Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Marilia__88    28/09/2016    2 recensioni
A volte la vita non va come vorremmo. A volte ci pone davanti ostacoli troppo difficili da superare. A volte, quando tutto sembra andare per il verso giusto, accade qualcosa che ci porta verso nuove strade, spesso troppo oscure.
Questo è ciò che è successo a Sherlock Holmes. Un uomo che amava la sua vita. Un uomo che da un giorno all'altro ha perso tutto, anche la voglia di andare avanti. Forse l'incontro con qualcuno di speciale può fargli capire che c'è ancora qualcosa di bello nella vita, che può ancora fare qualcosa di buono e lasciare un segno indelebile del suo passaggio su questa terra.
JOHNLOCK! - Ispirata al libro "IO PRIMA DI TE".
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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                          ME BEFORE YOU









                                                                         Choice






… Iniziava a tenere a lui, in un modo così intenso e profondo da lasciarlo senza fiato. Ed ora la sua vita e anche la propria erano appese ad un filo, e stava a lui riuscire a trovare un equilibrio, riuscire a trovare un modo per evitare che si frantumassero entrambe in mille pezzi.
Era una responsabilità troppo grande e, purtroppo, non era sicuro di essere forte abbastanza.
 
 









 
“Non puoi scegliere di non soffrire in questo mondo,

però puoi scegliere per chi soffrire”


Dal film “Colpa delle stelle”.
 
 
 












“John!” esclamò Harriet, sorpresa, dall’altro capo del telefono.

“Ciao Harry, come stai?” domandò John con finta disinvoltura.

La donna rimase in silenzio per qualche istante. “B-bene…” rispose perplessa. “Che succede?”.

Il medico sospirò. “Niente…”.

“John, per l’amor del cielo, sono mesi che non rispondi alle mie chiamate e ai miei messaggi! Vuoi farmi credere che questa sia una semplice telefonata di cortesia?” sbottò Harriet.

“Avrei bisogno di parlarti. Ho un problema e…mi servirebbe un tuo parere…”

“Se vuoi stasera sono libera. Possiamo vederci. Ne sarei davvero felice” rispose gentilmente la donna.

“Si. Alle otto e mezza. Al nostro solito bar” disse semplicemente John prima di riagganciare la telefonata.

Aveva riflettuto per ore sull’opportunità di chiedere aiuto a sua sorella. Inizialmente gli era sembrata una scelta ridicola, ma poi aveva capito che, razionalmente, era la decisione più saggia.

La situazione in cui si era ritrovato coinvolto era troppo grande da poterla gestire e sopportare da solo. Necessitava di un parere, di un consiglio assolutamente disinteressato, e solo una persona completamente estranea alla vicenda poteva darglielo.
 










 
 
Sherlock uscì dalla sua stanza e si recò in soggiorno.

Si sentiva decisamente meglio, per quanto meglio non significasse mai bene nella sua condizione.

Vide John indossare la giacca, pronto per uscire. Erano le otto e il suo turno era appena finito, ma la situazione gli sembrò alquanto strana. Da quando era lì, infatti, non era mai uscito di sera.

“Dove stai andando?”.

“Sto uscendo” rispose freddamente il medico.

“Non hai risposto alla mia domanda”.

John sospirò pesantemente. “Mi incontro con mia sorella”.

“Tua sorella?” chiese Holmes incredulo.

“Si, mi ha chiesto di vederci ed ho accettato il suo invito”.

Sherlock rimase qualche istante a fissarlo con il suo solito sguardo indagatore. “No, non è vero!” esclamò convinto “John, che succede? È tutto il giorno che sei silenzioso e non è da te”.

John sbuffò spazientito. “Non succede niente, Sherlock! E non vedo perché dovrei darti spiegazioni su come trascorro il mio tempo libero!” sbottò, avviandosi velocemente fuori dalla dependance.

Non voleva trattare Sherlock in quel modo, ma non riusciva a ragionare lucidamente a causa di tutti quei terribili pensieri che si affollavano nella sua testa.

Holmes rimase a fissare la porta che il medico si era appena richiuso alle sue spalle. Non capiva quel comportamento. Riusciva a dedurre tutto ciò che c’era da sapere su una determinata persona, ma c’era un aspetto che era sempre sfuggito alla sua comprensione: i sentimenti. Spesso non capiva la natura umana, non capiva le emozioni e, in quel momento, non capiva John. E lui aveva sempre odiato non capire le cose.












 
 
 
 
“John sono contenta di rivederti!”. Harriet si precipitò con entusiasmo verso suo fratello, abbracciandolo con affetto. “Non sai quanto mi abbia reso felice la tua telefonata!” aggiunse, staccandosi da lui e regalandogli un enorme sorriso. 

John non rispose. Si limitò a sorridere, annuendo con un leggero imbarazzo.

“Siediti e raccontami tutto” disse la donna, indicando il tavolo di fianco a loro.

La cameriera li interruppe improvvisamente. “Cosa prendete?”.

“Per me una birra” rispose John titubante.

“Per me invece un’aranciata”.

Il medico fissò sua sorella con uno sguardo sorpreso.

“Che c’è?” chiese lei.

“Un’aranciata?”.

Harriet ridacchiò e scosse il capo. “So che non hai più fiducia in me, John. So che ho detto tante volte che avrei smesso di bere e poi non l’ho fatto. Ma questa volta faccio sul serio. Sono quattro mesi che non tocco neanche un goccio e stavolta non ho intenzione di ricaderci”.

“Lo spero” rispose John, abbassando lo sguardo sul tavolo.

“Allora? Di cosa si tratta?”.


Il medico raccontò nei dettagli l’intera situazione con Sherlock. Com’era cambiato da quando si erano incontrati, cosa provava per lui e, soprattutto, ciò che aveva scoperto quella mattina.

Al termine del racconto si passò stancamente le mani sul viso e bevve un sorso della sua birra. “Questo è tutto”.

Si sentiva stranamente più leggero ora che aveva condiviso quel pesante fardello con qualcuno.

“È davvero un bel casino, John!” esclamò Harriet.

“Già…”.

“Tu cosa vorresti fare?”.

John sospirò ed iniziò a giocherellare con il bicchiere. “Non lo so, Harry. Oggi, per un momento, sono stato tentato di prendere tutte le mie cose e andarmene” confessò con voce tremante. “Ma poi sono passato dalla sua stanza. L’ho osservato a lungo mentre dormiva e…non ne ho avuto il coraggio”.

La donna afferrò la mano di suo fratello e la strinse leggermente. “Si vede che tieni a lui, John. E da quello che mi hai raccontato, anche lui tiene molto a te. E scappare non ti eviterà di soffrire” iniziò, sorridendo dolcemente “Non puoi vivere costantemente con la paura di ciò che deciderà. Cerca di farlo uscire, organizza qualche gita o qualunque cosa che possa piacergli. Fagli vedere quanto può ancora essere bella la sua vita”.

Il medico fissò la mano di sua sorella sulla sua, poi spostò lo sguardo sul suo viso visibilmente colpito da quelle parole. “Da quando sei diventata così saggia?” ironizzò, ridacchiando divertito. “Sinceramente stento a riconoscerti!”.

“Oh, prendimi pure in giro!” esclamò Harriet, mostrando un finto broncio.

Ci fu un istante di silenzio in cui i due si guardarono intensamente negli occhi. Ad entrambi erano mancati quella complicità, quel piacere di stare insieme, quel desiderio e quell’esigenza di aver bisogno l’uno dell’altra.

“E comunque giusto ieri ho letto una frase in un libro che fa proprio al caso tuo” continuò all’improvviso la donna.

“Un libro?” chiese il medico sconvolto “Ok, dimmi cosa ne hai fatto di mia sorella”.

Harriet gli diede una scherzosa spinta. “Si, un libro” rispose soddisfatta.

“Avanti, illuminami”.

“Diceva così. Non puoi scegliere di non soffrire in questo mondo, però puoi scegliere per chi soffrire”.

John nel sentire quelle parole, avvertì uno strano e confortante calore al centro del suo cuore. Era vero. A questo punto non poteva più evitare di soffrire, ma poteva scegliere di farlo comunque, per Sherlock, restando al suo fianco, qualsiasi cosa fosse accaduta, qualsiasi decisione avesse preso nel prossimo futuro.

La domanda che doveva porsi era semplice. Valeva la pena di soffrire per lui? Valeva la pena di farlo, pur di rimanere al suo fianco, pur di far parte della sua vita?

Sorrise. Ora conosceva la risposta, ma forse in cuor suo l’aveva sempre saputa.
 














 
“Come l’ha saputo?” chiese il signor Holmes, sbiancando visibilmente.

“Non era mia intenzione origliare la vostra conversazione. Ieri mattina mi trovavo in giardino e per caso ho sentito tutto” rispose John leggermente imbarazzato.

“Capisco” disse Siger, annuendo e abbassando lo sguardo “Se non intende continuare con il lavoro…”.

“No, no! Non ho intenzione di andarmene!” lo interruppe il medico “Avrei un’idea da proporvi”.

“Un’idea?” chiese Violet visibilmente incuriosita.

“Più che un’idea, direi dei progetti…che possano coinvolgere Sherlock”.

“Cosa aveva in mente di preciso, John?”.

“Ancora non lo so. Vorrei organizzare qualcosa che possa piacergli, che possa convincerlo ad uscire un po' più di casa. In modo da fargli capire, che nonostante le sue condizioni, ci sono ancora molte cose che può fare…” rispose John con convinzione.

La signora Holmes lanciò uno sguardo a suo marito. Era uno sguardo carico di speranza. Nei suoi occhi brillava una scintilla, una luce insolita e positiva.

“Io penso che sia un’ottima idea!” esclamò Siger entusiasta. “Appena si sarà organizzato, ci dica dove intende portarlo e provvederemo ad organizzare tutto. Non badi a spese. Se questo può aiutare Sherlock a ritrovare un po' della sua gioia di vivere, pagherò qualsiasi cifra”.

Violet si alzò dal divano e si avvicinò a John. Poi lo abbracciò con affetto, stringendolo un po' più del dovuto. “La ringrazio, John. Non solo per la sua discrezione su questa faccenda, ma per tutto ciò che sta facendo per mio figlio” disse, staccandosi da lui con le lacrime agli occhi.

John sorrise. “Non mi ringrazi, signora Holmes. Lo faccio perché ci tengo…” confessò con un leggero imbarazzo.

“Lo so, John…lo so…”.
 
 














 
“Sembri di buon umore stamattina! Devo dedurre che l’incontro con tua sorella sia andato bene!” esclamò Sherlock, fissandolo con un’attenzione maniacale.

“Si, in effetti è andata meglio di come mi aspettassi” rispose John con un sorriso. “Senti, Sherlock…” iniziò, ritornando serio “…non volevo risponderti in quel modo ieri. Ero nervoso e non avrei dovuto, mi dispiace”.

Il volto di Holmes si rabbuiò. Si voltò verso la finestra e si fermò a guardare fuori. “No, avevi ragione. Non sei tenuto a darmi spiegazioni su come trascorri il tuo tempo libero”.

Il medico si avvicinò a lui e posò delicatamente la mano sulla sua spalla, stringendola leggermente.

Aprì la bocca per ribattere, quando qualcuno entrò nella dependance.

“Sherlock…” disse Violet visibilmente a disagio. Sembrava nervosa, come se temesse la reazione di suo figlio su ciò che doveva dirgli. “Ci sono delle visite per te”.

Sherlock si voltò freddamente. “Non voglio vedere nessuno” rispose con voce atona.

“Sono l’ispettore Lestrade e la dottoressa Hooper. Sono venuti così tante volte, non posso mandarli via di nuovo!”.

“E invece e proprio ciò che farai”.

“Sherlock, per favore, cerca di ragionare. Sono tuoi amici…” insistette la donna.

Holmes rimase impassibile. “Io non ho amici!” sputò, marcando l’ultima parola con acidità.

Violet fissò John, cercando il suo aiuto con lo sguardo.

“Sherlock…” disse soltanto il medico, stringendo nuovamente la sua spalla in quella tenera e delicata stretta.

Sherlock incrociò il suo sguardo per qualche istante. Poi lo spostò su sua madre e sospirò. “Va bene. Falli entrare”.  




“Vado di là. Ti lascio da solo con loro” disse John poco dopo.

“No, resta” rispose semplicemente Sherlock. Dalla sua voce incerta e instabile, la sua sembrava più una supplica che una banale richiesta.

Il medico annuì e rimase al suo fianco, curioso di conoscere questi suoi ‘fantomatici amici’.

Dopo alcuni minuti i due varcarono la porta della dependance.

Li guardò con attenzione cercando di capire qualcosa in più su di loro.

L’ispettore Lestrade era un bell’uomo. Alto, capelli brizzolati, occhi scuri. Sembrava davvero contento di rivedere Sherlock, ma allo stesso tempo c’era un po' di timore nei suoi occhi.

Giocherellava con le mani e gesticolava con eccessiva esuberanza, mostrando un evidente nervosismo.

La dottoressa Hooper, invece, dava l’impressione di essere una donna timida e pacata. Manteneva spesso lo sguardo basso ed evitava di incrociare i suoi occhi con quelli di Sherlock, come se non ne avesse il coraggio, come se temesse ciò che poteva leggervi.

Holmes li guardava con un’espressione scura in volto, azzardando, a volte, un falso sorriso di cortesia. La mascella contratta, lo sguardo duro, la voce impostata. Era chiaro che non fosse a suo agio in quella situazione. “John, lui è Greg Lestrade, l’ispettore di Scotland Yard e lei è Molly Hooper, patologa del Bart’s” disse all’improvviso, interrompendo i suoi pensieri.

“John Watson. Piacere di conoscervi” rispose John, stringendo loro la mano.

“Una volta non mi avresti mai chiamato Greg” precisò tristemente l’ispettore, rivolgendosi a Sherlock.

“Una volta ero un’altra persona…” ribatté Holmes con ammarezza, abbassando leggermente lo sguardo.

“Ciò che prima pensavo di te, lo penso tutt’ora. Per me non è cambiato niente, Sherlock, lo sai…”.

Sherlock si guardò le gambe, soffermandosi per un attimo sui particolari della sua sedia a rotelle. Poi alzò nuovamente lo sguardo sull’ispettore. La sua espressione era indecifrabile. “Per me è cambiato tutto, invece…” rispose con un leggero tremore di voce.

Nella stanza calò un pesante silenzio, intrinseco di parole non dette, di pensieri inespressi e di un’intensa e profonda angoscia.

Molly tossicchiò imbarazzata nel goffo tentativo di schiarirsi la voce. “Comunque Sherlock…s-siamo venuti qui per…”.

“La risposta è no!” la interruppe bruscamente Holmes.

“Ma non sai la domanda!” intervenne Greg incredulo.

“Volete invitarmi al vostro matrimonio. Vi risparmio di chiedermelo”.

Hooper lo guardò finalmente negli occhi. “Ci farebbe davvero piacere…lo sai…”.

“Lo so…” rispose semplicemente Sherlock, spostando lo sguardo verso la finestra. “Se non c’è altro…” aggiunse con il chiaro intento di liquidarli.

Molly e Greg si scambiarono uno sguardo pieno di tristezza. Si presero per mano e sospirarono quasi all’unisono.

“Scusaci se ti abbiamo disturbato. Se dovessi ripensarci saresti il benvenuto” disse l’ispettore, posando il biglietto sul tavolino alla sua destra. “Mi ha fatto piacere rivederti…” aggiunse, con gli occhi leggermente lucidi.

Poi entrambi salutarono John e si avviarono fuori dalla dependance.

Non appena la porta d’ingresso si richiuse, il medico si avvicinò a Sherlock. “Perché li hai trattati così?” chiese con un tono di rimprovero. “Si vede lontano un miglio che ti vogliono bene e che tengono a te…”.

Holmes continuò a guardare fuori dalla finestra. Era teso, più di quanto lo avesse mai visto. “Non riesco a sopportare la loro presenza, John” confessò con la voce instabile “Prima nei loro occhi vedevo rispetto e ammirazione, oltre che affetto, ora riesco a leggere solo tristezza e compassione” fece una piccola pausa come se quella rivelazione fosse difficile da pronunciare “Loro facevano parte della mia vecchia vita e, vederli, non fa che ricordarmi chi ero…non fa che ricordarmi ciò che ero prima e ciò che non potrò più essere…”.

Dopo quelle parole John la sentì di nuovo, quella dolorosa e intensa fitta al centro del petto.

In quel momento avrebbe voluto avere le parole giuste da dire.

In cuor suo non desiderava altro che riuscire a scacciare via tutto il dolore e tutta l’angoscia che troppo spesso vedeva in quegli splendidi occhi chiari, in quegli splendidi occhi che tanto amava.

Aveva preso la sua decisione. D'ora in poi sarebbe stato questo il suo scopo.

Non sapeva se il suo progetto fosse destinato a fallire o meno. Ma di una cosa era certo. Ci avrebbe messo tutto il suo cuore, tutto il suo impegno, tutta la sua forza. Ci avrebbe messo tutto sé stesso.  















Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il sesto capitolo. 
Entra in scena Harriet Watson. John doveva potersi confidare con qualcuno che non fosse coinvolto sentimentelmente nella faccenda e, proprio come Louisa, sceglie sua sorella. Il carattere del personaggio naturalmente l'ho creato secondo una mia fantasia. Purtroppo non abbiamo avuto mai modo di conoscere la sorella del nostro medico, se non per pochi accenni durante le puntate. Beh, io comunque, in questo contesto la immagino così. Spero vi piaccia. La frase che dice Harriet (che è la frase che ha ispitato buona parte di questo capitolo) è presa dal film "colpa delle stelle" e non dal libro. E' un "errore" voluto, perchè in quel contesto mi serviva che si accennasse ad un libro. 

L'incontro tra John e i signori Holmes ha dei toni molto dolci e teneri. Soprattutto per quanto riguarda Violet, che mostra chiaramente tutto il suo affetto e la sua gratitudine al nostro medico. 

John comunque ha preso la sua decisione. Tenterà di dare tutto sè stesso a Sherlock, tenterà di mostrargli quanto possa essere ancora bella la sua vita, senza preoccuparsi troppo della sua decisione, cercando di vivere un giorno alla volta. 

Infine, anche se non meno importante, abbiamo Greg e Molly. Per tutti gli amanti della Mystrade (me compresa) è un pò una delusione, lo so. Ma mi serviva il matrimonio di mezzo e soprattutto mi serviva un modo del genere per farli entrare in scena con questa nota triste e amara. Considerando i personaggi della serie tv, questa era l'unica scelta possibile. Spero la gradiate ugualmente. 

Vi lascio con una piccola anticipazione. Il prossimo capitolo avrà dei toni molto dolci e vedremo delle tenere situazioni puro stile Johnlock. ;)

Mi auguro che questo capitolo vi sia piaciuto. Grazie a chi continua a seguire la storia e chi l'hai inserita nelle preferite/ seguite/ricordate. Aspetto i vostri commenti. Alla prossima ;)



 
   
 
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