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Autore: kenjina    25/09/2016    1 recensioni
La situazione peggiorò quando trovarono un tavolo da biliardo libero e pronto solo per loro e, ovviamente, finì invischiato in un due contro due in coppia con la sua manager - almeno quella era una piccola fortuna in mezzo a tanta sfiga, si disse per farsi forza. Non avrebbe saputo di che morte morire, se avesse dovuto scegliere tra il Porcospino e la Scimmia; per non parlare della nuotatrice che, grazie a Buddha, non aveva mai giocato a biliardo e non sapeva neanche da che parte iniziare.
«Ehi, guarda che hai le palle piene tu, intesi?», gli fece Hanamichi, puntandogli la stecca contro.
Rukawa sollevò gli occhi al cielo. «Scimmia, non c'era bisogno di dirmelo. Che ho le palle piene di te lo sapevo da tempo».
(Tratto dal capitolo 17)
I ragazzi selvaggi son tornati, più selvaggi di prima... Ne vedremo delle belle!
Storia revisionata nell'Agosto 2016
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hisashi Mitsui, Kaede Rukawa, Nobunaga Kiyota, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Wild Boys'
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s Ni-hao a tutti

Capitolo 20

Esordio col botto

 

 

 

Lo stadio era stracolmo, nonostante si trattasse di una semplice partita tra squadre liceali, il cui risultato molti davano già per scontato. Kiyo si guardò intorno, spaesata dall’infernale caos che regnava sovrano sugli spalti, e si avviò alla ricerca di quei casinisti di Mito e gli alti. Avevano saltato le lezioni come lei, beccandosi anche la ramanzina di Sanako che le ricordava quanto importante fosse studiare, soprattutto per una sportiva come lei, ma non era stato difficile scegliere tra la scuola e Hisashi Mitsui.

«Ehi, Kobayashi!», gridò una voce, appartenente a Yohei in piedi sul sedile per farsi notare. Accanto a lui sedeva Haruko Akagi e, dietro, il colossale fratello e un ragazzo con gli occhiali. Anche loro avevano deciso di marinare le lezioni per sostenere la squadra che, nella situazione in cui si trovava, aveva bisogno di tutto l’aiuto possibile, soprattutto mentale.

Kiyo si sedette accanto all’unica ragazza del gruppo, con la quale non aveva mai scambiato neppure una parola, e le strinse la mano per presentarsi.

Non glielo avrebbe mai detto, ma Haruko era terrorizzata da Kiyoko Kobayashi. Non solo all’apparenza era scostante e perennemente accigliata, ma una che stava in classe con Kaede Rukawa e gli teneva testa era da temere! «Piacere di conoscerti, Kobayashi-san».

Quella annuì, osservando il campo. «Non sono ancora arrivati».

«Ancora qualche minuto», fece Mito. «Popcorn? Vuoi puntare una scommessa sui falli di Hanamichi? O su quell’altro demente di Araki e su quante volte flirterà con Hime?».

«Quel tizio ha seri problemi», fu il commento di Kiyo, che ricordava il suo comportamento da folle durante l’amichevole contro il Ryonan – la stessa che aveva decretato la sua prima uscita con Mitsui. Sembravano passati anni da quel giorno.

«Intendi perché flirta con Sakuragi femmina?», domandò Noma, a bocca piena. «Sì, decisamente».

Akagi, alle sue spalle, si trovò ad annuire con fervore.

«Ragazzi, insomma!», s’inalberò Haruko che, nonostante fosse gelosa del rapporto che la seconda manager aveva con Rukawa-kun, la rispettava più di chiunque altro. Hime Sakuragi era tutto ciò che avrebbe voluto essere: era carina, simpatica e giocava a basket divinamente. Senza parlare del fatto che fosse la migliore amica del ragazzo di cui era follemente innamorata dai tempi delle medie.

«Oh, eccoli!».

Il boato del pubblico fu assordante davanti alla sfilata delle due squadre che entravano in campo. Dopo l’incredibile risultato ottenuto dallo Shohoku ai Nazionali, aveva acquistato così tanta notorietà da fare paura.

«Mamma mia, quelle brutte facce non sono migliorate per niente», fu l’intelligente commento di Okusu, mentre Takamiya gli fregava una merendina dalla tasca senza che se accorgesse.

Kiyo si sporse sulla balaustra trovando subito chi cercava. Hisashi Mitsui non si sedette subito in panchina accanto all’allenatore e alle due manager, ma rimase a bordo campo mentre i suoi compagni si riscaldavano, probabilmente per dare gli ultimi consigli al suo sostituto Kimi. Era visibilmente scocciato dalla impossibilità di giocare: poteva quasi percepire le mani che gli formicolavano pur di riprendere in mano quel pallone arancione e sfilare triple una dopo l’altra. Il senso di colpa per quell’ennesimo infortunio le strinse la gola. Se solo non l’avesse chiamato quella sera con la scusa di ordinare una pizza, se quei due non si fossero scontrati, se solo avesse avuto il coraggio di separarli durante la rissa, anche a costo di essere coinvolta... quanti se e ma. Era stata una stupida e aveva messo in serio pericolo una delle poche persone a cui tenesse veramente. Per non parlare della consapevolezza che, se lo Shohoku avesse perso quella partita, la colpa sarebbe ricaduta su di lei. Non era sicura che avrebbe potuto sopportarlo. L’avrebbe odiata, forse?

L’attenzione della nuotatrice, così come quella del pubblico, fu bruscamente catturata dal tizio con le punte dei capelli blu a centro campo che parlottava con un giocatore del Miuradai, tra pacche sulle spalle e spinte amichevoli.

«Ma che sta facendo quel deficiente?», domandò Mito, mentre Sakuragi dal campo gli gridava contro di non socializzare col nemico.

«Buona fortuna fratellino», stava dicendo il cestista del Miuradai, Kazuo Araki, mentre gli scompigliava i capelli.

Masuhiro gonfiò il petto come un pavone. «Buona fortuna a te, fratellone. Vedrai, sarai fiero di me quando ti batterò! E ti presenterò anche la mia nuova ragazza, che sarà così impressionata dalla mia performance che cadrà subito a miei piedi! Vero Hime-san?».

A quelle parole la seconda manager vide bene di nascondersi dietro il berretto della squadra, rimpiangendo per l’ennesima volta la mancanza del Gorilla – e ringraziando quella di Nobunaga, che avrebbe sicuramente scatenato l’inferno.

«Che cosa vuoi fare tu?!», «Quei due sono fratelli?», esclamavano intanto Hanamichi e gli altri.

«Ehi, Capitano!», gridò Araki junior, senza scomporsi per quella sorpresa. «Posso marcare io mio fratello?»

«No», sbottò Ryota, afferrandolo per la maglia e riportandolo alla loro metà campo. «Sarà Kimi a marcarlo. Se l’hai dimenticato tu sei un’ala piccola, non una guardia. E sei anche più basso».

«Senti chi parla», borbottò Masuhiro incurvando le spalle, mentre il capitano dello Shohoku borbottava qualcosa sul perché tutti i dementi dovessero iscriversi al club di basket.

Due minuti prima che l’arbitro fischiasse il termine del riscaldamento, i ragazzi si avvicinarono alla panchina, dove Anzai li attendeva per qualche dritta. L’unico del quintetto base che avrebbe giocato dal primo minuto era Hanamichi, in qualità di unico Centro a disposizione – per lo sconforto generale, dato che iniziò ad additare Rukawa e a sfotterlo come se non ci fosse stato un domani.

«Non voglio che i titolari si stanchino troppo in vista delle prossime partite», stava dicendo il Sensei. «E non voglio che vedano i progressi che avete fatto insieme. Ma confido nelle energie di Sakuragi e sono più che fiducioso nelle capacità dei nuovi arrivati. In particolare, Kimi ed Eichiro, mi aspetto molto da voi».

«Sissignore!».

Araki stava per ribattere qualcosa sul suo valore sportivo, ma il ventaglio di Ayako gli fece ingoiare qualsiasi protesta stesse per sputare.

Hisashi si affiancò a Kimi, che stava sorseggiando un po’ di acqua prima del fischio d’inizio. «Mi raccomando, Shimura. Non farmi pentire del compito che ti ho affidato, d’accordo?».

«Non preoccuparti, senpai», fece quello, sorridendo. «Ti tengo il posto caldo».

Mitsui gli diede una pacca sulla spalla e si sedette accanto all’allenatore mentre il quintetto, formato da Hanamichi, i gemelli, Araki e Yasuda, si schierava in campo.

«Ehi tu, Rossino».

Hanamichi si voltò e vide Miyamoto che lo guardava strafottente.

«Ti fanno ancora giocare?».

«Tranquillo, amico mio», lo rassicurò il capitano del Miuradai, Kengo Murasame. «Conoscendo l’elemento, si farà espellere nei primi cinque minuti di partita, vedrai».

Hanamichi stava per ribattere, il fumo che fuoriusciva dalle orecchie come una teiera in ebollizione, ma la sorella fu più lesta e, dalla panchina, gridò: «Che c’è? La pallonata in testa che mio fratello ti diede brucia ancora? O ti ha rincoglionito talmente tanto da non vedere i progressi che ha fatto in questi mesi?».

«Hime Sakuragi!».

La voce del Gorilla, proveniente dagli spalti, per poco non le fece scendere un coccolone dallo spavento e si accarezzò di riflesso la testa, come se temesse il famigerato pugno anche a distanza.

«Senti, ragazzina, perché non ti siedi in un angolino e stai zitta?», ribatté Miyamoto, per poi rivolgersi con un ghigno a Murasame. «Posso solo immaginare cosa diavolo ne capirà di basket una femmina, soprattutto con un fratello come quello».

«Questa ragazzina potrebbe fare il culo a tutti quanti, se solo potesse scendere in campo e dimostrarvelo».

La voce gelida di Rukawa, seduto a gambe divaricate e braccia conserte in panchina, catturò l’attenzione di tutti – e delle sue fan in particolare, che sbraitarono insulti dalla gelosia a profusione verso la tanto odiata ragazza.

«Ben detto Kit!», fece Hanamichi, puntando un dito verso i ragazzi del Miuradai. «Fatevi sotto, bastardi! Vi farò vedere di che pasta sono fatti i Sakuragi e i Diavoli Rossi!».

Con un “” che fece vibrare la palestra, lo Shohoku si preparò alla palla a due, mentre l’arbitro ricordava le regole più importanti e li ammoniva per i loro battibecchi.

«Allora», stava dicendo Ayako, rispolverando i suoi appunti, «stando agli appunti che ha preso Hikoichi questi bestioni hanno fatto passi da gigante negli ultimi mesi».

«Sì, sono più palloni gonfiati di prima», borbottò Mitsui, stringendo i pugni nel guardare le stampelle al suo fianco. Quando si erano scontrati contro il Miuradai non era sceso subito in campo, insieme agli altri tre dementi dei suoi amici, per punizione del Signor Anzai. Quel giorno, invece, non aveva alcuna speranza di contare i minuti che mancavano per alzarsi e giocare.

«Hanamichi dovrà lavorare duramente sotto canestro, oggi», continuava Ayako, osservando i giocatori in campo. «Eichiro, che è più basso di 10 cm, dovrà marcare il numero 7... sarà dura, è alla sua prima partita».

«Chiro è bravo a smarcarsi e a fare pressione», disse Hime con ottimismo, mentre Ryota annuiva. «E lui, Kimi e Hanamichi hanno studiato molti schemi interessanti. Li metteranno in ridicolo, vedrete».

«Spero solo che Sakuragi non si faccia espellere davvero», borbottò Ayako. «Questi qui giocano sui falli e conosciamo quanto suscettibile sia alle provocazioni».

«È migliorato su questo fronte», fu la pacata valutazione di Anzai. «Ho piena fiducia in lui». Hime sorrise con orgoglio, conscia che Hanamichi avrebbe dato il massimo, ma i tre dell’Armata Cercaguai non erano così convinti.

Il fischio d’inizio riportò l’attenzione in campo e il pubblico esplose in ovazioni quando Hanamichi saltò più in alto di Murasame e lo Shohoku conquistò il primo possesso di palla.

«Bravissimo, Sakuragi-kun!», gridò Haruko dagli spalti. Le orecchie del rossino divennero antenne paraboliche e, trovata immediatamente tra il pubblico, le fece il segno della vittoria, osannandosi senza ritegno.

Alle spalle della sua dolce amata, la minacciosa e familiare figura del Gorilla lo fece diventare piccolo piccolo in mezzo al campo. «Non distrarti, deficiente!».

Il primo canestro della partita andò allo Shohoku, dopo un’ottima azione combinata dei gemelli Shimura su passaggio di Yasuda per Eichiro. Nonostante la stazza intimidatoria del Miuradai, superare la loro difesa sembrò un gioco da ragazzi e dalla panchina tutti tirarono un sospiro di sollievo. Forse quella partita si sarebbe conclusa in maniera indolore.

Ma le prime crepe della formazione in campo iniziarono a comparire dopo cinque minuti di gioco. Nonostante l’importante numero di rimbalzi conquistati da Hanamichi in difesa, Yasuda, benché fosse al secondo anno e fosse un abile play, spesso si trovava in difficoltà a superare il muro di Miyamoto e qualsiasi azione di contropiede veniva così intercettata e bloccata sul nascere. Sakuragi aveva già commesso un fallo sul centro del Miuradai e stava iniziando a perdere la pazienza – che non andava famosa per essere illimitata.

Su passaggio di Eichiro, Hanamichi si apprestò a tirare a canestro, ma fintò invece a sinistra, per un bel canestro dei poveri. Miyamoto quasi lo scaraventò a terra pur di bloccarlo.

«Che cazzo pensi di fare, eh? Spaccarmi la schiena?», s’infervorò il rossino, puntandogli la testa contro. «Ti spacco i denti, invece!».

«Ehi, Hanamichi!», gridò Ryota dalla panchina. «Cerca di stare calmo, siamo solo all’inizio!».

«Coraggio, Hana-chan!», gli diede man forte Hime, in piedi mentre batteva le mani.

«Tranquilla, Hime-san! Ci penso io!», esclamò Masuhiro mentre palleggiava e la guardava adorante, senza accorgersi del fratello maggiore che, approfittando del suo momento di distrazione, gli fregò la palla da sotto il naso.

«Sei un deficiente, Puffo!», gli gridarono dietro dalla panchina, facendolo sprofondare nello sconforto.

«Ecco un altro patetico demente», biascicò Rukawa, scuotendo il capo.

«Puffo?», ripeté Araki senior, ridendosela mentre andava a canestro, portando la sua squadra a soli tre punti dallo Shohoku.

Recuperata la palla, Yasuda tentò un veloce passaggio verso Kimi, oltra la metà campo, per spiazzare il suo marcatore ed evitare il corpo a corpo, ma l’azione fu intercettata da un indemoniato Murasame, che in contropiede segnò con una schiacciata.

«Ancora un punto, ragazzi! Un punto e li superiamo!», li incitò il capitano, mentre Hanamichi tremava di rabbia.

«Yasu, passa subito a me, hai capito? Passa a me!», esclamò scuotendo il povero playmaker come un panno impolverato.

«Ma, Sakuragi–».

«Ho detto di passarmi la palla, yasu!».

Quello, intimidito dalla testata che stava per partire minacciosa contro la sua fronte, fece come richiesto e Hanamichi si ritrovò nuovamente marcato stretto da Miyamoto, che ghignò beffardo.

«E quindi? Che vuoi fare, rossino?».

Sul punto di implodere, Hanamichi si disse di darsi una calmata. “Sono il genio della situazione, devo fare canestro!”, continuava a ripetersi.

«Chiro-kun! Kimi! Schema dei Gemelli Siamesi, ok?».

Quelli sorrisero e, dopo un cenno del capo, iniziarono a correre entrambi verso di lui, allungando le mani per prendere la palla che Hanamichi riuscì a passarsi dietro la schiena. L’azione fu così veloce che nessuno riuscì a capire quale dei due gemelli avesse il possesso e, quando accadde, fu troppo tardi: Kimi era già dietro la linea dei tre e aveva preso la mira, mentre Eichiro l’aveva protetto dalle marcature.

«Ottima azione, ragazzi!», gridò Hime, ora in piedi sulla sedia che gridava come un’invasata. L’esultanza le morì in gola quando la palla colpì il ferro del canestro e il Miuradai prese il rimbalzo.

«Dannazione», sibilò a denti stretti Hisashi.

«Cazzo, fermati maledetto!», gridò Hanamichi, gettandosi come un fulmine all’inseguimento della palla e saltando insieme ad Araki quando questo effettuò un terzo tempo. Il fratello di Masuhiro non realizzò il canestro, ma subì fallo della difesa e gli furono assegnati due tiri liberi. Alcuni strani ritornelli porta-iella iniziarono a sollevarsi dagli spalti e non ci fu bisogno di cercare la fonte, dato che fosse più che ovvio provenissero dai Gundam.

Il primo tiro liberò venne sbagliato, tra il boato del pubblico, ma Araki riuscì a mettere a segno il secondo, che fu il punto del pareggio.

L’arbitro fischiò time-out per lo Shohoku.

«Così non va bene. Non va bene per niente», borbottò Hime, mordendosi l’interno di una guancia.

«Ragazzi, ma che state facendo?», domandò Ayako, mentre i panchinari si alzavano per lasciare il posto agli altri. «Voglio vedervi grintosi! È lo stupidissimo Miuradai, che caspita!». Dalla panchina di questi ultimi volarono occhiatacce avvelenate mentre ripetevano oltraggiati “Lo stupidissimo Miuradai?”.

«State dando per scontato la vittoria», li rimproverò Miyagi.

«Oppure state cadendo nello sconforto totale», aggiunse Anzai. «Spero non abbiate dimenticato il bel discorso del vostro Capitano e di Sakuragi qualche giorno fa».

«Certo che no!», risposero quelli.

Anzai si sistemò gli occhiali sul naso. «Bene, allora non c’è bisogno che dica altro, se non che non ho intenzione di far giocare né Rukawa né Miyagi nell’immediato futuro, se non in casi estremi, e che dovete mettervi l’animo in pace: neppure Mitsui giocherà. Ve la vedrete da soli».

«Esatto», disse Ryota. «Hanamichi, stai facendo un ottimo gioco sotto canestro, ma devi stare attento ai falli. Lascia che ti provochino, ma non cadere nel tranello! E sei l’unico titolare in campo, voglio che sia tu a spronare i ragazzi».

«Detto fatto, Ryo-chan! Hahaha! Io sono il Genio degli Incitamenti! E non per nulla sarò anche il futuro Capitano! Ahaha!».

Nessuno si degnò di rispondergli.

«Araki, Yasu ha qualche problema a smarcarsi da Miyamoto. Voglio che sia tu a tenerlo a bada, mentre si crea l’azione di gioco, d’accordo? Infastidiscilo più che puoi, che almeno quello ti riesce bene». Quello annuì, ma prima che potesse dire una sillaba, Ryota continuò. «E che non ti venga in mente di distrarti di nuovo come prima, altrimenti sei fuori». Masuhiro annuì a testa china.

«Sì, fuori di testa. Continuo a non capire cosa ci sia da distrarsi», fece Hisashi, lanciando un’occhiata sbieca alla sua seconda manager. Si beccò uno scappellotto dalla diretta interessata, che di certo non amava le attenzioni di Araki, ma neppure le frecciate del numero 14!

«Yasu, l’azione iniziale era perfetta», stava continuando a dire Ryota. «Con Miyamoto sotto controllo, conto su te e i gemelli per andare a canestro».

«Sissignore!».

«Ma, ma... Ryo-chan, su di me non conti per fare canestro?», domandò Hanamichi con labbro tremante. Porca paletta, la Volpe era segregata in panchina, non avrebbe avuto altre occasioni per fare più punti di lui e farsi notare dalla sua bella! Doveva darsi da fare! Sì, avrebbe segnato tanti dunk e il pubblico avrebbe fatto esplodere la palestra, mentre la Kitsune se ne andava sconsolata e con la coda tra le gambe insieme ai deficienti del Miuradai e Harukina cara gli si appendeva al braccio, sognante e innamorata. Che piano geniale!

Come se gli avesse letto la mente, Hime gli batté una mano sulla spalla. «Hana, vedi di non strafare, ok? Lo dico anche per la tua schiena».

«Ahahah! Hicchan, la mia schiena non è mai stata meglio! Vedrai, ti renderò fiera del tuo fratellone!».

«Fossi in te mi preoccuperei», fu il commento di Rukawa verso Hime, che ridacchiò – Hanamichi, ovviamente, stava per saltargli addosso e cantargliene quattro. Fortuna che l’arbitro fischiò la fine del time-out sedando qualsiasi intento bellicoso e, dopo un ultimo grido di battaglia, i cinque rientrarono in campo più carichi e determinati di prima.

«O-ho, i pivelli si scaldano!», esclamò il maggiore tra i due Araki, ghignando. «Non vi servirà lo stesso: senza Mitsui e Akagi a disposizione siete solo delle pippe».

«Perché non fate entrare Rukawa e Miyagi, eh? Volete proprio perdere, mezze seghe?», proseguì un suo compagno di squadra.

Quelle erano le ultime parole che avrebbe dovuto pronunciare: invece di intimidirli sortì infatti l’effetto contrario. Gli insulti e le grida si sprecarono persino dalla panchina e i Diavoli Rossi iniziarono a giocare seriamente. Con la stretta marcatura di Araki su Miyamoto, Yasuda fu libero di giocare ottimi passaggi ai gemelli, che non stavano facendo altro che confondere gli avversari correndo da una parte all’altra del campo. Alla quarta tripla di Kimi persino Hisashi trovò la forza di alzarsi su un piede e applaudirlo fino a farsi male.

Ora guidavano la partita con 17 punti di vantaggio e nonostante l’assenza del trio in panchina, lo Shohoku stava facendo scintille e si apprestava a chiudere il primo tempo con un buon margine. Nonostante la voglia di vendetta che si leggeva negli sguardi infiammati del Miuradai, nessuno di loro era in grado di superare la difesa di Hanamichi sotto canestro, serrata e micidiale. Aveva addirittura segnato ben 8 punti dal time-out. Persino Akagi si ritrovò ad annuire con orgoglio davanti agli elogi della sorellina sul loro numero 10. Aveva fatto un ottimo lavoro con quello scapestrato, sebbene dovesse stare attento a non farlo sapere all’interessato. E pensare che giocava solo da Aprile!

Dopo i primi venti minuti di gara e un time-out chiamato dal Miuradai, l’arbitro fischiò l’intervallo ed entrambe le squadre si diressero verso gli spogliatoi. L’ex Capitano e Vice si alzarono per sgranchirsi le gambe e fare visita ai loro amici – nonostante l’abbandono, non c’era verso di tenerli lontani dalla squadra – e Kiyo si rilassò contro lo schienale, mentre quei pazzi dell’Armata Sakuragi tiravano le somme delle loro scommesse.

«Cavoli, che partita esaltante!», le stava dicendo Haruko, che per tutta la durata del primo tempo non aveva smesso di spiegarle tattiche di gioco e i falli che commettevano i giocatori. Era una brava maestra, pensò la nuotatrice, che non aveva mai seguito quello sport se non da poche settimane; ma quella partita  non aveva particolare attrattiva ai suoi occhi, dato che colui che avrebbe voluto vedere giocare era impossibilitato a farlo. Sospirò con pesantezza, passandosi una mano tra i capelli biondi. Osservò distrattamente una ciocca sfibrata dal cloro e dalla tinta, e pensò che fosse giunto il momento di tornare al suo colore originale, almeno per dare ai suoi poveri capelli un po’ di tregua.

Negli spogliatoi, mentre Akagi dava alcuni saggi consigli per chiudere la partita in modo definitivo, Rukawa poggiò la testa penzolante sulla spalla di Hime, seduta contro gli armadietti accanto a lui.

«Lo so, Ede, che ti stai annoiando», gli disse, scostandogli la frangia dagli occhi. «Ma è solo per oggi».

Il numero 11 sbadigliò. «Che due palle».

«Dai, stringi i denti. La prossima partita sarà probabilmente contro il Kainan e ci servi in forze».

«Hn... non me ne servono tante per umiliare quella scimmia del tuo ragazzo».

«Ohi! Nobu-chan è perfettamente in grado di darti filo da torcere, Ede».

«Ma non farmi ridere».

«Come se fossi in grado di farlo». All’occhiata perplessa di Kaede, la seconda manager aggiunse: «Ridere, ovvio!».

«Demente».

Hime sorrise, ascoltando distrattamente le parole di Ryota e del Gorilla. Avrebbe dovuto darsi un po’ di contegno durante la prossima partita, rifletté. Non poteva certo lasciarsi scappare qualche parola di incoraggiamento verso il suo adorabile ragazzo e rischiare il linciaggio da parte dei suoi compagni. Hanamichi, ne era sicura, non gliel’avrebbe fatta passare liscia.

«Dopo pranzo andiamo a fare due tiri».

La voce di Kaede la ridestò e abbassò lo sguardo su di lui, ancora mezzo addormentato sulla sua spalla. «E sia! Ho voglia di giocare anche io».

«Ehi Kit! Che diavolo ci fai addosso alla mia Hicchan?!», sbraitò Hanamichi, seguito a ruota da un altrettanto incavolato Masuhiro che, era evidente, non si era ancora messo l’anima in pace e sperava ancora in una risvolta romantica con la bella seconda manager.

Rukawa bofonchiò qualche insulto, sistemandosi meglio, mentre Hime ridacchiava.

«Ma si può sapere che cos’ha da dormire? Insomma, non sta neppure giocando! Dovremmo essere noi quelli affaticati», sbottò Araki, ficcandosi le mani in tasca pur di non stringerle intorno al collo dell’odiato numero 11. «Che cacchio fai la notte, eh?».

«Non sono sicuro di volerlo sapere», si affrettò a dire Hisashi.

«Suvvia, Masu-chan», dissero in coro i Gemelli Siamesi, «non sarai davvero stanco?».

«Hahah Mezzasega!», lo sfotté Hanamichi. «Hai già il fiato corto!».

«Ehi, voi due!», esplose il Gorilla, assestando un pugno su entrambe le loro teste. «Piantatela e concentratevi».

«Ma che vuoi?», esclamò Araki, imbestialito. «Non fai più parte della squadra, senpai, non dovresti neppure essere q–».

«Abbi un po’ di rispetto per il Gorilla, maledetto Puffo!», gli urlò contro Sakuragi, tirandogli una testata memorabile che lo stordì per il resto dell’intervallo.

«Ma ti senti? Lo chiami Gorilla e parli di rispetto?», ghignò Hisashi, che distese la gamba sana intorpidita da tanto poco movimento. Hanamichi scoppiò a ridere sguaiatamente, grattandosi la nuca in evidente imbarazzo.

Akagi si passò una mano in viso, rivolgendosi a Sakuragi donna e indicandole il casino. «Quando mi chiedi se abbia intenzione di tornare: eccoti la risposta».

Hime gli rifilò un’occhiata significativa. «Sì, come no. Non saresti qui se non avessi nostalgia della squadra, Capitano».

«Ohi, il Capitano sono io, ora!».

«Bravo, Miyagi, e vedi di non farmene pentire», fece il Gori, premendosi le tempie doloranti. Eccolo là, quel tanto temuto e consueto mal di testa stava tornando forte e martellante. Non gli era mancato per nulla. «Ma chi me lo ha fatto fare», brontolò.

«Intendi “lasciarci in balia del Pigmeo”?», domandò con innocenza il numero 14, grattandosi la cicatrice sul mento. «Me lo chiedo anche io».

«Ma vai al diavolo, Mitsui».

Akagi ghignò. «Che fai, mi rimpiangi?».

«No, semplicemente mi chiedo perché non sono io il Capitano».

«Sei Vice, accontentati».

«Insomma! Non dovremmo parlare di strategie di gioco?», strillò Ayako nel tentativo di farsi sentire tra i battibecchi, mentre Nonno Anzai se la rideva. Per non sbagliare riservò una sventagliata ciascuno per riportare l’ordine cosmico – anche all’ex Capitano, che non la prese benissimo. «Oh cavolo, scusami tanto, senpai!», esclamò, inchinandosi a profusione.

«Io torno in tribuna, prima che ammazzi qualcuno», sbottò quello, massaggiandosi la testa e andandosene furioso e umiliato.

Ayako e Hime si scambiarono un’occhiata, alla disperata ricerca di non ridere.

Fallirono miseramente.

 

*

 

«Ahahah! Avete visto, segaioli?», stava sbraitando Hanamichi ai quattro venti, in attesa del treno che li avrebbe riportati a casa. «Abbiamo vinto anche senza voi! E soprattutto senza la Volpaccia! Tutto merito del qui presente Genio! Ahahah!».

I ragazzi, che si stavano sorbendo quella lagna dalla fine della partita, vinta per ben 31 punti di distacco – un gran bel risultato per tre nuovi arrivati su cinque –, pensarono seriamente di gettarlo tra i binari con il treno in corsa, sperando solo che si sbrigasse a giungere. Non ne potevano più. Avrebbero dovuto immaginare una reazione simile, certo, ma la speranza era sempre l’ultima a morire. L’unico fortunato che si stava perdendo lo show era l’allenatore Anzai, che per sua fortuna era stato invitato a pranzo dal quello del Miuradai.

«Hicchan, hai visto che canestro ho fatto, alla fine? E quel rimbalzo stratosferico? Sono stato bravo, vero Harukina?». Quest’ultima, beata innocenza, continuava ad annuire e a gettare legna sul fuoco, senza accorgersi degli sguardi assassini del resto della compagnia.

«Haruko, per favore, non assecondarlo!», sbottò il fratello, la cui testa era ormai sull’orlo di un’esplosione.

«E della finta che ho fatto a Murasame ne vogliamo parlare? Ryo-chan, devi essere orgoglioso di me!».

«Ayakuccia, ti prego, fallo smettere», bofonchiò il playmaker, nascondendo il viso tra i capelli ricci della sua ragazza.

«Non ne ho le forze», replicò quella, sfiancata da tanto ciarlare.

«Mito, per favore, conto su di te», biascicò Mitsui. «Liberaci».

«Spiacente, ma lo preferisco invasato, invece che incazzato col mondo», replicò Yohei. «Sai com’è... ci tengo alla capa».

«E stai un po’ zitto, do’aho», fece Rukawa, assestandogli un bel calcio e dando inizio all’ennesima infinita lite.

Per una volta nessuno ebbe da obiettare, giacché Rukawa aveva deciso di immolarsi per il bene comune. Akagi era persino pronto a dare due pacche sulle spalle al Volpino per ringraziarlo di tanta generosità, se solo quei due bisonti non gli fossero franati addosso, portandosi dietro anche Miyagi e Araki nel casino. Tra morsi, pugni e cazzotti, i cinque si rotolarono come maiali sul fango, e riserve, manager e compagnia varia videro bene di non intromettersi; mossero qualche indifferente passo poco più in là, elargendo sorrisi da orecchio a orecchio ai passanti che guardavano terrorizzati la scena, nella tiepida speranza di non farli scappare a gambe levate.

Quando il treno giunse – troppo tardi per il gusto di tutti – il gruppo di idioti prese posto tra spintoni e insulti vari, capitolando ai piedi di una vecchietta che per poco non crepò d’infarto.

«Razza di animali!», sbraitò quella, colpendo ripetutamente Akagi sulla testa con la borsetta. L’ex Capitano, che non era mai stato pestato da un’anziana, non poté far altro che proteggersi il capo con le braccia, supplicandola di smettere ma senza ottenere risultati. Era indemoniata.

Le risate e le lacrime si sprecarono e persino Kiyoko non riuscì a trattenersi, voltandosi pur di non farsi vedere. Hime e Ayako neppure si misero il problema di darsi un contegno.

«Il Gori che viene pestato da una nonnetta!», continuava a ripetere Hanamichi, che non riusciva più a respirare dalle risate insieme a Mitsui e Ryota, entrambi con i lacrimoni agli occhi. «Anche meglio del suo sedere in bella mostra!».

Inferocito e con le narici dilatate dall’ira, Takenori afferrò il rossino per il collo, strozzandolo nella migliore imitazione di Homer Simpson con Bart. Nessuno ebbe il coraggio di fermarlo, neppure Haruko, più preoccupata della sorte di Rukawa in tutto quel trambusto per pensare ad altro. Kaede, ovviamente, non se la filò minimamente.

Giunsero alla loro fermata che stavano ancora ridendo senza ritegno, tranne Hanamichi che tossiva alla ricerca di ossigeno dopo l’attacco devastante del Gorilla e che gli aveva lasciato il ricordo di dieci poderose dita intorno al collo.

«Ede, pranzi da noi e poi andiamo al campetto?», domandò Hime, suscitando le ire del suo adorato fratello.

«Hicchan! Ma sei impazzita? Tutto questo casino è opera sua e vuoi anche sfamarlo?».

«Do’aho, stavo facendo un’opera di bene mettendoti a tacere».

«Beh, Hana, se non fosse stato per “tutto questo casino” non avremmo potuto godere della vista del Gorilla pestato da una vec–». Hime non riuscì a terminare la frase che dovette catapultarsi fuori dalla stazione a tutta velocità, per evitare che Akagi sfogasse l’ultimo rimasuglio di ira anche su di lei. Il fratello ovviamente si gettò in aiuto, ma non vide il piede allungato di Rukawa e inciampò come un salame, finendo bello che disteso per terra. Il Volpino, come giusto che sia, gli passò accanto con una scrollata di spalle e si diresse silenziosamente verso la tana dei Sakuragi. Sperò con tutto il cuore che la signora Misato fosse in casa per preparargli qualche delizia delle sue – a volte temeva il cibo della sua seconda manager.

Salutati compagni di squadra e amici, i tre, Ryota e Mito presero la stessa direzione, come sempre facevano, e parlottarono della partita con un po’ più di tranquillità – Hanamichi aveva avuto tutto il tempo per sgasarsi e Haruko non era più in vista, quindi si diede una calmata.

Arrivati a destinazione, anche Yoehi si unì per pranzo, con sommo orrore del suo migliore amico, incacchiato nero che fossero sempre gli altri a scroccare il mangiare alla sua famiglia e mai il contrario.

«Buongiorno mamma!», sbraitò il rossino, dopo aver lasciato le scarpe sull’ingresso di casa, sentendo la madre canticchiare allegramente dalla cucina.

«Oh, tesoro! Com’è andata la partita?», domandò la donna.

«Tre, due, uno...», contò a mezza voce Yoehi, mentre l’Idiota in quel momento riprendeva la gloriosa narrazione delle sue gesta geniali.

«Ci risiamo», sbuffò Kaede, che si fiondò sul divano a sonnecchiare.

«E poi ho scartato a sinistra, mentre quello pensava che stessi per tirare ed è rimasto imbambolato peggio della Volpe davanti a una femmina!», stava dicendo Hanamichi, seduto su uno sgabello e ridendo come un matto, talmente tanto che rischiò di cappottarsi all’indietro.

«Uhm, Hanamichi, devo ricordarti che proprio qualche giorno fa il ragazzo non mi è sembrato tanto imbambolato con una certa ragazza», disse Mito, il tanto giusto per farsi sentire da Kaede. Questo, ovviamente, rabbrividì di disgusto e si nascose la testa sotto un cuscino.

«Beh, chiamalo scemo, quella Azamui è una strafiga mondiale», annuì Hanamichi, alzandosi per rubare un po’ di cibo dalla pentola sul fuoco, mentre la madre era distratta.

«Meglio di Haruko?», domandò questa, ignara del disastro che aveva appena combinato con quelle poche parole.

«Nessuna è meglio della bella e dolce Haruko!», s’infervorò all’istante. «Oh, è stata così così gentile a saltare le lezioni per venire a supportarmi! Dovevi sentirla, mamma, si vede che l’ho colpita, oggi che il Volpino non si è dato arie! Ahahah!».

«Sì, colpita come una pallonata in testa», fu la voce cavernicola di Rukawa.

Misato scambiò un’occhiata mesta con la figlia e l’altro ragazzo, che ridacchiarono all’insaputa di Hanamichi, tutto perso nel suo sproloquio.

«Mamma, manca ancora molto prima che sia pronto?», domandò Hime, abbracciando la donna da dietro e dandole un bacino.

«Ancora dieci minuti, perché?».

«Chiamo un attimo Nobu».

«Checcosa?! La Nobu-Scimmia?! Ahahah! Non ti risponderà! E sai perché? Perché avrà perso e sarà in qualche gabbia a leccarsi le ferite e–». Un colpo di mestolo in testa e Hanamichi si zittì di colpo, mugugnando qualcosa sulla crudeltà della sua madre cattiva.

Hime zampettò nel piccolo salotto, dove Kaede stava ancora ronfando alla faccia di tutto e tutti, e digitò il numero di casa Kiyota, che ormai conosceva a memoria. Il Kainan aveva giocato in un palazzetto poco lontano dal loro liceo, quindi immaginò che Nobunaga fosse già tornato a casa per il pranzo. Dopo pochi squilli la voce esuberante del suo ragazzo le trapanò un timpano, ma non ci fece molto caso. Ormai era rassegnata all’idea che, con un fratello e un compagno come i suoi, sarebbe presto diventata sorda.

»Qui parla Nobunaga Kiyota, il Rookie numero uno di Kanagawa! Ahaha! Chi sei?«.

«Nobu! Com’è andata?».

»Hicchan? Ma che domande fai? Abbiamo vinto, ovvio! E vuoi sapere perch–«.

«Fottesega!», bofonchiò Rukawa, che ovviamente sentiva chiaramente la voce di quella Scimmia persino dal divano.

»Eh? Chi ha detto “fottesega”, Hicchan? È Rukawa? Rukawa bastardo! Che diavolo ci fai a casa della mia Hicchan?!«.

Sconsolata e con la cornetta a qualche decina di centimetri di distanza dall’orecchio in fiamme, Hime attese con pazienza che Kiyota terminasse di inveire contro il suo migliore amico e, solo quando fu sicura di poter parlare, riprese. «Quanto avete fatto? È stato semplice? Oddio, la prossima partita sarà contro di voi!».

»Ahahah! Che c’è, stai iniziando ad avere strizza, eh Hicchan? Vi stracceremo, vi stracceremo, vi–«.

«Cosa volete fare voi?», gridò Hanamichi dalla cucina. A quanto pareva anche loro udivano la conversazione come se Nobunaga fosse lì con loro. «Preparati, Scimmia! Il Genio Sakuragi non è mai stato così in grande forma! Vi umilierò tutti! Anche al Nonno Maki e a quel robot di Jin! Ahahaha!».

»Continua a sognare, Rosso-Scimmia! Senza Mitsui e il Gorilla siete fritti!«.

«Ti farò rimangiare tutto, anche la polvere! Ahahah!».

«Ma insomma!», gridò Hime, facendo saltare sul divano persino lo stoico Rukawa, mentre Hanamichi cercò rifugio dietro la madre. «Sto cercando di avere una conversazione privata, la volete smettere? E anche tu, Nobu, non dargli corda!».

Le due Scimmie si scusarono in coro, docili come cuccioli e Rukawa alzò gli occhi al cielo. Che gabbia di matti.

«Dicevamo», riprese più dolcemente la ragazza, abbassando il tono di voce. «È stata una bella partita?».

»Piuttosto noiosa, direi«, disse Nobu, con leggerezza. »L’allenatore Takato ha persino lasciato in panchina i senpai Maki e Jin, a un certo punto«.

«Anche Anzai-sensei ha avuto la stessa idea. Ryota ed Ede in panchina e i giovanotti in campo».

»Ahahah! Quel volpino non ha giocato? Che inutile schiappa!«.

Hime non sprecò ulteriore fiato per ricordargli che mezzo secondo prima aveva vantato il fatto che i migliori giocatori del Kainan fossero rimasti anch’essi in panchina. Era una partita persa, quella.

»Hicchan, questo pomeriggio hai da fare? Volevo portarti in un bel posticino tranquillo non lontano da casa! Così possiamo stare un po’ insieme dato che ci si vede poco, ecco«. Persino nel suo tono poteva percepire il rossore che gli imporporava gli zigomi in quel momento.

La seconda manager si mordicchiò l’interno della guancia. «Oh, Nobu, sarebbe così bello! Ma ho già promesso a Ede che saremo andati ad allenarci un po’, visto che non ha toccato palla e– Nobu? Ci sei?».

Udì un lungo sospiro dall’altra parte della cornetta e non le fu difficile immaginare l’espressione imbronciata del ragazzo. »Esci con Rukawa?«.

Si grattò la punta del naso, come sempre faceva nei momenti di imbarazzo o nervosismo. «Beh, sì, me lo ha chiesto prima, durante l’intervallo... è solo per un paio d’ore, perché non ti unisci a noi? Io e te contro la Volpe! E poi sarò tutta tua, promesso», disse arrossendo al solo pensiero.

Dopo un istante di silenzio, Kiyota parlò atono. »Lascia perdere, mi sono appena ricordato di dover accompagnare Arimi dal fisioterapista. Ora devo andare, mio padre chiama. Ciao«.

Hime neppure ebbe il tempo di replicare, che la chiamata era già stata interrotta. Guardò con sorpresa la cornetta del telefono ora muto, come se potesse darle una risposta a quel brusco cambiamento di umore, e la ripose al suo posto con lentezza. «Cosa diamine è appena successo?», si chiese a voce alta. Si voltò verso Kaede, che ora era seduto sul bordo del divano e la osservava intensamente.

«Non è ovvio?», domandò lui. E con quelle parole si diresse in cucina, alla voce della signora Misato che annunciava l’inizio del pranzo, lasciandola confusa e con un nodo in gola più grande di una casa.

 

 

Continua...

 

 

* * *

 

Uh-oh.

 

Un abbraccio, miei adorati lettori silenziosi, e a presto! I prossimi capitoli saranno, come dire, intensi.

Marta.

   
 
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