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Autore: Matih Bobek    26/09/2016    0 recensioni
Raccontare la Cina, descriverla tenendo conto di ogni sua contraddizione e diversità, porgerla sotto gli occhi di chi non l'ha mai veduta nè vissuta attraverso gli occhi di chi l'ha vissuta per poco non è affatto facile. Non lo è in primis perchè novanta giorni non bastano per poter giungere alla totale comprensione di un paese che progredisce a velocità supersonica sulle basi di un'arretratezza mai sanata; secondo poi perchènon posseggo alcun tipo di competenza per dipingerla come meriterebbe, nel bene e nel male, di essere dipinta. Infine perchè dell'immenso oceano di frasi fatte, luoghi comuni, espressioni fisse che la nostra lingua dispone, per descrivere sinteticamente la Cina, non esiste un termine o un modo di dire adeguato che sappia raccogliere nel suo spettro semantico le milioni di sfumature che animano il paese di mezzo. In questo spazio mi limiterò semplicemente a riportare su carta quella che è stata la mia diretta esperienza, più precisamente quello che la rete dei miei sentimenti, che la mia individuale percezione ha saputo raccogliere e filtrare, nulla di più. Tra queste righe non emergerà una visione coerente, non si troverà alcuna descrizione accurata, niente che i libri di scuola possano invidiare. Questi
Genere: Avventura, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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    L'assonanza tra le due parole mi permette di fare un poco elegante volo pindarico: decollare dalle bretelle rosse dello zaino turco e appollaiarmi in posizione da squat sui ricordi della turca. 
Dopo aver sperimentato l'ebrezza di defecare in turca, non mi offenderò mai più se mi daranno del cesso. Anzi, me ne sentirò onorato. Scherzi a parte, la turca è stato il primo grande trauma, il vero grosso incubo. Ognuno di noi, già prima della partenza, si sforzava di immaginare come sarebbe stato. Qualsiasi pensiero non si è accostato mai abbastanza alla realtà, una volta arrivati ce ne siamo resi conto. La turca era per noi l' escrescenza diretta di Satana, l'aborto maledetto sputato dalle ovaie del comunismo più spinto, il più rocambolesco degli escamotage per constringerti a fare gli squat alle sette del mattino. Ma andiamo con ordine: il nostro dormitorio era in precedenza una galera o forse un ospedale psichiatrico, almeno così abbiamo pensato tutti. L'immenso vocabolario italiano non contiene aggettivi che si incollino in modo adeguato sull'yihaolou. Ho delle foto, inviate ad amici e parenti, ma costeggiano l'illusione che sia un posto vivibile, quando in realtà non lo è. Per capire bisogna abitarci. E, in tutta onestà, non ve lo auguro. Per dirne una, i bagni erano in comune, così come le docce. La mattina, appena alzati, ci si incontrava tutti davanti ai lavandini per spazzolarsi i denti col dentifricio all'anguria, mentre asiatici impuniti sputavano catarro giusto accanto. Poi c'era la capatina al bagno, dove si stava il meno possibile per non guastarsi la colazione. Cinque turche in fila, ognuna col suo secchietto per la cartigienica ( sì, perchè le tubature di Pechino sono troppo strette per poter accogliere la carta cestinata...). Ogni mattina era un superenalotto per beccare non la latrina più profumata, figuriamoci, ma quella con meno tanfo. Aprivi la porta ed ecco: strisce di sangue, come di sacrifizi apotropaici appena compiuti; odore di urina stantia depositato sul fondo di ceramica in plastica; il secchietto di cartigienica sporca, cui la sola idea è nauseabonda, che straripava già di primissima mattina.  Di tanto in tanto decidevano di togliere l'acqua nelle ore più buie delle notte, e dovevi solo pregare Dio che non ti venisse un attacco di diarrea! Tornando alla turca, i primi tempi è stato difficile persino capire come posizionarsi. Be', per alcuni di noi lo è stato fino a poche settimane prima del ritorno. Sì, insomma, voglio dire, ci vuole tecnica per rimanere in perfetto equilibrio mentre si compie uno sforzo spesso disumano. E non ridete, vi sfido a sturarvi di sette giorni di riso bollito, stipati in una stanzetta che ricorda la Cloaca Maxima, piegati come un embrione! Ah, ovviamente bisognava portare con sè carta igienica e salviette umidificate, perchè il bidet è un concetto futuristico in Europa, figuriamoci in Cina! Unico appoggio: delle tubature incrostate di ruggine e morte sulle quali non ho mai avuto il coraggio di posarci nemmeno lo sguardo.  Immaginatevi quindi di dover trovare nell'intimità della turca l'equilibrio fisico e psichico per evacuare e nel frattempo trasformarsi nella dea Kalì per tenere nelle mani telefono, chiavi, carta, salviette, i pantaloni che toccano per terra (non sia mai ) e la vita che sta per precipitare nelle fogne. 
La turca più bella era quella a estrema destra (come la Cina non vorrebbe mai). Era quella che costeggiava la finestra; quella con il davanzale sporgente; l'unica in cui poter poggiare tutti gli "strumenti del mestiere". E' stata la meta predestinata, ogni stramaledetta volta, fino a quando non accadde il fattaccio: va detto che, tra la finestra e la porta della turca, rimaneva uno spazio vuoto, dal quale chiunque avrebbe potuto sporgersi. Me ne sono sempre curato poco, del resto, chi mai ficcherebbe il naso nella turca? Già, chi? Ovviamente la domestica del piano. Quel giorno maledetto mi trovavo nella quiete della turca più bella, raccogliendo coraggio e forza per poter finalmente evacuare, ed ecco all'improvviso gli occhi a mandorla della fuwuyuan, intenta a curiosare. Chi mi conosce bene sa quanto disagio mi crea la nudità, mia e degli altri. Vi lascio immaginare i quarti d'ora di crisi che ho consumato sul letto. Da quel giorno non è più esistita nemmeno la turca più bella, ma solo acrobazie miracolose e chiappe d'acciaio, nel più fetido dei gabinetti.
   
 
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