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Autore: QuelloStranoEremita    29/09/2016    0 recensioni
L'agente Marion è giunto in Italia in missione esplorativa super segreta. Sotto falsa identità dovrà ottenere informazioni che potranno essere potenzialmente pericolose per il bene di tutti.
Genere: Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Marion aprì gli occhi.

Intorno a lui si estendevano colline su colline coperta da prati, boschetti, rocce, campi coltivati con ogni genere di pianta. Il cielo era azzurro e il sole a picco risplendeva riscaldando il volto di Marion che, non abituato a tutta quella luce, si coprì lasciandone passare un filo tra le dita. Pareva non vi fosse anima viva nei dintorni: sui pendii delle colline le case erano poche, piccole e solitarie. L'unica strada asfaltata che si scorgeva era deserta. Marion poteva udire solo il cinguettio degli uccelli e il vento che soffiava con delicatezza. Era solo al centro di quella collina coperta di spighe di grano e per come era vestito sembrava uno spaventapasseri: camicia a quadri rossi e bianchi, un jeans scolorito, e giusto un orologio al polso e due mocassini neri ai piedi.

“Non avrebbero potuto rendermi più ridicolo” pensò Marion. Accanto ai suoi piedi una ventiquattr'ore nera e anonima stava in piedi, parzialmente infilata nel terreno. Marion si sedette a terra, mise la ventiquattr'ore tra le gambe e l'aprì. Tra numerose scartoffie e documenti saltava all'occhio un volumetto verde intitolato “Regole generali e particolari per la missione 152”. Marion lo prese, chiuse la valigetta e si alzò. Si guardò intorno, osservò attentamente il suo orologio e si incamminò in direzione della strada asfaltata, con valigetta e libro verde stretti nelle mani.

Mentre cercava di farsi strada tra le spighe, con una mano manteneva il libro aperto, tentando di leggerlo. Sulla prima pagina era stampato:

 

“Messaggio personale per l'agente Marion.

Agente Marion, se sta leggendo questo messaggio, la missione 152 è appena iniziata. È stato appena depositato nei pressi di Bologna, Italia. Il suo obiettivo primario è quello di mimetizzarsi alla popolazione, interagendo il più possibile con gli altri individui e apprendendo i loro usi e i costumi. Nella valigetta sono contenuti documenti che attestano la sua falsa identità, come protocollo. Inoltre, una chiavetta USB con un particolare programma informatico provvederà a registrare la sua falsa identità nei database della città dove vive, non appena riuscirà a connettere tale chiavetta ad un computer dotato di connessione Internet. La invito a eseguire questa operazione il più presto possibile. Fino ad allora, le consiglio di agire sotto basso profilo. Nella valigetta è contenuta anche una somma in denaro per le spese iniziali. Secondo protocollo, tuttavia, dovrà trovare un impiego retribuito per poter sopravvivere e rendere più credibile la sua falsa identità. Nel resto del volumetto sono contenute tutte le norme di sicurezza da rispettare in maniera imprescindibile ed un manuale su come utilizzare il suo orologio. Le auguriamo buona fortuna.

Distinti saluti,

Generale Dorion”

 

Poco più sotto, scritto in una grafia disordinata:

“Abbi cura di te. Dori.”

 

Marion sorrise. Dorion, sua sorella maggiore, era avanzata di grado ed entrata a capo della missione 152. Prendeva il suo mestiere con molta serietà e raramente si lasciava andare a sentimentalismi. Questa volta, però, non aveva potuto resistere. Marion sarebbe rimasto a Bologna per almeno un anno e, come anche in tutte le precedenti missioni, non si sarebbero potuti vedere. Le comunicazioni sarebbero state sporadiche perché, sempre secondo protocollo, avrebbero potuto farlo solo in casi di emergenza, per evitare rischi. Marion aveva già nostalgia della sua famiglia, ma in parte lo rincuorava sapere che anche Dorion, stavolta, avrebbe partecipato alla missione. Probabilmente, però, avrebbe vissuto in una città a centinaia di chilometri di distanza, se non in un altro stato.

Marion raggiunse la strada, si scrollò di dosso le spighe di grano e la terra dai mocassini e diede di nuovo un'occhiata all'orologio. Avrebbe dovuto camminare un po', ma era previsto: per il bene della segretezza della missione, gli agenti venivano lasciati in luoghi poco abitati. Conscio di dover ammazzare il tempo in qualche modo, cominciò a sfogliare le pagine e a ripassare quelle regole che aveva imparato a memoria, visto che ormai aveva perso il conto delle missioni che aveva affrontato.

“REGOLE FONDAMENTALI

  1. In nessuna occasione è ammissibile per l'agente rivelare la sua identità.

  2. In nessuna occasione è ammissibile per l'agente utilizzare la sua lingua natia. In qualsiasi circostanza è obbligatorio utilizzare la lingua o le lingue assegnate dall'Organizzazione per la missione.”

Marion ricordò con odio le lezioni di Italiano e Inglese che aveva dovuto seguire nelle aule dell'Organizzazione. Considerava queste due lingue come le più stupide che avesse mai imparato, visto che erano così schifosamente semplici che aveva avuto quasi un rifiuto psicologico nello studiarle. “Come è possibile che milioni di persone parlano una lingua così povera di regole, così banale? Come riescono davvero a comunicare questi individui con un linguaggio che spesso non è in grado di esprimere ciò che si vuole esprimere? E poi perché ho dovuto imparare due lingue, se qui ne parlano praticamente solo una, e nemmeno tanto bene?” si chiedeva.

Marion però sapeva già cosa c'era dietro questo bilinguismo. Sfogliò rapidamente il suo libro fino ad arrivare al capitolo “Informazioni sull'identità segreta” e cominciò a leggere:

“Agente Marion, di seguito sono le caratteristiche della sua identità segreta:

Nome: Marion Smith

Età: 23 anni

Lingua: Inglese (madrelingua), Italiano

Professione: studente di Medicina

Provenienza: London, Inghilterra

Storia: studente in viaggio di studio in Italia.

…”

Seguivano altre due pagine sulla sua identità fittizia: famiglia, storia della sua presunta gioventù in Inghilterra, eccetera. Non c'erano molti dettagli, in verità, ma quanto bastava per evitare troppi sospetti sul “passato” di Marion.

La strada asfaltata cominciava a diventare più dritta e meno pendente. Mancava forse un chilometro o due alla meta. Marion cercò nell'indice un capitolo sulla città che stava per diventare la sua casa per un lungo periodo.

“INFORMAZIONI SUL LUOGO DELLA MISSIONE: BOLOGNA

Bologna, città con una popolazione stimata di circa trecentomila abitanti. La struttura della città è molto complessa, con strade distribuite senza una precisa programmazione, di dimensioni varie e percorse da vetture di diverse dimensioni e velocità, e anche dagli stessi abitanti che usano spostarsi anche senza mezzi. La città sembra essere molto attiva, in particolare di giorno, ma anche durante le ore notturne: infatti, nonostante diminuisca, sembra essere comunque presente un intenso movimento di masse anche durante la notte. Tali attività sembrano essere condizionate anche dalle condizioni atmosferiche e dai diversi periodi dell'anno...”

“Non sarà troppo difficile interagire con gli altri” pensò Marion, tirando un sospiro di sollievo. Il suo pensiero andò alle altre missioni che aveva affrontato: città talmente inospitali e fredde che interagire con gli “autoctoni” era una impresa, dove gli individui erano solitari e tendevano a non accogliere nelle loro cerchie quelli percepiti come estranei. “Se ce l'ho fatta allora, stavolta sarà facile”.

Nel frattempo, per la strada passò un'auto. Marion si arrestò e la osservò attentamente. Era un maggiolino di colore bianco che sfrecciava come se fosse nuovo, nonostante qualche piccola ammaccatura sul retro. “Davvero buffa. Chissà se ce ne sono altre” pensò Marion.

Passo dopo passo, Marion sentiva i rumori della città, attenuati sempre meno dal silenzio della campagna. Percepiva affievolito il rumore delle auto, e il profumo intorno a sé stava cambiando: l'odore di terra e di polline si stava lentamente diluendo con quello dello smog e dell'asfalto surriscaldato. Avrebbe preferito rimanere lì dov'era e magari cercare una casa in campagna, ma naturalmente non poteva. Anzi, accelerò: doveva trovare una casa e un computer al più presto. Non avrebbe certo potuto dormire all'addiaccio in una città che, a quanto pare, era molto movimentata persino quando era supposto che tutti dormissero. Marion ripose il volumetto nella valigia, allungò il passo e cominciò ad addestrare le sue lingue, giusto per vedere se aveva perso allenamento. Aveva imparato quelle lingue molto tempo prima, all'inizio dell'addestramento per quella missione, e subito dopo la fine aveva smesso di esercitarsi.

“Io mi chiamo Marion. Piacere di conoscerti. My name is Marion, nice to meet you” disse a voce alta e un po' affannata per via dell'andatura veloce. “Io sono uno studente, studio Medicina. Ho fame e mangio cibo. Ho sete e bevo acqua. I am a student, I study medicine. I am hungry and eat food. I am thirsty and I thirst... drink water” continuò col fiatone. Visto da fuori era davvero ridicolo: un ragazzo di 23 anni che trotta con una ventiquattr'ore in mano, vestito come un campagnolo, che parla ansimante in due lingue diverse. Avrebbe causato sospetti anche nel meno astuto, o quantomeno avrebbe fatto dubitare sulla sua sanità mentale, ma per fortuna l'unico essere umano incontrato fino a quel momento fu l'autista di quel maggiolino, ormai sparito nell'orizzonte frastagliato dai palazzi di Bologna, e sembrava non ce ne fossero altri.

I primi piccoli quartieri iniziarono a costeggiare la strada asfaltata, che ora aveva anche una segnaletica e dimostrava di essere vicina alla civiltà, nonostante le buche qui e là e qualche sporadico cespuglio tra il marciapiede e l'asfalto. Marion non aveva incontrato nessun'altro, e si stava chiedendo se si trovasse in una città fantasma o in un quartiere abbandonato. Si fermò un attimo e tese l'orecchio: riusciva a udire, da finestre e balconi, qualche melodia e qualche voce, tintinnii di oggetti metallici, qualche risata e qualche verso. “Sono tutti nelle loro case. Forse questa è l'ora del pranzo” rifletté Marion. “Spero che il cibo, da queste parti, sia buono. Chissà che cosa mangiano”. Marion diede un'altra occhiata all'orologio e riprese il viaggio, ma dopo pochi passi questo trillò.

Marion rimase sorpreso, strabuzzò gli occhi e osservò: “chiamata in arrivo: Furion” lampeggiava sullo schermo. Marion scattò rapidamente lungo la strada e, infilato il primo vicolo buio che trovò, si nascose dietro un bidone dell'immondizia, si accucciò e, accertatosi di essere solo, premette lo schermo, bisbigliando:

“Comunicazione richiesta da e per chi?”

“Agente Furion, per Agente Marion”

“Centocinquantaduemilaquattrocentosessanta”

“Due per due per tre per tre per cinque per sette per undici per undici”

Marion tirò un sospiro di sollievo. “Furion, cosa fai? Non sai che è vietato comunicare via orologio se non per comunicazioni di emergenza?”

“Marion, ma questa è una emergenza!”

“Cosa è successo?”

Un gridolino irritantemente contento e distorto dalla trasmissione lo assordì. “Sono eccitatissimo, Marion! La mia prima missione, capisci? La mia primissima missione!”

“Sono contento che tu sia entusiasta, Furion, ma è meglio che tu chiuda, o rischiamo di finire nei guai”

“Tranquillo, io sono ancora in aperta campagna e non c'è nessuno qui”

“Be', io invece sono circondato da palazzi e continuare a parlare ad un orologio nella mia lingua può generare davvero parecchi sospetti”

“Se vuoi possiamo parlare inglese, oppure spagnolo, così non ci scoprono”

“Spagnolo?”

“Sì, Marion. Pare che nella città dove devo andare parlino questa lingua. La città si chiama... Siviglia. Sembra bellissima!”

“Oh, Furion, vorrei avere il tuo stesso entusiasmo. Mi ricordi me da giovane”.

Furion era l'ultimo acquisto dell'Organizzazione. Pieno di talento, ma ancora un po' immaturo. Aveva però dimostrato di essere molto intelligente, in grado di immagazzinare ed elaborare informazioni a tempo di record. Per questi aspetti Furion era più bravo di Marion, nonostante fosse alle prime armi, ma d'altronde è anche per questo che i due avevano missioni diverse.

“Marion, tu che identità hai?”

“Io sono uno studente di medicina, uomo, di ventitré anni. Tu, invece?”

“Io studio Storia, a quanto pare. Per il resto sono uguale. Come ti hanno vestito?”

“Ma che ti importa, Furion?”

“Sono curioso!”

Marion rispose, continuando sempre a guardarsi intorno. “Ho solo una camicia, un pantalone, scarpe...”

“La barba ce l'hai? E i capelli?”

“Sì, ho capelli e neri corti e una barba simile. Praticamente non c'è differenza tra barba e capelli” rise Marion.

“Io sono completamente glabro, Marion. Sembro un bambino. Fortuna che siamo tutti alti rispetto agli esseri umani medi. La maschera mi prude tantissimo”

“Anche a me, in effetti” Marion se la risistemò sul volto “Davvero non posso sopportare che hanno l'apparato olfattivo proprio dove noi teniamo il terzo occhio. Ma ho vissuto di peggio: per la Missione 144 ho dovuto imparare a camminare a testa in giù, visto che mi sono dovuto travestire da Debiriano”

“Da Debiriano? Che stress, accidenti! In effetti al confronto gli esseri umani sono più comodi. È una fortuna che abbiano due gambe e due braccia come le nostre”

“Ti è andata bene come prima missione, Furion”

“Non riesco a tollerare il colore marrone della pelle, però”

“Marrone? Io sono bianco”

“Bianco? Che schifo, bleah”

“Furion, ma che diavolo stiamo facendo? Interrompiamo subito questa comunicazione, prima che ci scoprano. Mi farai cacciare nei guai, ne sono sicuro” lo redarguì.

“Va bene, scusa. Ci sentiamo alla prossima emergenza”.

Marion staccò l'orologio dall'orecchio e rimase seduto a terra. Era un po' stanco di tutto quel camminare. La gravità sulla Terra era leggermente più forte rispetto a quella del suo pianeta, e nonostante si fosse allenato, la lunga camminata lo aveva provato un po'. Si accorciò la manica destra della camicia e strisciò il dito sul suo braccio, lungo la vena, che rivelò una sorta di cerniera sottilissima di metallo bianco. La aprì, lasciando allo scoperto la sua pelle verde. Era sudato, ma la tuta era fatta apposta per simulare anche il sudore di un umano, quindi l'acqua sarebbe stata espulsa e sarebbe rimasto asciutto. “L'Organizzazione è... davvero organizzata” pensò Marion, ghignando per la sua pessima battuta. Richiuse la cerniera, riprese la valigetta e ripartì.

   
 
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