, ma lo faceva sentire più fiducioso nelle proprie possibilità.

Ad ogni modo, l’ora era tarda – cavaliere, sì, protettore della Prima Casa, ma aveva anche bisogno di dormire.

Si stiracchiò e si avviò verso la camera.

Ad ogni modo, quel cosmo che gli pareva di aver sentito non lo faceva sentire si…

Un improvviso senso di spossatezza lo fece barcollare, la Casa che gli girava intorno.

Si appoggiò ad una colonna ansimando lievemente.

Cosa stava succedendo?

Le tempie gli pulsavano, il cuore batteva all’impazzata, quasi volesse uscire dal petto.

Stette appoggiato alla colonna ancora un po’, poi, quando pensò che le gambe potessero sorreggerlo, si alzò guardandosi intorno.

Si sentiva ancora debole, ma, in quell’attimo, aveva percepito distintamente qualcosa che si separava da lui.

No, non riusciva a reggersi in piedi. Appoggiò la schiena alla colonna tenendo gli occhi verso il basso.

L’armatura.

Sembrava diversa. Più opaca, forse?

Guardò meglio; sì, aveva perso parte della lucentezza che aveva fino ad un attimo prima.

Si staccò di nuovo dalla colonna.

Qualunque cosa stesse succedendo, doveva avvertire il maestro Shion. E alla svelta.

Si voltò verso l’uscita della Casa ed iniziò a camminare a passo svelto, cercando di identificare cosa avrebbe potuto causare qualcosa del genere. Diavolo, se un’armatura d’oro veniva danneggiata, era brutto segno…

Il rumore di passi proveniente dalle sue spalle lo distolse da quei pensieri.

Si girò di scatto, in posizione di difesa.

Tre uomini stavano avanzando nella Casa dell’Ariete.

Lo sguardo di Mu si soffermò subito su due di questi; indossavano una strana armatura nera che non aveva mai visto… No, non era un’armatura. Qualunque cosa fosse, sembrava fosse viva, e si muoveva, lentamente ma costantemente, sui corpi dei due, un’oscena melma che avesse ottenuto la vita per capriccio di qualche oscura potenza. Sembrava che persino la luce tentasse di evitare il contatto con quella sostanza, quasi temendo di venirne inghiottita… Mu sgranò gli occhi. La luce veniva inghiottita da quella disgustosità, che sembrava nutrirsene.

Ma ancora di più Mu fu colpito dagli occhi dei due: privi di qualsiasi luce, sembravano occhi di plastica di marionette manovrate da una volontà superiore ed in conoscibile.

“Lasciaci passare.”

La voce, quasi un sussurro stanco, risuonò all’improvviso, facendo fare un piccolo scatto a Mu.
Nessuno dei due ricoperti da quella melma aveva mosso le labbra, quindi doveva aver necessariamente parlato il terzo.

Questo sembrava diverso dagli altri. Era interamente avvolto in un mantello verde scuro che gli ricopriva anche il volto, nascondendone le fattezze; ed al suo fianco, pendeva uno scudo enorme, che Mu stimò essere alto più di un metro; e sembrava fatto d’oro.

“Lasciaci passare, ho detto.”

Stavolta Mu si rese conto che la voce proveniva da dentro la sua testa. Telepatia? Questo gli faceva considerare che almeno uno di quei tre potesse essere un avversario pericoloso…

“Ditemi chi siete e cosa volete. Poi, se lo giudicherò giusto, potrete passare.”

Uno dei due uomini dagli occhi spenti si voltò verso quello avvolto nel mantello.

“Non abbiamo tempo da perdere.”

La figura misteriosa sembrò riflettere un attimo, quindi annuì. Poi di nuovo risuonò la voce – e stavolta Mu fu sicuro che provenisse dalla figura incappucciata.

“Idra, a te il compito di occuparti di costui. Noi andremo avanti.”
 Appena ebbe finito di parlare, i tre uomini si mossero all’unisono, correndo in avanti.

“CRYSTAL WA…”

Un colpo allo stomaco, troppo rapido per essere parato, bloccò Mu prima che potesse erigere la barriera invisibile che avrebbe fermato tutti e tre, facendolo arretrare di un paio di passi.

Alle sue spalle, sentiva correre verso l’uscita l’uomo col mantello ed uno dei due uomini che indossavano quella specie di fanghiglia; l’altro si ergeva davanti a lui, fissandolo con sguardo calmo ma attento ad ogni suo movimento; Mu ne era certo, non gli avrebbe lasciato inseguire gli altri due.

 

“Sei pronto a morire, Cavaliere della Prima Casa?”

La voce dell’uomo chiamato Idra era placida; ma sotto quella superficie calma, Mu sentiva chiaramente agitarsi furiose correnti di odio ed aggressività – non un odio rivolto contro di lui specificamente, ma l’odio puro verso tutto e tutti, l’odio di chi vuole gioire vedendo la morte e la distruzione spargersi attorno a sé.

Si mise in posizione, pronto ad attaccare.

“Prima di attaccarmi, rispondimi: seguendo il comando di quale volere siete giunti fin qui, assalendo il Santuario? Qual è lo scopo che volete raggiungere?”

Idra rise

“Se speri di allungare il tempo a tua disposizione con inutili ciance, ti sbagli di grosso. Preparati, è il tempo della morte.”

E, senza ulteriore preavviso, partì all’attacco.

 

Saga stava attraversando la Casa della Vergine, passando in religioso silenzio di corridoio in corridoio.

Presto anche quella Casa sarebbe stata abitata, e così anche ognuna delle restanti, e nuovamente Atena si sarebbe manifestata fra loro, guidandoli alla lotta contro Ade, come avveniva da secoli.

Si chiedeva se mai sarebbe stato possibile porre termine a quella guerra eterna che aveva reclamato centinaia di vite.

Ma chi cercava di ingannare?

Non poteva scacciare con quei pensieri il vuoto che sentiva dentro ogni volta che parlava con Aiolos.

Il Cavaliere del Sagittario era una figura che non riusciva a comprendere; sempre un passo avanti a lui, sempre in grado di farlo sentire un nulla di fronte alla sua fermezza – certo non lo faceva apposta, ma Saga non poteva far altro che sentirsi schiacciato da ogni sua singola parola. Ed ogni volta che provava a parlargli, alla fine non riusciva a far altro che stare zitto senza neppure la forza di guardarlo.

Era fuori dalla Casa della Vergine.

No, questa volta non avrebbe ripetuto l’errore di stare in silenzio ancora per chissà quanto tempo.

Si voltò ed iniziò a camminare. L’avrebbe guardato dritto negli occhi e gli avrebbe detto…

Il rumore di un’armatura che tintinnava lo riportò alla realtà.

Si voltò, e vide il Cavaliere del Cancro correre su per le scale, verso la Casa, negli occhi uno sguardo allucinato, e parve che non si fosse accorto della presenza di Saga fino a che non l’ebbe davanti.

Si fermò e lo guardò ansimando, negli occhi la luce della paura.

“Cosa succede, Cavaliere del Cancro? Perché non sei nella tua Casa?”

Il suo tono era duro – molto duro.

Deathmask aprì e chiuse la bocca a vuoto, poi riuscì a farfugliare

“Le stelle… Le stelle!”

Indicò un punto imprecisato del cielo. E Saga si accorse, atterrito, che alcune stelle erano scomparse, quasi si fossero spente nel buio eterno dello spazio.

“Sto andando ad avvertire il Gran…”

Un’esplosione di energia luminosa proveniente dalla Casa del Montone Bianco interruppe Deathmask.

Saga fissò lo sguardo verso la Prima Casa e, alla luce dell’esplosione, intravide due figure che correvano verso la Casa dei Gemelli. Raggelò.

- Kanon… -

Iniziò a scendere gli scalini rapidamente, ignorando totalmente Deathmask.

Poi, mentre stava scendendo, si gettò uno sguardo alle spalle, verso la Casa di Aiolos, e si fermò allibito.

Dalla sua posizione, riusciva a vedere non solo la Casa del Sagittario, ma anche gli alloggi del Gran Sacerdote. E quello che vedeva non gli piaceva affatto.

Una specie di enorme nube nera si stava abbassando sull’edificio che ospitava il Gran Sacerdote, e pareva starlo assorbendo interamente. Non sapeva cosa fosse, ma non era amichevole, a giudicare dal cosmo oscuro che sentiva provenire dall’area.

Dannazione. Kanon in pericolo e, contemporaneamente, un qualcosa di minaccioso che avvolgeva la casa del Gran Sacerdote.

Senza girarsi, si rivolse a Deathmask.

“Cavaliere, va’ a presidiare la tua Casa contro i nemici che insidiano il Santuario. Io andrò agli alloggi del Gran Sacerdote. Vai, corri.”

- Kanon è più che in grado di cavarsela. Lo so. -

Poi, senza degnare il Custode della Terza Casa di un solo sguardo, iniziò a risalire le scale di corsa.

 

 

Ah, non avere Saga fra i piedi era una manna. Tutta la Casa dei Gemelli era a sua disposizione – doveva solo fare attenzione a nascondersi nel caso qualcuno fosse entrato.

E anche quello… bah, al diavolo. Perché mai avrebbe dovuto nascondersi? Glielo aveva ordinato suo fratello; e perché mai avrebbe dovuto ascoltarlo? Non aveva alcun diritto nell’imporgli la sua autorità. Non era il maggiore che per pochi secondi, e non era neppure più forte di lui. Solo quell’armatura li differenziava…

E, che gli piacesse o meno, aveva imparato tutte le sue tecniche. Per anni lo aveva spiato di nascosto mentre si allenava, carpendo le mosse segrete di ogni tecnica.

E mentre vedeva Saga che veniva pomposamente elogiato da quel suo maestro, mentre lui, che faceva progressi anche migliori, considerando che doveva imparare di nascosto, era forzatamente ignorato, cresceva, assieme alla sua abilità, anche il suo odio.

Bevve l’ultimo sorso dalla lattina di birra che aveva preso per festeggiare la momentanea assenza del fratello, poi la schiacciò e la gettò in un angolo, asciugandosi la bocca col dorso della mano.

Ah, e poi, tutto quel parlare di Atena di qui, Atena di là… Bah. Sembrava che non avesse altro argomento. Come se poi Atena gli portasse qualche vantaggio… ne era solo uno dei tanti fedeli cagnolini che aspettavano si reincarnasse per gettarsi al macello contro qualche “nemico della giustizia”.

Ed erano così ridicolmente convinti del proprio ruolo. Ridacchiò, ripensando ai discorsi che di tanto in tanto il fratello faceva sul dovere di proteggere Atena, che aveva portato la giustizia, la pace e la concordia fra gli uomini… Ha!

Bah, non aveva altro da fare che trovare un modo per passare il tempo.

Una luce accecante lo abbagliò.

Sorpreso, corse all’entrata della Terza Casa. La luce, che si stava affievolendo rapidamente, proveniva dalla Casa dell’Ariete, dove viveva quello strano Mu; ma questo dettaglio era secondario, se confrontato al fatto che due uomini stavano correndo verso la sua Casa.

“Merda.” Iniziò a sudare freddo.

No, non era il momento di farsi prendere dal panico. Sapeva come fermare chiunque tentasse di passare la Casa senza chiedere permesso, ed era anche l’occasione che aspettava da tempo per mettere alla prova ciò che aveva imparato.

Si concentrò ed espanse il proprio cosmo fino a sentirlo invadere ogni anfratto di quei luoghi che conosceva ormai a menadito. Poi divenne tutt’uno con la Casa.

Aprì gli occhi. Venissero pure.

 

“C’è qualcosa che non va.”

L’uomo col mantello si era fermato, e così aveva fatto il suo compare.

Kanon li osservava soddisfatto, nascosto dietro le illusioni che aveva creato; si erano finalmente accorti di star correndo lungo la Terza Casa da troppo tempo.

Beh, quantomeno aveva imparato a governare a dovere la Casa. Bene, ora era il tempo di pensare a cosa fare ai due poveri incauti viandanti…

“So che sei qui, Cavaliere dei Gemelli. Percepisco nettamente la tua presenza.”

Mh? Una voce da dentro la sua testa? Non era preparato a scontrarsi contro avversari dotati di poteri psichici, dannazione.

“Mostrati, così che possiamo combatterti.”

Divertente. Non erano nella posizione giusta per dare ordini, ma quello dei due che sembrava essere dotato di telepatia sembrava non essersene reso conto. Beh, tutto sommato dargli un po’ di soddisfazione non sarebbe stato male.

Si concentrò ancora, e creò una immagine illusoria che lo rappresentasse.

Non appena fu comparsa, quello dei due su cui scivolava la strana melma si gettò contro di essa; solo quando il suo pugno la attraversò sembrò rendersi conto di cosa fosse in realtà.

Kanon rise, imitato dalla sua immagine.

“Chi siete voi stolti che cercate di attraversare la Casa dei Gemelli? State certi che non potrete uscire di qui senza il mio permesso, quindi sarà meglio che mi diciate tutto quello che voglio sapere, senza mentire…”

L’uomo col mantello si avvicinò all’immagine, mentre l’altro si guardava spaesato attorno, come a voler individuare il vero Kanon.

“Sapere chi noi siamo non ti porterà alcun giovamento, Cavaliere dei Gemelli. Non puoi bloccarci in questa Casa, è già stato scritto che porteremo a termine il nostro compito, quindi puoi solo chinare il capo e lasciarci passare.”
Kanon rise di nuovo

“Oh, no, un altro manipolo di fanatici.” Fece una vocetta stridula “Oh, ti prego, non parlare così, mi metti paura, sto per mettermi a piangere.”

Continuò a ridere beffardo. In realtà sentiva un po’ di timore, che cercava di nascondere; non certo per l parole di quell’uomo, ma per il fatto che uno dei due doveva essere dotato di qualche potere mentale che non era sicuro di poter contrastare, qualora venisse usato.

“Su, dimmi,” continuò con tono di sufficienza “chi siete e cosa volete? Se la risposta mi piacerà, potrei anche decidere di farvi passare.”

“L’immagine non porta armatura…”

A parlare era stato quello che aveva tentato di colpirlo.

“Oh, ma abbiamo a che fare con un vero e proprio genio, qui. Diavolo, come hai fatto ad accorgertene?”

L’uomo ringhiò

“Bada a non farmi arrabbiare, oppure…”
”Oppure colpirai di nuovo quest’immagine? Oh, numi, ti prego, non farlo, potresti cadere per terra, trascinato dal troppo slancio, il pavimento potrebbe rovinarsi!”

L’uomo fece come per ribattere, ma un gesto della mano da parte dell’altro lo fermò.

“Se non hai armatura significa che non sei il Cavaliere dei Gemelli. Chi sei, dunque?”

“Le domande le faccio io, qui.”
L’uomo fece qualche passo verso l’immagine.

“Che sia, dunque. Ti rivelerò i nostri nomi ed il nostro scopo, se questo può farci superare questa Casa più in fretta.”

Kanon sorrise soddisfatto. Non solo stava per sapere ciò che voleva, ma aveva anche capito che, dei due, era l’uomo col mantello ad avere quei poteri psichici, dato che la voce la sentiva solo quando era lui a prendere la parola.

“Io sono Tomhet, servo l’entità che ha deciso il movimento di ogni cosa nell’universo. Costui, invece, si chiama Notte, ed è servitore di Chaos. Siamo qui per uccidere colui che voi chiamate Gran Sacerdote e distruggere i sacri guerrieri di Atena per instaurare, come fu deciso nella notte dei tempi, l’impero di Chaos.”

 

Kanon ristette. Oh, bene, sembrava che la questione fosse piuttosto importante.

“Ora hai saputo ciò che volevi. Rispondimi, dunque: chi sei tu? Sei davvero il Cavaliere dei Gemelli?”

Al diavolo, avrebbe dovuto mettere l’armatura all’immagine. Beh, era in ballo, tanto valeva ballare.

“No, non lo sono. Sono solo suo fratello.”

“Oh. Molto bene, se non sei il custode di questa Casa, non hai il dovere di tenerci bloccati. Lasciaci passare.”

“Ah, questo è fuori discussione. Io…”

Lui cosa? Doveva forse qualcosa ad Atena ed ai suoi cagnolini?

Forse c’era un profitto da trarre da quella situazione. Oh, sì che c’era, e non se lo sarebbe lasciato sfuggire..

“Aspetta. Posso proporvi un patto.”

“Quale patto?”

Kanon rifletté in modo da porre ogni parola nella posizione migliore. Non aveva nessuna intenzione di aiutarli attivamente – nel caso che fossero stati sconfitti, si sarebbe trovato in una posizione alquanto imbarazzante… ma poteva sempre trarre vantaggio dall’avergli dato un aiuto indiretto, in caso di loro vittoria.

“Io vi lascerò passare senza ulteriori indugi. In cambio, se questa vostra missione riuscirà, voglio per me due sole cose: l’armatura dei Gemelli ed un posto… diciamo di rilievo… nel futuro ordinamento del Santuario.”

Notte lo guardò con disgusto

“Chi credi di essere per dettare condizioni a coloro che…”

“Fermo, Notte. Lascia che ci parli io.” Poi si voltò nuovamente verso l’immagine. “Non posso assicurare nulla sulla seconda delle condizioni che poni. Il volere di Chaos è soggetto al Destino, e solo quello può modificarlo. Se è deciso che nel nuovo ordine non occuperai posto alcuno, non potremo cambiare ciò che è stato già scritto. L’armatura dei Gemelli, invece, potrà essere tua senza problemi.”

Kanon lo guardò storcendo il naso

“Non se ne parla proprio, allora. Due sono le cose che mi interessano: il potere e vedermi riconosciuto forte più di quel santarellino di mio fratello. Se non siete in grado di concedermele, resterete qui fino a quando non sarete morti d’inedia.”

Tomhet stette in silenzio per qualche secondo. Poi, con uno scatto improvviso, si voltò verso il punto esatto ove il fratello di Saga era nascosto dalle illusioni. Kanon sentì il cuore fermarsi per un istante.

“Non voglio ucciderti, non sei il mio obbiettivo. Scegli, o accetti la mia proposta, con la certezza che tenterò di convincere Chaos a darti ciò che vuoi, o dovrai morire per mano mia.”

Kanon aveva perso il suo ghigno beffardo. Da quanto lo aveva individuato? Avrebbe potuto attaccarlo in qualsiasi momento e si era trattenuto fino ad allora?

“Allora?”

Kanon fece lentamente svanire le illusioni della Casa.

“Sia. Potete passare.”

 

-

 

Deathmask correva a perdifiato giù per le scale.

Il maestro era ancora nella Casa del Cancro, che gli invasori avrebbero raggiunto prestissimo, doveva essere rapido. Certo, il Cavaliere di Orione era sicuramente in grado di far fronte a qualsiasi minaccia, ma era suo il dovere di proteggere quella Casa, lui avrebbe dovuto essere colpito, non il maestro.

Non doveva succedergli nulla, o non se lo sarebbe perdonato.

Dannazione. Riusciva a sentire il cosmo del maestro espandersi, assieme ad un altro di fonte sconosciuta.

Erano già arrivati alla Casa del Cancro e stavano combattendo.

Corse ancora più veloce, rischiando di inciampare e rotolare lungo le scale.

Ecco, la Casa del Leone! Presto avrebbe raggiunto il maestro e lo avrebbe aiutato nel combattimento.

Una figura avvolta in un mantello uscì dalla Quarta Casa correndo; Deathmask si fermò, osservando l’individuo mentre si avvicinava; la sua attenzione fu catturata soprattutto dallo scudo che quello si portava appresso, alto tanto da arrivare alla pancia della figura.

L’uomo col mantello si fermò. Doveva averlo individuato a sua volta. Avrebbe dovuto nascondersi, diavolo. Tentando di apparire il più possibile maestoso, si schiarì la voce per parlare all’individuo.

“Tu sei il Cavaliere del Cancro, immagino.”

L’individuo lo aveva preceduto.

“Sì, sono io, Deathmask, il Custode della Quarta Casa. Chiunque tu sia, fermati e volgi indietro i tuoi passi, o sarò costretto ad attaccarti.”

L’uomo avanzò, ignorando le parole di Deathmask.

“Allora, se sei il Cavaliere del Cancro, è bene che tu corra ad aiutare quello che ha detto di essere il tuo maestro, e che ora presidia la Casa al tuo posto. Notte non è particolarmente clemente quando combatte…”

Deathmask raggelò, mentre la voce dell’uomo continuava a risuonare nella sua testa.

“Io non ti fermerò, se tenterai di aiutare il tuo maestro. Ho un compito più importante da portare a termine, preferirei non perdere tempo in combattimenti evitabili.”

Deathmask lo osservò indeciso per un attimo. Aveva un dovere da compiere, ma doveva anche proteggere il maestro…

Al diavolo, in fondo il suo dovere primario era quello di proteggere la sua Casa, no? Ed attualmente c’era un attacco in corso nella sua Casa, quindi…

Sentì il cosmo del maestro affievolirsi.

Riprese a correre, lasciandosi la figura alle spalle.

 

La prima cosa che si chiese fu cosa fosse quella melma che ricopriva quello che, stando a ciò che l’uomo gli aveva detto, doveva essere Notte. Poi vide il maestro.

Era completamente sporco di sangue, l’armatura rotta in più punti, e si teneva a piedi a stento.

“Maestro…”

Sembrò che i contendenti lo notassero. Notte lo guardò con un lampo di follia negli occhi.

“Oh, e così tu saresti colui che dovrebbe proteggere questa Casa? Ti aspettavo con ansia… spero che non ti offenderai se nel frattempo mi sono divertito un po’ con questo tuo amico…”

Rise, mentre gli occhi di Deathmask si riempivano di collera.

“Deathmask…”

Il maestro lo guardava con occhi vitrei. Il Cavaliere del Cancro corse verso di lui. Il Cavaliere di Orione cadde, Deathmask lo sorresse.

“Ho cercato di fermarlo… ma continuavano a venirmi meno le forze… Io…”

Vomitò sangue, mentre Notte riprendeva a ridere.

“Oh, ma che bel quadretto familiare… Quasi mi spiace interrompere la vostra conversazione, ma temo di dovervi eliminare entrambi…”

Il maestro ebbe un sussulto improvviso e sgranò gli occhi.

“Di nuovo…”

Deathmask lo guardò con gli occhi pieni di terrore; e fu ancora più spaventato quando vide l’armatura staccarglisi di dosso pezzo a pezzo, mentre Notte continuava a ridere.

“Bene, è giunto il momento di mettere la parola fine a questo combattimento…”

Deathmask si girò verso di lui appena in tempo per vederlo scomparire in un’ombra.

Gettò lo sguardo intorno, ma non lo vedeva da nessuna parte; si voltò verso il maestro.
”Non riesco a…”

Uno spruzzo di sangue lo colpì in pieno volto.

Notte era ricomparso, ed aveva trafitto con un colpo il corpo privo di armatura del maestro al petto. A giudicare dalla potenza del getto di sangue, al cuore.

Deathmask sentì ogni energia svanire dal proprio corpo mentre il sangue continuava ad essergli spruzzato in faccia dalla ferita, bruciando quasi fosse acido.

Notte continuava a ridere.

“Aha, sembra proprio che entro poco l’Ade avrà un altro abitante.”

Fece qualche passo indietro e continuò a ridere.

“Deathmask…”

La voce del maestro era appena percettibile; Deathmask avvicinò il capo.

“Maestro… Andrà tutto bene, eliminerò quest’essere immondo e poi vi porterò da qualcuno che possa curarvi… State tranquillo…”

“No…”

C’era una strana pace nello sguardo e nella voce del Cavaliere di Orione.

“Io sto per morire, non è possibile che guarisca, troppo profonda è la ferita…”

“Non dite così…”

“Ascolta, Deathmask… Ricorda sempre ciò che ti ho insegnato… proteggi Atena… E resta sempre dalla parte della giustizia… Chi è nel giusto sarà sempre il più forte, ed alla fine trionferà sui propri nemici…” Tossì “Sii fiero del tuo rango e cerca sempre di esserne all’al…”

Non finì la frase; emise un ultimo sospiro, ed il suo corpo si afflosciò fra le braccia di Deathmask.

Le lacrime rigarono il volto del Cavaliere del Cancro.

“Oh, suvvia, non piangere… Lo incontrerai molto presto, potrai stare insieme a lui nell’Ade.”

Il tono di Notte era beffardo.

Deathmask sentì la rabbia montargli in corpo più di quanto mai avesse notato. Sentì come qualcosa rompersi nel cervello. Depose il corpo del maestro, poi si alzò in piedi espandendo il proprio cosmo il più possibile.

“Tu… miserabile verme, tu ora soffrirai per questo.”

Prima che Notte potesse rispondere, scattò in avanti e lo colpì dritto al volto con tutta la forza di cui era capace. Vide distintamente un dente uscire dalla bocca del nemico e sentì il rumore della mascella che si spezzava.

Lo colpì di nuovo, allo stomaco, facendolo piegare in due. Lo prese per i capelli e lo sbatté contro il proprio ginocchio. Ancora. E ancora.

Notte rantolava.

“Hai paura, verme? Non ho ancora finito… Molto ancora dovrai subire”

Non si rese conto di star ridendo in maniera terribile.

Lo colpì di nuovo, mandandolo a sbattere contro il muro. Gli fu di nuovo addosso e lo riempì di pugni.

“Basta, per pietà…”

Alzò lo sguardo verso il volto di Notte; gli occhi avevano perso la luce folle che li illuminava, a cui era subentrato il terrore più puro.

Sorrise, senza accorgersene.

“Pietà? Stai chiedendo pietà? Ah, no, non ci sperare, non avrò alcuna pietà per te, no, devi soffrire ancora, ed ancora, ed ancora, finché non mi sarò stancato.”

Continuò a lungo a colpirlo. Quando ebbe finito, il corpo di Notte si afflosciò su di lui. Lo gettò a terra con rabbia, ansimando per lo sforzo prolungato.

Si sedette per riprendere il respiro. Lo aveva ridotto male, il bastardo, sì, lo aveva ridotto male. Rise, ripercorrendo tutto ciò che gli aveva fatto, riassaporando ogni singolo colpo.

Poi il suo sguardo cadde sul volto di Notte.

Quel volto, immobilizzato per sempre nel terrore che aveva provato durante i suoi ultimi, dolorosi momenti, era la prova tangibile della sua vittoria.

Aveva vinto, era stato forte. Il maestro aveva detto che chi era nel giusto avrebbe sempre avuto la forza al suo fianco; quindi avrebbe dovuto sempre esser forte, in modo da poter essere sicuro di stare nel giusto. Sì.

Si guardò intorno. Le pareti della sala continuavano ad apparirgli bianche ed impersonali.

Un improvviso lampo nella mente. Ora sapeva come far sì che quelle pareti non apparissero più così spoglie. Sì, sì, era un’ottima idea, sì… Prese a ridere nuovamente, e continuò fino a quando la stanchezza e le emozioni non presero il sopravvento, facendolo lentamente sprofondare in un sonno cupo e senza sogni.

 

--

 

Mu si schiantò contro il muro.

“Cosa ti succede, cavaliere? Non hai già più la forza per combattere?”

Idra serbava ancora quello stesso sguardo carico d’odio che aveva avuto all’inizio dello scontro.

Come mai non riusciva a colpirlo? Anzi, perché non riusciva nemmeno a seguire i suoi spostamenti?

Quella sensazione che aveva provato prima che lo scontro iniziasse lo colpì di nuovo. L’armatura di nuovo sembrò perdere lucentezza.

Idra parve accorgersene.

“Oh, evidentemente sta avendo effetto…”

Mu si staccò dal muro, non appena ebbe superato il momento di debolezza.

“Di cosa stai parlando?”

Idra lo fissò con noncuranza, giocherellando con la melma che lo ricopriva.

“Oh, solo una precauzione che è stata presa in previsione di questi scontri… Il potere che servo è sufficientemente forte da poter spengere le stelle stesse, quelle stelle da cui voialtri traete la vostra forza… Beh, evidentemente la costellazione dell’Ariete si sta spegnendo lentamente. La tua stessa armatura si sta indebolendo. Quando l’ultima stella si sarà spenta, non sarai niente più di un essere umano particolarmente forte, e l’armatura cadrà a terra, inutile, niente più che un insieme di pezzi d’oro.”

Mu sbiancò. Ecco, questo era pericoloso. Doveva eliminare Idra prima che tutte le stelle dell’Ariete fossero spente. Poi sarebbe andato di corsa dal maestro, e gli avrebbe raccontato tutto.

Il maestro Shion sapeva sempre cosa fare, anche questa volta avrebbe saputo come porre rimedio al tutto. Ma per ora doveva fare da solo.

Idra partì di nuovo all’attacco. Troppo veloce, riusciva appena ad intravederlo…

Il colpo, in pieno petto, fu attutito dall’armatura; ma, quando colpì nuovamente il muro, Mu notò che la Sacra Armatura pareva essersi scalfita nell’attacco…

Se era già giunta a quel punto, doveva essere il più veloce possibile.

Ancora una volta la sensazione di stanchezza.

Ma come poteva combattere un nemico, quando il suo cosmo era stato considerevolmente ridotto?

“Avanti, cavaliere, non dirmi che ti devo già dare il colpo di grazia…”

Idra continuava a fissarlo ferocemente, come se lo stesse odiando sempre più di secondo in secondo per la sua ritrosia a combattere.
Mu non aveva intenzione di accettare la sfida, no, doveva prima trovare una strategia, attaccare a testa bassa sarebbe stato suicida.

Subì passivamente altri colpi di Idra che lo fecero volare lungo tutta la Casa dell’Ariete, ma ancora non riusciva ad avere idea di come…

Atterrando, uno dei corni dell’Armatura perse la punta.

Tre erano state le ondate di affaticamento, quindi solo una delle stelle dell’Ariete era ancora luminosa.

Ma cosa poteva dare?

Poi ebbe l’illuminazione.

Si rialzò, dolorante per i colpi subiti, sotto lo sguardo furioso di Idra.

“Hai finalmente deciso di combattere?”

Mu lo squadrò e chiuse gli occhi, iniziando a concentrarsi.

“Stai forse facendo le tue ultime preghiere?”

Lo ignorò. Non era quello il momento di farsi distrarre. Sarebbero bastati pochi attimi…

“Mi stai facendo irritare, uomo.”

Ecco, sì, c’era quasi; sentiva il nucleo pulsante della stella gettare energia in ogni direzione.

“ORA BASTA!”

Aprì gli occhi; Idra era partito nuovamente all’attacco. Ma questa volta riusciva a vederlo chiaramente.

Schivò l’attacco senza problemi di sorta, e, quando Idra lo ebbe superato, gli sferrò un potente pugno nella schiena; aggiunta all’impeto dell’attacco, la forza del pugno fu sufficiente a scagliare l’uomo a terra qualche metro più in là. Rialzandosi, Idra fissò Mu con sguardo non più furioso, ma stupito.

“Come hai fatto? Ormai tutte le stelle della tua costellazione sono…”

“No, non tutte.” Mu ritrasse il pugno. “Una sola è rimasta ancora accesa, una, sì, ma più che sufficiente per batterti. Non sei un guerriero all’altezza di un Cavaliere d’Oro, Idra. Ti avviso, vattene, se vuoi salva la vita.”

Idra ringhiò guardando Mu in cagnesco.

“Una sola stella non sarà una protezione sufficiente perché tu possa sopravvivere ai miei attacchi, e stai mentendo a te stesso se lo credi. O forse sei solo molto ingenuo.”

“Invece sì.” Mu si stava mettendo in posizione d’attacco. “Se vuoi potrai testarlo su te stesso. Ma io ti consiglio di andartene, Idra, finché sei in tempo.”

“Sciocchezze!”

Idra si scagliò nuovamente verso Mu.

“Hai gettato la tua vita al vento, Idra. Io ti avevo avvisato.”

Il colpo era ormai prossimo. Mu lo scansò facilmente.

“Addio, Idra.”

“STARDUST REVOLUTION.”

Idra fu colpito in pieno, e fu scagliato lungo tutta la sala, per schiantarsi contro un muro.

Cadde a terra con occhi vitrei. Lo sguardo, ancora carico dell’odio che aveva portato per tutto il combattimento, cercò Mu.

“Come…”

Mu si avvicinò a larghi passi.

“La mia costellazione è stata quasi completamente oscurata, è vero. Ma tu, Idra, non sai come ci procuriamo il cosmo noi Cavalieri di Atena.” Con la mano indicò un cielo immaginario sopra di loro “Noi traiamo energia dalla luce emessa dalle stelle. Oscurandole, ci potete togliere la forza; ma c’è un difetto in questa vostra strategia. Rifletti bene. L’energia che le stelle emettono sotto forma di luce è molta, ma buona parte di quella che il loro nucleo produce viene dispersa mentre risale in superficie. Non ho fatto altro che concentrarmi in modo da poter attingere direttamente all’energia del nucleo dell’ultima stella dell’Ariete.” Abbassò la mano “E’ vero, tale energia non è paragonabile a quella della costellazione intera, ma, come vedi, è stata più che sufficiente a batterti in un colpo. Io ti avevo avvisato, Idra, tu non mi hai ascoltato. Ed ora paghi il prezzo della tua arroganza.”

Idra gli lanciò uno sguardo che, in altre condizioni, sarebbe risultato temibile; ma ora sembrava niente più che un cucciolo che tenti di impaurire un avversario ben più potente di lui.

Poi i suoi occhi si rovesciarono ed il corpo si rilassò.

Mu lo fissò qualche secondo. Poi si voltò. Doveva andare ad avvertire il maestro di ciò che stava…

Un’altra ondata di stanchezza, più potente delle altre. Traballò di nuovo, mentre l’armatura si staccava dal suo corpo per cadere a terra. I colpi subiti e l’improvvisa mancanza di forze lo sopraffecero.

Cadde a terra sprofondando nell’incoscienza.

 

Saga entrò correndo nella Casa del Sagittario chiamando a gran voce Aiolos.

Che fosse già corso anche lui alla sala del Gran Sacerdote?

No, no, sentiva passi di qualcuno in armatura avvicinarsi; infatti, Aiolos comparì nel corridoio, maestoso nell’Armatura del Sagittario.

“Cosa c’è, Saga? Perché sei qui invece di trovarti a protezione della tua Casa?”

Evidentemente non aveva visto ciò che era successo alla sala del Gran Sacerdote, pur avendo sentito il cosmo degli invasori.

“Sta succedendo qualcosa alle stelle. Ed il Gran Sacerdote… temo che sia in grande pericolo.”

Aiolos aggrottò la fronte.

“Come può essere? Gli invasori non sono ancora giunti a questa Casa, come potrebbero mettere in pericolo il Gran Sacerdote?”

“Non so cosa stia accadendo di preciso, ma una nube oscura è discesa sugli alloggi del Gran Sacerdote, una nube che emanava un cosmo particolarmente potente ed ostile. Sto andando ad esaminare la situazione.”

“Ah, e così era quello il cosmo che anch’io avevo avvertito… pensavo provenisse da uno degli invasori, ed invece si trova già alla sala del Gran Sacerdote…”

Si zittì un attimo, come pensando.

“Ti seguirò, Saga. Quel cosmo mi è parso troppo grosso perché persino un Cavaliere d’Oro, se solo, possa fronteggiarne la fonte. Naturalmente,” aggiunse “se non ti dispiace.”

 

Shura si stagliava sull’entrata della Casa del Capricorno, guardando verso il basso, dove vedeva avvicinarsi l’inconfondibile sagoma del Cavaliere del Sagittario assieme a Saga dei Gemelli ed a quello che pareva essere il giovane Aiolia.

Ancora più in basso, vedeva una figura non meglio identificabile correre lungo le scale, all’altezza della Casa dello Scorpione.

Lanciò uno sguardo verso l’alto, verso le stanze del Gran Sacerdote; la nube nera era ancora lì, immobile e minacciosa.

Aveva avuto la tentazione di precipitarsi a vedere cosa stesse succedendo, ma aveva intravisto il Cavaliere dei Gemelli correre su per le scale, quindi aveva preferito restare al proprio posto.

Non aveva dubbi, era certo preferibile che qualcuno con più esperienza di lui andasse a vedere cosa stesse accadendo, lui avrebbe fatto meglio a restare a protezione della Casa del Capricorno, per ostacolare gli invasori che fossero giunti fin lì.

Attese che arrivassero fermo sull’entrata.

“Immagino che siate diretti alla sala del Gran Sacerdote, cavalieri.”

Aiolos aveva appena messo piede sull’ultimo gradino, tenendo per mano il giovane Aiolia, che sembrava intimorito dalla presenza di Shura.

“E’ così, Shura. Piuttosto, sono sorpreso di trovarti qui, ancora alla tua Casa. Per quale motivo non sei corso subito dove noi ora stiamo andando?”

“Ho ritenuto opportuno che chi ha più esperienza di me pensi a controllare cosa sta avvenendo, mentre io mi occupo degli invasori che arriveranno fin qui.” Indicò un punto indefinito lungo la scalinata “Almeno uno di essi non tarderà a mostrarsi.”

“Ben fatto. Mi pare una buona idea.” Era stato Saga dei Gemelli a parlare – strano, di solito non gli rivolgeva mai la parola. “Questo potrebbe toglierci un problema.”

Aiolos gli lanciò uno sguardo leggermente risentito, poi si volse verso Shura.

“Dobbiamo chiederti un favore, cavaliere.”

Shura iniziava ad avere sospetti su cosa gli stessero per chiedere.

Aiolos spinse delicatamente il piccolo Aiolia in avanti.

“Mio fratello. Non possiamo portarlo con noi – stavamo per farlo, ma, non essendo ancora in grado di combattere, ci sarebbe difficoltoso proteggerlo in caso di minaccia.”

“Io sono perfettamente in grado di badare a me stesso!” protestò il piccolo Aiolia.

Oh, no, maledizione, non era un babysitter, non aveva alcuna voglia di vedere un moccioso che strillava mentre combatteva contro invasori non meglio identificati…

“Non hai ancora completato il tuo addestramento, non sei in grado di combattere contro avversari che mirano ad ucciderti.” Lo sguardo di Aiolos tornò a Shura. “Non ti sarà di alcun impiccio, te lo assicuro. Basterà che tu lo tenga nella tua Casa, al sicuro. Te lo chiedo in nome della nostra amicizia, Shura.”

Shura ruotò gli occhi, poi fissò con sguardo severo il giovane aspirante cavaliere, che si rannicchiò al fianco del fratello.

“Che sia. Ma sia ben chiaro che non so cosa accadrà durante l’imminente scontro. Lo proteggerò, dato che me lo chiedi, ma voglio che sia chiaro che non lo voglio fra i piedi mentre combatto.”

Aiolos annuì. Poi mise una mano sulla spalla del fratello, inginocchiandosi per guardarlo dritto negli occhi.

“Aiolia, voglio che tu stia lontano dal combattimento, qualunque cosa accada. Resta al sicuro in una stanza della Casa e non muoverti. Tornerò presto.” Poi fissò Shura dritto negli occhi. “Grazie, Shura. Ti assicuro che questo tuo gesto non verrà dimenticato.”

Poi fece un cenno a Saga, ed entrambi partirono a corsa.

 

“Questa è la mia camera. Tu resta qui e non muoverti, qualunque cosa accada.”

Guardò severamente Aiolia, come per imprimere più enfasi alle proprie parole, poi uscì e si chiuse la porta alle spalle.

Tornò all’ingresso della Casa e guardò verso il basso. Ecco, l’invasore stava uscendo proprio in quel momento dalla Nona Casa, sarebbe arrivato a momenti. Rientrò, e si mise ad aspettarlo nella sala centrale.

Passando davanti alla statua raffigurante la consegna di Excalibur, provò un leggero brivido.

Ogni volta, non poteva fare a meno di sottrarsi al pensiero di quale immenso potere gli era stato concesso. La spada più potente del mondo intero era nelle sue mani, e non riusciva a non tremare pensando all’eventualità che potesse usarla per una causa sbagliata.

Vero, Excalibur avrebbe perso ogni potere se avesse voluto usarne la lama affilata per scopi malvagi – ma se mai gli fosse avvenuto di compiere il male senza rendersene conto?

No, cosa andava pensando? Scosse la testa, come per scacciare meglio quei pensieri.

Andiamo, era un Cavaliere di Atena, avrebbe certamente saputo sempre distinguere fra bene e male, o non sarebbe stato degno dell’armatura che indossava.

“Cavaliere del Capricorno…”

Un sussurro dentro la testa?

Si guardò intorno, e vide la sagoma di un uomo avanzare nella penombra del corridoio che conduceva alla sala centrale.

Le sue sembianze erano nascoste da un mantello, ed al suo fianco v’era un enorme scudo d’oro.

“Lasciami passare oltre la tua Casa, Cavaliere del Capricorno. Ho un compito da portare a termine, prima di doverti eliminare. Opporti non servirà a niente.”

Shura si tolse il mantello e lo gettò di lato.

“Non dire stupidaggini, chiunque tu sia. Non potrai passare oltre questa Casa senza prima avermi sconfitto.” Abbozzò un sorriso “Cosa che non accadrà.”

L’uomo scosse la testa.

“Non hai alcuna possibilità di fermarmi, stupido. Non puoi opporti a me, non puoi opporti a ciò che è scritto nell’universo stesso.”

Shura sbuffò.

“Non pensare di intimorirmi. Sono abbastanza adulto da non aver paura del primo fanfarone megalomane che mi minaccia. Dimmi chi sei, piuttosto, e qual è il motivo che ti spinge alla folle impresa di combattermi…”

“Non ho tempo da perdere, cavaliere… Ad ogni modo, se ciò può convincerti a farmi passare, ti dirò chi sono e cosa sta accadendo.” Si avvicinò lentamente a Shura, mentre parlava, fermandosi a pochi metri di distanza.

“Il mio nome è Tomhet. Sono il servitore di ciò che suole essere chiamato Destino. Sono qui per eliminare tutti voi Cavalieri d’Oro, ma prima dovrò uccidere il Gran Sacerdote, di modo che Chaos possa instaurare il proprio nuovo ordine sull’universo.”

Shura lo guardò scettico.

“Oh, la sincerità sembra essere un punto a tuo favore… Tomhet. Ma non la logica, certamente. Se servi il destino, come tu dici, a che pro combattere per questo… Chaos?”

“Il Destino ha deciso ogni cosa, quando l’universo è stato creato. Nel suo piano immutabile è stato scritto che Chaos avrebbe dovuto regnare sovrano sull’universo da lui creato, un giorno. Io non sono che un esecutore della volontà del mio signore, ed egli ha disposto che Chaos trionfi.”

Lo sguardo di Shura si fece più attento.

“E chi sarebbe questo Chaos?”

Una risatina.

“Che cavaliere incolto… Chaos è l’entità che creò l’universo, plasmandolo dalla propria stessa materia, per propria spontanea volontà…”

“Ma gli dei che da lui nacquero decisero di sigillarlo in una prigione affinché il suo potere non li minacciasse. E così decisero perché così il Destino aveva decretato; allo stesso modo, il fato ha deciso anche che Chaos venga liberato ora, perché possa imporre il proprio dominio.”

La sua voce, mentre risuonava dentro la testa di Shura, non aveva mai cambiato inflessione, e si manteneva esasperantemente calma.

“Chaos ora è quasi completamente libero, ma perché possa infine spezzare definitivamente le catene che lo trattengono nella sua prigione, è necessario che gli venga sacrificata la vita di uno degli uomini più fedeli ad una delle divinità che lo sigillarono. In questo caso, si tratta del vostro Gran Sacerdote…

Il mio compito è appunto quello di immolarlo, in modo che Chaos possa assorbirne il sangue ed essere libero.”

“A dire il vero, è capace di farlo da solo. Ma il Destino ha decretato che sia il proprio servitore ad offrire a Chaos tale libagione. In tutto ciò, l’eliminazione di voi Sacri Guerrieri di Atena serve solo per spianare la strada che porta al dominio di Chaos.” Fece una pausa. “Ovviamente, Chaos provvederà personalmente ad uccidere le divinità che si reincarneranno, facendo in modo che non possano mai più risorgere.”

Shura era allibito.

“E tu credi che farò passare chi ha intenzione non solo di uccidere il Gran Sacerdote, ma anche di usarne il sangue per far risorgere un’entità che imporrà il proprio dominio sul mondo? Per di più quando è chiaro che questa entità ucciderà anche Atena stessa, quando sarà risorta?”

Levò in alto la mano destra.

“Anche se il nuovo ordine di cui cianci si basasse su una giustizia ben più grande di quella di Atena, ad ogni modo non potrei non oppormi a tale nuovo ordine. Io sono un Cavaliere di Atena, e solo ad essa sarò fedele.”

“Ed ora ritirati, o preparati ad assaggiare il filo della Sacra Lama che Atena stessa forgiò, Excalibur, l’ultima arma posta a difesa del Santuario.”

 

Tomhet scosse leggermente la testa.

“La tua Excalibur è l’unica arma che il Santuario non può usare contro di me; ironia della sorte, è, come dici, anche l’ultima a vostra disposizione per tentare di impedirmi il raggiungimento del mio obiettivo.” Una specie di risata “Non è logico che anche questo fosse stato previsto sin dall’inizio dei tempi? Hai ancora bisogno di prove per dimostrarti che la nostra vittoria è non inevitabile, ma necessaria?”

“Ad ogni modo, non puoi usare quell’arma contro di me. Hai sicuramente notato questo…” sollevò il suo enorme scudo. La luce delle torce si riflesse su di esso, accecando Shura per una breve frazione di secondo. “Questo scudo fu forgiato dal Destino stesso quando ancora nulla aveva la forma che ha ora, quando le stelle ancora dovevano essere create, perché fosse l’unica protezione per i suoi futuri cavalieri. È un oggetto di natura divina, come lo è la tua Excalibur. Se venissero a contatto si distruggerebbero a vicenda. Ma so per certo che nessun oggetto divino può essere distrutto se non da un dio stesso. Così ha deciso il fato, che decretò pure che nessun dio dovrà essere ucciso da un uomo. Io potrò magari spezzarti le braccia, ma non Excalibur, come tu non potrai nemmeno sfiorare questo scudo.” Tamburellò con una mano scheletrica sul bordo dello scudo “Quindi, è inutile che tu tenti di attaccarmi, succederebbe qualcosa che ti marchierebbe a fuoco in mente la convinzione che sia meglio non fare mai più qualcosa del genere. Fai come credi, hai due possibilità: lasciarmi passare ed ottenere così una morte indolore quando il mio obiettivo sarà completato, o provare ad attaccarmi senza sapere cosa succederà. Ad ogni modo, il tuo destino è segnato.”

Shura digrignò i denti. Come osava quell’essere venire di fronte a lui, il Custode della Decima Casa, il Cavaliere del Capricorno, il cavaliere che più di chiunque altro era fedele ad Atena, ed intimargli di lasciarlo passare in modo che potesse uccidere il Gran Sacerdote?

“Stolto, ecco come ti chiamo, Tomhet, a minacciare me!” La sua voce era tagliente, quasi sibilata “Ho giurato ad Atena di proteggere questa Casa a costo della vita, non mi tirerò certo indietro davanti al primo rischio.”

“Inoltre, se proprio vuoi sapere tutta la verità” Fece un passo in avanti “non ti credo assolutamente. Atena ha creato questa spada proprio in modo che nulla possa resistere al suo taglio, neppure il più potente degli scudi. Avanti, vieni pure, prova se ciò che blateri è vero, dimostra che non sono chiacchiere da codardo che vuole evitare lo scontro.”

Si tolse il mantello con rapido gesto della mano e concentrò il cosmo nel suo braccio destro, tendendo tutti i muscoli, pronto a partire all’attacco. Sentì nella testa un qualcosa che poteva somigliare ad una risata.

“Che sia così, dunque, se questa è la tua volontà.” Si parò dietro all’immenso scudo, i piedi ben saldi a terra. “Avanti, prova a colpire questo scudo. Io non mi sposterò di un solo millimetro e non proverò a contrattaccarti. Basterà vedere cosa accadrà per farti desistere da ogni futuro proposito ostile. Certo,” continuò chinandosi leggermente per sostenere meglio l’urto, “ammesso che tu sopravviva.”

 

Le ultime parole Shura le sentì appena, intento ad espandere il cosmo; non appena Tomhet ebbe finito di parlare, si scagliò urlando contro di lui, portando il braccio indietro per caricare il colpo.

Ecco, Excalibur stava per colpire lo scudo, lo avrebbe tagliato in due come fosse stato burro, e con esso anche quell’essere arrogante, presto tutto sarebbe finito…

Un’esplosione improvvisa lo accecò. Volò lungo la Casa, senza riuscire minimamente a ruotare il corpo – quell’esplosione era giunta inaspettata… no, macché, era stata semplicemente troppo potente.

Impattò una colonna. La distrusse ed attraversò le macerie, colpendone un’altra. E un’altra ancora. Infine si schiantò contro un muro e venne rimpallato a terra.

Un fiotto di sangue gli uscì dalla bocca mentre tentava di respirare; graffiò il marmo con le dita, scorticandosene la punta, mentre sentiva l’aria che gli veniva a mancare; in un’improvvisa convulsione, altro sangue gli uscì con violenza dalla bocca, e riuscì finalmente ad inspirare affannosamente.

“Ha.” La voce di Tomhet non aveva cambiato minimamente tonalità. “Come prevedevo. Sei stato uno stolto, Shura, prima ancora che a non credermi, a non prepararti nell’evenienza che ciò che avevo detto fosse vero. Io sono riuscito a non farmi sbalzare via, non ho subito nessun danno, grazie a questo mio scudo. Tu, invece…” un attimo di compiaciuto silenzio “Beh, non penso che mi serva descriverti le tue condizioni, immagino.”

Shura non lo ascoltava quasi, concentrato com’era sul dolore in cui annegava. Sembrava quasi che milioni di insetti lo stessero divorando vivo. E poi…

Tomhet aveva detto il vero: Excalibur non era riuscita nell’impresa di distruggere quell’oggetto. Che dunque fosse vero anche tutto quello che aveva sentito prima?

Era dunque necessario che il Santuario cadesse, che loro tutti, i Cavalieri d’Oro di Atena, venissero sconfitti ed uccisi mentre tentavano di difendere ciò che era destinato ad essere distrutto?

Bocconi per terra, aveva smesso di vomitare sangue, ma, oltre al dolore, ora erano questi pensieri a non farlo rialzare. Respirando a fatica, con gli occhi sbarrati, non riusciva a pensare ad altro.

“Bene, cavaliere. Ti darei il colpo di grazia per evitarti le sofferenze che patisci in questo momento, ma ho fretta. Spero che la morte giunga lesta su di te; checché tu ne possa pensare, non amo la sofferenza altrui. Addio.”

Passi che si allontanavano rapidi. Era stato sconfitto. Atena era stata soggiogata dal Destino.

NO.

Non lo avrebbe permesso. Come aveva osato dubitare anche un solo istante, solo perché quello scudo aveva risposto così al suo attacco?

Certamente doveva esserci un modo per distruggerlo. A costo anche della vita.

“Fermo…” la voce era appena un sussurro, riusciva ad udirla appena lui stesso,e pronunciare quella singola parola gli fece provare un dolore immenso, come se unghie affilate gli graffiassero la gola dall’interno. Si fece forza.

“FERMO.” Altro sangue fuori dalla bocca e; ma era riuscito a farsi sentire, ne era certo.

I passi di Tomhet si fermarono.

“Non ne hai avuto abbastanza? Non hai avuto la prova che ti avevo promesso?”

Iniziò a sollevarsi a fatica.

“Qualunque cosa sia stata quello che è successo, non mi proverà mai quello che tu dici…” Tossì aria e sangue. “Non potrò mai credere che chi è stato scelto da Atena sarà sconfitto…” Altri colpi di tosse mentre si alzava in piedi barcollando “E anche se lo vedessi, non potrei crederci. Io sono stato prescelto per proteggere questa Casa, l’ho già detto. E la proteggerò, costi quel che costi.”

Iniziò a concentrare nuovamente il cosmo.

Tomhet stette in silenzio. Quando la sua voce risuonò nuovamente nella testa di Shura, sembrava venata da qualcosa di strano, per la prima volta… irritazione?

“E così sia. Non abbandonerò questa Casa finché non ti vedrò morto, Shura del Capricorno. Il tuo destino doveva essere questo, evidentemente. Che sia, questa volta ti combatterò. Espandi il tuo cosmo finché vuoi, cavaliere, io farò altrettanto.”

Ora Shura riusciva a percepire per la prima volta il cosmo di Tomhet; era un cosmo strano… asettico.

No, non asettico. Era incredibilmente calmo, ma riusciva a sentire delle piccole sfumature, delle perturbazioni nel suo distendersi lineare.

“Non credere che avrò alcuna pietà di te. Solo perché non mi piace la sofferenza altrui, non vuol dire che non compirò il mio dovere.” Si mise in posizione, aspettando la mossa di Shura.

Il Cavaliere del Capricorno lo guardò.

“Prima di combattere, ho solo una richiesta per te. Scopriti il volto.”

Un tremito appena percettibile scosse Tomhet.

“Cosa c’è? Hai paura di farmi vedere il tuo volto?”

Tomhet iniziò a tremare più vistosamente. Poi parlò

“Questo mio volto non vede la luce da anni ed anni. Dammi una sola buona ragione per cui dovrei mostrartelo, ignaro.”

Il tono era cambiato ancora. Aspro, certo, ma c’era una vaga sensazione di amarezza di sottofondo.

Doveva averlo colpito su un nervo scoperto.

“Suvvia. Il mio destino è già deciso, dici tu. Dunque, a meno che tu non dubiti delle tue stesse parole, se non vuoi che il tuo volto sia noto al mondo, non corri pericoli, dato che dovrò morire qui, in questa mia Casa del Capricorno.”

Bingo.

“Osi forse mettere in dubbio la mia fede nel potere che mi guida? Tu, miserabile capra, cane infedele, non osare mai più tanto!”

Shura tentò una risata di scherno

“E allora scopri quel volto, se credi così tanto nel tuo Destino.”

Tomhet tremava sempre più vistosamente.

“Che sia così.”

La sua voce tradiva la forte presenza di un’emozione che Shura non riusciva ad identificare.

Poi, con rapidità inattesa, portò le mani al cappuccio e lo abbassò.

 

Shura rimase immobile, gli occhi sgranati. Nonostante il velo di sangue che gli ricopriva ancora le cornee, vedeva distintamente il volto dell’uomo.

Uomo… no, non era un volto umano.

Su un collo esile, tanto che sembrava in procinto di spezzarsi da un momento all’altro, stava in equilibrio una testa priva di capelli, se non pochi radi fili privi di qualsiasi colore, dalla pelle pallidissima, attraverso la quale erano perfettamente visibili le vene.

Ma più di quella testa deforme fu altro a colpire Shura.

Gli occhi, gli occhi erano stati chiusi cucendone le palpebre. Stessa sorte era toccata alla bocca, le cui labbra prive di colore erano trapassate da filo di ferro.

E le orecchie. Quelle erano tappate da qualcosa che non riusciva ad identificare

Shura rimase ammutolito.

“Sei soddisfatto, ora?” Un’enorme amarezza ora distintamente avvertibile nelle parole di Tomhet.

Shura abbassò la mano che già aveva messo in posizione d’attacco.

“Cosa…”

“Questi sono i simboli della fedeltà nel mio signore. Gli occhi mi sono stati chiusi in modo che non abbia altra possibilità che affidarmi a lui, per evitare che la mia fede vacilli. La bocca è stata sigillata per simboleggiare la necessità di non protestare contro di esso, dato che sarebbe inutile ed empio. Nelle orecchie mi fu colato del ferro perché non dessi ascolto ad altro che non fosse il Destino.”

Shura era incredulo.

“E tu segui chi ha martoriato così il tuo volto? Grande davvero è la tua fede, Tomhet, senza dubbio alcuno.”
Tomhet si mise in una posizione che Shura mai aveva visto

“Esatto, cavaliere. Ma non è più il tempo di chiacchierare. Come hai visto il mio volto, ora sarai anche il primo a vedermi attaccare.”

Shura si pose a difesa; Tomhet non aveva smesso di espandere il proprio cosmo per tutto il tempo, per cui il suo attacco poteva partire in qualsiasi momento.

Attimi di silenzio lacerante. Poi il Cavaliere del Destino iniziò a muovere le mani componendo un cerchio.

“VACUUM IRREPENTEM.”

Era la prima volta che Shura sentiva Tomhet alzare la voce, ma registrò il dettaglio rapidamente e lo fece cadere nel dimenticatoio, teso com’era a cercar di cogliere l’attacco in arrivo.

Non vide fasci di energia dirigersi verso di lui, o esplosioni di qualche tipo. Niente di così scenografico, salvo un improvviso bagliore nelle mani di Tomhet.

E poi, sentì come se il suo intero corpo si stesse accartocciando, come se stesse implodendo. Di nuovo, gli mancò l’aria. Fu solo un brevissimo istante, ma bastò a farlo soffrire immensamente.

Cadde sui ginocchi mentre Tomhet scattava verso di lui.

Un calcio lo colpì al volto, quasi torcendogli il collo; il colpo lo fece volare per qualche metro. Provò a ruotare, ma Tomhet gli era già alle spalle. Cozzò contro qualcosa di estremamente duro – lo scudo, immaginava – e fu di nuovo sbalzato indietro.

Come faceva ad essere così veloce?

Atterrò, e fu nuovamente bocconi. Si alzò non senza fatica e dolore. Tomhet si era fermate ed era voltato nella sua direzione

“Tutto qui il potere di un Cavaliere d’Oro? Mi deludi.”

Senza pensare, scattò di nuovo verso Tomhet, mirando alle gambe.

Un colpo sul retro del collo lo fece stramazzare nuovamente a terra rantolando.

“E così, non sembra tu sia capace di altre strategie se non quella di buttarti a testa bassa contro il nemico. Fattelo dire, non è così che si possono vincere le battaglie. D’altronde, come avevo detto, è stato scritto che tu non potessi vincere questo scontro.”

Il collo gli faceva un male terribile. Se solo lo avesse colpito poco più forte glielo avrebbe spezzato…

Cercò di alzarsi di nuovo, ma non ci riuscì.

“È inutile tentare di opporsi al fato, non lo hai ancora capito? Ora stai fermo. Abbrevierò le tue sofferenze. Addio, cavaliere.”

Ecco, aveva osato troppo opponendosi al Destino. Ora sarebbe giunta la fine…

 “FERMO!”

La voce di un ragazzo riecheggiò nella sala. Shura alzò, non senza fatica, gli occhi da terra.

Aiolia era comparso nella sala, in posizione di attacco, gli occhi pieni di un misto di terrore e rabbia, e spostava lo sguardo da Shura a Tomhet.

“Aiolia, vattene…”

Il ragazzo parve non aver sentito l’ordine di Shura.

“Lascia stare Shura. Io sarò il tuo nuovo avversario.”

La voce gli tremava, come pure tutto il corpo. Tomhet rise.

“Un ragazzino che trema rappresenta senza ombra di dubbio un grande pericolo…”

Aiolia continuava a fissarlo senza spostarsi.

“Vattene, ragazzo. Non ho intenzione di uccidere chi non può nemmeno difendersi dai miei attacchi.”

In tutta risposta, Aiolia piantò ancora più saldamente i piedi a terra. Tomhet gli si avvicinò lentamente.

“Se nemmeno un Cavaliere d’Oro ha potuto opporsi a me, cosa speri di fare tu, un semplice ragazzo? Vattene, ti dico, o sarò costretto a farti del male.”

La paura negli occhi di Aiolia aumentava man mano che Tomhet si avvicinava.

Shura provò di nuovo ad alzarsi. Aiolos aveva affidato Aiolia alla sua custodia, doveva proteggerlo, non voleva assolutamente deludere il Cavaliere del Sagittario…

Cadde di nuovo a terra; Aiolia stava dicendo qualcosa, ma non riuscì a distinguere le parole.

Poi, ci fu una luce accecante; Shura alzò gli occhi appena in tempo per vedere Aiolia scagliare una specie di fulmine dal pugno, mentre Tomhet, colpito, veniva sbalzato indietro.

Sgranò gli occhi. Quel ragazzino aveva colpito Tomhet? L’addestramento di Aiolos poteva far miracoli, ma solo un motivo avrebbe potuto fargli portare quell’attacco in modo da colpire Tomhet…

Il servo del Destino colpì il pavimento con la schiena.

“Verme… come hai osato…”

Sembrava che fosse stato particolarmente ben colpito, tanto che il suo cosmo pareva come afflosciarsi.

Com’era possibile che un solo colpo, non particolarmente potente, potesse averlo ridotto così?

Poi Shura capì. Tomhet non solo aveva un corpo estremamente fragile, da quel che poteva vedere, ma, per giunta, non aveva armatura, ma solo quello scudo. Se colpito prima di riuscire a pararsi, avrebbe subito duramente ogni singolo affondo.

Si voltò verso Aiolia; il ragazzo sembrava stupito di aver colpito Tomhet, ed era immobile nella stessa posa in cui lo aveva attaccato.

“Che sia, ragazzo… Il Destino deve aver deciso che anche tu morirai… Mi dispiace, ma non posso avere pietà.”

Tomhet si era rialzato, ed ora stava formando con le mani un cerchio.

“VACUUM…”

Shura capì cosa stava per succedere. Aiolia sembrava immobilizzato dal terrore. Maledizione.

“… IRREPENTEM.”

 

Non gli piaceva affatto quel che stava per fare, ma doveva farlo. Era suo dovere uccidere chiunque intralciasse la sua missione, fosse anche un ragazzo come quello che lo aveva colpito.

Era pura crudeltà. Il ragazzo non poteva nemmeno difendersi; era già stato sfortunato a coglierlo alla sprovvista prima che potesse proteggersi con lo scudo, ora non avrebbe avuto la benché minima possibilità di evitare l’attacco.

“VACUUM IRREPENTEM.”

Ecco, ora il vuoto assoluto si sarebbe infiltrato nel corpo del giovane, spezzandogli la colonna vertebrale. L’altro, Shura, si era salvato solo grazie all’armatura che aveva, ma il ragazzo non aveva nulla a proteggerlo.

A volte desiderava ardentemente che qualcun altro, e non lui, fosse stato scelto per servire il Destino. Che qualcun altro fosse stato mutilato come lui era stato, che qualcun altro avesse perso la possibilità di vivere tranquillamente. Ma il Destino era ineluttabile, lui non poteva opporglisi.

Avvertì uno spostamento improvviso.

Il ragazzo gridò.

“SHURA!”

L’imbecille si era messo in mezzo ed aveva preso in pieno l’attacco. Dove aveva trovato le forze per gettarsi?

Lo sentì cadere a terra ansimando rumorosamente.

“SHURA!”

Il ragazzo continuava ad urlare.

“Fa silenzio, Aiolia… scappa, prima che attacchi di nuovo…”

Il cavaliere stava rimettendosi in piedi.

“Sono io il suo avversario, ed io lo tratterrò…”

Tossì. Tomhet immaginò che, insieme all’aria, stesse espellendo anche sangue.

“Ma io voglio…”

“Vattene, ho detto, vattene. Non voglio che tu corra altri rischi.”

Dopo qualche secondo, Tomhet percepì il ragazzo mentre correva fuori dalla Casa.

Il silenzio ricoprì la scena. Tomhet fece un passo in avanti.

“Perché lo hai fatto, cavaliere? Perché hai preso il mio colpo al posto suo, nelle condizioni in cui sei?”

Shura continuava ad ansimare.

“Ho promesso ad un amico di proteggere questo ragazzo… Questo è quanto.”

Tomhet era interdetto.

“E per una promessa rischi di morire? Come puoi riuscire ad agire così? Come?”

Tomhet avvertì il cosmo di Shura espandersi.

“Mai ho mancato alla mia parola, né mai lo farò. Ora preparati, Tomhet, perché colpirò il tuo scudo.”

Non aveva ancora capito che era inutile?

“Non puoi colpire questo scudo, te lo ripeto. Finirai per distruggerti da solo.”

Parve ignorare le sue parole, teso com’era ad espandere il cosmo.

Tomhet si preparò a sostenere il nuovo urto, pronto a ruotare dopo l’esplosione.

Shura si gettò in avanti, la mano alzata pronta a sferrare il colpo.

Di nuovo l’esplosione di energia; Tomhet iniziò a ruotare il corpo come aveva fatto prima.

Atterrò nuovamente in piedi, mentre Shura, da quel che percepiva, era disteso a terra.

“Soddisfatto, cavaliere? Il tuo impeto non ha avuto risultato, come vedi.”

Shura ridacchiò a fatica, una risata che si risolse in un accesso di tosse.

“Non ne sarei così sicuro… Prova a toccare il tuo scudo, Tomhet, e sentirai tu stesso quanto ti stia sbagliando…”

Cosa stava dicendo?

Passò una mano sulla superficie dello scudo. Tutto a posto, non c’era nemmeno un graffio…

“Stai delirando, cavaliere… Esattamente come pensavo, non c’è…”

All’improvviso, le sue dita percepirono un’affossatura nel metallo. Raggelò.

L’affossatura si stendeva al centro dello scudo; non era profonda né particolarmente lunga, e non metteva a rischio le capacità difensive dello scudo, vero, ma…
”Come è possibile? Tu! Tu hai ammaccato il mio scudo!”

Percepì Shura rialzarsi.

“No, non è possibile, il Destino stabilito che nessuno, se non un dio, sia destinato ad anche solo ammaccare questo scudo… Come hai potuto, tu, un mortale!”

“Non io, ma Atena e la Giustizia hanno intaccato l’integrità di quello scudo.”

“Di cosa vai blaterando? Non esiste nessuna giustizia che non sia quella del fato.”

“Sei tu che blateri inutilmente, Tomhet, e te lo ho appena provato. Il Destino in cui credi tanto non è in grado di fare alcunché, se è la Giustizia, la forza più potente dell’intero universo, a sostenere il tuo avversario.”

“Fino ad ora non sono riuscito a colpire il tuo scudo per un solo motivo.” Tossì nuovamente “Ho dubitato. Anche solo per un istante, ho creduto che tu potessi essere nel giusto. Devi sapere che la forza della mia lama dipende da quella della mia fede in Atena e nella Giustizia; se dubito, Excalibur si indebolisce.”
”Quando ho visto il piccolo Aiolia colpirti, un bambino opporsi a chi agisce in nome del Destino, ho capito. Ho capito che Atena era con lui, in quel momento, oppure lo avresti evitato senza problemi. Atena stessa si è opposta al Destino attraverso Aiolia, cancellando ogni dubbio dalla mia mente.”

“Ed ora, guarda, Tomhet; il tuo scudo, l’argomento che portavi come prova dell’invincibilità del Destino, è ammaccato. Non penso che tu abbia bisogno di altro per capire cosa ciò significa…”

La voce di Shura si stava facendo sempre più flebile.

Tomhet stette in silenzio, mentre tutto il suo mondo veniva distrutto pezzo a pezzo da quella singola rivelazione.

“Ed ora cosa farai, Tomhet? Continuerai ad aiutare Chaos come ti è stato ordinato, pur sapendo che, dunque, anche la sua nascita non è inevitabile?”

Shura tacque, aspettando la risposta dell’uomo.

“Farò come meglio credo.”

Poi il suono dei passi gli disse che Tomhet stava uscendo dalla Casa.

Il buio lo avvolse.

 

 

 

Saga ed Aiolos arrivarono davanti alla cosiddetta Tredicesima Casa, gli alloggi del Gran Sacerdote.

Giunti a qualche metro di distanza si fermarono allibiti; una strana sostanza opaca, di colore perlaceo, si stendeva nel loggiato, formando una specie di pellicola liquida fra colonna e colonna.

Saga si avvicinò con prudenza.

“Cos’è questo?”

La superficie della sostanza non lasciava trasparire nulla di quel che si trovasse dietro, e su di essa si formavano delle piccole correnti che la attraversavano per tutta la sua altezza.

Anche Aiolos si avvicinò

“Non lo so, ma dobbiamo attraversarla.”

“Siamo sicuri che sia possibile farlo?”

Aiolos lo guardò dritto negli occhi con sguardo indefinibile.

“Non c’è che un modo per saperlo.”

E, detto ciò, camminò senza esitazioni verso la pellicola. La attraversò, scomparendo allo sguardo di Saga.

Il Cavaliere dei Gemelli si guardò un attimo intorno, prese un respiro profondo e oltrepassò anch’egli la pellicola.

Si sentì come se fosse assorbito da un vuoto senza fine, lontano milioni e milioni di chilometri, ad una velocità impossibile, ed ebbe la precisa sensazione che il suo corpo venisse distrutto da quella velocità tremenda.

All’improvviso, si trovò in piedi, immerso nel buio. Si guardò attorno alla ricerca di Aiolos, e lo vide che, con espressione stupita, si guardava attorno.

Erano circondati da buio ovunque, un buio quasi palpabile – ma tale oscurità era rischiarata da una fioca luce rossiccia emanata da dei globi scuri che galleggiavano nell’aria, spostandosi continuamente con velocità variabile, unendosi fra di loro e separandosi dando vita a nuovi globi.

Ma ancor più stupefacente era quello che si vedeva oltre i globi; erano circondati, in ogni direzione, persino sotto i loro piedi, da milioni di stelle lontanissime, poste in forme a loro sconosciute – nessuna costellazione che fosse loro nota era visibile. E, sebbene si trovassero, logicamente, a distanze immani, sembrava che fosse possibile toccarle con un dito.

Mentre Saga era perso nella contemplazione di quella bellezza, una delle stelle che stava osservando scomparve, riportandolo bruscamente alla realtà. Anche Aiolos doveva averlo visto, perché si voltò verso di lui, l’espressione mutata in quella che aveva in volto quando era entrato nella pellicola.

“Dobbiamo trovare il Gran Sacerdote. Andiamo.”

Saga annuì e si guardò intorno, cercando una direzione che fosse preferibile alle altre.

Girandosi, vide che Aiolos si era già incamminato; e subito dopo, vide qualcosa di ancor più strano di quello che aveva già visto: dietro ad Aiolos che camminava, si era formata una traccia di immagini – immagini che riprendevano ognuno dei movimenti che Aiolos aveva fatto fino ad allora.

Rimase allibito per qualche secondo.

“Aiolos…”

Il Custode della Nona Casa si voltò. E vide cosa stava accadendo; nel frattempo, le prime immagini iniziavano a svanire.

“Questo è uno strano posto, Saga.” Il suo sguardo era fisso sulle immagini che si dissolvevano “Prima troviamo il Gran Sacerdote, prima ce ne potremo andare.”

Si girò e riprese ad incamminarsi, nuove immagini si formarono. Saga lo affiancò, ed insieme proseguirono.

 

A Saga sembrava di star camminando da ore. Si fermò. Aiolos si girò a guardarlo con espressione interrogativa.

“Perché ti fermi? Sei stanco?”

“Stiamo camminando a vuoto da non so quanto tempo. Non sono stanco, semplicemente penso che sia impossibile trovare il Gran Sacerdote in quest’immensità. Dovunque ci giriamo, non ci sono altro che stelle per ogni dove, e questi globi galleggianti. E per quanto ne sappiamo, questo luogo potrebbe essere senza confini.”
Lo sguardo del Custode della Casa del Sagittario si fece duro

“Cosa suggerisci? Stare qui fermi? Non sappiamo se sia possibile tornare indietro, innanzitutto. E, cosa non secondaria, abbiamo giurato di proteggere il Gran Sacerdote. Non abbiamo il diritto di fermarci.”

Saga non rispose, si limitò a stare in silenzio evitando di guardarlo negli occhi.

“Non possiamo fare altro.” Gli mise una mano sulla spalla. “Anch’io mi rendo conto di quanto sia improbabile riuscire a trovarlo. Ed anche quando lo avremo trovato, non so se potremo uscire. Ma dobbiamo farlo. Accettando queste nostre armature abbiamo posto sulle nostre spalle un peso che sapevamo essere immenso. Non possiamo tirarci indietro.”

Saga alzò lo sguardo fino ad incontrare il suo, e vide le lacrime che spuntavano ai bordi di quegli occhi indecifrabili.

Interdetto, rimase senza parole – mai aveva visto, fino ad allora, Aiolos con le lacrime agli occhi.

Gli si avvicinò leggermente – ora riusciva anche a sentirne il fiato sul volto, a distinguere ogni sfumatura di colore negli occhi, quasi a percepire i minimi turbamenti nel suo spirito.

Gli mise una mano sul pettorale dell’armatura.

“Aiolos, io…”

Registrò confusamente un movimento alle spalle del Cavaliere del Sagittario. Non riuscì a capire cosa stesse avvenendo, né a reagire, che vide Aiolos venir sbalzato di lato, mentre lui si trovò gettato a terra, sovrastato da uno dei globi volteggianti.

Saga guardò dentro il globo.

Riusciva a vedere lui ed Aiolos – ma non era il loro riflesso quello che vedeva.

Ecco, c’erano lui ed Aiolos in piedi, Aiolos in armatura, Saga vestito con la toga del Gran Sacerdote; parlavano, non sapeva di cosa, ma sembrava essere qualcosa di serio. Ed ecco che, mentre parlavano, il volto di Saga (“Grandi numi, cosa succede?”) sembrava contorcersi in un ghigno crudele senza che l’altro se ne accorgesse. E poi (“No!”), quando sembrò che Aiolos si rendesse conto di ciò che accadeva, Saga caricò un pugno e lo colpì, trapassandolo (“Oh, Atena…”). E quando tutto fu finito, gli parve di vedere l’espressione del suo riflesso cambiare ancora. Era una lacrima, quella?

Il globo implose e si divise in più parti, che volteggiarono altrove.

Saga, esterrefatto, rimase immobile, con gli occhi sbarrati.

Cos’era quello che aveva visto?

Una premonizione, un incubo o cos’altro?

“Tutto a posto?”

La voce di Aiolos veniva dalle sue spalle. Si rialzò rapidamente

“Sì, sì, sto bene. Andiamo.”

Evitò accuratamente di guardarlo negli occhi, mentre si rimettevano in cammino.

 

Il resto del tempo lo trascorsero in un silenzio turbato solo dal lieve rumore che i globi facevano spostandosi nei loro voli senza meta. Di tanto in tanto, Saga avvertiva lo sguardo di Aiolos che si posava su di lui, ma cercava il più possibile di non dargli a intendere di accorgersene.

Quella visione che aveva avuto lo angosciava oltremodo; non riusciva togliersi dalla testa quel suo ghigno sadico che si stampava sul suo volto, la violenza con cui colpiva Aiolos, il sangue che spruzzava dalla ferita di questo…

Aiolos si fermò. Saga lo guardò e vide che il suo sguardo era fissato su qualcosa di indefinito più avanti. Seguì la linea invisibile tracciata dai suoi occhi.

Il Gran Sacerdote.

Era là, ancora lontano, ma perfettamente visibile nella tenebra rischiarata dalle stelle e dalla luce di quei globi (“Atena, fa che ciò che ho visto non sia nulla, fa che sia così…”). Era in piedi ed immobile su qualcosa che non riusciva a vedere bene.

Aiolos iniziò a correre; subito Saga si gettò all’inseguimento.

Si fermarono esterrefatti a pochi metri dal Gran Sacerdote.

“Che cos’è quest’oscenità?!”

Il Grande Sacerdote era privo di sensi, imprigionato fino al bacino in un blocco di una sostanza nerastra, simile a melma, che sembrava starsi allungando per ricoprirlo ancora di più.

Aiolos si avvicinò rapido alla massa melmosa.

“Avanti, tiriamolo fuori.”

Saga stava per seguirlo, quando un grosso tentacolo nero si formò dalla melma, colpendo il Cavaliere del Sagittario e gettandolo qualche metro indietro.

“Aiolos!”

Saga corse verso l’amico per aiutarlo ad alzarsi, ma questi si rimise in piedi da solo prima che potesse raggiungerlo; il suo sguardo si era fatto cupo.

“Immagino che sarà più difficile di quanto pensassimo…”

Saga si volse costernato verso il blocco di melma; il tentacolo stava venendo riassorbito da quella massa oscena che stava inglobando inesorabilmente il Gran Sacerdote.

Poi, senza preavviso, si lanciò in avanti con tutta la velocità di cui era capace, pronto a schivare qualunque tentacolo gli si fosse posto davanti. Sentì vagamente Aiolos urlargli qualcosa, ma non capì il senso delle parole.

Ecco, il tentacolo si stava riformando. Troppo lento, lo avrebbe schivato senza…

Un colpo dritto in faccia gli fece schizzar via l’elmo, mentre lui stesso veniva sbalzato indietro a tutta velocità, senza che riuscisse minimamente a ruotare il corpo per attutire l’impatto a terra; con la coda dell’occhio vide che si erano formati altri tentacoli oltre al primo. Doveva essere stato uno di quelli a colpirlo

Colpì il suolo tremendamente, ma si rialzò subito – ben altro ci voleva a metterlo al tappeto.

Aiolos gli si avvicinò

“Dobbiamo farlo insieme. Al mio segnale, scatta. Io tento di attirare i tentacoli, tu cerca di strappare il Gran Sacerdote da quella morsa.”

Questo significava che Aiolos sarebbe stato certamente colpito da almeno uno di quegli pseudopodi.

“No, aspetta…”

Aiolos lo interruppe con un gesto della mano.

“Non discutere. Non abbiamo tempo da sprecare in chiacchiere, non ora.”

Saga desisté. Tutto ciò che poteva fare era essere il più rapido possibile, in modo che Aiolos fosse colpito il meno possibile dai tentacoli. Tese i muscoli, pronto a scattare.

“ORA!”

Più veloce, doveva essere più veloce. Cercò di vedere cosa stava accadendo ad Aiolos, ma il cavaliere era fuori dal suo campo visivo. No, non doveva distrarsi, doveva solo essere rapido ad estrarre il Gran Sacerdote dal blocco.

Lo stava per toccare, ecco, solo pochi centimetri e lo avrebbe tirato via per il braccio…

Un altro colpo, questa volta molto più potente, lo fece di nuovo volare indietro.

Aiolos?

Si guardò intorno. Poi lo vide mentre impattava il suolo, mentre alcune delle piume dell’armatura si staccavano, cadendo come pioggia tutt’attorno.

Cosa?!

Parti dell’armatura che si staccavano? Come poteva essere?

Aiolos sembrava star pensando la stessa cosa, a giudicare l’espressione sbigottita che leggeva nei suoi occhi.

“Come è possibile? Solo un dio potrebbe…”

“Ed è un dio quello che state infastidendo, piccoli idioti.”

La voce sembrava provenire da tutt’attorno – una voce disumana, nella quale si sentiva il suono di ogni cosa.

Saga si guardò attorno, pronto a difendersi.

“Chi ha parlato?”

Una risata terribile riecheggiò in tutto il luogo.

“Vorresti dire che non sai contro chi combattete? Ah, ben miseri guerrieri siete, se non conoscete neppure il vostro nemico.”

Aiolos estrasse la freccia dorata e la incoccò. Brutto segno, si disse Saga.

“Mostrati.”

La voce di Aiolos era ferma e decisa, mentre il cavaliere si guardava attorno.

“Oh, voi umani, avete sempre bisogno di qualcosa di fisico cui potervi rivolgere… Che sia, voglio divertirmi, prima di distruggervi.”

Saga avvertì un cosmo immenso manifestarsi dietro di loro. Si voltò, appena in tempo per assistere alla manifestazione dell’oscura entità che aveva parlato.

Qualcosa formato dalla stessa melma che imprigionava il Gran Sacerdote stava formandosi dal suolo trasparente; la forma era vagamente umanoide – ma assolutamente aberrante.

Era distinguibile una specie di tronco, da cui dipartiva ciò che poteva essere identificato come gambe e braccia, con un grosso bubbone a formare la testa; e l’intero corpo – se corpo si poteva chiamare quella massa dall’anatomia indistinguibile – sembrava ribollire in continuazione, come se dovesse mutar forma da un momento all’altro.

“Eccomi a voi, mortali. Ora chinate il capo e veneratemi, come si addice agli uomini quando si trovano di fronte ad un dio.”

Saga era profondamente disgustato da quell’essere, e fece per caricare un pugno. Aiolos lo fermò stendendogli un braccio davanti.

“Chi sei, tu che dichiari di essere un dio? Qual è il tuo nome?”

La creatura rise, e mentre rideva uno di quelli che parevano essere i bracci cadde, svanendo e venendo subito rimpiazzato da una protuberanza subito creatasi dal busto di quell’orrore.

“Non capite ancora? Sciocchi, sciocchi siete a venire ad irritarmi con queste domande…”

“Non hai risposto alla mia domanda.”

“Ah, che uomo impudente, non solo non ti prostri al mio cospetto, ma addirittura seguiti a fissarmi con sguardo duro e chiedendomi il mio nome… Che sia, fintanto che mi divertite. Molti nomi ho, nessuno dei quali vi direbbe nulla, in molte lingue sono indicato con parole diverse, la maggior parte delle quali ormai dimenticate, sparite dalla memoria degli uomini. Forse a voi sono noto con il nome di Chaos.”

Nel dire ciò, su tutto il corpo si aprì uno squarcio, dal quale fuoriuscì una copia esatta di Chaos; il vecchio corpo venne riassorbito dal primo.

“Di me parlano le leggende antiche, dicendo che fui io a creare l’universo… Vero, sì, ma dimenticano di riportare la parte successiva, cioè che fui imprigionato dagli stessi dei miei figli, timorosi del mio potere, e che per millenni ho vissuto rinchiuso in questa tetra prigione, nell’angolo più remoto dell’universo da me stesso creato… Ah, ma è giunto infine il tempo della mia vendetta, scandito lentamente dalla pendola del Destino, cui nessuno è dato fuggire… Ora che finalmente si sono sciolte le catene che mi imprigionavano, potrò ”

I due cavalieri sembravano congelati, sconvolti dalla rivelazione.

“oh, sembra che abbiate capito chi avete di fronte. Bene.” Chaos sembrava compiaciuto “Voglio darvi due possibilità, dato che mi sembrate uomini capaci… Potete continuare ad opporvi al mio potere, oppure accettarmi come vostro signore e padrone, rinnegando Atena e facendo salva la vita.” Rise beffardo “Ovvio che, scegliendo la prima opzione, andreste incontro ad una sorte… spiacevole.”

“Ditemi, cavalieri, cosa scegliete?”

Saga avvertì il cosmo di Aiolos espandersi; voltandosi a guardare il compagno, vide sul suo volto lo sdegno più totale. La sua voce fu tagliente, quando parlò.

“Noi siamo Sacri Guerrieri della Dea Atena, non rinnegheremo mai la nostra fede in Lei. E non ci faremo impaurire da un’oscenità quale tu sei, Chaos, né tantomeno ci prostreremo ai tuoi piedi per adorarti. Abbiamo giurato di proteggere Atena, il Gran Sacerdote ed il Santuario a costo della vita, e mai ci piegheremo a diventare spergiuri; noi ti combatteremo, Chaos, bestia disgustosa, in nome di tutto ciò in cui crediamo.”

“Tu ci hai fatto una proposta, io te ne faccio un’altra.” Fece un passo avanti, ergendosi maestoso nell’armatura dorata; il movimento brusco fece spiegare le ali, rendendo il suo aspetto ancora più grandioso “Lascia andare il Gran Sacerdote, ed abbandona i tuoi propositi. Noi ti lasceremo vivere.”

Un silenzio terribile avvolse i tre. Poi Chaos iniziò a sua volta ad espandere il proprio cosmo. La sua voce si fece velenosa e carica di rabbia.
”Dunque è così. Avete compiuto la vostra scelta, patetici mortali, ultima delle generazioni nate dalla mia creazione. Che sia! Avrete l’onore di essere i primi ad assaggiare la mia collera, voi che avete osato rifiutare l’opportunità che il più grande degli dei vi offriva!”

Saga si preparò a difendersi, gli occhi puntati su Chaos per non lasciarsi sfuggire il benché minimo moto.

Poi Chaos scattò.

La sua velocità era impossibile – in quanto cavaliere d’oro, Saga era in grado di vedere qualunque spostamento che avvenisse alla velocità della luce, ma Chaos si muoveva ancora più rapidamente, tanto che era possibile solo intravederne i contorni.

Ah, ma certo, sarebbe bastato osservare la scia di immagini prodotte dal suo movimento per…

No, maledizione, non aveva lasciato alcuna scia.

Un colpo al petto gli fece fare un volo di parecchi metri, mentre sentiva l’armatura dei Gemelli emettere come un gemito di dolore – ma l’atterraggio fece rapidamente passare in secondo piano il dettaglio. Cadde, la faccia a terra, il dolore che percorreva urlando ogni fibra del suo corpo.

Si rialzò il più velocemente possibile, giusto in tempo per vedere Aiolos colpito a sua volta dall’essere senza forma.

Non un grido uscì dalla bocca del Cavaliere del Sagittario, che arretrò senza staccare i piedi dal suolo.

Chaos gli fu di nuovo addosso, ma stavolta Aiolos parve aver individuato la direzione da cui sarebbe giunto il colpo; si abbassò.

Oh, bene, il pugno lo avrebbe mancato, dandogli tempo per tentare una reazione…

Chaos colpì una delle immagini della scia di Aiolos dritto nel volto; il Cavaliere del Sagittario fu sbalzato all’indietro come se fosse stato colpito lui invece di una delle molteplici copie che ne tracciavano i movimenti.

Toccò il terreno duramente, non lontano da Saga, mentre altre piume dorate cadevano tutt’attorno.

Saga gli corse accanto per aiutarlo ad alzarsi.

“Aiolos…”

 Il Cavaliere del Sagittario prese la mano che Saga gli tendeva e si rialzò, il volto macchiato di  sangue.

“Temo che questa volta il risultato del combattimento sia deciso, Saga.”

Aiolos piantò i suoi occhi in quelli di Saga. Per la prima volta, il suo sguardo era velato di tristezza.

“Combatteremo comunque, per Atena e per difendere il mondo che conosciamo. Sappi solo che è un immenso onore per me morire al tuo fianco, Saga.”

Saga si sentì bruciare dentro.

“Se avete finito i convenevoli…”

Chaos si ergeva a pochi metri da loro, pronto ad attaccarli.

Saga guardò un’ultima volta Aiolos.

“Andiamo.”

Aiolos annuì e si preparò ad attaccare l’oscenità che si parava loro davanti.

“FERMI.”

Una voce rimbombò nelle loro menti. Una sagoma si stava avvicinando dalle spalle di Chaos.

Quando l’uomo fu abbastanza vicino, Saga inorridì nel vederne il volto orrendamente torturato e pallido.

“Oh, sei giunto, servo del Destino. Stavo quasi per iniziare il rituale da solo, assorbendo direttamente il mortale il cui sangue servirà a liberarmi definitivamente… Ora che sei arrivato, sistema tu questi impudenti cavalieri, io voglio risparmiare le mie energie per i ben più faticosi compiti che mi aspetteranno una volta uscito da questa prigione.”

L’uomo si trovava ora a mezza strada fra Chaos ed i due cavalieri. Saga lo guardò con disgusto; un altro nemico non ci voleva, e per di più costui era proprio un mostro le cui fattezze vagamente umane potevano essere riuscite a stento.

Il servo del Destino, come Chaos lo aveva chiamato, si fermò. Alle sue spalle Saga poteva vedere il Gran Sacerdote, ormai inglobato quasi completamente.

“No, Chaos.”

Chaos parve interdetto.

“Cosa dici? Mi pare di aver udito un “no”, ma spero di essermi sbagliato.”

L’uomo si voltò verso Chaos.

“Hai sentito bene. Non ti aiuterò ad uscire da questa prigione, no, né ucciderò questi due cavalieri che cercano di proteggere il mondo che conoscono.”

Chaos strisciò verso di lui minacciosamente.

“Il Destino ha deciso che io sia liberato quest’oggi, uomo. Così è stato scritto secoli addietro, quando fu previsto che le stelle, nella posizione in cui ora si trovano, mi avrebbero dato l’energia per riacquistare coscienza. Non vorrai disubbidire a ciò che il Destino stesso ha deciso, spero, oppure…”

“Ho parlato con uno dei Cavalieri d’Oro, questa sera.” Lo interruppe “Ed ho scoperto che pure il Destino stesso, in cui tanto a lungo ho creduto, a cui ho donato la mia vita, non è quella forza invincibile in cui ho sempre creduto, Chaos.”

Agitò l’enorme scudo che portava al fianco.

“Il mio scudo, lo scudo che era stato predetto nessuno avrebbe intaccato, se non un dio, è stato ammaccato da un uomo. Lo stesso uomo mi ha fatto capire quale fosse il mio errore; fino ad ora, ho sempre creduto che la Giustizia coincidesse con il fato.”

“Mi sbagliavo, Chaos. La vera giustizia è ben altra; ancora non so quale, né sono sicuro di poterlo scoprire. Una cosa, però, è certa.” Avanzò di un passo verso Chaos “Tu non sei nel giusto, tu che stai devastando l’universo intero col tuo potere, oscurando le stelle, distruggendo un ordine che dura da eoni. Rinuncia al tuo proposito, Chaos, o dovrò attaccarti io stesso.”

Mentre parlava, il suo cosmo si era espanso, come a dare più enfasi alle sue parole.

Chaos era stato ad ascoltare in silenzio. Poi sembrò come aumentare di dimensioni.

“Grave è quel che dici, mortale. Ti stai ribellando non solo al Destino, cui giurasti fedeltà…”
”Una fedeltà estorta con menzogne non è vincolante.”

Chaos lo ignorò

“… ma anche all’entità generatrice dell’universo. Che sia dunque, hai fatto la tua scelta, ed ora ne pagherai le conseguenze assieme a questi due uomini.”

Partì all’attacco senza quasi che nessuno dei tre se ne accorgesse.

Saga non riusciva neppure a contare il numero di colpi di cui era fatto segno, tanto Chaos era veloce; e sentiva l’Armatura dei Gemelli frantumarsi lentamente. Poi si ritrovò di nuovo a terra, accanto ad Aiolos ed al nuovo alleato misterioso.

Gettò uno sguardo verso la direzione da cui era stato sbalzato; Chaos si avvicinava molto lentamente, con fare minaccioso; e del Gran Sacerdote emergeva solo l’elmo dalla massa melmosa che lo stava assorbendo.

“Cavalieri…”

La voce dell’uomo misterioso.

“C’è un solo modo di sconfiggere Chaos e di riparare ai danni da lui fatti…”

Poi Saga si rese conto che la voce non proveniva da dentro la testa, come era stato fino ad allora; la udiva distintamente con le orecchie.

Si voltò a guardare l’uomo misterioso, e vide che si stava strappando la cucitura che gli teneva chiusa la bocca, mentre il sangue sgorgava copioso da ogni poro del suo volto.

Intravide anche Aiolos alzarsi, anche se a fatica, con una delle ali dell’armatura spezzata, e tentò di imitarlo, nonostante il dolore che gli pervadeva tutto il corpo.

“Chaos è il più potente degli dei, più forte persino di più dei riuniti… V’è solo un’entità che possa sconfiggerlo, il Destino stesso, che esiste, anche se ingannevole, come ho scoperto.”

“I servitori del Destino portano queste mutilazioni sul volto per due motivi… Innanzitutto per il rituale per ottenere lo scudo, che solo quanti sopravvivono al trattamento superano… E poi…” Aveva finito di staccarsi la cucitura dalla bocca, iniziò a strappare ciò che gli chiudeva gli orecchi. “per permetterci di usare, in casi estremi, una tecnica proibita non solo dal Destino, ma da tutte le divinità congiuntamente.”

Estrasse di colpo una specie di cilindro metallico dall’orecchio destro, sanguinando paurosamente.

“Quando avrò liberato la bocca, gli occhi e le orecchie da ciò che mi impedisce di usare questi organi, concentrandomi potrò incanalare in me stesso l’energia del Destino stesso. Io ed egli saremo una cosa sola, un dio ed un mortale nello stesso corpo.”

Chaos continuava ad avvicinarsi.

“Il Destino obbliga i suoi servitori a condurre una vita che riduca il loro corpo in condizioni miserevoli appunto per evitare l’uso di questo colpo – un corpo come il mio, fragile com’è, verrà distrutto dall’enorme energia che sto per incanalare.”

“Ma non mi interessa. Ho sbagliato per tutta la mia vita, ho rinunciato a tutto ciò che potevo avere per servire un potere che si è dimostrato ingannevole.” Trasse un profondo respiro e strappò un cilindro anche dall’orecchio sinistro, continuando a perdere sangue. “Sono pronto a sacrificarmi per espiare il mio errore.”

Si alzò, iniziando a staccare lentamente le cuciture degli occhi.

“Ma mentre starò incanalando l’energia che mi consentirà di uccidere Chaos, sarò completamente inerme. Non posso fare altro che rimettermi nelle vostre mani in modo che tratteniate Chaos per il tempo necessario.”

Saga ed Aiolos si guardarono negli occhi. Poi Saga parlò.

“Uomo di cui non conosciamo il nome, io mi fiderò di te e ti proteggerò, per quanto mi sarà possibile oppormi a Chaos prima di essere ucciso. Se hai ragione, potremo porre fine alla minaccia che egli rappresenta per questo mondo. Puoi contare sul mio pugno.”

Aiolos annuì. L’uomo strappò le cuciture dagli occhi, ma li tenne chiusi; lacrime gli iniziarono a rigare le guance.

“Grazie per l’occasione di redenzione che mi date. Ben poco conosco di voi cavalieri, ma riconosco la vostra nobiltà. Solo una cosa vi chiedo prima di combattere… Ringraziate Shura da parte mia.”

Chaos era ormai vicino. Aiolos spostò lo sguardo dall’uomo a Saga e, dopo averlo fissato dritto negli occhi, rapidamente incoccò la freccia nell’arco e la scagliò.

Saga si slanciò contro la massa informe, seguendo il moto della freccia, pronto a colpire…

Il dardo si fermò a pochi centimetri da Chaos e cadde a terra.

No, non andava bene.

Saga cercò di colpire l’immondo essere, ma lo mancò.

In tutta risposta, fu scaraventato indietro da una forza immensa, mentre Chaos ruggiva.

Con la coda dell’occhio, vide Aiolos gettarsi in avanti, scagliando quelle che sembravano saette dal pugno.

Batté duramente la testa a terra; non riusciva a muoversi.

Vedeva Aiolos e Chaos combattere, ma non riusciva a capire a quanta distanza, e sembrava che tutto si svolgesse al rallentatore.

Poi Aiolos venne colpito in pieno una, due, troppe volte, e cadde a terra.

 

“Come osi? Io ti ho dato i tuoi poteri, io posso…”

“Silenzio. Ho compreso quanto grande sia la tua impotenza. Ti ho servito e riverito per tutti questi anni credendo che tu fossi ciò che dispensa la vera Giustizia. Ma ora ho capito quanto tu mi abbia ingannato. Non arretrerò, anche a costo della morte.”

“Torna al tuo posto, Tomhet, e combatti al fianco di Chaos. Io ho deciso cosa dovrà accadere, e tu devi ubbidire a…”

“Silenzio, ho detto. Non saranno le parole a fermarmi. Non ora che sto per fare la mia prima azione da uomo libero.”

“Sarà anche la tua ultima, lo sai…”

“Sì, ma questa mia azione farà in modo che tutta l’umanità, anzi, l’universo intero sia libero dalla tua influenza. Io morirò, ma tu verrai con me.”

“Fermati, prima che sia troppo tardi, sono ancora disposto a perdonare la tua piccola ribellione, fermati o sarà…”

“E’ già troppo tardi, non lo vedi?”

 

Saga non riusciva a riprendersi – si rendeva conto che qualcosa non andava e che avrebbe dovuto combattere al fianco di Aiolos, che Chaos stava calpestando indegnamente, ma non riusciva ad avere la volontà di muoversi.

Poi una luce lo abbagliò; Chaos stesso si fermò, colto alla sprovvista.

L’uomo che era stato il servitore del Destino stava camminando. Dai suoi occhi uscivano come dei fasci di luce.

Oh, che bello, c’era riuscito.

Chaos distolse la sua attenzione da Aiolos e si gettò contro il nuovo combattente.

Non fu una cosa lunga. Semplicemente l’uomo alzò una mano e colpì Chaos, trafiggendolo.

Stava iniziando a riprendersi.

Poi Chaos cadde a terra, ed iniziò a dissolversi in una specie di fumo, mentre l’uomo si accasciò, la luce che usciva dagli occhi visibilmente diminuita.

Saga sentì la voce di Chaos, distante, come se provenisse da un’altra dimensione.

“C’è mancato poco, ma non sei riuscito ad uccidermi… non sei forte a sufficienza per contenere il Destino dentro di te, e così stai morendo pur avendo solo eliminato il mio corpo… sciocco, mi basterà prenderne un altro al suo posto, un corpo vivo che non sia vincolato a questa prigione come lo era quello che avevo prima… mi hai reso un favore, anziché distruggermi.”

Poi Saga vide il fumo dirigersi verso di sé. Iniziava a sentire la paura. Il fumo lo avvolse.

“Tu… sì, tu sarai un ottimo corpo, un lasciapassare per il mondo esterno… Per di più nei ranghi dell’esercito di un mio nemico… Sì, entrerò nel tuo corpo.”

Saga improvvisamente capì cosa stava avvenendo. Cercò di fare qualcosa, ma il suo stato di semi incoscienza glielo impedì.

Poi si rese conto di essere in piedi e di star camminando verso l’uomo misterioso, accasciato a terra che lo guardava, la luce degli occhi quasi completamente spenta.

E sentì di star parlando.

“Come vedi, non ho avuto nessuna difficoltà nel trovare un nuovo corpo. Ed ora, piccolo verme…”

No, non era lui a parlare. Il suo copro era come animato da una volontà aliena.

Vide il proprio pugno alzarsi. Stava per colpire un uomo morente?

NO!

“Cosa… Non può resistere al mio…”

Si oppose con tutte le proprie forze all’azione che stava per compiere.

Fermò il pugno a pochi centimetri dal volto dell’uomo, dai cui occhi la luce era svanita.

“No… maledetto… non riuscirai a fer…”

Poi ci fu come un’esplosione nella sua testa, e svenne.

 

Tomhet vedeva il futuro. No, come poteva essere? Il Destino era morto con lui, quindi…

“Non siamo ancora morti. Ma lo saremo presto.”

Oh.

“Ad ogni modo, dato che il mio potere è svanito, non stai vedendo IL futuro. Stai vedendo i futuri possibili. Nessuno di essi è predeterminato, ma la loro realizzazione o meno dipenderà dalle azioni dei mortali. Sei contento, ora? Sei felice di aver distrutto l’ordine che avevo creato?”

Lo ignorò. Se stava per morire, tanto valeva dare una sbirciata al futuro.

Le stelle stavano iniziando a ricomparire. Evidentemente Chaos, sconfitto, aveva mollato la propria presa su di esse. Beh, questo era quasi il presente, però.

Ah, la sua sepoltura.

E quella di Notte ed Idra.

Che bellezza, era stato sepolto – sarebbe stato sepolto proprio in un bel posto.

Ah, sì, questo gli piaceva.

Il giovane che gli aveva impedito di dare il colpo di grazia a Shura mentre si allenava. Shura mentre si riprendeva dalle ferite subite. Le armature mentre venivano riparate.

Poi raggelò, ricordando ciò che aveva visto come ultima cosa.

Quel cavaliere… come si chiamava? No, non era importante saperlo, l’importante era conoscere il suo stato, cioè che era posseduto da Chaos. Anche se sembrava che avesse opposto resistenza.

Ma un umano non avrebbe potuto resistere per molto tempo a un dio.

Seguì il futuro di quel singolo uomo, esaminandone i vari corsi possibili.

Come era possibile?

Tutti i corsi portavano allo stesso punto, in cui

“Salve, possente Arles

Così lo aveva chiamato un individuo in una scena del futuro, per cui doveva essere il nome dell’uomo…

In cui Arles uccideva una bambina.

Tomhet seppe con precisione chi era quella bambina – non capì come lo seppe, ne venne a conoscenza e basta.

Chaos avrebbe preso il sopravvento sull’uomo, su Arles, ed avrebbe ucciso Atena?

No, blasfemia allo stato puro.

Non sapeva cosa fosse la giustizia, ma certo non era giusto che un dio perisse per mano di un uomo – soprattutto di un uomo dominato da Chaos.

Lo vide mentre prendeva il controllo del Santuario. Ecco perché aveva risvegliato le stelle; si era sbagliato, non era stata la sconfitta ad indebolirlo al punto da fargli perdere il controllo su di esse; aveva intenzione di controllare i Sacri Guerrieri di Atena, quindi doveva contare sul loro pieno potere.

No, il piano di Chaos sarebbe dunque giunto a compimento?

Doveva impedirlo, doveva…

Si risvegliò bruscamente dal torpore che lo stava avvolgendo.

Aiolos – non capì neppure come conoscesse il suo nome, forse lo aveva sentito in una scena del futuro, forse era successo qualcos’altro, non importava – gli stava sopra e lo stava scotendo delicatamente.

“Tutto bene? Sei ancora tra noi?”

Ecco, doveva agire.

“Aiolos…”

L’uomo sembrò stupito nel sentirsi chiamare per nome da chi non conosceva neppure.

“Come…”

Gli strinse un braccio

“Aiolos… Atena… Arles… Proteggi…”

No, non poteva morire proprio ora, doveva…

“Hai spinto troppo oltre il tuo corpo. Sapevi cosa sarebbe successo, io ti avevo avvisato ora morirai, ed io con te. Spero che il piano di Chaos possa compiersi.”

Si sentì cadere nel buio.

 

--

 

La vita stava riprendendo a scorrere.

Shura si alzò dal letto, attento a non strappare nessuna delle fasciature che aveva indosso.

Tutto il corpo gli faceva male, molto male, ma sentiva di starsi lentamente riprendendo.

“Dove stai pensando di andare?”

Si voltò; Aiolos lo guardava con bonaria severità – era stato lui, come ringraziamento per la protezione data ad Aiolia, ad occuparsi del Cavaliere del Capricorno, e si era temporaneamente trasferito in quella casa assieme al fratello.

“Oh, andiamo, Aiolos, solo una passeggiata. Sono giorni che me ne sto qui senza far nulla, se resto ancora fermo esploderò.”

Aiolos rise

“E va bene, ma solo se ti posso accompagnare.”

Uscirono alla luce del sole; Shura si coprì gli occhi, disabituati alla luce.

Fecero qualche metro, Shura appoggiato alla spalla di Aiolos.

“Allora, tu che ti puoi muovere per tutto il Santuario, come vanno le cose nel resto delle Case?”

Aiolos si incupì leggermente.

“Abbiamo seppellito i morti stamani. Oltre ai due tirapiedi di Chaos, Tomhet, il Cavaliere di Orione ed una guardia.”

“Oh.”

Camminarono ancora un po’ in silenzio.

“E gli altri si stanno riprendendo?”

“Deathmask non sembra voler uscire dalla sua Casa, per ora. La morte del suo maestro dev’esser stata dura per lui… Mu, invece, è fresco come una rosa e sta aiutando il Gran Sacerdote a riparare le armature. Pare che la mia sia ormai a posto, mentre per le altre servirà ancora tempo.”

“Beh, almeno di quello non ne ho bisogno…”

Aiolos ridacchiò.

“Per fortuna, con la morte di Chaos, la sua prigione si è dissolta, insieme al blocco che intrappolava il Gran Sacerdote, altrimenti non so come avremmo fatto io e Saga, ridotti come eravamo, a liberarlo e ad andarcene…”

“Già, Saga. Lui come sta?”

Un lampo di tristezza passò negli occhi di Aiolos.

“Non lo so… Sembra che stia bene, almeno fisicamente. Ha subito quanto me, ma nessuno di noi due sembra esser stato ridotto particolarmente male…” Si interruppe “Però… Non so, sembra che si stia isolando, per ora. Non capisco cosa gli stia accadendo.”

“Oh, tranquillo. Penso che gli passerà presto… sarà un po’ shockato per tutto ciò che è successo, nulla di grave.”

Continuarono a camminare, ammirando il panorama del Santuario visto alla luce splendente del sole.

 

“Sai che riuscirò ad uscire, lo sai… ed allora perché non ti arrendi subito? Pensa, potrai avere il potere per te soltanto… comandare ognuno di quei singoli cavalieri che abitano il Santuario…”
”Fa silenzio, fa silenzio, silenzio!”

Saga si portò le mani alla testa, nel buio della sua camera.
””Non cederò alle tue lusinghe. So chi sei, so cosa vuoi fare, non ti lascerò prendere il sopravvento.”

“Stupido. Quanto speri di poter resistere? Un giorno, un anno, forse di più, non importa. Per me il tempo non conta, riuscirò comunque a controllarti.”

“Silenzio, ho detto. Esci dalla mia mente.”

“Ah, ma ho già preso possesso di te, e tu lo sai. Non puoi parlare di me a nessuno, te lo impedisco... Mi hai anche aiutato tu a farlo, non hai opposto resistenza… sarebbe tuo dovere informarli, ma hai preferito che io riuscissi ad impedirtelo… Già, cosa accadrebbe se il tuo caro Aiolos scoprisse che in realtà l’irreprensibile Saga dei Gemelli ospita nel suo corpo me? Ah, passioni umane, sono così utili, se ben utilizzate…”

“BASTA!”

Lo sforzo per far stare zitta quella voce lo sfiancò.

Colpi contro la porta attirarono la sua attenzione.

“Allora, isterico, la pianti di urlare?”

“Vattene, Kanon, lasciami in pace.”

“Sì, va’ al diavolo, isterico.”

Il rumore di passi che si allontanavano gli fece capire che Kanon se ne era andato.

Si alzò dal letto ed iniziò a camminare su e giù per la camera.

Non lo avrebbe fatto uscire.

Non lo avrebbe fatto uscire.

  
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