Capitolo 20
Esordio col botto
Lo stadio era stracolmo,
nonostante si trattasse di una semplice partita tra squadre liceali, il cui
risultato molti davano già per scontato. Kiyo si guardò intorno, spaesata
dall’infernale caos che regnava sovrano sugli spalti, e si avviò alla ricerca
di quei casinisti di Mito e gli alti. Avevano saltato le lezioni come lei,
beccandosi anche la ramanzina di Sanako che le ricordava quanto importante
fosse studiare, soprattutto per una sportiva come lei, ma non era stato
difficile scegliere tra la scuola e Hisashi Mitsui.
«Ehi, Kobayashi!», gridò
una voce, appartenente a Yohei in piedi sul sedile per farsi notare. Accanto a
lui sedeva Haruko Akagi e, dietro, il colossale fratello e un ragazzo con gli
occhiali. Anche loro avevano deciso di marinare le lezioni per sostenere la
squadra che, nella situazione in cui si trovava, aveva bisogno di tutto l’aiuto
possibile, soprattutto mentale.
Kiyo si sedette accanto
all’unica ragazza del gruppo, con la quale non aveva mai scambiato neppure una
parola, e le strinse la mano per presentarsi.
Non glielo avrebbe mai
detto, ma Haruko era terrorizzata da Kiyoko Kobayashi. Non solo all’apparenza
era scostante e perennemente accigliata, ma una che stava in classe con Kaede
Rukawa e gli teneva testa era da temere! «Piacere di conoscerti, Kobayashi-san».
Quella annuì, osservando
il campo. «Non sono ancora arrivati».
«Ancora qualche minuto»,
fece Mito. «Popcorn? Vuoi puntare una scommessa sui falli di Hanamichi? O su
quell’altro demente di Araki e su quante volte flirterà con Hime?».
«Quel tizio ha seri
problemi», fu il commento di Kiyo, che ricordava il suo comportamento da folle
durante l’amichevole contro il Ryonan – la stessa che aveva decretato la sua
prima uscita con Mitsui. Sembravano passati anni da quel giorno.
«Intendi perché flirta
con Sakuragi femmina?», domandò Noma, a bocca piena. «Sì, decisamente».
Akagi, alle sue spalle,
si trovò ad annuire con fervore.
«Ragazzi, insomma!»,
s’inalberò Haruko che, nonostante fosse gelosa del rapporto che la seconda
manager aveva con Rukawa-kun, la rispettava più di
chiunque altro. Hime Sakuragi era tutto ciò che avrebbe voluto essere: era
carina, simpatica e giocava a basket divinamente. Senza parlare del fatto che
fosse la migliore amica del ragazzo di cui era follemente innamorata dai tempi
delle medie.
«Oh, eccoli!».
Il boato del pubblico fu
assordante davanti alla sfilata delle due squadre che entravano in campo. Dopo
l’incredibile risultato ottenuto dallo Shohoku ai Nazionali, aveva acquistato
così tanta notorietà da fare paura.
«Mamma mia, quelle
brutte facce non sono migliorate per niente», fu l’intelligente commento di
Okusu, mentre Takamiya gli fregava una merendina dalla tasca senza che se
accorgesse.
Kiyo si sporse sulla
balaustra trovando subito chi cercava. Hisashi Mitsui non si sedette subito in
panchina accanto all’allenatore e alle due manager, ma rimase a bordo campo
mentre i suoi compagni si riscaldavano, probabilmente per dare gli ultimi
consigli al suo sostituto Kimi. Era visibilmente scocciato dalla impossibilità
di giocare: poteva quasi percepire le mani che gli formicolavano pur di
riprendere in mano quel pallone arancione e sfilare triple una dopo l’altra. Il
senso di colpa per quell’ennesimo infortunio le strinse la gola. Se solo non
l’avesse chiamato quella sera con la scusa di ordinare una pizza, se quei due
non si fossero scontrati, se solo avesse avuto il coraggio di separarli durante
la rissa, anche a costo di essere coinvolta... quanti se e ma. Era stata una
stupida e aveva messo in serio pericolo una delle poche persone a cui tenesse
veramente. Per non parlare della consapevolezza che, se lo Shohoku avesse perso
quella partita, la colpa sarebbe ricaduta su di lei. Non era sicura che avrebbe
potuto sopportarlo. L’avrebbe odiata, forse?
L’attenzione della
nuotatrice, così come quella del pubblico, fu bruscamente catturata dal tizio
con le punte dei capelli blu a centro campo che parlottava con un giocatore del
Miuradai, tra pacche sulle spalle e spinte amichevoli.
«Ma che sta facendo quel
deficiente?», domandò Mito, mentre Sakuragi dal campo gli gridava contro di non
socializzare col nemico.
«Buona fortuna
fratellino», stava dicendo il cestista del Miuradai, Kazuo Araki, mentre gli
scompigliava i capelli.
Masuhiro gonfiò il petto
come un pavone. «Buona fortuna a te, fratellone. Vedrai, sarai fiero di me
quando ti batterò! E ti presenterò anche la mia nuova ragazza, che sarà così
impressionata dalla mia performance che cadrà subito a miei piedi! Vero
Hime-san?».
A quelle parole la
seconda manager vide bene di nascondersi dietro il berretto della squadra,
rimpiangendo per l’ennesima volta la mancanza del Gorilla – e ringraziando
quella di Nobunaga, che avrebbe sicuramente scatenato l’inferno.
«Che cosa vuoi fare tu?!», «Quei
due sono fratelli?», esclamavano intanto Hanamichi e gli altri.
«Ehi, Capitano!», gridò
Araki junior, senza scomporsi per quella sorpresa. «Posso marcare io mio
fratello?»
«No», sbottò Ryota,
afferrandolo per la maglia e riportandolo alla loro metà campo. «Sarà Kimi a
marcarlo. Se l’hai dimenticato tu sei un’ala piccola, non una guardia. E sei
anche più basso».
«Senti chi parla»,
borbottò Masuhiro incurvando le spalle, mentre il capitano dello Shohoku
borbottava qualcosa sul perché tutti i dementi dovessero iscriversi al club di
basket.
Due minuti prima che
l’arbitro fischiasse il termine del riscaldamento, i ragazzi si avvicinarono
alla panchina, dove Anzai li attendeva per qualche dritta. L’unico del
quintetto base che avrebbe giocato dal primo minuto era Hanamichi, in qualità
di unico Centro a disposizione – per lo sconforto generale, dato che iniziò ad
additare Rukawa e a sfotterlo come se non ci fosse stato un domani.
«Non voglio che i
titolari si stanchino troppo in vista delle prossime partite», stava dicendo il
Sensei. «E non voglio che vedano i progressi che avete fatto insieme. Ma
confido nelle energie di Sakuragi e sono più che fiducioso nelle capacità dei
nuovi arrivati. In particolare, Kimi ed Eichiro, mi aspetto molto da voi».
«Sissignore!».
Araki stava per
ribattere qualcosa sul suo valore sportivo, ma il ventaglio di Ayako gli fece
ingoiare qualsiasi protesta stesse per sputare.
Hisashi si affiancò a
Kimi, che stava sorseggiando un po’ di acqua prima del fischio d’inizio. «Mi
raccomando, Shimura. Non farmi pentire del compito che ti ho affidato,
d’accordo?».
«Non preoccuparti,
senpai», fece quello, sorridendo. «Ti tengo il posto caldo».
Mitsui gli diede una
pacca sulla spalla e si sedette accanto all’allenatore mentre il quintetto,
formato da Hanamichi, i gemelli, Araki e Yasuda, si schierava in campo.
«Ehi tu, Rossino».
Hanamichi si voltò e
vide Miyamoto che lo guardava strafottente.
«Ti fanno ancora
giocare?».
«Tranquillo, amico mio»,
lo rassicurò il capitano del Miuradai, Kengo Murasame. «Conoscendo l’elemento,
si farà espellere nei primi cinque minuti di partita, vedrai».
Hanamichi stava per
ribattere, il fumo che fuoriusciva dalle orecchie come una teiera in
ebollizione, ma la sorella fu più lesta e, dalla panchina, gridò: «Che c’è? La
pallonata in testa che mio fratello ti diede brucia ancora? O ti ha
rincoglionito talmente tanto da non vedere i progressi che ha fatto in questi
mesi?».
«Hime Sakuragi!».
La voce del Gorilla,
proveniente dagli spalti, per poco non le fece scendere un coccolone dallo spavento
e si accarezzò di riflesso la testa, come se temesse il famigerato pugno anche a
distanza.
«Senti, ragazzina,
perché non ti siedi in un angolino e stai zitta?», ribatté Miyamoto, per poi
rivolgersi con un ghigno a Murasame. «Posso solo immaginare cosa diavolo ne
capirà di basket una femmina, soprattutto con un fratello come quello».
«Questa ragazzina potrebbe fare il culo a tutti
quanti, se solo potesse scendere in campo e dimostrarvelo».
La voce gelida di
Rukawa, seduto a gambe divaricate e braccia conserte in panchina, catturò
l’attenzione di tutti – e delle sue fan in particolare, che sbraitarono insulti
dalla gelosia a profusione verso la tanto odiata ragazza.
«Ben detto Kit!», fece
Hanamichi, puntando un dito verso i ragazzi del Miuradai. «Fatevi sotto,
bastardi! Vi farò vedere di che pasta sono fatti i Sakuragi e i Diavoli Rossi!».
Con un “sì” che fece vibrare la palestra, lo
Shohoku si preparò alla palla a due, mentre l’arbitro ricordava le regole più
importanti e li ammoniva per i loro battibecchi.
«Allora», stava dicendo
Ayako, rispolverando i suoi appunti, «stando agli appunti che ha preso Hikoichi
questi bestioni hanno fatto passi da gigante negli ultimi mesi».
«Sì, sono più palloni
gonfiati di prima», borbottò Mitsui, stringendo i pugni nel guardare le
stampelle al suo fianco. Quando si erano scontrati contro il Miuradai non era
sceso subito in campo, insieme agli altri tre dementi dei suoi amici, per
punizione del Signor Anzai. Quel giorno, invece, non aveva alcuna speranza di
contare i minuti che mancavano per alzarsi e giocare.
«Hanamichi dovrà
lavorare duramente sotto canestro, oggi», continuava Ayako, osservando i
giocatori in campo. «Eichiro, che è più basso di 10 cm, dovrà marcare il numero
7... sarà dura, è alla sua prima partita».
«Chiro è bravo a
smarcarsi e a fare pressione», disse Hime con ottimismo, mentre Ryota annuiva. «E
lui, Kimi e Hanamichi hanno studiato molti schemi interessanti. Li metteranno
in ridicolo, vedrete».
«Spero solo che Sakuragi
non si faccia espellere davvero», borbottò Ayako. «Questi qui giocano sui falli
e conosciamo quanto suscettibile sia alle provocazioni».
«È migliorato su questo
fronte», fu la pacata valutazione di Anzai. «Ho piena fiducia in lui». Hime
sorrise con orgoglio, conscia che Hanamichi avrebbe dato il massimo, ma i tre
dell’Armata Cercaguai non erano così convinti.
Il fischio d’inizio
riportò l’attenzione in campo e il pubblico esplose in ovazioni quando
Hanamichi saltò più in alto di Murasame e lo Shohoku conquistò il primo
possesso di palla.
«Bravissimo, Sakuragi-kun!», gridò Haruko dagli spalti. Le orecchie del rossino
divennero antenne paraboliche e, trovata immediatamente tra il pubblico, le
fece il segno della vittoria, osannandosi senza ritegno.
Alle spalle della sua
dolce amata, la minacciosa e familiare figura del Gorilla lo fece diventare
piccolo piccolo in mezzo al campo. «Non distrarti, deficiente!».
Il primo canestro della
partita andò allo Shohoku, dopo un’ottima azione combinata dei gemelli Shimura
su passaggio di Yasuda per Eichiro. Nonostante la stazza intimidatoria del
Miuradai, superare la loro difesa sembrò un gioco da ragazzi e dalla panchina
tutti tirarono un sospiro di sollievo. Forse quella partita si sarebbe conclusa
in maniera indolore.
Ma le prime crepe della
formazione in campo iniziarono a comparire dopo cinque minuti di gioco.
Nonostante l’importante numero di rimbalzi conquistati da Hanamichi in difesa,
Yasuda, benché fosse al secondo anno e fosse un abile play, spesso si trovava
in difficoltà a superare il muro di Miyamoto e qualsiasi azione di contropiede
veniva così intercettata e bloccata sul nascere. Sakuragi aveva già commesso un
fallo sul centro del Miuradai e stava iniziando a perdere la pazienza – che non
andava famosa per essere illimitata.
Su passaggio di Eichiro,
Hanamichi si apprestò a tirare a canestro, ma fintò invece a sinistra, per un
bel canestro dei poveri. Miyamoto quasi lo scaraventò a terra pur di bloccarlo.
«Che cazzo pensi di
fare, eh? Spaccarmi la schiena?», s’infervorò il rossino, puntandogli la testa
contro. «Ti spacco i denti, invece!».
«Ehi, Hanamichi!», gridò
Ryota dalla panchina. «Cerca di stare calmo, siamo solo all’inizio!».
«Coraggio, Hana-chan!», gli diede man forte Hime, in piedi mentre batteva
le mani.
«Tranquilla, Hime-san!
Ci penso io!», esclamò Masuhiro mentre palleggiava e la guardava adorante, senza
accorgersi del fratello maggiore che, approfittando del suo momento di
distrazione, gli fregò la palla da sotto il naso.
«Sei un deficiente, Puffo!», gli gridarono dietro dalla panchina,
facendolo sprofondare nello sconforto.
«Ecco un altro patetico demente»,
biascicò Rukawa, scuotendo il capo.
«Puffo?», ripeté Araki
senior, ridendosela mentre andava a canestro, portando la sua squadra a soli
tre punti dallo Shohoku.
Recuperata la palla,
Yasuda tentò un veloce passaggio verso Kimi, oltra la metà campo, per spiazzare
il suo marcatore ed evitare il corpo a corpo, ma l’azione fu intercettata da un
indemoniato Murasame, che in contropiede segnò con una schiacciata.
«Ancora un punto,
ragazzi! Un punto e li superiamo!», li incitò il capitano, mentre Hanamichi
tremava di rabbia.
«Yasu,
passa subito a me, hai capito? Passa a me!», esclamò scuotendo il povero
playmaker come un panno impolverato.
«Ma, Sakuragi–».
«Ho detto di passarmi la
palla, yasu!».
Quello, intimidito dalla
testata che stava per partire minacciosa contro la sua fronte, fece come
richiesto e Hanamichi si ritrovò nuovamente marcato stretto da Miyamoto, che
ghignò beffardo.
«E quindi? Che vuoi
fare, rossino?».
Sul punto di implodere,
Hanamichi si disse di darsi una calmata. “Sono
il genio della situazione, devo fare canestro!”, continuava a ripetersi.
«Chiro-kun! Kimi! Schema dei Gemelli Siamesi, ok?».
Quelli sorrisero e, dopo
un cenno del capo, iniziarono a correre entrambi verso di lui, allungando le
mani per prendere la palla che Hanamichi riuscì a passarsi dietro la schiena.
L’azione fu così veloce che nessuno riuscì a capire quale dei due gemelli
avesse il possesso e, quando accadde, fu troppo tardi: Kimi era già dietro la
linea dei tre e aveva preso la mira, mentre Eichiro l’aveva protetto dalle
marcature.
«Ottima azione, ragazzi!»,
gridò Hime, ora in piedi sulla sedia che gridava come un’invasata. L’esultanza
le morì in gola quando la palla colpì il ferro del canestro e il Miuradai prese
il rimbalzo.
«Dannazione», sibilò a
denti stretti Hisashi.
«Cazzo, fermati
maledetto!», gridò Hanamichi, gettandosi come un fulmine all’inseguimento della
palla e saltando insieme ad Araki quando questo effettuò un terzo tempo. Il
fratello di Masuhiro non realizzò il canestro, ma subì fallo della difesa e gli
furono assegnati due tiri liberi. Alcuni strani ritornelli porta-iella
iniziarono a sollevarsi dagli spalti e non ci fu bisogno di cercare la fonte,
dato che fosse più che ovvio provenissero dai Gundam.
Il primo tiro liberò
venne sbagliato, tra il boato del pubblico, ma Araki riuscì a mettere a segno
il secondo, che fu il punto del pareggio.
L’arbitro fischiò
time-out per lo Shohoku.
«Così non va bene. Non
va bene per niente», borbottò Hime, mordendosi l’interno di una guancia.
«Ragazzi, ma che state
facendo?», domandò Ayako, mentre i panchinari si alzavano per lasciare il posto
agli altri. «Voglio vedervi grintosi! È lo stupidissimo Miuradai, che caspita!».
Dalla panchina di questi ultimi volarono occhiatacce avvelenate mentre
ripetevano oltraggiati “Lo stupidissimo
Miuradai?”.
«State dando per
scontato la vittoria», li rimproverò Miyagi.
«Oppure state cadendo
nello sconforto totale», aggiunse Anzai. «Spero non abbiate dimenticato il bel
discorso del vostro Capitano e di Sakuragi qualche giorno fa».
«Certo che no!»,
risposero quelli.
Anzai si sistemò gli
occhiali sul naso. «Bene, allora non c’è bisogno che dica altro, se non che non
ho intenzione di far giocare né Rukawa né Miyagi nell’immediato futuro, se non
in casi estremi, e che dovete mettervi l’animo in pace: neppure Mitsui giocherà.
Ve la vedrete da soli».
«Esatto», disse Ryota. «Hanamichi,
stai facendo un ottimo gioco sotto canestro, ma devi stare attento ai falli.
Lascia che ti provochino, ma non cadere nel tranello! E sei l’unico titolare in
campo, voglio che sia tu a spronare i ragazzi».
«Detto fatto, Ryo-chan! Hahaha! Io sono il Genio degli Incitamenti! E non per nulla
sarò anche il futuro Capitano! Ahaha!».
Nessuno si degnò di
rispondergli.
«Araki, Yasu ha qualche problema a smarcarsi da Miyamoto. Voglio
che sia tu a tenerlo a bada, mentre si crea l’azione di gioco, d’accordo?
Infastidiscilo più che puoi, che almeno quello ti riesce bene». Quello annuì,
ma prima che potesse dire una sillaba, Ryota continuò. «E che non ti venga in
mente di distrarti di nuovo come prima, altrimenti sei fuori». Masuhiro annuì a testa china.
«Sì, fuori di testa. Continuo a non capire
cosa ci sia da distrarsi», fece Hisashi, lanciando un’occhiata sbieca alla sua
seconda manager. Si beccò uno scappellotto dalla diretta interessata, che di
certo non amava le attenzioni di Araki, ma neppure le frecciate del numero 14!
«Yasu,
l’azione iniziale era perfetta», stava continuando a dire Ryota. «Con Miyamoto
sotto controllo, conto su te e i gemelli per andare a canestro».
«Sissignore!».
«Ma, ma... Ryo-chan, su
di me non conti per fare canestro?», domandò Hanamichi con labbro tremante.
Porca paletta, la Volpe era segregata in panchina, non avrebbe avuto altre
occasioni per fare più punti di lui e farsi notare dalla sua bella! Doveva
darsi da fare! Sì, avrebbe segnato tanti dunk e il pubblico avrebbe fatto
esplodere la palestra, mentre la Kitsune se ne andava sconsolata e con la coda
tra le gambe insieme ai deficienti del Miuradai e Harukina cara gli si
appendeva al braccio, sognante e innamorata. Che piano geniale!
Come se gli avesse letto
la mente, Hime gli batté una mano sulla spalla. «Hana, vedi di non strafare,
ok? Lo dico anche per la tua schiena».
«Ahahah!
Hicchan, la mia schiena non è mai stata meglio! Vedrai, ti renderò fiera del
tuo fratellone!».
«Fossi in te mi
preoccuperei», fu il commento di Rukawa verso Hime, che ridacchiò – Hanamichi,
ovviamente, stava per saltargli addosso e cantargliene quattro. Fortuna che l’arbitro
fischiò la fine del time-out sedando qualsiasi intento bellicoso e, dopo un
ultimo grido di battaglia, i cinque rientrarono in campo più carichi e
determinati di prima.
«O-ho, i pivelli si scaldano!», esclamò il maggiore tra i due Araki,
ghignando. «Non vi servirà lo stesso: senza Mitsui e Akagi a disposizione siete
solo delle pippe».
«Perché non fate entrare
Rukawa e Miyagi, eh? Volete proprio perdere, mezze seghe?», proseguì un suo
compagno di squadra.
Quelle erano le ultime
parole che avrebbe dovuto pronunciare: invece di intimidirli sortì infatti
l’effetto contrario. Gli insulti e le grida si sprecarono persino dalla
panchina e i Diavoli Rossi iniziarono a giocare seriamente. Con la stretta
marcatura di Araki su Miyamoto, Yasuda fu libero di giocare ottimi passaggi ai
gemelli, che non stavano facendo altro che confondere gli avversari correndo da
una parte all’altra del campo. Alla quarta tripla di Kimi persino Hisashi trovò
la forza di alzarsi su un piede e applaudirlo fino a farsi male.
Ora guidavano la partita
con 17 punti di vantaggio e nonostante l’assenza del trio in panchina, lo
Shohoku stava facendo scintille e si apprestava a chiudere il primo tempo con
un buon margine. Nonostante la voglia di vendetta che si leggeva negli sguardi
infiammati del Miuradai, nessuno di loro era in grado di superare la difesa di
Hanamichi sotto canestro, serrata e micidiale. Aveva addirittura segnato ben 8
punti dal time-out. Persino Akagi si ritrovò ad annuire con orgoglio davanti
agli elogi della sorellina sul loro numero 10. Aveva fatto un ottimo lavoro con
quello scapestrato, sebbene dovesse stare attento a non farlo sapere
all’interessato. E pensare che giocava solo da Aprile!
Dopo i primi venti
minuti di gara e un time-out chiamato dal Miuradai, l’arbitro fischiò l’intervallo
ed entrambe le squadre si diressero verso gli spogliatoi. L’ex Capitano e Vice
si alzarono per sgranchirsi le gambe e fare visita ai loro amici – nonostante
l’abbandono, non c’era verso di tenerli lontani dalla squadra – e Kiyo si
rilassò contro lo schienale, mentre quei pazzi dell’Armata Sakuragi tiravano le
somme delle loro scommesse.
«Cavoli, che partita
esaltante!», le stava dicendo Haruko, che per tutta la durata del primo tempo
non aveva smesso di spiegarle tattiche di gioco e i falli che commettevano i
giocatori. Era una brava maestra, pensò la nuotatrice, che non aveva mai
seguito quello sport se non da poche settimane; ma quella partita non aveva particolare attrattiva ai suoi
occhi, dato che colui che avrebbe voluto vedere giocare era impossibilitato a
farlo. Sospirò con pesantezza, passandosi una mano tra i capelli biondi.
Osservò distrattamente una ciocca sfibrata dal cloro e dalla tinta, e pensò che
fosse giunto il momento di tornare al suo colore originale, almeno per dare ai
suoi poveri capelli un po’ di tregua.
Negli spogliatoi, mentre
Akagi dava alcuni saggi consigli per chiudere la partita in modo definitivo,
Rukawa poggiò la testa penzolante sulla spalla di Hime, seduta contro gli
armadietti accanto a lui.
«Lo so, Ede, che ti stai
annoiando», gli disse, scostandogli la frangia dagli occhi. «Ma è solo per oggi».
Il numero 11 sbadigliò. «Che
due palle».
«Dai, stringi i denti.
La prossima partita sarà probabilmente contro il Kainan e ci servi in forze».
«Hn...
non me ne servono tante per umiliare quella scimmia del tuo ragazzo».
«Ohi! Nobu-chan è
perfettamente in grado di darti filo da torcere, Ede».
«Ma non farmi ridere».
«Come se fossi in grado
di farlo». All’occhiata perplessa di Kaede, la seconda manager aggiunse: «Ridere,
ovvio!».
«Demente».
Hime sorrise, ascoltando
distrattamente le parole di Ryota e del Gorilla. Avrebbe dovuto darsi un po’ di
contegno durante la prossima partita, rifletté. Non poteva certo lasciarsi
scappare qualche parola di incoraggiamento verso il suo adorabile ragazzo e rischiare
il linciaggio da parte dei suoi compagni. Hanamichi, ne era sicura, non
gliel’avrebbe fatta passare liscia.
«Dopo pranzo andiamo a
fare due tiri».
La voce di Kaede la
ridestò e abbassò lo sguardo su di lui, ancora mezzo addormentato sulla sua spalla.
«E sia! Ho voglia di giocare anche io».
«Ehi Kit! Che diavolo ci
fai addosso alla mia Hicchan?!», sbraitò Hanamichi, seguito a ruota da un
altrettanto incavolato Masuhiro che, era evidente, non si era ancora messo
l’anima in pace e sperava ancora in una risvolta romantica con la bella seconda
manager.
Rukawa bofonchiò qualche
insulto, sistemandosi meglio, mentre Hime ridacchiava.
«Ma si può sapere che
cos’ha da dormire? Insomma, non sta neppure giocando! Dovremmo essere noi
quelli affaticati», sbottò Araki, ficcandosi le mani in tasca pur di non
stringerle intorno al collo dell’odiato numero 11. «Che cacchio fai la notte,
eh?».
«Non sono sicuro di
volerlo sapere», si affrettò a dire Hisashi.
«Suvvia, Masu-chan», dissero in coro i Gemelli Siamesi, «non sarai
davvero stanco?».
«Hahah
Mezzasega!», lo sfotté Hanamichi. «Hai già il fiato corto!».
«Ehi, voi due!», esplose
il Gorilla, assestando un pugno su entrambe le loro teste. «Piantatela e
concentratevi».
«Ma che vuoi?», esclamò
Araki, imbestialito. «Non fai più parte della squadra, senpai, non dovresti
neppure essere q–».
«Abbi un po’ di rispetto
per il Gorilla, maledetto Puffo!», gli urlò contro Sakuragi, tirandogli una
testata memorabile che lo stordì per il resto dell’intervallo.
«Ma ti senti? Lo chiami
Gorilla e parli di rispetto?», ghignò Hisashi, che distese la gamba sana
intorpidita da tanto poco movimento. Hanamichi scoppiò a ridere sguaiatamente,
grattandosi la nuca in evidente imbarazzo.
Akagi si passò una mano
in viso, rivolgendosi a Sakuragi donna e indicandole il casino. «Quando mi
chiedi se abbia intenzione di tornare: eccoti la risposta».
Hime gli rifilò
un’occhiata significativa. «Sì, come no. Non saresti qui se non avessi
nostalgia della squadra, Capitano».
«Ohi, il Capitano sono
io, ora!».
«Bravo, Miyagi, e vedi
di non farmene pentire», fece il Gori, premendosi le tempie doloranti. Eccolo
là, quel tanto temuto e consueto mal di testa stava tornando forte e
martellante. Non gli era mancato per nulla. «Ma chi me lo ha fatto fare», brontolò.
«Intendi “lasciarci in
balia del Pigmeo”?», domandò con innocenza il numero 14, grattandosi la
cicatrice sul mento. «Me lo chiedo anche io».
«Ma vai al diavolo,
Mitsui».
Akagi ghignò. «Che fai,
mi rimpiangi?».
«No, semplicemente mi
chiedo perché non sono io il Capitano».
«Sei Vice, accontentati».
«Insomma! Non dovremmo parlare di strategie di gioco?», strillò
Ayako nel tentativo di farsi sentire tra i battibecchi, mentre Nonno Anzai se
la rideva. Per non sbagliare riservò una sventagliata ciascuno per riportare
l’ordine cosmico – anche all’ex Capitano, che non la prese benissimo. «Oh
cavolo, scusami tanto, senpai!», esclamò, inchinandosi a profusione.
«Io torno in tribuna,
prima che ammazzi qualcuno», sbottò quello, massaggiandosi la testa e andandosene
furioso e umiliato.
Ayako e Hime si
scambiarono un’occhiata, alla disperata ricerca di non ridere.
Fallirono miseramente.
*
«Ahahah!
Avete visto, segaioli?», stava sbraitando Hanamichi ai quattro venti, in attesa
del treno che li avrebbe riportati a casa. «Abbiamo vinto anche senza voi! E
soprattutto senza la Volpaccia! Tutto merito del qui presente Genio! Ahahah!».
I ragazzi, che si stavano
sorbendo quella lagna dalla fine della partita, vinta per ben 31 punti di
distacco – un gran bel risultato per tre nuovi arrivati su cinque –, pensarono
seriamente di gettarlo tra i binari con il treno in corsa, sperando solo che si
sbrigasse a giungere. Non ne potevano più. Avrebbero dovuto immaginare una
reazione simile, certo, ma la speranza era sempre l’ultima a morire. L’unico
fortunato che si stava perdendo lo show era l’allenatore Anzai, che per sua
fortuna era stato invitato a pranzo dal quello del Miuradai.
«Hicchan, hai visto che
canestro ho fatto, alla fine? E quel rimbalzo stratosferico? Sono stato bravo,
vero Harukina?». Quest’ultima, beata innocenza, continuava ad annuire e a
gettare legna sul fuoco, senza accorgersi degli sguardi assassini del resto
della compagnia.
«Haruko, per favore, non
assecondarlo!», sbottò il fratello, la cui testa era ormai sull’orlo di
un’esplosione.
«E della finta che ho
fatto a Murasame ne vogliamo parlare? Ryo-chan, devi essere orgoglioso di me!».
«Ayakuccia, ti prego,
fallo smettere», bofonchiò il playmaker, nascondendo il viso tra i capelli
ricci della sua ragazza.
«Non ne ho le forze»,
replicò quella, sfiancata da tanto ciarlare.
«Mito, per favore, conto
su di te», biascicò Mitsui. «Liberaci».
«Spiacente, ma lo
preferisco invasato, invece che incazzato col mondo», replicò Yohei. «Sai
com’è... ci tengo alla capa».
«E stai un po’ zitto,
do’aho», fece Rukawa, assestandogli un bel calcio e dando inizio all’ennesima
infinita lite.
Per una volta nessuno
ebbe da obiettare, giacché Rukawa aveva deciso di immolarsi per il bene comune.
Akagi era persino pronto a dare due pacche sulle spalle al Volpino per
ringraziarlo di tanta generosità, se solo quei due bisonti non gli fossero
franati addosso, portandosi dietro anche Miyagi e Araki nel casino. Tra morsi,
pugni e cazzotti, i cinque si rotolarono come maiali sul fango, e riserve,
manager e compagnia varia videro bene di non intromettersi; mossero qualche
indifferente passo poco più in là, elargendo sorrisi da orecchio a orecchio ai
passanti che guardavano terrorizzati la scena, nella tiepida speranza di non
farli scappare a gambe levate.
Quando il treno giunse –
troppo tardi per il gusto di tutti – il gruppo di idioti prese posto tra
spintoni e insulti vari, capitolando ai piedi di una vecchietta che per poco
non crepò d’infarto.
«Razza di animali!»,
sbraitò quella, colpendo ripetutamente Akagi sulla testa con la borsetta. L’ex
Capitano, che non era mai stato pestato da un’anziana, non poté far altro che
proteggersi il capo con le braccia, supplicandola di smettere ma senza ottenere
risultati. Era indemoniata.
Le risate e le lacrime si
sprecarono e persino Kiyoko non riuscì a trattenersi, voltandosi pur di non
farsi vedere. Hime e Ayako neppure si misero il problema di darsi un contegno.
«Il Gori che viene
pestato da una nonnetta!», continuava a ripetere Hanamichi, che non riusciva
più a respirare dalle risate insieme a Mitsui e Ryota, entrambi con i lacrimoni
agli occhi. «Anche meglio del suo sedere in bella mostra!».
Inferocito e con le
narici dilatate dall’ira, Takenori afferrò il rossino per il collo,
strozzandolo nella migliore imitazione di Homer Simpson con Bart. Nessuno ebbe il
coraggio di fermarlo, neppure Haruko, più preoccupata della sorte di Rukawa in
tutto quel trambusto per pensare ad altro. Kaede, ovviamente, non se la filò minimamente.
Giunsero alla loro
fermata che stavano ancora ridendo senza ritegno, tranne Hanamichi che tossiva
alla ricerca di ossigeno dopo l’attacco devastante del Gorilla e che gli aveva
lasciato il ricordo di dieci poderose dita intorno al collo.
«Ede, pranzi da noi e
poi andiamo al campetto?», domandò Hime, suscitando le ire del suo adorato
fratello.
«Hicchan! Ma sei
impazzita? Tutto questo casino è opera sua e vuoi anche sfamarlo?».
«Do’aho, stavo facendo
un’opera di bene mettendoti a tacere».
«Beh, Hana, se non fosse
stato per “tutto questo casino” non avremmo potuto godere della vista del Gorilla
pestato da una vec–». Hime non riuscì a terminare la
frase che dovette catapultarsi fuori dalla stazione a tutta velocità, per
evitare che Akagi sfogasse l’ultimo rimasuglio di ira anche su di lei. Il
fratello ovviamente si gettò in aiuto, ma non vide il piede allungato di Rukawa
e inciampò come un salame, finendo bello che disteso per terra. Il Volpino,
come giusto che sia, gli passò accanto con una scrollata di spalle e si diresse
silenziosamente verso la tana dei Sakuragi. Sperò con tutto il cuore che la
signora Misato fosse in casa per preparargli qualche delizia delle sue – a
volte temeva il cibo della sua seconda manager.
Salutati compagni di
squadra e amici, i tre, Ryota e Mito presero la stessa direzione, come sempre
facevano, e parlottarono della partita con un po’ più di tranquillità –
Hanamichi aveva avuto tutto il tempo per sgasarsi e Haruko non era più in
vista, quindi si diede una calmata.
Arrivati a destinazione,
anche Yoehi si unì per pranzo, con sommo orrore del suo migliore amico,
incacchiato nero che fossero sempre gli altri a scroccare il mangiare alla sua
famiglia e mai il contrario.
«Buongiorno mamma!»,
sbraitò il rossino, dopo aver lasciato le scarpe sull’ingresso di casa,
sentendo la madre canticchiare allegramente dalla cucina.
«Oh, tesoro! Com’è
andata la partita?», domandò la donna.
«Tre, due, uno...»,
contò a mezza voce Yoehi, mentre l’Idiota in quel momento riprendeva la
gloriosa narrazione delle sue gesta geniali.
«Ci risiamo», sbuffò
Kaede, che si fiondò sul divano a sonnecchiare.
«E poi ho scartato a
sinistra, mentre quello pensava che stessi per tirare ed è rimasto imbambolato
peggio della Volpe davanti a una femmina!», stava dicendo Hanamichi, seduto su
uno sgabello e ridendo come un matto, talmente tanto che rischiò di cappottarsi
all’indietro.
«Uhm, Hanamichi, devo
ricordarti che proprio qualche giorno fa il ragazzo non mi è sembrato tanto
imbambolato con una certa ragazza», disse Mito, il tanto giusto per farsi
sentire da Kaede. Questo, ovviamente, rabbrividì di disgusto e si nascose la
testa sotto un cuscino.
«Beh, chiamalo scemo,
quella Azamui è una strafiga mondiale», annuì Hanamichi, alzandosi per rubare
un po’ di cibo dalla pentola sul fuoco, mentre la madre era distratta.
«Meglio di Haruko?»,
domandò questa, ignara del disastro che aveva appena combinato con quelle poche
parole.
«Nessuna è meglio della
bella e dolce Haruko!», s’infervorò all’istante. «Oh, è stata così così gentile
a saltare le lezioni per venire a supportarmi! Dovevi sentirla, mamma, si vede
che l’ho colpita, oggi che il Volpino non si è dato arie! Ahahah!».
«Sì, colpita come una
pallonata in testa», fu la voce cavernicola di Rukawa.
Misato scambiò
un’occhiata mesta con la figlia e l’altro ragazzo, che ridacchiarono
all’insaputa di Hanamichi, tutto perso nel suo sproloquio.
«Mamma, manca ancora
molto prima che sia pronto?», domandò Hime, abbracciando la donna da dietro e
dandole un bacino.
«Ancora dieci minuti,
perché?».
«Chiamo un attimo Nobu».
«Checcosa?!
La Nobu-Scimmia?! Ahahah! Non ti risponderà! E sai
perché? Perché avrà perso e sarà in qualche gabbia a leccarsi le ferite e–». Un
colpo di mestolo in testa e Hanamichi si zittì di colpo, mugugnando qualcosa
sulla crudeltà della sua madre cattiva.
Hime zampettò nel
piccolo salotto, dove Kaede stava ancora ronfando alla faccia di tutto e tutti,
e digitò il numero di casa Kiyota, che ormai conosceva a memoria. Il Kainan
aveva giocato in un palazzetto poco lontano dal loro liceo, quindi immaginò che
Nobunaga fosse già tornato a casa per il pranzo. Dopo pochi squilli la voce
esuberante del suo ragazzo le trapanò un timpano, ma non ci fece molto caso.
Ormai era rassegnata all’idea che, con un fratello e un compagno come i suoi,
sarebbe presto diventata sorda.
»Qui parla Nobunaga Kiyota, il Rookie numero uno di Kanagawa! Ahaha! Chi sei?«.
«Nobu! Com’è andata?».
»Hicchan? Ma che domande fai? Abbiamo vinto, ovvio! E vuoi sapere perch–«.
«Fottesega!»,
bofonchiò Rukawa, che ovviamente sentiva chiaramente la voce di quella Scimmia
persino dal divano.
»Eh? Chi ha detto “fottesega”, Hicchan? È Rukawa? Rukawa bastardo! Che
diavolo ci fai a casa della mia Hicchan?!«.
Sconsolata e con la
cornetta a qualche decina di centimetri di distanza dall’orecchio in fiamme,
Hime attese con pazienza che Kiyota terminasse di inveire contro il suo
migliore amico e, solo quando fu sicura di poter parlare, riprese. «Quanto
avete fatto? È stato semplice? Oddio, la prossima partita sarà contro di voi!».
»Ahahah! Che c’è, stai iniziando ad avere strizza, eh Hicchan? Vi stracceremo,
vi stracceremo, vi–«.
«Cosa volete fare voi?»,
gridò Hanamichi dalla cucina. A quanto pareva anche loro udivano la
conversazione come se Nobunaga fosse lì con loro. «Preparati, Scimmia! Il Genio
Sakuragi non è mai stato così in grande forma! Vi umilierò tutti! Anche al
Nonno Maki e a quel robot di Jin! Ahahaha!».
»Continua a sognare, Rosso-Scimmia! Senza Mitsui e il Gorilla siete
fritti!«.
«Ti farò rimangiare
tutto, anche la polvere! Ahahah!».
«Ma insomma!», gridò
Hime, facendo saltare sul divano persino lo stoico Rukawa, mentre Hanamichi
cercò rifugio dietro la madre. «Sto cercando di avere una conversazione
privata, la volete smettere? E anche tu, Nobu, non dargli corda!».
Le due Scimmie si
scusarono in coro, docili come cuccioli e Rukawa alzò gli occhi al cielo. Che
gabbia di matti.
«Dicevamo», riprese più
dolcemente la ragazza, abbassando il tono di voce. «È stata una bella partita?».
»Piuttosto noiosa, direi«, disse Nobu, con leggerezza. »L’allenatore Takato ha persino lasciato in
panchina i senpai Maki e Jin, a un certo punto«.
«Anche Anzai-sensei ha avuto la stessa idea. Ryota ed Ede in panchina e
i giovanotti in campo».
»Ahahah! Quel volpino non ha giocato? Che inutile schiappa!«.
Hime non sprecò ulteriore
fiato per ricordargli che mezzo secondo prima aveva vantato il fatto che i
migliori giocatori del Kainan fossero rimasti anch’essi in panchina. Era una
partita persa, quella.
»Hicchan, questo pomeriggio hai da fare? Volevo portarti in un bel
posticino tranquillo non lontano da casa! Così possiamo stare un po’ insieme
dato che ci si vede poco, ecco«. Persino nel suo tono poteva percepire il
rossore che gli imporporava gli zigomi in quel momento.
La seconda manager si
mordicchiò l’interno della guancia. «Oh, Nobu, sarebbe così bello! Ma ho già
promesso a Ede che saremo andati ad allenarci un po’, visto che non ha toccato
palla e– Nobu? Ci sei?».
Udì un lungo sospiro
dall’altra parte della cornetta e non le fu difficile immaginare l’espressione
imbronciata del ragazzo. »Esci con
Rukawa?«.
Si grattò la punta del
naso, come sempre faceva nei momenti di imbarazzo o nervosismo. «Beh, sì, me lo
ha chiesto prima, durante l’intervallo... è solo per un paio d’ore, perché non
ti unisci a noi? Io e te contro la Volpe! E poi sarò tutta tua, promesso»,
disse arrossendo al solo pensiero.
Dopo un istante di
silenzio, Kiyota parlò atono. »Lascia
perdere, mi sono appena ricordato di dover accompagnare Arimi dal
fisioterapista. Ora devo andare, mio padre chiama. Ciao«.
Hime neppure ebbe il
tempo di replicare, che la chiamata era già stata interrotta. Guardò con
sorpresa la cornetta del telefono ora muto, come se potesse darle una risposta
a quel brusco cambiamento di umore, e la ripose al suo posto con lentezza. «Cosa
diamine è appena successo?», si chiese a voce alta. Si voltò verso Kaede, che
ora era seduto sul bordo del divano e la osservava intensamente.
«Non è ovvio?», domandò
lui. E con quelle parole si diresse in cucina, alla voce della signora Misato
che annunciava l’inizio del pranzo, lasciandola confusa e con un nodo in gola
più grande di una casa.
Continua...
* * *
Uh-oh.
Un abbraccio, miei adorati lettori silenziosi, e a presto! I
prossimi capitoli saranno, come dire, intensi.
Marta.