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Autore: shimichan    28/09/2016    2 recensioni
[Post Organizzazione] [ShinShiho paring]
Se è vero che nessun paradiso può durare a lungo se vi convivono un uomo e una donna come se la caveranno lo Sherlock Holmes del Terzo Millennio e l'ex donna in nero a condividere lo stesso tetto?
#1. Trasloco [ovvero quando la distanza non conta ]
#2. Scatoloni [il segreto di una relazione sta nel compromesso]
#3. Risveglio [nota: mai lasciare una copia di chiavi ai vecchi proprietari]
#4. Cinema [ovvero mai fidarsi dei poliziotti felicemente sposati]
#5. Gelosia [di diete, tradimenti e bruciante passione]
#6. Detective Boys [di innocenti rancori e indiscrete curiosità]
#7. Amici [metti una sera, a cena...]
#8. Agasa [di abitudini da perdere e di abitudini da prendere]
#9. Esperimento [pronto a tornare cavia, Kudo?]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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#9. Esperimento
[pronto a tornare cavia, Kudo?]
 
 
Sembrò sinceramente sorpresa dal suo rifiuto come testimoniavano la bocca dischiusa e l’arcuatura innaturale delle sopracciglia che si aggrottarono all’improvviso, conferendo alla sua espressione incredula una nota di delusione del tutto inopportuna. Ma Shiho Miyano non era un tipo facile alla resa, perciò, assumendo il tono più ingenuo di cui era capace, si accertò della categoricità della sua decisione. «No?».
«No e poi no!» esclamò risoluto, suscitando in lei uno sbuffo di disaccordo che sfociò nel plateale movimento di spalle con cui aderì allo schienale della panca e nei pugni che, sebbene nascosti dal tavolo, Shinichi sospettò tenesse tesi sulle gambe. «Perché no?!».
Si trattenne dal risponderle d’istinto, limitandosi ad osservarla quasi stesse assistendo ad un fenomeno paranormale. Di normale, in effetti, la richiesta di Shiho, e la sua conseguente incredulità, aveva poco. Insomma quella che avrebbe dovuto essere la sua fidanzata – si, gli riusciva davvero difficile considerarla tale in certi momenti – appariva seccata perché lui continuava a rifiutarsi di farle da cavia!
Prese un respiro profondo, cercando di mantenere i nervi saldi per tentare un approccio più morbido, ma, quando vide lo sguardo obliquo di Shiho, quello che assumeva di solito attendendo delle spiegazioni convincenti, sbottò.
«Perché? Perché?! Ma ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo?!».
«Oh, quanto la fai lunga Kudo! Ti ho già detto che le pillole sono prive del principio attivo, ergo assumeresti degli innocui enzimi. Non c’è alcun rischio».
«Perdonami, cara, ma, visto i trascorsi, ho delle riserve sul tuo concetto di rischio!» ribatté, riducendo gli occhi a due fessure per enfatizzare l’ironia allusiva che si arrotolava fiera ad ogni parola e che Shiho colse senza farsene minimamente toccare. Sapeva, infatti, che, appena cominciava a surriscaldarsi, il suo fidanzato – si, lo considerava sempre tale nonostante la scelta si rivelasse infelice in determinanti momenti  – tendeva a scadere nel banale.
«Ti ricordo che quell’errore ti ha salvato la vita».
Shinichi impose a se stesso di ignorare la provocazione e di concentrarsi nel trovare tesi che supportassero la sua scelta.
«Se sono tanto innocue, perché non le prendi tu queste pillole?».
«Da contratto non posso sottoporre né me stessa, né i miei collaboratori ad alcun esperimento».
«Usa i tirocinanti».
«Sono ancora troppo inesperti. Si farebbero prendere dalla competizione e falserebbero i risultati».
«Allora ferma qualcuno per strada e proponigli di farti da cavia! Io me ne tiro fuori!».
Non replicò. Rimase in silenzio, con uno sguardo pensieroso lasciato scivolare sulla formica del tavolino il tempo necessario da instillare in lui la preoccupazione di aver appena messo a repentaglio la salute di uno sconosciuto. Poi scosse la testa.
«No. Dev’essere una persona con la quale ho contatti quotidiani e di cui conosco le abitudini».
«Visti gli ultimi tempi mi pare di non rientrare molto nella categoria».
Si pentì subito della fretta istintiva della risposta perché nell’espressione di Shiho dardeggiò il ricordo furente della loro recente discussione al riguardo.
«Ed è colpa mia, vero?».
Sbuffò. L’utilizzo della retorica era sempre un segnale d’allarme: indicava, infatti, che dall’irritazione si passava alla collera, e lui non aveva alcuna voglia di ricominciare a litigare.
«Non cambiare discorso».
«Allora tu smettila di essere così testardo!» e gli passò un foglio.
«Cos’è?».
«La lista degli effetti collaterali riscontrati nei pazienti che si sono sottoposti alla cura».
«Ovvero ciò che impedisce la messa in commercio del farmaco».
Strinse appena le labbra, forse infastidita da quella deduzione: Shinichi aveva colto perfettamente nel segno.
«Già, ma potrei ridurli con il tuo aiuto. Vedi, penso che la maggior parte di questi effetti sia dovuta non alla composizione del farmaco, ma alla sua interazione con altri composti. Quindi se solo tu mi asc-».
«E l’università cosa pensa? Sperimentare un farmaco, seppur privo del proprio principio attivo, su un individuo sano non è anti-etico?».
Shiho fece schioccare la lingua contro il palato e digrignò i denti, eludendo lo sguardo attendista del detective, che iniziò ad insospettirsi. «Perché l’università sa di questa tua idea, vero?».
Ciondolò la testa e soffiò sulla propria tazza di the, come se si trattasse di un aspetto del tutto trascurabile. 
«Non ho ritenuto necessario informarla».
La sua imperturbabilità era stupefacente, oltre ad essere fonte, per lui, di fastidiose emicranie.
«Quindi» proseguì, prendendo a massaggiarsi la fronte aggrottata «giusto per capire: tu vorresti farmi assumere un farmaco sperimentale, senza avvertire i tuoi superiori e, di conseguenza, senza alcuna copertura assicurativa nel caso di danni permanenti, alla luce di una semplice…intuizione?».
Aveva modulato la voce, scandendo ogni sillaba nella speranza che si rendesse conto di quanto davvero assurda fosse la sua richiesta, ma il sarcasmo di quelle parole ebbe l’unico pregio di indisporla ulteriormente.
«Mi credi così subdola da somministrarti un farmaco scadente?».
C’era qualcosa di severo nel suo sguardo che lo intimorì.
«Beh…no» ammise a disagio, sfregandosi la punta del naso per poi concentrare l’attenzione sul foglio, dove si elencavano: inappetenza, lievi vertigini, diarrea, stati febbrili di media intensità e altre conseguenze spiacevoli, ma comunque sopportabili.
Fu all’ultima voce, però, che il rischio di una crisi isterica tornò prepotentemente a palesarsi all’orizzonte, nonostante gli svariati tentativi di mantenere il proprio autocontrollo. «I-Impotenza?!».
Lei roteò gli occhi, preparata alla ramanzina che il viso arrossato e contratto di lui prometteva.
«Temporanea impotenza» lo corresse. «E abbassa il tono».
«Oh se è solo temporanea allora…».
S’illuminò speranzosa, ma ottenne un nuovo e definitivo «no» che pose fine alla questione.
Il detective, infatti, finì il caffè in un’unica sorsata e, accusando di essere in ritardo, cosa che lei sottolineò, ironica, non essere una novità, si avviò verso l’uscita.
«Pensa che va anche a tuo vantaggio» lo sentì dire, prima di sbattere la porta, suscitando il riso di un cliente, il quale aveva probabilmente afferrato solo l’ultimo frangente della loro conversazione.
Shiho soffiò dalle narici ed emise un versetto contrariato, abbandonando il capo sulla spalla e un’occhiata sconfitta sul tavolo, dove i segni della tazza sporca si stavano asciugando, ingiallendo anche parte dello scontrino.
Shinichi non aveva nemmeno pagato il conto.
 
 
Takagi lo accolse allargando le braccia, rassegnato.
«Lo so, lo so. Sono in ritardo» esclamò, anticipando ogni rimprovero. «Novità?».
«Si, ma non buone».
Shinichi seguì lo sguardo dell’uomo lungo la facciata dell’hotel, mentre veniva ragguagliato sulla situazione. Pessima era l’unico aggettivo in grado di descriverla.
«E dire che ci basterebbe sapere il numero della stanza…» concluse con un sospiro che ben esprimeva la sua frustrazione, visibile comunque nel modo in cui aveva serrato la bocca attorno ai denti. Era abbattuto.
«Vieni. Ti offro il pranzo» propose il detective nel tentativo di risollevargli il morale, salvo poi tradire una certa immobilità e iniziare a tastarsi freneticamente la giacca.
«Che c’è?».
«Dannazione! Ho dimenticato…».
«…il portafoglio» s’intromise una voce alle sue spalle.
Shiho lo fissava con cipiglio impaziente ed il capo reclinato all’indietro che conferiva al suo sguardo affilato una piega altezzosa, in netto contrasto con il suo sorriso. Gli stava porgendo il portafoglio e lui l’afferrò, borbottando dei ringraziamenti come se, in realtà, non ne avvertisse il bisogno.
«Meno male ci sei tu, Shiho. Qualcuno stava giusto per offrirmi il pranzo. Vuoi aggiungerti a noi?» chiese Takagi, che, non avendo percepito la sottilissima tensione tra i due, si stupì quando Shinichi prese parola al posto della diretta interessata.
«No, l’aspettano a lavoro».
Shiho gli scoccò un’occhiata colma di disapprovazione e rifiutò a sua volta l’invito con maggior garbo.
E poi sarete impegnati nel caso Hori» aggiunse.
«Se così si può definire un punto morto, allora si, siamo molto impegnati».
«Pensavo aveste fatto dei progressi».
«Oh, si. Purtroppo però quel maledetto ha trasformato la sua stanza in un vero bunker, affittando un intero piano dell’hotel Imperial e ordinando di essere servito solo dai suoi collaboratori».
Sulla fronte di lei si disegnò una ruga verticale. «Ma con un mandato…».
Shinichi, rimasto in silenzio fino a quel momento, trasalì e tentò di bloccare Takagi dallo spifferare tutto, ma non ne ebbe il tempo. Così Shiho venne a sapere che non potevano procurarsi un mandato perché quella non era un’indagine ufficiale, e schiuse le labbra, mostrando il dorso della lingua premuta sugl’incisivi. 

«Indagare senza il benestare dei superiori non è anti-etico?».
La domanda conteneva un’allusione che naturalmente fu colta dal detective cui era destinata, il quale incassò il colpo con una smorfia, cacciandosi il nervosismo delle mani nelle tasche e la testa tra scapole. A chi mai aveva pestato i piedi per meritarsi un simile fardello?
Mentre Shinichi era assorto in queste segrete meditazioni, Takagi aveva aggiornato senza lesina di dettagli la scienziata, che ora lo fissava in tralice, carezzandosi ripetutamente la porzione di pelle tra il naso e le labbra.
«Quindi tutto ciò che vi serve è il numero della stanza…» commentò infine, provocando il basimento del poliziotto, in evidente difficoltà nel sostenere il suo sguardo e quel sopracciglio arcuato all’insù con cui sembrava minimizzare, se non addirittura banalizzare, le problematiche del caso.
«Ehm…si» balbettò confuso, cercando appoggio visivo in Shinichi, che, dal canto suo, conosceva la propria compagna abbastanza da indovinarne le intenzioni e si sentì perciò in obbligo di farla desistere. «Credi sul serio di riuscire dove un’intera squadra ha fallito?!».
Non era l’atteggiamento migliore da adottare in simili circostanze, ma per quel giorno poteva dire di averne fin sopra i capelli della sua irragionevolezza.
Shiho si limitò ad una scrollata di spalle e allungò un passo verso la strada, lasciando ben intendere quanto poco le importasse dei fallimenti altrui.
Solo quando la vide varcare la hall dell’hotel, Wataru, che non aveva ancora compreso del tutto cosa stesse accadendo, azzardò a palesare i propri dubbi, studiando con la coda dell’occhio il marcato cambiamento d’espressione di Shinichi, sempre più cupo.
«Pensi…pensi che…».
«Tsk! Figuriamoci!». Insomma i trucchetti di Shiho potevano avere effetto su di lui di tanto in tanto, ma non c’era la ben che minima possibilità funzionassero con un concierge pagato profumatamente!
Forte delle sue convinzioni, Shinichi prese ad attendere sereno l’esito di quella missione – che in termini tecnici si sarebbe potuta definire tranquillamente suicida. Anzi, certo com’era della propria previsione, iniziò in anticipo a sorriderne, tanto che, non appena la sua fidanzata fece ritorno e ancor prima avesse modo di parlare, esalò un «Te lo avevo detto» colmo di falsa partecipazione. Guardandolo nella sua espressione tronfia, con gli angoli della bocca già scossi dall’irresistibile voglia di scoppiare in una risata di maligna soddisfazione, Shiho abbassò le palpebre, riducendo gli occhi a due fessure verdi, rese ancor più intese dalle ciglia scure.
«Ce l’ho» disse, gustandosi l’esatto istante in cui la brillante mente del detective registrò la risposta e impose ai muscoli del viso di rilassarsi fino a sciogliere la sua smorfia soddisfatta e, a conti fatti, fuori luogo. Gongolò ancor di più quando, passato lo stupore iniziale, Shinichi schiuse le labbra e le mantenne spalancate e rigide in mancanza di repliche.
Nel frattempo Takagi, che forse aveva sottovalutato le sue capacità persuasive, ma non si era azzardato a darla per vinta con tanta facilità, aveva sfilato dalla giacca il proprio taccuino e aspettava impaziente, la penna già premuta su una pagina linda.
«Allora?» proruppe, incapace ormai di contenere la propria frenesia, che impattò contro l’espressione concentrata di lei. Sembrava indecisa. Poi, d’un tratto, i suoi lineamenti si distesero in un sorriso appena accennato.
«Te lo dirò ad una condizione» e indirizzò a Shinichi un’occhiata interpretabile in un solo ed unico senso.
«Questo è un ricatto!».
«Direi piuttosto uno scambio di favori».
Era certa, infatti, che i saldi principi morali del fidanzato non avrebbero mai permesso ad un trafficante di droga di sfuggire alla giustizia; e così fu.
«E va bene!» grugnì, decretando la propria sconfitta e prendendo controvoglia il flacone arancione che Shiho gli stava agitando davanti al naso. «Ricorda. Due volte al giorno a stomaco pieno. La stanza è la seicento quattordici, vi serve anche il numero di telefono per caso?».
I due detective si squadrarono a vicenda. E se Shinichi interpretò quell’acuto finale come una chiara frecciatina, Takagi vi sorvolò, preferendo non interrogarsi su quanto aveva assistito.
«Mi domando come tu abbia fatto…» disse, quasi sopra pensiero, il capo denegato più volte con ammirazione. «…considerando che i nostri tentativi di infiltrare degli agenti sono stati un buco nell’acqua».
Lo stupore di Shiho nel sentirsi porre un simile quesito fu pari alla semplicità, quasi ovvia, della risposta. «Si chiamano tette».
E li lasciò lì, inermi, con l’imbarazzo dell’uno che andava a compensare il malumore dell’altro.
«Certo che Shiho è proprio…».
«Ti prego, Takagi. Stai zitto».
 
 
Un mese più tardi, quando ormai Hori era stato confinato in un carcere di massima sicurezza a meditare sugli ergastoli che doveva scontare e sul fatto sarebbe uscito di prigione solo dentro una bara, nella propria cucina Shinichi Kudo si accingeva a ingoiare l’ultima pillola del flacone, dicendo addio, stavolta per sempre, alla sua carriera di cavia da laboratorio.
«E con questa puoi considerare il tuo esperimento concluso» annunciò a gran voce, venendo subito ripreso da Shiho.
«Non così in fretta».
«Che?? Cosa vuoi adesso? Vivisezionarmi?».
Sorrise della piccola ruga comparsa tra le sopracciglia di lui, che gli dava l’espressione di un bambino imbronciato, e indicò la cartellina rossa sul ripiano opposto al tavolo con la punta del mento, usando invece il dorso della mano bagnata per scostarsi i capelli dalla fronte.
Non commise l’errore di voler conoscere in anticipo il contenuto. Si limitò a trascinarla verso di sé, aprirla e capire, con un involontario sospiro, che si trattava di un semplice questionario.
«Niente di cui essere nervosi, come vedi».
Fu il commento sardonico e scherzoso di Shiho, alla quale non era sfuggito il verso sollevato del fidanzato, che le restituì un’occhiata truce e che lei non vide, presa com’era dalle pulizie. Shinichi fissò un attimo il movimento meccanico delle sue spalle e quello più dolce dei fianchi, che oscillavano appena dietro la spinta delle gambe, tese e in bilico sulla punta dei piedi per raggiungere angoli altrimenti inarrivabili.
«Hai fatto?» soffiò in leggero affanno, dopo essere riuscita ad eliminare una ragnatela in fondo alla nappa, costringendolo a riportare in fretta l’attenzione sui fogli.
«Quasi» e tolse il cappuccio alla penna, iniziando a cerchiare i disturbi sofferti in quei trenta giorni e a barrare quelli che, invece, non lo avevano interessato.
Alla fine brandì la cartellina, si alzò e le mostrò i risultati, attendendo l’inconfondibile segnale del suo dissenso.
Anche lui, infatti, aveva un orecchio allenato e gli era stato impossibile non avvertire la leggera ansia della sua voce nel porre quella domanda.
«Ma non è completo!» gemette. «L’ultima…!».
Il rimprovero le morì in gola perché Shinichi le cinse il bacino e lo trascinò verso il suo in abbraccio che valeva più di mille parole. «Compilala tu» suggerì, sentendo il corpo di Shiho irrigidirsi nella sua presa e i lievi palpiti del suo collo contro la guancia, mentre liberava respiri brevi e profondi per abituarsi a quel repentino cambio d’atmosfera.
Quell’attimo di assoluta immobilità si risolse solo quando lei ruotò su se stessa, in maniera un po’ goffa, visto lo scarso spazio a disposizione, guardò il punto in cui avrebbero dovuto esserci i suoi piedi e scoppiò a ridere.
«Felice di aver dato il tuo contributo alla scienza, eh?».






Angolo Autrice
Con un enorme, quasi odisseico (passatemi il termine), ritardo torno ad aggiornare e, spero, a strappare qualche sorriso.
Visto il poco tempo a disposizione e considerata la connessione internet non eccelsa, mi limito a questo rapito saluto e alla promessa di rispondere al più presto alle recesioni....non mi sono dimenticata di voi, tranquilli!!!! XD
Alla prossima!

 
  
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