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Autore: keska    29/09/2016    3 recensioni
Capitoli EXTRA della storia "CULLEN'S LOVE".
«Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo,
e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward…
sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

E se Jacob, ricevuto l’invito di nozze non avesse avuto la stessa reazione? Se non fosse fuggito? Come si sarebbe comportato poi Edward?
Storia ambientata dopo Eclipse.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'CULLEN'S LOVE '
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2 Novembre 2010. Nell’ambulatorio dell’ospedale.

 

«Wuuuuhmm! Wuuhmmm!» esclamò Katie, correndo con le braccia aperte.

«In guaddia!» esclamò Mark, puntandole addosso una pistola invisibile.

Rivolsi un sorriso di scuse agli altri pazienti fermi in sala d’aspetto, ma presto degli altri bambini si unirono alla battaglia immaginaria dei miei figli. Ero terrorizzata dal fatto che qualcuno potesse notare che Katie e Mark fossero troppo svegli per i loro tre e due anni, dimostrandone anche meno di quanti ne avessero. Non avevamo moltissimi contatti con il mondo esterno proprio per questo motivo, e di solito erano molto timidi con le altre persone. Ma in questo caso erano in ospedale, dove il nonno li portava spesso, quindi ben presto si erano sentiti liberissimi.

Juliet succhiò con più forza al mio seno, facendomi appena socchiudere gli occhi.

Edward le accarezzò la testa. «Stasera proviamo con la prima pappina, che ne dici?».

«Oh, la prima pappina. Ho solo ricordi felici delle prime pappine, tanto che mi viene voglia di continuare ad allattarle per una vita» scherzai.

Sorrise, sicuramente ripensando a come, in entrambi i casi, la pappa ci fosse finita dritta in faccia.

Juliet tirò ancora, poi si staccò e vagì, e fui costretta a cambiare seno. «E io che pensavo di potermelo risparmiare per Anne, questo» scherzai ancora, sollevando gli occhi al cielo.

Edward la stava cullando sul suo petto. Le avevamo messo un pagliaccetto rosso e bianco, coordinato a quello della sorella, degli stessi colori ma opposti. Avevano tutte e due gli occhi verdi e i capelli ramati, e la pelle pallidissima. Due principessine.

«Kate, Mark! Non allontanatevi oltre il corridoio» li richiamò Edward. I due bambini annuirono, ricominciando a giocare.

Accarezzai la guancia di Juliet che sorrise e fece un versetto, allungando un pugno nella mia direzione.

«Ti ho promesso che ti trasformo fra un paio di mesi, vero? Un paio, lo giuro» mormorò al mio orecchio Edward, la voce bassa.

Sussultai, irrigidendomi. «E questa da dove ti è venuta?» domandai divertita.

Abbassò lo sguardo sul mio seno. «Sono stanco di dividerti con gli altri… e di usare i preservativi» aggiunse a voce ancora più bassa.

«Edward!» esclamai, ridacchiando nervosamente, rossa in volto.

«Edward, Bella» chiamò l’assistente di Carlisle, uscendo dalla stanza. Mi ricomposi, sollevando la manica del vestito e rimettendo a posto il lenzuolino e Juliet nel passeggino. Radunammo la ciurma e impiegammo cinque minuti solo per entrare nello studio.

 

«Così papà l’ha afferrata e io l’ho morsa forte forte e abbiamo vinto! Rose ha preso solo una lince e Emmett un orso, ma la nostra gazzella valeva per due! Vero papà? Vero?» domandò Kate, raccontando contenta al nonno l’ultima battuta di caccia.

Carlisle sorrise, spostando lo stetoscopio sulla schiena di Anne. «Sei stata davvero brava». La piccola si mosse, una mano in bocca e una che tentava maldestramente di afferrare lo strumento. I suoi occhi verdi vagarono nella stanza. «Aaa-aaaa» gorgogliò.

Feci un ampio sorriso. «Quello è il suo modo di dire “mamma”. Vero amore, vero?» la vezzeggiai.

«Non potrebbe essere il suo modo di dire “papà”?» mi sfidò Edward, cullando e calmando Juliet, rossa in volto e bagnata di lacrime, dopo aver ricevuto il suo vaccino del quinto mese.

«No, perché lo dice guardando me» ribattei, facendogli la linguaccia.

«Mammi! ‘Osso anche io?» domandò Mark, che mi stava attaccato a un piede.

Aggrottai la fronte, seguendo il suo sguardo verso le mani del nonno, dove stava una piccola siringa. Allontanai immediatamente gli occhi, respirando piano. «Mmm, amore, magari un’altra volta, eh?» domandai, deglutendo più volte.

Carlisle rise, afferrando il bambino ai miei piedi. Lo fece sedere sulle ginocchia e gli mise la siringa fra le mani. «Mi puoi aiutare. Lo facciamo insieme, così».

Liberai la gamba della bambina dalla tutina, impedendomi di tremare. Mi voltai di lato e serrai gli occhi, aspettandomi di sentire il suo pianto disperato, intanto che Carlisle spiegava ogni passaggio che compiva a Mark.

«Fatto».

«Fatto?» domandai sorpresa, aprendo gli occhi. Mi voltai verso la bambina che sorrideva saltellando sul posto ed emettendo versetti. «Ma, ma…».

«Si vede che Anne ha preso da me» mormorò al mio orecchio Edward, ridendo.

 

5 Febbraio 2011. Un giorno di neve a casa Cullen.

 

«Brr, brr, brr. Ci sono due bambini congelati qui» esclamai velocemente, entrando nel soggiorno. A dir la verità, sotto lo strato di cappotti cappelli coperte e sciarpe quasi non si vedevano, i bambini. Rose mi prese Anne dalle braccia, e Esme Mark.

«Abbiamo vinto! Eravamo una valanga, ragazzo!» tuonò Emmett, dando il cinque a Mark.

Edward si chiuse la porta alle spalle, entrando con Kate e Juliet e Alice e Jasper. Avevamo deciso di far divertire i bambini sugli slittini, quella mattina, visto che per una settimana intera c’era stata un’abbondante nevicata e la neve era ormai compatta e solida.

«Mamma, mi sistemi il fiocco?» mi domandò Kate, correndo da me con il suo vestitino verde di raso. Mi chinai con un sorriso, sistemandole il vestito e baciandole poi la fronte.

«Mammi! Mi ‘ude il naso» si lagnò Mark, indicandosi il nasino con una smorfia.

Afferrai un fazzolettino dalla tasca. «Soffia forte forte. Più forte. Più foooorte. Così, bravo» risi, appallottolandolo e gettandolo nel fuoco. «Prude ancora?».

Fece no con la testa, sorridendo e correndo via.

Juliet, sotto l’attenzione di Alice, provò inutilmente a sollevarsi sulle gambe prima di gemere, frustrata. «Aspetta, amore, così» feci, sollevandola e portandola accanto al tavolino da tè, dove si appoggiò con entrambe le mani per sollevarsi ed emettere un verso felice che somigliava a «‘Ammi».

«Bella» mi richiamò Esme. «Anne sta frignando, credo che abbia fame. La vuoi allattare?».

Mi mossi sui piedi, a disagio. «Emm, veramente… potresti darle una pappina. Da un paio di settimane non vogliono tirare e non mi sta più venendo il latte» mormorai a bassa voce, imbarazzata. Abbassai gli occhi, scossa da un brivido.

«Oh, certo. Capisco».

Annuii, guardandola allontanarsi. Edward si avvicinò, sfregandomi il braccio, silenzioso. Infilai il capo sul suo petto e stetti così ferma per sei secondi, prima che Mark, poi Juliet, poi Kate, poi Anne, reclamassero ancora la mia attenzione. Sorrisi, repressi uno sbadiglio e mi dedicai a loro.

 

«Sapete cosa sta per arrivare?» fece Rose, guadagnandosi l’attenzione di tutti i bambini.

«Così rovinerai la sorpresa» ribatté Jasper compassato, sollevando appena gli occhi dalla rivista che stava leggendo.

Gli scoccò un’occhiata avvelenata. «Zitto tu».

«Cosa?» domandarono i bambini. «Daaaai zia, dicci cosa!». Carlisle e Esme, in sala, sorrisero, guardandosi fra di loro. Edward continuò ad intrecciare i capelli di Kate. Incredibile quanto fosse diventato bravo.

Rose riprese a parlare. «Sta per arrivare…».

Presi un paio di respiri più superficiali. Si avvertì il suono delle tazzine che tremavano contro il vassoio di metallo, tintinnando. Tutti, nessuno escluso, si voltarono a guardarmi. Erano le mie mani, stavano tremando. Battei le palpebre, inebetita.

Alice si sollevò dai suo posto sui cuscini, prendendomi il vassoio dalla mani prima che cadesse. «La cioccolata!» esclamò, voltandosi verso i miei figli.

Ci furono delle urla di gioia e dei versetti, e ognuno abbandonò la sua attività per circondarla.

Deglutii, e mi tirai a sedere sul divano, accanto a Edward. Il cuore cominciò a battermi man mano più piano e la stanza smise di girare. Mi accarezzava lentamente la schiena con la mano, senza parlare.

Per l’ora di pranzo fummo bloccati a casa Cullen, perché aveva ripreso a nevicare e non volevamo rischiare di far ammalare i bambini, e tutti volevano rimanere con loro, e Esme aveva già preparato il pranzo…

«Vola la pappa nella boccuccia, ahhh» feci, avvicinando il cucchiaio alla bocca di Juliet. Lo prese fra le labbra, fece una smorfia e ne sputacchiò un po’. Poi la riaprì. «’aaapppa».

«Mamma, nella mia pasta non c’è il formaggio» protestò Kate, indicandola.

Mi sporsi ad osservarla, e poi presi un formaggino dalla borsa per le gemelle e glielo misi nel brodino. «Così va bene?». Annuì, concentrata sulla sua pastina.

Riuscii a mettere in bocca un altro cucchiaio di pappa a Juliet che «Mammi» mi chiamò Mark, tirandomi una gamba dei pantaloni.

«Cosa c’è tesoro?». Tese le braccia nella mia direzione per farsi prendere in braccio. «Finisci di mangiare prima».

«Finito» ribatté, allungandosi di più.

«Vuoi che lo prenda io, cara? Non hai nemmeno sfiorato il tuo pranzo» mi fece notare Esme, che intanto stava facendo mangiare Anne. «Devi essere sfinita».

Mi voltai appena verso il mio piatto di pasta. Sarebbe con molta probabilità rimasto intonso. Sorrisi appena, chinandomi a raccogliere il mio ometto e mettendomelo sulle gambe. Chiuse gli occhi e posò la testa contro il mio petto. «Va tutto bene, Esme. Non sono stanca» mormorai, imboccando ancora Juliet.

Mark si addormentò dopo poco sulle mie gambe. Mi feci passare Anne, che intanto aveva reclamato la mia attenzione, da Esme, e la cullai come meglio potevo sulla spalla, mentre lei faceva mangiare Juliet. I ragazzi si spostarono nell’altra stanza, in modo che ci fosse abbastanza silenzio perché i bambini dormissero, e rimase solo Edward, che leggeva una favola a Kate sul divano per farla addormentare.

Sentii per un attimo le palpebre abbassarsi, mentre cantavo la ninnananna per i bambini. Nessuno aveva detto “mamma” “mammi” o “ammi” nell’ultimo quarto d’ora, il che poteva dire solo…

«Si sono addormentati» sussurrò Edward «vado a mettere Juliet e Kate nella stanza di sopra».

Annuii, reprimendo uno sbadiglio. Avevano convertito la stanza di Edward a stanza dei bambini, e spesso rimanevano lì a fare dei sonnellini. «Ti raggiungo subito» mormorai, sollevando Mark e Anne in modo da essere in grado di portarli entrambi. Il bambino si strinse con le braccia attorno al mio collo. Vicino allo stipite della porta del soggiorno mi sbilanciai all’indietro, ondeggiando. La vista si sdoppiò.

«Dalli a me, Bella» disse la voce bassa di mio suocero.

Arrendevole lasciai che li prendesse dalle mie braccia, senza neppure riuscire a distinguere nettamente i contorni del suo viso. Mi appoggiai con la spalla allo stipite della porta. «Non andare veloce, quando lo fa Edward si svegliano… Devo… solo sedermi un attimo».

Non sentii la sua risposta. Quando la stanza riprese contorni definiti non c’era più. Lentamente, incespicai verso la poltrona imbottita accanto al fuoco su cui probabilmente era rimasto seduto, e ci crollai.

 

Edward

 

Osservai mia moglie, rannicchiata sulla poltrona comoda. Le misi addosso una coperta, accarezzandole i capelli. Era esausta, pallida, con le occhiaie. Si stava dedicando anima e corpo ai suoi figli, senza mai tirarsi indietro, anche quando era allo stremo delle forze. Le accarezzai le labbra. Sempre dolce, gentile, con un sorriso sulle labbra e disposta ad andare avanti, ancora e ancora, senza mai lamentarsi.

«No, non mi va di parlarne qui» feci, scuotendo il capo verso mio padre. Anche senza leggere i suoi pensieri mi bastava guardare i suoi occhi per capire cosa gli passasse per la mente.

«Vieni nel mio studio».

Annuii, sollevandomi sui talloni e seguendolo. Aspettai che si chiudesse la porta alle spalle prima di mormorare pianissimo «Dovrebbe essere circa alla quinta settimana. Quattro più cinque. Si è rotto il preservativo» feci, sollevando finalmente gli occhi nei suoi.

«Capisco» ribatté comprensivo.

Sospirai, prendendomi il capo fra le mani e voltandomi a dargli la schiena. «Dovevo trasformarla fra appena due settimane. Abbiamo quattro figli, ed hai visto anche tu com’è uscita dall’ultima gravidanza… io…» annaspai.

Posò la mano sulla mia spalla. «Non lo potevate prevedere. E Bella è cambiata, Edward. Credo che abbia imparato che può farcela». Mi voltai, un’espressione angosciata sul viso. Fece una smorfia. «Ne siete sicuri? Ha fatto un test?».

Scossi il capo. «Non ne abbiamo ancora parlato, ma non ce n’è bisogno. Hai visto anche tu. La settimana passata stavo falciando l’erba e appena ha sentito la puzza è corsa a vomitare. Non mangia decentemente da allora, le gira la testa e… ha già smesso di crescere. Le unghie, i capelli. L’ho osservata attentamente».

Mio padre mi sorrise condiscendente. «Dovete parlarne, Edward. Magari la prenderà meglio di quanto credi».

Sospirai, scuotendo il capo. Sentii i passi veloci e affrettati di mia moglie sul parquet e poi la porta del bagno sbattere. «Vado da lei» deglutii, correndo veloce come un vampiro. Bussai. Sentii il suo tossicchiare dietro la porta. «Sono io».

«Entra, Edward» biascicò, tirandosi a sedere a fatica. Si pulì la bocca con un pezzo di carta igienica, poi lo buttò nella tazza, facendo scorrere l’acqua. Abbassò la tavoletta del water, sedendocisi sopra. Mi osservava, inespressiva, aspettando che dicessi o facessi qualcosa.

Mi avvicinai cautamente, facendola sorridere. «E così… eh?».

Il sorriso si fece più ampio. Prese la mia mano e se la portò al ventre. «E così, eh…» mormorò, prima di scoppiare a piangere.

La abbracciai, sentendo i suoi piccoli singhiozzi scuotermi. «Mi dispiace tesoro… Sarei dovuto stare più attento, avrei dovuto…».

Scosse il capo, senza far smettere di scendere le lacrime. «C’ero anch’io quella notte, no? Ti posso assicurare che ero contenta», scherzò debolmente, tirando su col naso.

Le accarezzai la guancia, portandole via il bagnato. La scrutai negli occhi gonfi. «Vuoi fare un test?» domandai incerto, non sapendo bene cosa dire.

Rise, un suono un po’ isterico e nasale, gettando il capo all’indietro. «Credimi, Edward, dopo tre gravidanze so come ci si sente».

Abbassò lo sguardo sulla mia mano, che non avevo mai allontanato da dove l’aveva messa, sul suo grembo. «Ce la faremo. Non so come» la voce s’incrinò «ma ce la faremo» mormorò con un sorriso forzato.

La baciai.

Si tirò indietro. «Che schifo, Edward. Fammi almeno lavare i denti prima».

Risi. «Non mi importa, ti voglio solo baciare».

Arrossì, provando a divincolarsi inutilmente. Alla fine si arrese. «Edward?».

«Cosa?».

Si avvicinò al mio orecchio, stupendomi ancora una volta. «I bambini dormono… E questo vuol dire… che possiamo anche non usare più i preservativi…».

Non me lo feci ripetere due volte.

 

3 Giugno 2011. Un giorno come un altro e un altro ancora… Ancora.

 

«Dove sono le gemelle?».

«Ho fame! Mamma, ho fame, ho fame!».

Sospirai, chinandomi a porgere a Kate il panino che stavo mangiando. Me ne sarei fatto un altro, magari prima di andare a dormire… «Tieni tesoro. Prendi questo, ma mettiti a tavola a mangiare».

La bambina annuì, arrampicandosi sulla sedia prima di dedicarsi al mio - suo - panino.

«Bella» gridò ancora Edward, per farsi sentire anche dalla cucina. Stava riparando la lavastoviglie. «Ho detto: dove sono le bambine?».

«In camera a dormire. Tranquillo. Con me ci sono solo Kate e Mark…». Ansimai, voltandomi verso la sedia accanto alla mia. «Mark?!» strillai in un verso strozzato.

Passarono pochi istanti pieni di panico. «Mark! Mark, dove sei? Mark?» urlai, lasciando che il panico mi assalisse sempre più velocemente. Era un bambino buono, mi rispondeva sempre appena lo chiamavo.

«Cosa succede?» esclamò Edward entrando velocemente nella stanza.

«Il bambino, Edward! Non c’è! È scomparso!».

Ma mio marito non aveva l’espressione che mi sarei aspettato. Sembrava perplesso.

«Mamma» mi chiamò la voce di mio figlio, ma quando mi voltai lui non c’era.

«Mark? Mark?».

«Mamma!» mi richiamò ancora, e improvvisamente comparve davanti ai miei occhi, dov’era sempre stato. Seduto sulla sedia.

Avevamo appena scoperto un nuovo strano dono dei miei figli: Mark poteva diventare invisibile.

 

«Stai bene?».

«Mh-mh».

«Sicura?».

«Benone. Passami un pannolino per favore». C’era stata una certa agitazione e un po’ di nausea dopo tutto quel trambusto. Com’era ovvio non avevo voluto farmi un altro panino. Carlisle era un po’ preoccupato, continuava ad insistere che non stavo prendendo abbastanza peso, che mi stavo stancando un po’ troppo. I bambini erano tanti e piccoli ed era difficile prendersi cura di tutti al cento per cento. Eppure continuavo a farlo. Con tutti, però, anche quelli che non erano ancora nati. Quindi se Carlisle mi diceva di mangiare lo facevo. Se mi diceva di dormire anche. Solo, lo facevo a modo mio, e per quanto Kate, Mark, Anne e Juliet me lo permettessero.

Quindi non avevo mentito a Edward. Mi sentivo bene, come al solito. Come se stessi percorrendo una lenta ed estenuante maratona dell’amore.

Mi fece allontanare, sistemandosi davanti al fasciatoio. «Lascia fare a me».

Non protestai, infilai il pigiamino a Anne e andai a rimboccare le coperte a Mark e a Kate. Il mio ometto stava dormendo, ma la più grande non ne voleva proprio ancora sapere.

«Mamma, raccontami una storia».

Le sorrisi, senza smettere di cullare la piccola Anne. Aveva quasi un anno, ma ne dimostrava un po’ meno. «Devo mettere a dormire la tua sorellina».

S’imbronciò. «Non la puoi raccontare anche a lei?».

Sospirai, appoggiandomi al muro contro cui era sistemato il letto. «Facciamo così. Perché non racconti tu una storia a me a ed Anne, eh? Cosa ne pensi?».

Mi guardò, come se ci stesse riflettendo. «E va bene…» sospirò infine, perdendosi in un mondo fatto di fate, castelli, principi e principesse.

 

Mi lamentai, agitando leggermente il capo.

«Shh, torna a dormire».

Nonostante fossi disorientata provai a fare uno sforzo di memoria. Se non sbagliavo, mia figlia mi stava giusto raccontando una storia… Mi lasciai andare fra le braccia di Edward. «Sono pesante» scherzai.

Senza accendere la luce entrò nella nostra stanza e mi sistemò sul letto.

Aprii gli occhi.

«Ti avevo detto di dormire».

Scrollai le spalle. «Anche tu mi sembri stanco» mormorai, accarezzandogli il viso. Aveva le occhiaie e sapevo perché. «Da quanto non vai a caccia?».

Mi sorrise, baciandomi il palmo della mano e lasciandomi una scia di baci che andava per tutto il braccio. «Da quanto non mangi decentemente, non fai qualcosa per te stessa, non dormi più di quattro ore di fila…?».

«Posso cominciare da adesso» scherzai, divincolandomi e voltandomi dall’altro lato.

«Ah, non fare la furba» mi rispose a tono, bloccandomi i polsi e riprendendo a baciarmi. Scese sul seno e sulla pancia, accarezzandomi il piccolo pancione. Ero ancora al quinto mese. Dovevo fare il più possibile prima che la gravidanza mi impedisse di badare ai bambini.

«Dai, smettila, mi fai il solletico» risi, contorcendomi sul letto.

Sollevò la bocca, fissandomi con un sorriso. Era diventato più dolce, più… malizioso.

Glielo restituii. «Certo che… Mark, eh? L’invisibilità?» borbottai incerta. Non riuscivo ancora ad assorbire la notizia. «E se gli dovesse capitare in pubblico?».

Mio marito continuò a baciarmi dolcemente tutto il corpo. «Ce ne preoccuperemo l’anno prossimo, appena ci trasferiremo».

«Già» sospirai, guardando con malinconia le pareti della mia stanza. Mi mancava di già.

Mi sfilò la maglietta. Continuò a baciarmi. «Andrà bene, vedrai». Ero così dolce, delicato…

«Già» borbottai ancora.

Baci, baci, baci. Teneri, gentili… Tanto che, esausta, mi addormentai.

 

   
 
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