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Autore: SkyDream    26/09/2016    4 recensioni
A Osaka, per varie notti, si susseguono omicidi sospetti che hanno in comune una cosa sola: un trattino blu sotto la nuca.
E' opera della Blue Spread, una pericolosa banda che sta mettendo a punto una macchina delle torture che usa delle microonde.
Heiji, che ha partecipato alle indagini, viene mandato a Kyoto con la scusa di recuperare delle materie scolastiche e suo padre gli vieta di sentire Kazuha.
Il detective capisce che sono solo misure di sicurezza e non si arrende.
Peccato che il destino abbia piani sadici per lui e la sua amica.
Genere: Angst, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Heiji Hattori, Kazuha Toyama | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Raccolta storie su Heiji e Kazuha'
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-Blood in my Eyes-
-Dolore-

 
«Aihel sarà processata?» chiese l’uomo barbuto mentre camminava con Kamai per i corridoi bianchi del…già, dov’erano di preciso? Una base? Un laboratorio gigante?
«Così pare. Jophiel credo che ci sarà d’aiuto invece, sa molte cose e deve sfamare i suoi sensi di colpa.» rispose Kamai procedendo con passo svelto.
Tu, in silenzio, fissavi il pavimento che rifletteva gli aloni luminosi dei neon. Cercavi di mantenere la mente vuota per evitare di impazzire, ma era pressoché impossibile.
Impossibile pensare che dopo aver perso tutto quel sangue la tua Kazuha fosse ancora viva.
Un brivido ti percorse la schiena, alla base del collo sentisti un pizzico ma non ti preoccupasti più di tanto. In ospedale ti avrebbero tolto quel malefico microchip una volta per tutte.
L’uomo barbuto- che non avevi ancora capito chi fosse- urtò con il piede un cappello bianco macchiato di rosso.
Ti chinasti a raccoglierlo, i tuoi occhi si soffermarono sul verde sbiadito della scritta.
«Siamo sulla giusta strada, muoviamoci» urlasti cominciando a correre, un uomo sconosciuto ti si parò avanti, non aveva l’aria di essere pericoloso e passasti lo stesso.
Sentisti Kamai puntargli la pistola e dire qualcosa come “fossi in te starei zitto e fermo qui”. Doveva essere uno di quei ragazzi che ti avevano chiuso nella cella di Kazuha.
Corresti ancora, a lungo, ma niente. Nessuna stanza, solo corridoi.
Ti ritrovasti a un bivio, dietro di te sentivi rumori di rissa: Kamai e il suo complice non sarebbero venuti ad aiutarti presto e tu non eri nemmeno armato.
Prendesti la strada di destra, poco dopo una porta socchiusa attirò la tua attenzione, la apristi cauto.
«Aihel non sarà per niente felice di questa cosa! Potevi almeno resistere fino alla prova» sbuffò spazientito.
«Ora dirà che è colpa mia, che non sono stato attento, che dovevo andarci più piano» si lagnò ancora, sentisti qualcosa spostarsi nella stanza.
«Se fosse rimasto qualcosa di intero in te almeno mi sarei sfogato, ma così…»
I tuoi occhi, Heiji, balenarono come sotto l’effetto di una droga
I tuoi battiti accelerarono
Ti spingesti in avanti, su di lui
Senza il lume della ragione ti ci scagliasti contro.
 
Duth cadde all’indietro battendo la testa, un filo di sangue scivolò giù per il suo collo.
La furia che ti correva nelle vene ti sussurrava malefica che eri arrivato tardi. Malefica voce. Malefica coscienza.
«L’hai uccisa, bastardo!» urlasti tirandogli un pugno sullo zigomo, sentisti qualcosa rompersi sotto le tue dita.
Duth cercò di alzarsi, ma nonostante la sua stazza no riuscì a sopraffarti, la potenza e la voracità dei tuoi colpi erano come fulmini durante una tempesta.
«Heiji, basta!» Kamai ti prese per le spalle, sentivi i capelli sudati attaccarsi alla fronte, il cuore battere velocemente e una carica sulle mani che avevi bisogno di sfogare ancora e ancora.
Aihel te l’aveva detto che ognuno di noi  aveva bisogno di sfogare i propri bisogni. Il tuo era un bisogno urgente di vedere la testa di Duth saltare via dal corpo.
«Prima di impazzire in quel modo potevi assicurarti che quell’idiota non stesse vaneggiando. Se la portiamo subito all’ospedale potrebbe cavarsela» ti disse l’altro uomo prendendo tra le braccia Kazuha come se stesse solo dormendo, con dolcezza la cullò e uscì dalla stanza mentre Kamai attaccava i polsi a Duth.
Non era detta ancora l’ultima parola
E non sbaglio a dire che Kazuha era più forte di te
Come te aveva bisogno di qualcuno accanto
E indovina un po’ di chi…?
Durante il tragitto scopristi che l’uomo barbuto –Tamura- era il fratello della ragazza che era stata uccisa insieme a suo figlio di un anno: le prime due vittime di quel folle piano.
Scopristi che quel figlio era di Kamai, che la donna era una ricercatrice e voleva creare una macchina a ultrasuoni capace di alleviare o guarire delle malattie.
«Era una gran donna, in tutti i sensi» ti confidò Nakama espirando il fumo di sigaretta.
Eri seduto in una stanzetta con quattro letti, sotto osservazione per un paio di ore. Ti sarebbe rimasta una bella cicatrice alla nuca e probabilmente avresti sofferto di cervicale, ma tutto sommato non ti era andata male.
Il tuo sistema nervoso aveva risentito parecchio di quelle scosse anomale, ma si sarebbe rimesso in un paio di giorni di totale riposo.
«Come pensate di fare con il resto della Blue Spread?»
«Non è compito mio, e di certo nemmeno tuo. Heizo mi ha fatto una bella ramanzina, tra qualche ora dovrebbe essere qui» ti rispose buttando via un po’ di cenere dalla finestra, aveva lo sguardo perso.
«Come si chiamavano?» domandasti mentre ti abbandonavi alla morbidezza del cuscino.
«Sakura. Aveva dei capelli neri come la pece, bellissimi, li raccoglieva sempre in una treccia o se li legava sulla nuca con acconciature sempre piene di fiori freschi. Amava i fiori, ne avevamo interi vasi in giardino»
Si fermò, come a cercare un lontano ricordo.
Sapevi però che doveva essere più vivido di quello che faceva credere.
«Lui si chiamava Toichi, era un piccoletto assai vivace. Ricordo come veniva a piccoli passi nel mio studio e afferrava i libri dal tavolo per poi scarabocchiarli con la prima cosa che trovava»
Sorridesti, potevi solo immaginare il dolore che doveva aver provato alla morte delle persone a lui più care.
Chiudesti gli occhi, sopraffatto dalla stanchezza, e il tuo ultimo pensiero lucido fu dedicato a lei.
«Sotto le palpebre è buio. E lei vedrà tutto nero per il resto della sua vita».
 
Il risveglio fu piuttosto brusco.
Un paio di mani gelate ti toccarono la nuca e sentisti qualcosa di plastica entrarti nell’orecchio.
«Trentasette e due. Bene ragazzo, puoi tornare a casa senza problemi. Se hai dolore, vomito, nausea o febbre alta torna immediatamente. Cambia la benda ogni sei ore e torna qui tra due settimane per il controllo periodico. Qui c’è la carta delle dimissioni, arrivederci!» Il medico sparì dalla camera senza darti il tempo di vederlo in faccia.
«Pensavo morissi dalla voglia di vedere la tua bella» ti disse Kamai ancora appoggiato alla finestra nella posizione in cui l’avevi lasciato.
«L’operazione non sarebbe durata meno di quattro ore…»
«Hai dormito un bel po’, giovanotto»
 
La stanza era di un giallo chiaro, triste. Stesa sul lettino, addormentata e con il volto sereno, c’era Kazuha.
Aveva i capelli luminosi come sempre, non più impiastricciati di sporco, e le mani candide vicino il viso, dormiva sul fianco sinistro.
Le coperte le arrivavano fin sopra le spalle impedendoti la vista delle fasciature.
«Buonasera, siete parenti della signorina?» chiese un’infermiera con una cartella clinica sulle ginocchia, aveva gli occhi incredibilmente chiari.
«Si, sono…il fidanzato della ragazza» dicesti sperando di ottenere qualche informazione in più. Kamai, inaspettatamente, non ti rivolse nessun sorrisino sghembo.
«La guarigione sarà molto lenta, rimarrà in ospedale per qualche tempo in modo da permettere la trasfusione del sangue e i controlli giornalieri agl’occhi e alle costole»
«Che tipo di danni ha riportato?» chiese lui per te, mentre passava una mano sul ciuffo scompigliato di Kazuha.
«Ipotizziamo che la vista dell’occhio sinistro sarà compromessa seriamente o totalmente, l’occhio destro probabilmente recupererà ma non sappiamo quanto. Le costole hanno ricevuto parecchi colpi, abbiamo fatto il possibile ma ora spetta alla paziente rimettersi in sesto. Abbiamo riscontrato un ematoma alla testa, ma sembra che si stia riassorbendo da solo, abbiamo curato le altre ferite minori e la paziente non è più a rischio, solo che la grande quantità di sangue che ha perso e la perforazione- anche se minima- di organi interni aveva compromesso seriamente il suo stato di salute»
Rimanesti ad ascoltare in silenzio, guardandola dormire serena e poi, con coraggio, spostasti il tuo sguardo sul suo viso.
Aveva gli occhi bendati, una fascia bianca le percorreva gli occhi, passava sopra un orecchio e sotto i capelli.
«Okay, la ringrazio» risponse Kamai al posto tuo, nuovamente.
Sei rimasto immobile davanti il letto, a fissare ora la sacca del sangue che scivola lentamente per un tubicino collegato al suo braccio.
Qualcosa di oscuro ti stringe il petto.
 
«Ora capisci perché tuo padre ti aveva detto di non avere contatti con Kazuha?» ti disse Kamai continuando a carezzare il ciuffo di Kazuha.
Annuisti in silenzio, guardando le sue labbra rosee espirare lentamente.
«Sapevi che stavo indagando?»
«Sì, tuo padre sapeva che avevo avuto a che fare con la Blue Spread, sapeva che io ti avrei tenuto d’occhio. Mi assicuravo sempre che tu non ti allontanassi da quel bar, ma quando è arrivata lei ho pensato che un po’ di svago ti avrebbe allontanato dalle indagini. Sia io che Heizo sapevamo che sarebbe stato impossibile tenerti fuori, volevamo solo evitare…tutto questo».
Cadde il silenzio. Chiudesti gli occhi e non potesti fare a meno di sentirti terribilmente in colpa.
Vorresti sparire, sprofondare, morire in quell’istante.
«Hai fatto il possibile, ma temo che ti avrebbero trovato comunque» Ti disse tuo padre.
Era dietro di te, guardava verso il letto con profonda tristezza. Accanto a sé c’era la madre di Kazuha con le mani alla bocca che piangeva.

I giorni passarono lenti, da una settimana eri chiuso in camera tua a lanciare una pallina contro il muro e ad afferrarla. Sempre lo stesso ripetitivo movimento.
Eri a Osaka da qualche giorno, avevi deciso di partire prima di lei in modo da non vederla.
Solo una settimana fa avresti dato l’anima per vederla, ma non in quel momento.
Il senso di colpa non ti aveva abbandonato, anzi, sembrava divorarti ancora come un cane affamato.
Tua madre, stranamente premurosa, ti aveva cambiato la benda ogni sei ore e non aveva fatto domande. Però quando si sedeva dietro di te e ti medicava, come se parlasse a se stessa, raccontava ciò che Ginshiro le diceva al telefono: Kazuha sembra migliorare, le ferite si stanno rimarginando, comincia ad avere appetito, hanno detto che non ci vorrà il sostegno della psicologa, tra qualche giorno le toglieranno una benda.
Ma niente, i tuoi sensi di colpa erano sempre lì, pronti a farsi vivi quando di notte sentivi delle foglie cadere e, nella tua mente, ricominciava la canzone.
«Maru, take, ebisu…»
 
La sentivi vivida dentro le tue orecchie, sotto le palpebre la Kazuha che giocava al pallone veniva sostituita dalla Kazuha sanguinante che giaceva su un pavimento sporco.
E allora tutti gli sforzi di tua madre tornavano a essere vani.
Non immaginavi più una Kazuha che riprendeva appetito e camminava sulle sue gambe, vedevi solo una ragazza che credevi morta su un tavolo da laboratorio.
E la tua coscienza non sapeva più che cosa dire.
Non sapeva come affrontare la situazione.
 
«Heiji, sei tu?» chiese quasi spaventata, con una mano che stringeva il lenzuolo, l’altra che spegneva il televisore.
«Hai ancora riconosciuto il rumore delle scarpe?»
«Io riconoscerei la tua presenza anche se camminassi scalzo»
Seguì un istante di silenzio pesante, carico di cose non dette.
Ti avvicinasti, aveva ancora gli occhi bendati ma sembrava aver ripreso colorito.
«Come ti senti?» provasti a chiedere, indeciso.
«Pensavo che non mi avresti lasciata da sola! Si può sapere cosa hai fatto fino ad oggi?» Il suo tono era duro, quasi di rimprovero.
«Mi dispiace…»
Uscisti dalla stanza cercando di non far rumore, avevi bisogno ancora di tempo per poterla rivedere.
Forse se avessi pianto ti saresti sentito meglio
Ma no, tu sei Heiji Hattori
Dovresti vergognarti, fuggire da lei mentre ha bisogno di te. Lei non è fuggita quando tu ne avevi bisogno, è scappata di casa per venire da te!
 
«Hai fatto solo otto passi, non dodici. So che sei qui, accanto la porta» Ti disse, nel suo tono ora c’era solo tanta tristezza.
«Mi…dispiace così tanto, Kazuha»
«Lo so che ti senti in colpa, ma non devi. Non è colpa tua. Anche se mi avessi detto tutto su quel caso, sarei partita comunque. Lo avrei fatto perché avevo voglia di rivederti e poi…»
«E poi?»
«Sono riuscita a portarti nuovamente a Osaka»
Sorrise, teneramente, con il viso rivolto verso la porta come se ti vedesse. Seduta sul letto, con la maglietta stropicciata, tendeva le mani verso di te come se aspettasse un abbraccio.
Ti avvicinasti di otto passi, le passasti una mano sulla coda spettinata e lasciasti che lei ti abbracciasse.
«Sono ancora la tua rompiscatole?»
«Non credo esista una persona più rompiscatole di te, mi toccherà tenerti»
«Te ne pentirai amaramente»
«Lo so, eccome!»


Angolo autrice
Mi scuso per il ritardo di ben quattro giorni!
Tra scuola e maltempo mi è stato accendere il pc ><
Allora cosa ne pensate? La storia sta prendendo i risvolti che sospettavate, oppure è stata stravolta?
Fatemi sapere.
Ringrazio tutti i recensori che si sono preoccupati per il loro ritardo, come vedete qui siamo tutti ritardatari aahahahhaha
Buona settimana a tutti, spero di aggiornare con l'ultimo capitolo tra quattro giorni esatti!

Bacini e biscottini
_SkyDream_
   
 
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