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Autore: Arupaka24    25/09/2016    0 recensioni
Nate, oramai stanco di vivere all'ombra del rivale Alain, tenterà il tutto per tutto per stupire il Team Flare, l'organizzazione per cui lavora. Messo con le spalle al muro, deciderà di chiamare una persona che da tempo non appariva nella sua vita.
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Anime
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“Certo!” rispose l’uomo. Il viso di Rose si riempì di gioia al sentire la risposta dell’uomo, un po’ per felicità nel sapere di non dover pagare un altro pasto, e un po’ per la consapevolezza della buona riuscita del suo piano.
“La porterò in uno dei migliori bistrot della capitale, è la sua prima volta qui e dovrà assaggiare solo il meglio!” continuò lui con aria solenne. A un “Grazie” della donna seguì un bacio sulla guancia del ricercatore, che divenne nuovamente paonazzo.
 
I mafiosi lo chiamavano “il bacio della morte” e preannunciava una congiura contro il baciato. Di norma, il bacio era elargito sulla bocca della vittima, e non sulla guancia, ma Rose non voleva di certo sembrare inopportuna o avventata.
Il gesto, per chi ne conosceva il vero significato, non aveva carattere romantico o sessuale, anzi, presagiva una fine orribile da lì a poche ore; il baciatore non eseguiva mai la condanna, spesso il bacio era dato alla presenza d’altra gente, nemici o calunniatori della vittima preferibilmente, come avvertimento per ciò che sarebbe successo dopo.
Il bacio che Rose aveva dato al Professor Platan era, però, diverso: non c’erano testimoni della condanna attorno a loro, il bacio non fu dato sulle labbra e, solitamente, la vittima sapeva già il suo destino dopo quel gesto.
Non era un bacio della morte, nel senso più comune del termine, ma il fine era lo stesso: condannare la vittima ad una fine già scritta.
 
Come ogni veicolo del Team Flare, anche il motorino di Rose disponeva di un bauletto interno con un cambio all’ultima moda, ordini di Elisio. La ragazza prese il necessaire e si diresse nell’hotel più vicino; ordinò una stanza e lì si cambiò. Fece una doccia, si profumò, si fece i capelli e si vestì. Non sapeva bene dove il ricercatore l’avrebbe portata, così optò per un due pezzi di Guccillery della stagione corrente. L’insieme era composto da un top dalle nuance verdi acqua, a spalline fini, ed una gonna sotto il ginocchio in muta di Seviper, plissettata a caldo artigianalmente e con una banda in finta pelle rosso acceso sul fondo.
La particolarità del tutto, però, era un disegno a paillettes cucite a mano di un Archen che, con l’apertura delle sue ali, toccava entrambe le spalle della ragazza.
I capelli, sempre composti da leggeri boccoli, erano invece rinchiusi in  una coda alta.
 
Rose si presentò alle 20:10 davanti allo studio del professore che già l’attendeva; dieci minuti di ritardo erano concessi ad una signora. “Lei è... ” balbettò Platan voltatosi per vedere la donna, “Stupenda?” disse lei con tono scherzoso, ma non troppo, d’altronde, credeva davvero d’essere stupenda quella sera. “S-sì!” disse lui nell’imbarazzo, “Sì certo è davvero... magnifica... scusi la voce, mi è mancato il fiato nel vederla” proseguì. Rose rise di gusto alla frase così artificiosa dell’uomo, seppur vera.
La donna mise nuovamente la sua mano sotto il braccio di lui ed entrambi si diressero al ristorante.
 
Il Professor Platan, oltre a frequentare le più eleganti boutique della capitale, era anche un habitué dei ristoranti più in di Luminopoli.
Presa una via perpendicolare al corso basso della città, Rose si trovò davanti ad un ristorante con un grande portone in marmo nero dalle venature bianche e argentee. Sopra l’inferriata vi erano disposte tre stelle in puro oro, incastonate nella pietra. Un distinto signore aprì la porta alla coppia, Rose sorrise timidamente all’uomo per poi rivolgere il suo sguardo nuovamente a Platan, era felice di passare la serata con un uomo così galante, in fondo.
Tutto lo staff del ristorante conosceva il ricercatore che, passato qualche minuto d’attesa, ebbe libero il tavolo migliore, quello con vista sulla torre della città.
 
Il Professor Platan accompagnò, galantemente, nella seduta la ragazza. Per passare il tempo, i clienti seduti ai tavoli potevano intraprendere delle veloci lotte Pokemon con lo staff, i due non si erano portati dietro alcuna Pokèball e, per ammazzare l’attesa, iniziarono a discutere.
Fu Rose ad iniziare la conversazione: “Allora, signor Platan, esiste anche una signora Platan per caso?”. La risposta, più che ovvia, del professore non tardò ad arrivare: “No no, al momento no... in passato c’è stata una signora Platan ma abbiamo preso strade diverse”. “Mi racconti!” chiese invadentemente Rose, “Sempre se non sono invadente” aggiunse poi.
“Era arrivata ad un bivio: la carriera o me; beh... lei scelse il successo” raccontò lui. “Ancora ci sentiamo e, alle volte, riusciamo pure a vederci, ma siamo semplici amici e colleghi, spesso mi aiuta nelle mie ricerche sulle mega-evoluzioni possedendo lei un Mega-Gardevoir” continuò lui.
Grazie ai database del Team Flare, Rose sapeva già di chi stesse parlando l’uomo, era l’attrice di fama mondiale Diantha, donna d’ineguagliabile talento e bellezza.
 
La chiacchierata fu interrotta dalla prima portata: Paté di foie-gras di Ducklett en terrine.
Solo dopo il primo assaggio dell’antipasto, Rose riprese la conversazione: “Ed ora, lei è riuscita a far carriera?” chiese lei scioccamente, conoscendo già perfettamente la risposta. “Ma certo!” esclamò sorridente lui, “L’avrà di sicuro vista in film come: Cenerentola a Luminopoli, Colazione da Togetic o anche in My fair Ledian”.
Rose si finse sorpresa e chiese all’uomo se stesse parlando della campionessa della Lega di Kalos: Diantha; lui rispose di sì e i due proseguirono con la cena.
Trascorsero il tempo a parlare delle vite l’uno dell’altra. Rose, da brava mentitrice, s’inventò un passato più che credibile: raccontò di essere stata una giovane promessa nel mondo scientifico e, ottenuta una borsa di studio, poté laurearsi con il massimo dei voti in una delle università più prestigiose di Sinnoh.
Il professore si bevette la storia della donna come lo Château Lanturn che aveva nel calice, annata 1961.
 
La cena non durò più di tanto, le porzioni date ai due erano così minimali da poter essere finite in un paio di forchettate.
La coppia uscì dal locale a braccetto, Rose si era appena accesa una delle sue sigarette affusolate, accompagnata dall’uomo nella sua dipendenza da tabacco. I due erano illuminati dal chiaro di luna che rifletteva sulla pavimentazione irregolare della strada le sagome dei due. Passeggiavano vicino al naviglio che tagliava in due la città.
L’uomo era oramai inebriato dal vino appena assaporato e della bella donna che lo accompagnava nella sua camminata imprecisa. Rose, dal canto suo, reggeva bene l’alcool, le tante cene con importanti uomini d’affari, a cui era solita assistere, le hanno permesso di allenare il suo corpo al resistere alle ebbrezze causate dal liquore.
 
I due si trovarono, dopo vari zig-zag sul pavé delle strade, davanti alla porta dello studio dell’uomo.
Rose si appoggiò allo stesso muricciolo di quel pomeriggio, porse in avanti il petto e portò indietro le braccia, il tutto mostrando all’uomo un timido sorriso. Davanti alla posa plastica della donna, il Professor Platan si gettò a lei e le baciò ripetutamente il collo, Rose gemette avvolgendo la gamba destra e il braccio sinistro al corpo del ricercatore. Stropicciò la stoffa della giacca dalla passione, stringendo la stoffa fra le dita.
Rose lo scostò via, l’uomo allora la baciò sulle labbra, lei lo scostò nuovamente emettendo un flebile “P-Platan”.
L’uomo interpretò il gemito come un segnale per continuare il corteggiamento e le baciò nuovamente il collo. Lei, con entrambe le mani, tolse la testa del ricercatore dal proprio petto.
“Mi spiace Platan”, non appena ebbe finito la frase Rose colpì con un pugno lo zigomo sinistro dell’uomo, facendolo cadere svenuto a terra.
 
La ragazza si affrettò a prendere la chiave che le serviva da sotto i vestiti del professore. Le chiavi per aprire la porta del laboratorio, invece, le trovò sotto lo zerbino.
Entrò nell’abitazione. Di fretta si diresse alla stanza delle mega-pietre, girò la chiave, e la porta si aprì. Rose aprì la pochette ed infilò dentro la Lopunnite tanto agognata, scheggiò fuori dalla stanza ed uscì dallo studio. Oltrepassò il corpo inerme dell’uomo, scese i gradini e si affrettò a partire con il suo motorino amaranto.
Si voltò solo una volta indietro per vedere le condizioni dell’uomo: si era appena ripreso e le gridava da lontano parole che lei non comprendeva per via del rumore del motore.
 
Uscì dalla città, l’elicottero la aspettava nello stesso punto dove l’aveva lasciata la stessa mattina; entrò nel mezzo che partì subito dopo.
“Ci ha messo più del previsto” sbofonchiò il pilota. “Scusa, quel tizio non si staccava più di dosso” rispose lei tirandosi su la spallina scesa.
   
 
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