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Autore: Black_Eyeliner    28/09/2016    0 recensioni
A volte gli addii sono necessari.
Anche se non si è smesso ancora di amare.
[Oneshot]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Ci rivedremo. Non appena tornerò."

 

Come a voler dire qualcosa, Amanda schiuse le labbra sottili e pallide, screpolate dal freddo di quell’inverno rigidissimo, che per giunta  aveva appena iniziato a spruzzare di neve le finestre chiuse del cafè. Poi le stirò in una linea dritta, inespressiva, serrandole ermeticamente per impedire ad una replica inopportuna di oltrepassarle.

Scoccò una rapida occhiata al suo orologio da polso che segnava nove minuti alla mezzanotte e si lasciò ricadere stancamente contro lo schienale della sedia, diventata tutto a un tratto troppo scomoda, inadeguata a reggere il peso esiguo del suo corpo esile e quello insopportabile dell’odio feroce che provò in quell’istante per l’uomo seduto di fronte a sé.

Provò a dissimulare quell’emozione inaspettata, ottenebrante al punto da annebbiarle per un momento la vista, giocando col bicchiere gotto da whisky che teneva con entrambe le mani, bianche e magrissime.

 

"Te lo prometto."

 

Ne tracciò l’orlo rotondo e perfettamente simmetrico al fondo con l’indice, più e più volte, ripercorrendone la circonferenza, concentrandosi sulla sensazione di freddo del vetro pur di ignorare il tono della voce di lui, caldo, sommesso, leggermente arrochito dal fumo, ma carico di apprensione, dell’intrepida attesa di una qualsiasi risposta avrebbe potuto stemprare la tensione dell’attimo.

Una risposta che gli negò ancora una volta, che –decise – non poteva meritare: almeno, non mentre teneva ancora lo sguardo basso, fisso  sulla tovaglia  rossa, macchiata di liquore qua e là, e seguitava a sgualcire tra le mani nodose e possenti quel biglietto aereo di sola andata.

Amanda agitò il gotto, facendo sì che i due cubetti di ghiaccio rimasti sul fondo iniziassero a scontrarsi tra di loro e a tintinnare contro le pareti del bicchiere. Li osservò per un lasso di tempo indefinito, seguendo la loro traiettoria imprevedibile con le iridi chiare, appena velate di lacrime che non sarebbero comunque riuscite a varcare la soglia delle sue ciglia lunghe e curve, cariche di rimmel nerissimo. Non l’avrebbero fatto, non stavolta. Non avrebbe lasciato al pianto il compito di diluire l’astio che le aveva incrostato l’anima di promesse scialbe, mai mantenute e alle quali aveva finito irrimediabilmente per credere. Forse era questo il compromesso che esigeva l’amore incondizionato per un uomo che le aveva insegnato l’impietosità delle distanze, impossibili da colmare anche adesso, mentre sedevano al cospetto l’uno dell’altra come a un altare sacrificale, seppure in quella sala poco affollata e poco illuminata di un localino di periferia. Fermò la mano e guardò di nuovo i cubetti di ghiaccio, che andavano via via sciogliendosi nel bicchiere: li vide distanti, incapaci di toccarsi senza il movimento oscillatorio che poco prima li aveva portati a cozzare l’uno contro l’altro, prima di separarsi ancora e ancora, all’infinito. Per poco, una visione surreale non le strappò un risolino ardito, sardonico, terribilmente amaro: ma davvero avrebbe voluto una paio di mani enormi, venute fuori dal nulla, a scuotere improvvisamente la stasi insopportabile di quell’incontro e portarli così entrambi a sbattersi contro, ad allontanarsi solo per ricongiungersi in un abbraccio violento, appassionato, che tutti e due bramavano, sebbene senza l’ardire di osarlo.

Solo allora lo avrebbe stretto a sé con la stessa tenacia di chi si aggrappa agli argini pur di non essere travolto dalla corrente poderosa del fiume in piena. E lo avrebbe baciato sulle labbra aride e piene, stemperando l’aroma del tabacco col sapore del whisky e la menzogna col candore di un amore sincero, assoluto come il nero del cielo oltre le finestre. E gli avrebbe accarezzato il viso dove la barba rada, appena ricresciuta, nascondeva le prime rughe a solcargli i lati della bocca, mentre le rughe del cuore gliele avrebbe distese sussurrandogli le parole che ancora non era riuscita a pronunciare, più per pudore che per un orgoglio inesistente.

 

"Ti prego, Amanda. Guardami."

 

Fu sull’eco delle sue parole, delle sillabe scandite con una fermezza che non avrebbe ammesso rifiuti, del suo nome quasi implorato, che Amanda si decise finalmente ad obbedirgli. Come aveva sempre fatto, del resto.

Incontrò i suoi occhi scuri, imperscrutabili, dal taglio vagamente orientale e, per la prima volta, non vi si smarrì. Si limitò a pensare che, se avesse potuto, lo avrebbe ritagliato, quello sguardo traboccante di un amore troppo blando rispetto a quello che provava lei per lui, e se lo sarebbe incollato addosso, come un adesivo, come una benda sullo squarcio che l’ennesima bugia le aveva allargato in mezzo al petto.

Lo avrebbe ricordato così, con le note di “Almost Blue” di Chet Baker a susseguirsi a un volume moderato nel cafè ormai completamente  vuoto, eccetto che per loro due. Non avrebbe saputo trovare una cornice migliore per quegli occhi stanchi e per l’addio, doloroso e necessario, che inesorabilmente sottendevano.

 

"Ti aspetterò qui."

 

Amanda sospirò impercettibilmente, il senso di colpa della sua prima menzogna pesante come un macigno che tuttavia, nel tempo, si sarebbe affievolito, diventando leggero come la bottiglia di Jack Daniel’s vuota sul tavolo, ultimo ostacolo a frapporsi tra le loro mani.

Solo quando il cameriere, giovanissimo e un po’ impacciato, si avvicinò al tavolo e porse loro il conto, le loro dita si trovarono e finirono per intrecciarsi sulla tela grezza e sporca della tovaglia.

 

Fu quella sera di gennaio a porgere loro il conto di una storia a cui era stato imposto quel finale inappropriato, forse stonato rispetto all’accordo di tutto il resto. Un po’ come “Crossroads” dei Cream che attacca subito dopo “Almost Blue”.

Ma Amanda preferì pagare lei, perché anche lui avrebbe pagato.

E l’avrebbe fatto il giorno in cui, inevitabilmente, l’avrebbe rimpianta.

   
 
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