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Autore: Frankie_From_The_Moon    24/09/2016    0 recensioni
Cecile si è dovuta da poco separare dal fratellone, controvoglia, andando ad abitare con la nonna in campagna; preparata ad un'esistenza pacifica fino al ritorno dell'unico parente stretto rimastole, fa pian piano la conoscenza di una miriade di piccoli segreti del posto - e, anche se inconsciamente - di un mondo estremamente pericoloso che, con un po' d'impegno, riuscirà a domare...o almeno, questo è quello che crederà di fare, perché i demoni - a volte - possono rivelarsi estremamente imprevedibili.
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La via era deserta. Solo piccole figure sullo sfondo color fuoco si muovevano silenziosamente, avvolte dal freddo calore della pioggia. Il bambino, avvolto da un lungo impermeabile beige troppo grande per lui, avanzava verso la stazione dei treni. L’insegna luminosa si scorgeva da una grande distanza, una scritta a colori cubici e vivaci che il bambino non riusciva a capire. Cercò di coprirsi meglio con l’impermeabile, zuppo d’acqua, che stava iniziando a diventare pesante. Non c’era alcun posto dove andare oltre a quello. Era partito di sua iniziativa dopotutto. La gente per strada sembrava quasi non accorgersi di lui, tanto era impegnata a scappare da quell’acquazzone di inizio autunno che era iniziato così all’improvviso. Il tramonto, oscurato da una coltre di nubi insormontabile, volgeva ormai al termine, lasciando il posto a delle tenebre violacee che al piccolo non significavano altro che casa. I contorni rossi e fluidi che circondavano ogni forma erano dati dai suoi occhi stanchi, accecati da un odio represso che non poteva riversare su altri che se stesso. Arrivò alla stazione ed aspettò. L’autobus non ci mise molto ad apparire, clacsonando in lontananza. Era arrivato per lui. Si fermò con uno stridore di gomme assordante, grondando acqua dal serbatoio di scolo. La porta si aprì cigolando. Il bambino fu inghiottito da un’ondata di suoni e rumori, urla, risate, sospiri, ma non ne fu intimidito. Non ci pensò due volte e salì. L’autobus ripartì a tutto gas, lasciando dietro di se solo un impermeabile fracido del colore delle nubi gonfie di rabbia, placido sull’asfalto.

-Passano gli anni, ma niente cambierà mai in te,- sospirò benevolo Maxwell mentre, indaffarato com’era con le valigie da impilare in fila sul nastro trasportatore, non aveva proprio il tempo per guardare negli occhi la sorella minore alle sue spalle. -Eppure sono certo che te la caverai. C’è la nonna che si prenderà cura della casa.
-Non è la stessa cosa!- Quasi urlò Cecile, gli occhi che le bruciavano e languide lacrime che le pizzicavano le guance.
-Sarà un anno.- Promise il ragazzo, questa volta girandosi e sentendosi leggermente in colpa. -Un anno soltanto. Poi, se tutto va bene, ti lascerò venire a stare con noi.
Cecile non ne era per nulla convinta.
-La tua fidanzata accetterà?
-Sei così brutta quando piangi, Cece. Tutti sono brutti quando piangono, non te l’ha mai detto nessuno?
-Non sviare il discorso, fratellone.- La ragazza si asciugò il viso con la manica del maglione. -E poi, perché devi proprio trasferirti da lei?
-Tra un anno ci sposeremo. Sarebbe sensato provare a convivere, per vedere come vanno le cose. I suoi genitori sono d’accordo e anche la nonna.
Cecile non sapeva sotto quali aspetti ribattere. Non aveva altri che il fratellone e non voleva che se ne andasse, almeno non così presto. Sapeva anche di essere l’unica contraria, seppur non avesse ancora mostrato apertamente le sue motivazioni per paura di far rimanere il fratellone deluso dal suo comportamento infantile.
-Per l’inizio della scuola?- Sussurrò, fissando cocciutamente terra mentre gli occhi ormai gonfi le bruciavano senza sosta. Il pavimento piastrellato della stazione era sporco e popolato da mozziconi di sigaretta e buste della spesa, soppesate dalla frescura di quella giovane sera di metà estate.
-Sì, avrai mie notizie per l’inizio della scuola.
Una voce meccanica proveniente da chissà dove annunciava l’imminente arrivo del treno numero dodici. Cecile strinse i pugni in un impeto di rabbia. Non voleva che il fratellone se ne andasse, ma non era data a lei la possibilità di scegliere.
-Ecco, ora devo andare.- Sospirò Maxwell dandole un buffetto sulla guancia. -Non far arrabbiare la nonna.
-Ci proverò,- gli concesse lei senza troppa convinzione.
In un attimo, come un’ombra, lo vide poi aggregarsi alla folla che si accalcava di fronte alle porte del treno e poi sparire. Rimase lì, a fissare il punto in cui l’aveva visto chiaramente per l’ultima volta, il suo profilo asciutto e familiare, quella massa arruffata di ricci biondi e le spalle larghe e ben delineate, fino a quando non si accorse che una mano le aveva accarezzato la guancia con dedizione.
-Andiamo, piccola? La cena ci aspetta.
Il treno se n’era andato, e così era arrivata la nonna. Era molto anziana, dalle guance pienotte e la statura di un tappo di sughero. Indossava un impermeabile di stoffa che le arrivava alle caviglie e riusciva a reggersi in piedi anche con dei tacchi di ben cinque centimetri. Cecile la seguì senza troppi preamboli fino al taxi, porgendo le valigie poco fornite al conducente. Aiutò la nonna a salire sui sedili posteriori, entrando poi a sua volta. Fuori una pioggerellina fine aveva iniziato a cadere malvagia, riportando alla mente di Cecile una valanga di ricordi che era solita trascurare. Ricordi legati al fratellone, ai tempi in cui vivevano ancora con i genitori e la sorella minore, la quale riposava ora in un non lontano cimitero nel centro città. Il taxi prese la via principale e continuò per un buon tratto, per poi optare per una viuzza laterale e svoltare come alla rinfusa per una buona mezz’ora. La casa della nonna, alias madama Olivia Licia Marshall, si trovava infatti in campagna. Era una mansione confinante con i campi, un po’ vecchiotta, dalle finestre a cupola ed il giardino rigoglioso e quasi magico di notte. La nonna, che ultimamente non ci vedeva molto bene neppure con gli occhiali, aveva reclamato un giardiniere ed un paio di inservienti. Da giovane aveva messo da parte un bel gruzzolo, per questo ora, agli sgoccioli della sua esistenza, si poteva permettere tutto quel lusso.
Scese dal taxi, nonna e nipote avevano preso una stradina acciottolata delineata da una foresta di fronde e fruscii indefinibili. Se si osservavano con sguardo attento si poteva intravedere una fugace attività di animali dalle microscopiche dimensioni provenire da ogni dove. Ora cercavano indaffarati un riparo dal freddo e dall’umidità, un po’ tutti aiutandosi l’un l’altro. A Cecile piaceva l’odore della pioggia, anche se non le ricordava altro che frammenti di ricordi di un passato che non si poteva riavvolgere.
-Allora, piccola,- le diceva intanto la nonna mentre la magione si stagliava in lontananza in una silhouette di colori scuri e indefinibili. -Hai passato bene gli ultimi anni con Max?
-Sì.- Rispose Cecile, l’ombra di un sorriso a rapirle ogni altra espressione cordiale possibile.
-Lo sai che non avresti comunque potuto smuoverlo, non è vero?
Cecile era indecisa su come ribattere.
-Piccola, è stata una sua scelta personale. Sappiamo entrambe che Georgina gli ha dato tutto l’amore possibile, è un suo diritto quello di poter vivere una vita felice con lei. Prima o poi sarebbe successo comunque.
-Sì, nonna, ma lui è mio fratello! Dopo quello che è successo alla mamma, a papà, a Margot- non è passato neanche un anno…
La ragazza neppure si accorse di aver ricominciato a piangere, tanto che le lacrime si confondevano con la pioggia insistente di quel nuvoloso tardo pomeriggio di fine agosto.
-Fatti forza, piccola. Ci sono io qui con te, ora, ricordi?
La donna si avvicinò goffamente alla nipote, stringendola in un caldo abbraccio, sfilandole poi le valigie dalle mani con una mossa fulminea e raggiungendo il cancello di casa con passo spedito.
-Le mie valigie!- Sussultò Cecile. -Ma che fai, nonna, sono troppo pesanti per te!
La rincorse per un buon tratto, poi lasciò perdere. Erano arrivate al portone di casa. Era molto vecchio e logoro, impolverato agli angoli, ma accogliente.
-La notte si sentono le cicale.- Sussurrò con fare confidenziale la nonna all’orecchio di Cecile. -Ti va di vederle insieme una volta?
La ragazza annuì mentre, facendosi strada nel corridoio stretto d’entrata, si toglieva le scarpe zuppe di pioggia e terra sulle suole.
-Prendi queste.
La donna porse alla nipote delle infradito colorate.
-Seguimi che ti mostro la tua stanza.
Le due presero le scale che portavano al piano di sopra, in fila indiana perché non c’era molto spazio dove poggiare i piedi. Ai lati c’erano varie cianfrusaglie che chissà a cosa servivano, ma parevano comunque inutilizzate da generazioni. Più avanti c’era un lungo corridoio ad accoglierle, che la nonna rese più artistico accendendo le vecchie applique in metallo cromato. Le pareti erano dipinte di un bel canarino spento, dalle rifiniture dorate che creavano risvolti e spirali i quali percorrevano l’intero piano.
La camera di Cecile era l’ultima in fondo. Ce n’erano tre in tutto ma la nonna diceva che le altre due erano vuote e polverose, popolate da nient’altro che un’orda di aracnidi pronti a spalancare le fauci per staccarti la testa. Appena entrata Cecile non poté fare a meno di esalare un esclamazione di totale ammirazione. La camera era decisamente ridotta rispetto alla sua precedente, ma molto più spaziosa. Ciò che conteneva era pressoché lo stesso ma disposto in una maniera più ordinata. C’erano un letto disfatto appena sotto la finestra, più avanti un mobiletto con una radiolina portatile e accanto una scrivania. Di fronte riposava un divanetto dall’aria morbidissima affiancato da un vaso di fiori rosso fuoco, forse delle calendule. Al lato tra porta e divano c’era l’armadio a due ante più bello che Cecilia avesse mai visto, apparentemente molto antico e costoso, nel quale si intravedevano, dato che le ante erano aperte, una fila di abiti vecchiotti che dovevano essere appartenuti alla nonna stessa quando era più giovane, o magari alla madre di Cecile in tenera età. La bambina ringraziò di cuore la nonna, che la informò della routine giornaliera che avrebbe provato direttamente dal giorno dopo.
-Sveglia al canto del gallo per la servitù. Samara ti aiuterà con le lezioni e ti dirà ciò che si può e che non si può fare in questa casa. La colazione si svolgerà in terrazza, la quale è situata sul retro. C’è anche un’altalena con i cuscini se vuoi riposarti nel pomeriggio, che qui è un vero inferno di calore, ma non fare tardi per le lezioni. Queste ultime ti saranno impartite, come ti ho già accennato, da Tamara, dalle dieci alle dodici del mattino, e riprenderanno poi dalle cinque alle sette del pomeriggio. Avrai comunque il lunedì ed i fine settimana liberi dallo studio. Per il resto del giorno potrai fare ciò che più ti aggrada, tra cui passeggiare per i campi, andare al lago che si trova qui vicino e giocare con Charlotte, che verrà a farci visita ogni tanto con i genitori, dei vecchi amici miei e di tua madre. Il resto dei pasti si svolgerà nella sala da pranzo al pian terreno, rispettivamente alle due e alle otto del pomeriggio. Ho voluto crearti una piccola mappa scritta per aiutarti meglio durante i primi giorni. Se vuoi chiacchierare con me durante la giornata, potrai trovarmi nel salotto adiacente alla mia camera che più tardi ti mostrerò. Il bagno,- continuò posando finalmente le valigie di Cecile a terra -è sulla destra appena scese le scale.
-Spero solo di non ruzzolare giù come una trottola per tutti gli oggetti che ci sono,- commentò la ragazza, dandosi un’ultima occhiata intorno prima di seguire la nonna al piano di sotto. Dopo aver fatto un giro completo della mansione, Cecile fece la conoscenza della servitù a tavola, di fronte a un piatto fumante di vongole e spaghetti verdi. La signorina Tamara era molto giovane, da poco maggiorenne, con i capelli ben tenuti in una crocchia alta ed il viso rotondo e scarno, dagli occhi così scuri da non potersene scovare il fondo. Aveva anche un naso leggermente aquilino che a Cecile ricordava quello del fratellone, per questo la prese subito in simpatia. La cuoca era alta, di corporatura gracile e dal carattere severo, la quale era oltretutto addetta alle faccende domestiche. Sapeva creare dei piatti divini quando ci si metteva. Per ultimo veniva il giardiniere, un tipo robusto e taciturno, dalle mani callose e gli occhi stanchi ma gentili. I pochi capelli che gli erano rimasti erano di un grigio chiaro, tendente al bianco, e la voce rauca rimandava Cecile ai giorni in cui il padre urlava molto e la sua voce si appesantiva fino ad arrivare a quel tono. Sembravano tutti molto gentili, perciò la ragazza non si fece problemi e li prese in simpatia tanto velocemente quanto li aveva conosciuti.
-Non li vedrai spesso- la avvisò la nonna -escludendo Tamara; cerca comunque di non creargli problemi e di essere sempre educata.
Quando Cecile si ritirò nella sua nuova camera si tuffò a capofitto nel letto, così stanca da non riuscire quasi a reggersi in piedi. Fece comunque un ultimo sforzo e si trascinò fino alle valigie. Dopo averle aperte e averci frugato dentro per qualche secondo ne tirò fuori un pigiama consunto che portava da poco meno di un anno. Il fratellone non aveva molti soldi, seppur lavorasse con dedizione e ricevesse una paga mensile, questo perché era l’unico che potesse mantenere la famiglia dopo che i genitori erano passati a miglior vita. Dopo aver spento la luce ed aver urlato un “buona notte!” alla nonna, la ragazza si infilò sotto le coperte e sospirò rassegnata. Anche lui l’aveva lasciata ormai. Era rimasta sola, con, come ultimo appiglio, una vecchia prossima alla morte. Chissà dov’era finito il lato positivo delle cose... La luna era coperta da grossi nuvoloni grigi, i quali ruggivano in lontananza preannunciando un temporale ancor peggiore di quello creatosi quella mattina stessa. Cecile sentiva un malore insistente al petto, segno che il fratellone già iniziava a mancarle.
Se solo avesse potuto fermarlo in tempo…




-Hola-

Quì è l'autrice che vi parla. Spero la storia vi sia piaciuta! Ho due capitoli malconci in programma, ma vi dico solo che aggiornerò molto, molto raramente. (Forse a volte mica tanto, ma sarà raro)
Questo perchè le idee ce le ho, ma quello che mi manca sono
1. Il tempo, stramaledetto tempo che non riesco mai a pigliare per il fondoschiena! e...
2. La voglia. Ops.

Ci rivedremo (forse) in un prossimo capitolo, presto o tardi che esca. Per il momento, se vi fa piacere, lasciate un commentino quì sotto per comunicarmi ciò che pensate a riguardo del primo capitolo, se vi è piaciuto *incrocia le dita* o se avete qualche consiglio da affibbiarmi per migliorarlo.

-Fran <3
   
 
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