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Autore: MaggieMary    27/09/2016    1 recensioni
❝Io freddo, tu caldo. Nel nostro abbraccio avevamo creato la temperatura ideale.
Il nostro amore era stato tiepido, la temperatura perfetta per bere un tè senza scottarsi la lingua.
I nostri anni da liceali si erano mostrati luminosi e così avevano brillato alla luce del sole.
A quel tempo, avevo provato per il sole ancora una discreta simpatia.
Avevi avuto i capelli castani e la tua principale fonte di calore erano stati i nostri baci condivisi e la vicinanza dei nostri corpi.❞
➢ MyungJong ( ♡ )
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: L/Kim Myungsoo, Lee Sungjong
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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 I wanted to say goodbye to *the Sun 

 ☼ ☼ ☼ 

 

 

 Ti ricordi di quella volta in cui il sole era entrato in casa? 

I caldi raggi gialli avevano riempito lo spazio e ne avevano soffocato l'aria col loro calore. L'ossigeno era arrivato difficilmente alle narici; i polmoni avevano faticato a trovare sollievo. Impegnato nella ricerca di linfa vitale, la mente si era fatta leggera, forse come non mai, forse fin troppo. Una risata leggera si era alzata dal parquet della camera. Qualcuno aveva sorriso e quel semplice gesto aveva fatto apparire tutto più bello, tutto più felice.

Era stato a quel punto che qualcuno aveva pianto? Le lacrime erano rotolate sulla pelle rosea delle guance, il palmo di una mano si era preoccupato di asciugare solo una piccola porzione di acqua calda. Il colore del sole si era riflesso nello specchio sbeccato della stanza quando avevi voltato lo sguardo; la testa ancora appoggiata sul pavimento e una semplice maglietta bianca a coprire il corpo pallido.

Eri stato tu a piangere? Le lacrime che si erano sciolte nell'epidermide erano state le tue? Ti avevo fissato dall'alto della mia posizione, seduto sul tuo corpo sdraiato. Col viso rivolto verso il basso, aveva continuato a fissarti. Nuove lacrime erano nate dal volto ancora sorridente. Forse eri stato davvero tu a piangere. Come mai avevi pianto? Forse era stata colpa del tuo sorriso.

Non ti fa male? Non ti fa male sorridere?, era ciò che avevo voluto domandarti. Perchè non avevi rilassato i lineamenti, se era stato proprio quel sorriso a dolerti? Muto, avevo solo allungato una mano verso le tue labbra. Facendo scorrere il pollice su tutta la lunghezza della tua bocca, avevo tentato di cancellare quel sorriso. Avevi spalancato gli occhi e per un attimo avevo percepito un emozione lontana e amara; non avevo comunque fatto in tempo a comprenderla. Allungando una mano verso la mia nuca, avevi fatto avvicinare troppo i nostri volti. Avevi sempre avuto l'abitudine di distrarmi.

Quella volta avevo accarezzato i capelli di un  biondo sbiadito. 

Mi avevano ricordato il colore del sole d'inverno.

 

 • • • 

 

Si dice che le persone che trascorrono più tempo al sole, siano anche le più felici. Quasi come se il sole fosse capace di tanto, quasi come se il sole fosse davvero in grado di condizionare così profondamente lo stato d'animo di una persona. In tutta sincerità, avevo sempre pensato a quel fatto come ad una semplice diceria di alcun valore e, accompagnato da questa convinzione, non gli avevo mai dato particolare peso. Il sole non poteva avere quel potere, il suo calore di per giunta era solo una paturnia. Io ero felice quando le luci si spegnevano, quando tutto si faceva silenzioso e la mente smetteva di correre da un lato all'altro, sconnessa e impegnata. Andava bene quando chiudevo gli occhi, non avevo bisogno del sole. Di questo però me ne sarei ricordato solo più tardi. In una mattina di fine estate, non ero ancora stato in grado di riflettere su quegli insensati cambi di umore.

Era stato un sabato d'estate e nessuno aveva avuto impegni.

Sdraiato nel letto, avevo sbattuto gli occhi un paio di volte prima di apprendere la mia locazione. Per una manciata di attimi, non ero nemmeno stato in grado di riconoscere quel luogo, quella stanza che ormai da tre anni fungeva da appartamento. Senza spostare lo sguardo, avevo tastato lo spazio al mio fianco: vuoto. La mia mano non aveva trovato alcuna risposta. Quel lato del letto si era già raffreddato. Annusando l'aria, mi ero accertato della possibile presenza di una seconda persona. Il suo odore era lì, il tuo profumo era ancora lì.

Ci sarebbero voluti ancora un paio di secondi di vita, prima di prendere la decisione di alzarmi dal letto.

 Sapevo dove fossi, sapevo sempre dove fossi. 

La portafinestra, che portava al piccolo balcone, era socchiusa. Abbracciato da una coperta di delicato verde, una testa luminosa aveva fatto capolino. Raggomitolato su te stesso, avevi avuto il mento appoggiato sulle ginocchia ossute. Forse avevi canticchiato qualcosa nella tua mente.

« Cosa stai facendo?»

Non mi avevi risposto. Senza scomporti, avevi alzato un lato della coperta, invitandomi silenziosamente nel suo abbraccio. Mi ero fatto accogliere da quel calore.

« Sei freddo.» avevi aperto bocca.

« Sei tu che sei troppo caldo. »

Avevi sorriso, come sempre, come da sempre.

Appoggiando la testa sulla mia spalla, ti eri fatto più vicino. Il lato destro del mio corpo si era scaldato. Quel contrasto di calore nel mio corpo mi aveva dissestato. La bipolarità di calori era nauseante. Tu questo lo sapevi e per questo non te ne stavi mai troppo incollato. Avevi sempre percepito il mio malessere e te eri sempre fatto carico.

Te ne eri sempre fatto una colpa e io non te lo avevo mai impedito.

 

  • • • 

 

« Non ti stanchi mai di stare al sole? Anche se è autunno, fa comunque caldo. ­»

Nella tua posizione statuaria, seduto di fronte alla portafinestra, non mi avevi dato ascolto. Forse mi avevi volutamente ignorato all'inizio.

« Non posso fare altrimenti. ­­- avevi risposto, dopo una manciata di secondi -  Devo ricaricare le mie batterie. »

Ti avevo fissato per un paio di secondi. Non avevo mai davvero compreso la metà delle tue parole, ma forse era stato giusto così.

« E il sole può fare questo? »

« Il sole rende le persone felici. »

« Odio il sole. »

Avevi fatto dondolare la testa a destra e a sinistra: « Solo perché non hai ancora avuto modo di apprezzarlo. »

Arricciando il naso, avevo messo fine alla conversazione.

Come potevo davvero apprezzare qualcosa che non aveva mai dato modo di farsi apprezzare? Era totalmente incoerente, illogico.

Il sole non rende le persone felici, il sole non ha questo effetto. Il sole non si ferma anche se tutto ciò che ti circonda smette di esistere. Il sole non prende una pausa quando qualcuno finisce l'ossigeno. Il sole non se ne va dal cielo se le persone si ingrigiscono. Il sole brilla anche quando le persone smettono di vivere.

Come può esserci qualcosa di coerente in questo?

 

 • • • 

 

La pelle nuda della schiena aveva brillato nell'ombra delle stanza.

Il buio ti aveva coperto parte del volto e solo una piccola abat-jour ingiallita aveva mostrato le nostre sagome sedute sul letto. Coerente al mio essere, mi ero sempre vestito di nero, mentre tu avevi indossato i colori del giorno. Solo e unicamente in quei casi mi permettevi di farti avvolgere dalle ombre, solo in quei casi ti facevi accogliere dal colore del mio vivere. Di questo non ti eri mai lamentato, in quei casi non avevi avuto modo di farlo.

Un paio di labbra calde avevano preso possesso del mio collo, ne avevano bruciato la circonferenza e di questo ti avevo reso partecipe. Avevi assottigliato gli occhi a due fessure e con quell'espressione avevi dato voce al tuo disappunto.

« Ti stai seriamente lamentando? Ti stai seriamente lamentando in questo momento e in questa precisa situazione?»

« Come fai ad essere così caldo? Come puoi esserlo anche nel buio? »

« La vera domanda è come tu possa essere ancora così freddo? Un corpo morto è più reattivo.­­»

Le tue parole non avevano mostrato una cattiveria voluta, ma non ero riuscito comunque a nascondere la mia reazione. Sobbalzando leggermente, avevi chinato il viso verso il basso.

« Scusa, è stata una battuta infelice. ­»

Odiavo il tono che poteva assumere la tua voce, odiavo come le tue labbra potessero farsi piatte. Odiavo vederti triste ancora più di quanto odiassi il sole.

Lasciando da parte scottature, avevo allungato una mano e l'avevo lasciata risposare sulla tua guancia. Delicatamente, mi ero bruciato le labbra sulle tue.

Eri tornato a sorridere. Avevi riso finemente, prima di spingere con forza il mio corpo a sdraiarsi. Il tuo corpo caldo si era seduto sul mio ed avevi fatto avvicinare i nostri sguardi. I capelli biondi mi avevano solleticato il volto.

« Ora vediamo quanto ancora rimarrai freddo. A costo di sprecare tutte le mie batterie, ti scalderò. ­»

Avevo avuto voglia di sorridere, ma il tuo dito era scivolato sul mio petto e non me ne aveva dato la possibilità.

Avevo rabbrividito prima di stringerti a me.

 

 • • • 

 

Negli anni avevo coltivato l'abitudine di svegliarmi di buon'ora ogni domenica mattina. Senza una ragione precisa, mi ero sempre spinto ad alzarmi presto in uno di quei pochi giorni di riposo della settimana. Con l'unico scopo di fare una camminata silenziosa nella città addormentata, mi ero sempre svegliato per primo la domenica mattina; seppur ancora nel mondo dei sogni, percepivi indistintamente la mia scomparsa, ogni volta. Mugugnando qualcosa nel sonno, ti eri sempre rannicchiato su te stesso. Conoscevo la temperatura del tuo corpo, ma non me ne ero fatto un problema in una domenica mattina; così, avevo appoggiato il palmo della mano sulla tua guancia. Come risposta, avevi fatto strusciare inconsciamente il volto contro di esso. Eri tornato a rilassarti.

Non avevo mai compreso come potessi apprezzare la mia freddezza. Come poteva il tuo corpo, che viveva di calda luce, trovare appagamento dalla mia presenza? Come potevi provare piacere a farti stringere da un corpo freddo come il mio?

Tutte quelle erano domanda di cui non avrei trovato una risposta. Dopotutto, nemmeno te le avevo mai rivolte apertamente.

Sotto al mio tocco, la tua guancia aveva iniziato a farsi più fredda, meno calda. Strabuzzando gli occhi, avevo ritirato in fretta l'arto. Torturandomi il labbro inferiore con i denti bianchi, avevo avuto paura, come sempre.

Velocemente, mi ero preoccupato di prendere una coperta dall'armadio. Delicatamente, ti avevo fornito una nuova fonte di calore.

Ero arrabbiato: perché non potevo essere io la causa di ciò? Perché non potevo essere io la tua principale fonte di calore?

Vestendomi di nero, mi ero chiuso la porta alle spalle e avevo preso a camminare nella città vuota. Il sole si era già stato alto, l'unico abitante già sveglio insieme a me. Odiavo questa esclusiva condivisione di spazio con lui; volevo essere solo. Mi ero sempre coperto di scuro ma, nonostante ciò, i raggi del sole mi avevano sempre schivato. Non mi ero mai fatto carico del calore solare.

 

 • • • 

 

Non aveva piovuto. Quel giorno non c'era stato alcun maltempo. Il sole aveva brillato forte; appeso nel cielo azzurro, aveva scaldato il mondo come sempre, senza alcuna variante nel suo vivere. Non gli era sembrato opportuno assentarsi, quasi fosse stato uno degli "invitati" a quella celebrazione. In ginocchio, di fronte a quel ricordo marmoreo, avevo iniziato a odiare il sole.

In quel particolare giorno, non ero stato l'unico ad indossare le vesti di nero. Anche colui, che brillava dei colori della mattina,  aveva assunto quella funerea colorazione. Appoggiando una mano sulla mia spalla, quest'ultimo aveva aperto bocca, quando era giunto il momento: « Andiamo a casa. » si era fatto sentire, in quella domanda in cui era stato volutamente dimenticato il punto di domanda.

Alzandomi da terra, non avevo aperto bocca in alcun modo.

La tua presenza era stata sufficiente.

Con premura, mi avevi spazzato via lo sporco dai pantaloni. Stringendomi la mano, mi avevi portato via da quel posto. Il tuo corpo era sempre stato caldo, ma solo in quel dato momento mi ero accorto della tua temperatura. Avevo abbassato lo sguardo sulle nostra dita incrociate. Le ultime mani che avevo sfiorato erano state gelide. Quelle mani erano appartenute a tre componenti della mia vita. Tu eri il quarto e ultimo; allora perché non avevi la loro stessa temperatura?

Di chi era stata la colpa se quelle mani si erano raffreddate? Come avevano fatto a raggiungere quella temperatura?

Nell'inquietudine di una risposta indesiderata, mi ero accontentato di farmi trascinare dalla mano che, stretta, mi aveva portato lontano da quel posto. Non volevo dimenticare quel che era stato, non volevo dimenticare chi c'era stato; ma quelle mani si sarebbero mai più riscaldate? Sapevo che non era così e nemmeno il sole sarebbe stato in grado di fare in ciò. Odiavo il sole che aveva imperlato le fronti di sudore e aveva fatto cinguettare gli uccelli. Non c'era stato nulla da cantare, nulla da festeggiare. La tua mano calda aveva continuato a condurmi verso la nostra direzione, il tuo calore al mio fianco che quasi si era fatto percepire come una massa consistente.

Cosa c'era stato di sbagliato?

Calcolando le probabilità, mi ero domandato se tutte le persone al mio fianco fossero destinate a diventare gelide. Eri destinato anche tu? Anche la tua calda esistenza si sarebbe spenta standotene al mio fianco? Cosa avrei dovuto fare?

Avevo mal di stomaco e qualcosa aveva preso a martellarmi nel petto coperto di nero tessuto. Il sole era caldo, troppo caldo. Faceva sudare la gente e innervosire gli indaffarati.

Il sole non rende felici le persone, se no in quegli istanti si sarebbe fatto da parte.

Lo avevo capito dopo averlo fissato per tanto tempo.

 

 • • • 

 

La mia temperatura corporea non era mai stata delle più calde. Era sempre stato così, ma non me lo ero mai portato dietro come un problema. Al mio fianco avevo sempre avuto piacevoli figure di calda presenza, coloro che aveva neutralizzato parte del mio freddo vivere. Era stata una convivenza pacifica, probabilmente felice. Questo fin quando anche le mani di chi era stato caldo non erano divenute gelide.

Confuso dallo stravolgimento degli eventi, mi sarei voluto domandare tante cose. Avrei voluto conoscere le ragioni di ciò, le cause delle scomparse. Logicamente, ero arrivato a concordare con me stesso che sarebbe stato solo uno spreco di tempo. Avevo messo da parte inutili convenevoli e ti avevo tenuto al mio fianco. Tu, unico respiro ancora bollente.

C'eravamo ritrovati a vivere nello stesso luogo, a passare il tempo con la reciproca compagnia dell'uno e dell'altro. Eravamo stati insieme fin dall'inizio di tutto, quindi la decisione era apparsa naturale, quasi fin troppo spontanea. Avevamo condiviso attimi di vita, ossigeno e parte del tuo calore. Il sole non era mai riuscito a riscaldarmi a sufficienza e, così, eri stato tu ad assumere il suo compito. Tingendoti di biondo, avevi assunto le vesti del sole; però di questo non me ne ero accorto.

Ti eri sempre avvicinato a me ogni qualvolta che, inconsciamente, mi ero messo a tremare nel cuore della notte. Il tuo tepore aveva sempre regolarizzato la mia temperatura e tranquillizzato la mia mente. In quelle notti, avevo sognato belle cose, mentre tu ti eri accontentato di non dormire. Stringendomi a te, mi avevi osservato nel buio della notte. Avevi accarezzato i miei capelli e ti eri permesso di non staccarti da me. La nausea non si era fatta sentire, a prova di quanto normalmente non fosse nulla di sintomatico.

In quelle notti, non mi ero allontanato. In quelle notti, non ti eri fatto da parte. In quelle notti, forse avevi pianto.

Mi sarei odiato se lo avessi saputo. Se mi fossi svegliato, ti avrei spostato lontano. Avrei dato la colpa alla mia freddezza e, nel terrore di poterti raffreddare, sarei corso lontano.

Non avrei mai permesso di farti perdere il tuo calore. Vivevi del sole e di ciò era fatta la tua esistenza.

Odiavo il sole tanto quanto odiavo me stesso.

La nausea era sempre stata una scusa per potermi allontanare da te e farti mantenere il tuo tepore. Da parte tua, avevi sempre e solo voluto poter condividere il tuo calore con me. Non ti avevo mai permesso ciò e, per questo, avevi iniziato a prenderti la colpa del mio malessere. Avevi dato per scontato che fosse stata la tua stessa vicinanza a farmi sentire nauseato.

Ragion per cui, i tuoi capelli biondi avevano iniziato a sbiadire.

 

 • • • 

 

Dalla portafinestra della nostra casa, i raggi solari erano sempre entrati con una facilità disarmante. Avevo tentato di attenuarli comprando delle tende scure. Per un po' di tempo, la stanza era stata buia anche di giorno. Le ombre avevano fatto da padrone e io mi ero rilassato nel buio dell'illusoria notte. Non avevo pensato a nulla, non avevo ripensato a quelle persone dalle mani gelide. Per una manciata di secondi, mi era stata data l'opportunità di non ripensare a ciò che era stato. Nel freddo del mio essere, mi ero ritrovato a mio agio. Tu ti eri sempre lamentato e, sbuffando, avevi sempre spostato le tende in modo da dare nuovo accesso al sole. Io, d'altro canto, ero sempre stato brusco. A volte avevo calciato qualcosa, a volte avevo sussurrato qualcosa di poco carino, a volte me ne ero andato via per qualche ora.

Tu l'avevi sempre presa sul ridere, ma nell'intimo del tuo esistere avevi pianto, una volta e un'altra volta ancora.

Quei comportamenti non mi erano mai appartenuti, tuttavia ero finito per assumerli. Agire a quel modo, ti faceva stare lontano da me. Ti faceva rimanere caldo e questo andava bene. Questo era tutto quello che desideravo.

 

Un giorno, il mio egoismo architettato aveva avuto un piano. Nella sua mente era balenata quella che era apparsa come una "straordinaria idea". Io non mi sarei mai lasciato andare a commenti così scellerati, ciò nonostante l'avevo comunque trovata una "buona idea".

Così, in una mattina d'inverno, me n'ero andato.

 

 « È finita, ho cancellato. 

 Finalmente ti sto cancellando. » 

 

Silenziosamente, non ti avevo svegliato. Senza fare rumore, avevo messo insieme le poche cose a cui davvero tenevo. Alla fine, mi ero ritrovato con uno zainetto vuoto come bagaglio: ero stato colto da una temporanea amnesia e, stranamente, non avevo trovato nulla di importante da portare via con me. Che non tenessi davvero a nulla?

Arricciando il naso, me n'ero andato senza lasciare alcun bigliettino alle spalle.

 

 « Sto dicendo addio all'addio. » 

 

Nei giorni seguenti, mi ero domandato tante volte quale fosse stato il tuo primo pensiero una volta appresa la mia dipartita. Forse avevi assunto un'espressione confusa, forse eri stato in parte sollevato. Il mio egoismo sperava nella seconda opzione e con ciò avevo continuato a starti lontano. Senza una meta precisa, senza una dimora fissa, avevo passato i miei giorni nella più totale perdizione. Mi ero vestito dei colori della notte e le mie mani erano state solo fredde.

Non avevo pensato a molto, la mia mente era stata leggera come da tanto tempo non lo era più stata. Avevo vissuto nella mia totale inconsistenza d'animo. Avevo assunto le vesti del vapore, un freddo vapore che si era mosso senza una precisa meta da raggiungere, senza una precisa ragione di esistere.

 

 « È tutto fermo, tutto bloccato. 

 La tempesta di pioggia, proprio come l'uragano, si è fermata per ora. » 

 

Non avevo pensato a nulla, era vero; sebbene ciò, qualcosa aveva continuato a martellarmi nella mente. Era stato un interrogativo di confusa natura, quello stesso interrogativo che mi ero trascinato dietro da quella stessa mattina d'inverno.

Come mai non ero stato in grado di riempiere il mio zaino? Come mai i miei bagagli erano stati così totalmente inesistenti?

Ero freddo, senza dubbio, ma da quando la mia freddezza si era riversata anche su tutto il resto?

Era ciò che avevo sempre tentato di reprimere, era sempre stata la mia paura più grande.

Lo zaino che portavo sulle spalle era ancora leggero, l'esistenza del mio freddo egoismo era tutto ciò che mi ero trascinato dietro.

 

 • • • 

 

Le punte delle mie dite erano sempre state più fredde del dovuto e questa mia temperatura si era mostrata al mondo sottoforma di timidezza. Ero stato introverso, lo ero sempre stato. Difficilmente mostravo i miei pensieri, raramente davo platealmente sfogo dei miei problemi. Ero sempre stato convinto che la soluzione migliore sarebbe stata quella di nascondere le mie paturnie; a questo modo, tutto si sarebbe semplicemente risolto senza la necessaria partecipazione di nessun altro al di fuori di me stesso. A volte, però, il peso delle difficoltà sembrava essere più pesante. A volte, però, avevo provato un concreto dolore alla punta dello stomaco. In quei casi, mi ero permesso di parlare con qualcuno, di parlarne con un ristretto cerchio di persone.

Quel cerchio era sempre stato formato dalle tue braccia.

Senza dire nulla, senza giudicarmi, mi avevi sempre e solo stretto tra le tue braccia. Mi avevi accarezzato la schiena con una mano e, quando il dolore era stato più forte del previsto, avevi canticchiato qualcosa. Delicatamente mi ero lasciato andare alle tue premure. Delicatamente eri sempre riuscito a distrarmi. La circonferenza che avevano formato le tue braccia mi aveva dato lo spazio sufficiente per tornare a respirare.

Ciò era accaduto fino a quando non avevo iniziato ad odiare il sole.

In passato, la mia freddezza non era stata altro che una normale temperatura corporea, nulla più, nulla meno. Eri sempre stato il più caldo, ma non avevo mai temuto per la tua perdita di tepore. Ti ero stato vicino, forse fin troppo appiccicato. Nessuno di noi si era mai lamentato e così, nella primavera dei nostri quindici anni, ci ritrovammo innamorati. O, forse, sarebbe meglio dire, ci accorgemmo di essere sempre stati innamorati.

Colti da una nuova visione del mondo, eravamo stati felici.

Io freddo, tu caldo. Nel nostro abbraccio avevamo creato la temperatura ideale.

Il nostro amore era stato tiepido, la temperatura perfetta per bere un tè senza scottarsi la lingua.

Le nostre labbra non si erano mai bruciate, i nostri corpi non avevano mai sentito un drastico cambiamento di temperatura.

Eravamo stati felici e di questo ne eravamo entrambi certi.

I nostri anni da liceali si erano mostrati luminosi e così avevano brillato alla luce del sole.

A quel tempo, avevo provato per il sole ancora una discreta simpatia.

Avevi avuto i capelli castani e la tua principale fonte di calore erano stati i nostri baci condivisi e la vicinanza dei nostri corpi.

 

 • • • 

 

Seduto sulla panchina di un parco, a fine inverno il sole mi colpì in faccia.

Erano trascorse un paio di settimane da quando mi ero allontanato dal nostro nido condiviso, ma, solo in quell'attimo di ossigeno, i caldi raggi mi avevano colpito. Al pensiero di ciò che era stato, al pensiero di chi ero stato, qualcosa aveva preso a bruciare.

Il giallo era esploso sottoforma di un ricordo passato.

Fu in quel momento che mi ricordai del giorno in cui il sole era entrato in casa.

Mi ricordai di come eri stato steso a terra, di come avessi sorriso per poi piangere. Le tue lacrime erano rotolate indisturbate, le mie mani non le avevano raccolte.

Era stata la primavera del nostro terzo anno di convivenza e quello era stato il primo giorno in cui ti avevo urlato contro.

Avevo tentato di richiudere le tende, ma tu non me lo avevi permesso. Ti eri avvicinato troppo a me ed il tuo calore mi aveva fatto paura. Nella solita inquietudine di una possibile scomparsa, ti avevo spinto lontano ed eri scivolato a terra.

Era stato inaspettato ed entrambi c'eravamo spaventati.

Avevo tremato, prima di sedermi su di te. Forse le lacrime che erano scivolate sulle tue guance non erano state solo tue.

Il riflesso di quel giorno era stato portato dalla luce del sole. I caldi raggi mi avevano permesso di ripensare a un giorno di tre stagioni passate. Sulla panchina del parco avevo avuto freddo e avevo percepito chiaramente quel freddo.

Alzandomi, avevo provato un senso di disorientamento. La pelle d'oca era nata sulle braccia coperte dalla felpa nera. Il sole aveva continuato a battermi in fronte, per la prima volta ne avevo percepito un chiaro tepore; un tepore che, però, non sarebbe stato anche solo minimamente sufficiente.

Dopo tanto tempo, avevo alzato gli occhi verso il cielo ed il sole mi aveva sussurrato qualcosa.

I raggi invernali mi avevano ricordato i tuoi capelli.

 

 « Non ho potuto dimenticarti, non ho potuto cancellarti. 

 Ti ho preso nei miei occhi, 

 dunque sono intrappolato nei tuoi occhi. » 

 

Nello smarrimento del mio vivere, corsi verso una meta che da un paio di settimane non avevo più raggiunto.

La porta della nostra casa si era aperta cigolando e, seduto davanti alla portafinestra, ti avevo ritrovato in attesa.

Ti ero stato lontano per tutto quel tempo, forse per tutti quegli anni. Avevo tentato in ogni modo di non farti raffreddare, eppure i tuoi capelli erano sbiaditi comunque e i raggi del sole non ti erano più bastati come naturale rifornimento. Non aveva avuto senso, non aveva avuto senso tutto ciò. La mia maschera di fredda indifferenza ti aveva sempre e solo bagnato le guance.

Questo non l'avrei più permesso.

Eri stato l'unica cosa che avrei voluto portare via con me. Eri tutto ciò a cui avevo sempre realmente tenuto.

Era stato impossibile portarti come bagaglio nel mio zaino.

 

 « Il posto in cui me ne sono andato lontano, 

 il posto in cui sono scappato via da te, 

 è il centro dei miei ricordi di te. 

 Ora me ne rendo conto. » 

 

Ero freddo e tu eri caldo, ciò nonostante corsi comunque ad abbracciarti. Avevi sobbalzato, ti eri spaventato. Nuove lacrime erano nate quando avevi riconosciuto la mia temperatura. Beandoti della mia freschezza, avevi versato il tuo sollievo sottoforma di lacrime salate. Avevo accarezzato i lineamenti del tuo viso dopo qualche secondo. Ti avevo baciato dopo qualche ora.

Controluce, i tuoi capelli biondi mi avevano illuminato l'animo. Il tuo intero esistere mi aveva illuminato il mondo.

 

 « Sei così bello.

Nei tuoi ricordi, siamo felici. 

 Alla luce della memoria, penso di poter vivere senza di te. 

 Ma non ho la confidenza di poterlo fare di nuovo. » 

 

Si dice che le persone che trascorrono più tempo al sole, sono anche le più felici.

Avevo sempre ignorato ciò, fino a quando non ero riuscito a dare un nome al mio sole.

Mi chiamo Kim Myungsoo ed il mio sole è sempre stato Lee Sungjong.

 

 « Ho provato ad allontanarmi da te. 

 Ho provato a correre via da te. 

 Ma sono di nuovo stato trascinato da te. » 

 

 

 • • • • • • • • • • • • • • • • • 

 

 

 Note di confusa natura (tanto quanto questa storia)

Ciao a tutti, sono estremamente imbarazzata in questo momento... E dire che ci sono praticamente "cresciuta" su questo sito. Non so davvero da che parte cominciare, vorrei scusarmi per questa storia nonsense (non riesco a credere di averla davvero pubblicata alla fine, aiuto, chiedo venia), ma andiamo per gradi.
Allora, è passato la "bellezza" di un anno e un mese dall'ultima volta che ho pubblicato qualcosa nella sezione. In questo annetto sono successe davvero tante (troppe) cose: è stato un anno stancante (veramente devastante per certi avvenimenti spiacevoli), ma anche pieno di soddisfazioni d'altra parte. Mi sono un po' - molto - allontanata dal mondo del kpop (il cosplay mi ha rubato l'anima, send help--), ciò nonostante gli Infinite non li ho mai davvero abbandonati e, dopo questo comeback a dir poco ECCEZIONALE, mi sono sentita estremamente in colpa per averli messi da parte per un anno intero.

Queste sono notizie estremamente inutili, ma era tutto per dire che in questo momento mi sento molto fuoriposto -- ho sempre amato scrivere fanfictions, però temo di non saperne più scrivere. Se qualche mio vecchio lettore è all'ascolto, forse avrà notato che il mio stile è molto cambiato, ma di questo non me pento nemmeno completamente.

Quindi... Possiamo dire che "I'm back"?

Questa sezione è sempre vuota (why Inspirits ;;), and so scusate se la torno a riempire con nuovo nonsense. Ci tenevo davvero a scrivere qualcosa su di loro e ho scritto tutto ciò di getto. Non ha senso, lo continuerò a ripetere, però boh, la MyungJong mi mancava così tanto.

Sto scrivendo troppo, basta.

Okay, nulla più - - chiedo umilmente scusa per la mia ricomparsa improvvisa e per questa OS senza capo né coda. Magari tornerò a scrivere qualcos'altro, mi piacerebbe davvero tantissimo.

Per ora vi riempio di bacini, bimbi bellissimi. ♡♡♡

 

E come sempre, MyungJong is the way. Always. ♡

Grazie di tutto // se qualcuno ha davvero avuto il coraggio di leggere tutto ciò. ( ♡ )

 Chu chu, 

 La vostra Maggie 

 

PS. Se non si fosse capito, le parti tra virgolette delle ultime scene sono prese dal testo di "The Eye" (in italiano sono veramente oscene, chiedo scusa) e lo stesso vale per il titolo (in cui "to farewell" è diventato "to the Sun"). ( ★ )

 

   
 
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