A
Stephen era piaciuto andare con quella donna; di lei sapeva poco, ma
neanche
gli interessava saper di più, né era desideroso
di rivederla. La sua compagna
notturna non era stata di grande importanza; importante era stato
l’atto in sé,
un atto liberatorio, che gli aveva permesso di sfogarsi. Dopo, la sua
vita gli
era sembrata più piacevole: era tornato al collegio a
terminare gli studi, si
era detto e ridetto fino allo sfinimento che lui e Lucilla sarebbero
andati d’accordo
proprio grazie alle amanti che si sarebbe procurato, era giunto alla
conclusione che accontentando suo padre -che voleva tanto quel
matrimonio –
avrebbe fatto la cosa migliore per tutti.
Poi,
terminati gli studi, era tornato definitivamente a Valle e si era reso
conto di
come stessero certe situazioni: lui e suo padre avevano davvero perso
molte
delle antiche ricchezze, questo principalmente a causa
dell’incompetenza di
Lorenzo di occuparsi di affari: l’uomo era sempre stato
attratto più dalla
matematica e dalle scienze che dalla gestione dei suoi possedimenti, e
ciò l’aveva
portato a dover vendere parecchie terre per evitare di indebitarsi.
Oltre al
titolo nobiliare e al castello di Valle – perché
era un castello, non una semplice
dimora – i Ranieri possedevano solo una villetta nella
cittadina ai piedi del
monte cui Valle si trovava in cima. In tale cittadina risiedeva anche
un
barone, Giuseppe Gaetani, più giovane di Lorenzo e suo
conoscente non che
ammiratore.
Bisogna
sottolineare tale dettaglio – ovvero che Gaetani stimasse
Ranieri – perché gli
amici del conte erano ormai pochi: la famiglia, assieme alle ricchezze,
aveva
infatti perso anche prestigio e credibilità: persino a
Valle, pochi
continuavano a provare quel senso di rispetto che solitamente si ha per
chi si
sente “superiore”, e Lorenzo era considerato quasi
come un popolano, più
elegante, ma non più importante.
L’unica
ancora di salvezza era il matrimonio con Lucilla: l’antica
grandezza sarebbe stata
ripristinata grazie al legame tra lei e Stephen –
perché la sua famiglia,
quella del vescovo, era rispettata, riverita e temuta,
altroché! – e assieme
alla sposa sarebbe arrivata anche una dote più che
consistente.
Prima
di tornare a Valle, Stephen sapeva che il matrimonio fosse importante,
ma non
aveva capito quanto; ora lo sapeva, e sentiva di dover reggere una
responsabilità troppo grande. Per non pensarci
più, o comunque per pensarci
meno, il ragazzo pensò bene di abbandonarsi con
più libertà ai piaceri della
carne.
Abbandonarsi
ai piaceri della carne, poi, lo portò a provare una certa
malinconia, perché le
sue abitudini lo facevano sentire alquanto squallido: quelle donne
stavano con
lui perché pagate, non perché lo volevano, e
neanche lui amava loro, e dunque
si sentiva nauseato, ma non riusciva a rinunciare al piacere fisico e
dunque
godeva, e si intristiva subito dopo.
Per
rimediare alla malinconia, decise che a ogni incontro galante sarebbe
seguita
una sbornia, e l’effetto dell’alcool gli piacque
tanto da scegliere di farvi
ricorso ogni qualvolta ne avesse bisogno, ovvero quasi sempre. Se
proprio non
poteva bere - perché Lucilla era al castello –
allora andava nel bosco che
separava il castello dal villaggio, e lì si sentiva meglio.
Se fosse stato un
lupo, si diceva, la vita sarebbe stata migliore, e senz’altro
più semplice.
Poiché
Valle contava mille abitanti scarsi, le voci si diffondevano in fretta:
gli
abitanti avrebbero sparlato del giovane conte aggiungendo ai suoi vizi
altri
che il narratore di turno di volta in volta avrebbe inventato, e le
voci sarebbero
arrivate all’orecchio del vescovo, se solo Steve avesse agito
in maniera meno
cauta: ma il ragazzo era discreto e solo la servitù del
castello aveva scorto
qualcosa; la stessa servitù, però, era stata
quasi minacciata da Fred: se
qualcuno avesse parlato, sarebbe stato licenziato.
In
realtà, se anche Lucilla avesse saputo, poco sarebbe
cambiato: a lei
interessava diventare contessa e avere una vita rispettabile, e suo
marito
poteva anche ubriacarsi, purché lo facesse di nascosto; tale
era la sua
moralità.
Quella
di Fred e di Lorenzo, invece, era diversa, e i due ammonivano
continuamente
Stephen: se però Fred amava il ragazzo e, malgrado i
rimproveri, continuava a
dimostrargli affetto, Lorenzo pareva essersi rassegnato a vivere la
paternità
come una punizione divina: si dice che ognuno ha la sua croce, e
Lorenzo
pensava – rendendolo chiaro a tutti – che il figlio
fosse la sua. I due Ranieri
parlavano raramente, e silenziosamente si odiavano, uno
perché deluso, l’altro
perché incapace di accontentare quel padre troppo esigente.
A
settembre, in occasione del compleanno del futuro sposo, sarebbe stata
annunciata ufficialmente la data delle nozze.
Nel
mese di agosto, il giovane perse anche la voglia di dipingere, suonare
e
passeggiare, e giunse alla fatidica data come una sottospecie di morto
vivente.
Se
il castello non era mai stato tanto luminoso e pieno di gente,
l’animo del
ragazzo non era mai stato tanto cupo.
Lucilla
era meravigliosa e si muoveva tra gli ospiti come una farfalla: vestiva
di
bianco e verde, e gli occhi parevano smeraldi, e Steve si disse che non
c’era
niente di più banale: che un paio d’occhi verdi
ricordasse un paio di smeraldi.
Lorenzo
appariva raggiante, sorrideva e scherzava con gli invitati e chiamava
spesso il
figlio accanto a sé, per presentarlo a qualcuno: tali
attenzioni erano
richieste dall’occasione, non volute, e Steve odiò
anche questo.
Fred,
l’unica persona da cui lo sposo si sentiva amato, era
occupato a gestire la
servitù, perché quello era il suo compito,
servire, e Steve non poteva
avvicinarglisi perché sarebbe stato assurdo e sconveniente
far notare quanto
egli amasse il maggiordomo, un maggiordomo che tuttavia era stato come
un
padre.
Il
vescovo rideva con quella sua risata sguaiata, gli ospiti parlavano e
il brusio
delle loro voci lo innervosiva, i musicisti continuavano imperterriti a
suonare
nonostante fosse chiaro che nessuno li ascoltasse e tutto era
assolutamente
ipocrita, e magnifico a vedersi.
La
musica si fermò solo quando Lorenzo lo richiese, e allora
Steve e Lucilla
furono chiamati al centro della sala: Giuseppe Gaetani, presente senza
la
moglie che era in dolce attesa, avrebbe poi rivelato a
quest’ultima che in quel
momento il ragazzo gli era certamente sembrato molto bello, distinto ed
elegante, ma infinitamente contrariato.
«Se
vi ho invitati qui questa sera non è solo per trascorrere
del tempo assieme,
questo vi è noto; la verità è che
volevamo, io e i giovani qui presenti,
comunicarvi la data in cui ci ritroveremo di nuovo tutti a Valle,
assieme, per
festeggiare un avvenimento importante.
«Lucilla
e Stephen sono cresciuti insieme: si conoscono da sempre, e sempre si
sono
rispettati e stimati. Quel che accadrà il 28 Gennaio del
prossimo anno, dunque,
è assai prevedibile: la loro unione sarà
celebrata dinnanzi a Dio, e per mezzo
di un uomo che i nostri promessi sposi conoscono bene»
concluse Lorenzo
sorridente, guardando il vescovo Di Cosmo. Un applauso si
alzò, e fu richiesto
un bacio tra i due giovani: le labbra di Steve sfiorarono per la prima
volta
quelle di Lucilla, e il contatto fu breve e freddo. Quello fu
l’unico momento
della festa in cui i due stettero assieme.
Era
quasi mezzanotte quando Fred si avvicinò al festeggiato
– perché lui aveva più
diritto di dirsi festeggiato: era il suo compleanno! – e,
fingendo di volersi
congratulare, gli sussurrò all’orecchio di
seguirlo e lo condusse fuori.
«Stai
davvero esagerando, Steve. Stasera non puoi. Ti conosco e so
riconoscere il
momento in cui stai per perdere il controllo: a te manca un altro mezzo
bicchiere, e la festa è rovinata. Quindi o ti ritiri
fingendo un malore, o ti
fermi ora.»
Inaspettatamente,
Steve scelse la prima opzione e Fred fu costretto a scusarlo col conte,
facendo
poi riferire che il ragazzo aveva avuto un calo di pressione dovuto
alle tante
emozioni ed era andato a coricarsi.
Lucilla
ne fu molto contrariata, e tale delusione avrebbe influito sul suo
futuro da
sposa.
***
Quando
scoccò la mezzanotte che segnava l’inizio del 28
Gennaio 1893, accaddero due
cose.
Nella
ridente cittadina ai piedi del monte, Giuseppe Gaetani udì
il pianto di un
neonato, anzi, di una neonata, e seppe dopo qualche minuto di esser
diventato
padre di una bambina. I piccoli Elio, Leonardo e Quirino, di 10, 7 e 4
anni,
reagirono con relativa indifferenza all’arrivo di una
femmina, e Virginia
Bianca Maria Gaetani fu accolta al mondo con freddezza.
A
Valle, Fred, che era in piedi e guardava verso il bosco attraverso una
delle
finestre del salone, ebbe una fitta al cuore: non che avesse visto
qualcosa –
era impossibile, il bosco era fitto – ma il suo
cuore… aveva sentito. Non riusciva
a prender sonno, lui, quando Steve era fuori, e quella sera era andato
al
villaggio. Non avrebbe dovuto, gliel’aveva detto, e ora
quella strana
sensazione pareva confermare i suoi indefiniti timori.
Da
quando Lucilla lo aveva lasciato, la situazione era peggiorata: le
accuse che i
Di Cosmo avevano rivolto al giovane erano gravi, e inutili erano state
le
parole di lui, che aveva negato tutto. I Ranieri avevano perso di
credibilità
già da tempo, mentre la potenza dei Di Cosmo e la
reputazione da santa di
Lucilla conferivano alle affermazioni della ragazza una grande
attendibilità;
erano nate sul giovane conte storielle assurde ed egli, disprezzato da
tutti,
aveva deciso di smetterla di giustificarsi, dando alla gente
ciò che voleva: si
era reso odioso e non si preoccupava più di nascondere il
proprio piacere per l’alcool.
Le
donne lo evitavano e facevano il gesto di nascondere le proprie
figliolette,
quando lo vedevano: il tutto era assurdo.
Il
27 Gennaio, il vescovo aveva organizzato una festa per Erica, che
diventava
moglie dell’onesto Ermanno; Steve, che vedeva proprio in
Erica la colpevole
delle sue sventure, aveva deciso di andare al paese, proprio per
indispettire
chi gli aveva rovinato la vita.
Fred
gli aveva detto di lasciar perdere.
Alle
due di notte, il maggiordomo andò a svegliare Lorenzo, che
lo cacciò dicendogli
che quel che Steve faceva non gli riguardava, e per quel che gli
importava
potevano anche divorarlo i lupi.
L’uomo
si era dunque coperto per bene e aveva abbandonato il castello, per
recarsi
solo alla ricerca dell’adorato ragazzo, che aveva in effetti
trovato: inerme ai
piedi di un pino, con un taglio accanto al collo, taglio apparentemente
innocuo
che aveva invece causato una morte per dissanguamento.
Gliel’avevano ucciso.
Lucilla
e il vescovo si presentarono ai funerali e raccontarono che la sera
prima Steve
aveva fatto irruzione alla festa di nozze e aveva offeso la sposa, ma
Ermanno
non gli aveva dato corda, e nessuno si era allontanato dal banchetto,
quindi
era inutile incolpare la gente del posto: piuttosto, era probabile che
il
giovane conte si fosse imbattuto in qualche brigante che si nascondeva
nel
bosco, cosa probabile dato che il cadavere era stato anche spogliato
dei pochi
gioielli di valore che portava addosso.
Fred
ascoltò senza parlare. Da quando aveva trovato il suo
ragazzo la notte prima,
non aveva più aperto bocca. Solo quando lui e il conte
tornarono al castello e
Lorenzo gli ordinò di preparare le valigie, egli dovette
opporsi, dicendo che
avrebbe voluto assistere alla sepoltura perché, come sua
madre, Steve sarebbe
stato sepolto in giardino. Macabro, forse, ma Lorenzo così
aveva detto.
«Frederick,
quel che ho detto non ha alcuna importanza. Innanzitutto, se tu avessi
prestato
attenzione, ora sapresti che le mie parole sono state ben diverse. Ho
detto che
avrei seppellito Stephen qui, ma parlavo di una cappella; non abbiamo
cappelle,
non serve che me lo ricordi. Ebbene, ho mentito. La verità
è che la servitù è
stata licenziata stanotte stessa, e io non ho intenzione di perder
tempo. Ci trasferiamo,
Frederick. L’epoca dei Ranieri qui è finita: ci
odiano, e come hanno ucciso
Stephen tenteranno di uccidere anche me. I Di Cosmo sono potenti, i
popolani
pendono dalle loro labbra. Questa tenuta costa troppo e non posso
permettermi
di mantenerla, tra l’altro: dunque ci trasferiamo, e la bara
portala dove
preferisci. Sappi solo che tra un’ora la carrozza
arriverà, e i bagagli devono
esser pronti.»