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Autore: whitemushroom    29/09/2016    2 recensioni
Ci sono persone per cui suonare è un dono. Ve ne sono altre per cui è un semplice esercizio.
Ma ve ne sono alcune, più speciali delle altre, per cui la musica è la chiave per ricongiungere gli anelli del tempo.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Leo Baskerville, Oswald Baskerville, Revis Baskerville
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Broken Clock'
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Music Inside

“Il pollice va sotto il medio. Così”.
È la prima volta che riesce a sentire distintamente la voce. “No, non così. Alza quella mano!”
Leo guarda la porta. È alta alta, ma se si mette in punta di piedi ci arriva. Ha un po’ di paura perché non si entra quando i grandi parlano, però vuole guardare; oggi è la prima volta che ci vede bene, gli altri giorni c’era solo un corridoio buio buio con tante candele tutte nere e doveva seguire la musica, invece adesso è arrivato e non gli va di restare fuori.
Sì, la porta è davvero alta, ma lui fa come fa sempre. Le passa attraverso.
“Ma non ce la faccio, ho le dita piccole!”
“Fidati, diventeranno grandi. Tu pensa solo a raggiungere quel tasto, capito?”
È senza dubbio la stanza più grande che abbia mai visto, sembra il salone della nuova casa ma è bello come quello delle persone ricche. C’è un divano enorme tanto morbido e dalla finestra c’è luce perché è giorno: su un tavolino di vetro ci sono dei pasticcini tutti colorati, sceglie quello rosa con la ciliegina e lo mette tutto in bocca così nessuno lo scopre. Le due persone sono tanto impegnate, quindi lui che è furbo furbo ne prende anche un secondo, quello con la panna, poi si pulisce la bocca perché i grandi se ne accorgono e poi non lo fanno mangiare più.
Spera che l’altro bambino, quello che sta suonando, non si arrabbi. Probabilmente i dolci sono i suoi, però sono buonissimi e non è giusto che siano tutti per lui, Leo i pasticcini non li mangia mai. Il bambino dai capelli neri ha qualche anno più di lui e dondola le gambe avanti e indietro sul seggiolino troppo alto. Il pianoforte è enorme, è molto più grande di quello della nuova casa ed ha una bocca aperta da cui escono tutte le note: Leo decide che gli piace e si mette sotto la coda dello strumento per vedere se c’è un buco per vedere dove nasce la musica, ma il pianoforte è tutto di legno e sente solo i tasti del bambino che battono e fanno le note. Con la mano fa toc toc sulla pancia dello strumento, però non succede niente.
L’altro bambino mette le note in fila: dopo la terza si ferma un secondo, però poi arriva fino alla fine. Leo esce da sotto il pianoforte per guardarlo, ma è concentrato e si sta sforzando tantissimo per far vedere al suo maestro quanto è bravo. “Così?”
“Un po’ meglio, ma non montarti la testa. Forza, ancora una volta”.
Mette di nuovo le sette note una dopo l’altra, stavolta più velocemente. Il maestro si china in avanti ed i suoi capelli lunghi cadono proprio sulla spalla del bambino. Appoggia anche lui la mano destra sul pianoforte e sembra chiuderla su quella piccola dell’altro, poi gli prende le dita e le fa scorrere con pazienza. “Ci sei quasi, adesso devi solo scioglierti. Prova con me”.
Suonano in due, il bambino sullo sgabello ed il signore sulla sedia: vanno su e giù con i tasti bianchi e quelli neri, dunque Leo decide che vuol provare il divano ed il cuscino rosso che gli piace tanto. Fa un salto grandissimo e ci sale sopra; non è così morbido come sembrava e la mano non vi affonda, però è davvero ampio e ci può anche appoggiare i piedi mentre rimane zitto zitto ad ascoltarli. Le altre volte poteva solo sentire la loro melodia, ma oggi è la prima volta che trova la strada per la sala della musica e che riesce a vederli. In fondo è felice che ci sia un altro bambino, magari questo sembra un po’ triste ma forse potrà giocare con lui se farà bene gli esercizi di musica.
Leo non sa suonare, ma gli sembra una cosa molto bella.
Quasi magica.
La sua mamma aveva un tamburello di pelle con tanti campanelli, ma non lo usava mai. Era tanto triste, ecco perché.
Il bambino ed il maestro sembrano felici. Quindi la musica rende felici.
Suonano ancora un po’ sempre le stesse note che salgono e scendono, poi il più grande chiude il coperchio del pianoforte e si stiracchia. “Va bene, va bene, per oggi basta. Su, adesso ho da fare, vai a giocare con Lacie”.
“Ma domani riproviamo?” dice il bambino con voce un po’ triste. Però secondo Leo tanto triste non è, perché scende velocemente dal sedile e prende un pasticcino con un sorriso che gli piace. Fa per sorridergli e tendergli la mano, ma l’altro bambino non lo vede anche se lui gli è seduto proprio davanti. Succede molte volte che la gente non lo veda.
“D’accordo. C’è da dire che sei un tipetto piuttosto insistente!”
Il bambino ha ottenuto la sua vittoria e se ne va svelto svelto prima che il maestro lo richiami: ha un vestito scuro come quello delle persone ricche e Leo si gira per chiedergli il nome, ma purtroppo lui sta già ridendo mentre imbocca le scale con un dolcetto tra i denti e l’altro chiuso nel palmo della mano. Non si è nemmeno accorto che alcuni pasticcini sono stati mangiati da lui.
“Sei tu il prossimo, vero?”
Leo sobbalza perché il maestro si è seduto proprio vicino a lui: adesso che lo vede benissimo ha gli occhi gonfi e rossi, sono tanto brutti che mettono paura perché sembrano quelli di un mostro, poi ha delle bende sulle mani che sembrano quelle che la signora Finn mette ai bambini quando si sono fatti male. Lo guarda dall’alto e Leo non sa cosa dire perché non ha mai visto dei capelli così bianchi e lunghi, anche più lunghi dei suoi: il signore fa passare le dita nella chioma come se avesse un pettine, però adesso sta guardando proprio lui. “Oswald non ti vede perché è ancora ben lontano dal poter legare con alcun Chain. Ma ci riuscirà, prima o poi. Più poi che prima, ad essere sinceri … non è quello che definirei un ragazzino sveglio”.
Con noncuranza allunga i piedi su un tavolino: Leo gli vorrebbe dire che non si fa perché è maleducazione, ma un po’ quel maestro è strano. Non è cattivo, quello forse no, ma è tanto tanto strano. È lì, ma Leo non sa se è davvero lì perché prova a toccargli le mani ferite e succede come non le porte, vi passa in mezzo senza sentirlo.
“Beh, non è che io ti veda, ad essere sinceri. Ma so che sei qui. Ti sento” dice di nuovo il signore. “Gli anelli del tempo sono qualcosa che nemmeno i Glen possono toccare impunemente. Immagino che per te non sia comprensibile, ma in fondo non importa. Prima o poi ci incontreremo e capirai sulla tua pelle”.
Leo non capisce. Sono tutte parole difficili, però annuisce lo stesso perché è buona educazione. Il maestro si massaggia le mani bendate. Forse gli fanno davvero male. “Hai seguito la musica, non è vero? A molti succede …” sorride compiaciuto. “Quando ne hai voglia passa pure da queste parti. Tanto ce ne vorranno di anni prima che Oswald riesca a mettere insieme due note decenti. Un po’ di compagnia, anche se silenziosa come la tua, mi farà bene. Maledizione a me ed a quel giorno che ho accettato di dargli lezioni!”
Si alza di scatto come si è seduto e va verso il pianoforte. Fa per chiuderlo, però ci pensa un po’ e lo lascia aperto. Si gira di nuovo verso di lui e adesso gli fa ciao ciao con la mano; Leo è bravo e quindi saluta anche lui. “Se intanto vuoi usufruirne …”

“Guardi, signora Finn …”
Ad un cenno di Margaret, l’ultima anima caritatevole disposta a darle una mano con i bambini senza chiedere nulla in cambio, l’anziana signora si avvicinò alla porta; si mosse in silenzio per quello che le sue ginocchia logore e gli zoccoli consumati le concedevano, più incuriosita dall’espressione complice di Margaret che per vera curiosità. Appoggiò a terra la cesta dei panni e trattenne il respiro, scostando solo un po’ la testa per poter sbirciare attraverso i battenti semichiusi: le note le giunsero eleganti e pulite, forse un po’ ovattate, ma la signora Finn era cosciente che le proprie orecchie non erano più quelle di una volta. Rimase in ascolto, cosciente che se avesse fatto il benché minimo rumore avrebbe rotto la concentrazione della piccola figura seduta su quel sedile che la polvere aveva reclamato per sé da oltre trent’anni. I tasti non più accordati salivano e scendevano sotto le minuscole dita del nuovo arrivato, quel bambino di otto anni scarsi che era stato portato loro dai valletti dei Nightray nemmeno cinque giorni addietro.
Erano passati decenni da quando aveva chiuso a chiave quella tastiera, ma era ancora in grado di riconoscere una scala di sol quando ne sentiva una. “Mi hanno detto che i suoi genitori erano molto poveri … chissà come ha appreso a suonare …”
“Non lo so. È ancora stravolto per la perdita della mamma, temo” risponde Margaret. La buona donna raccolse la cesta della signora Finn e se la mise sotto un braccio. Si voltò però un’ultima volta per sbirciare il bambino, compito come un adulto ma con i piedi che si sforzavano in ogni modo di raggiungere i pedali. Una cascata di capelli neri gli nascondeva praticamente tutta la faccia, ma era certa di potergli vedere le labbra contratte in un’espressione concentrata “… pensi che mi ha detto di averlo imparato in un sogno …”
  
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