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Autore: kissenlove    30/09/2016    1 recensioni
Iris Valenti, diciannove anni, frequenta per la seconda volta il quinto anno al liceo.
Federico Raggi, stessa età e situazione.
Entrambi hanno qualcosa che li accomuna, oltre al loro “rifugio” solitario dove accettano pacificamente la presenza dell'altro. Entrambi utilizzano lo squallido vizio del fumare per riuscire a dimenticare i loro problemi adolescenziali. Le loro anime, più volte distrutte e ricostruite, hanno deciso di non innamorarsi, ma qualcosa come “il loro passato” e il loro destino li unisce alla ricerca dell'infinito che entrambi hanno perduto drasticamente.
Nonostante tutto riusciranno a non finire nel turbine della passione? Riusciranno a tenersi alla larga da un casino del genere?
"We look for an endless different, that cannot be touched neither to see with the eyes of the mind, but only with those of the heart."
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Scolastico
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TU SEI IL MIO INFINITO       
                                                                                  1 - Innamorati 



«Buongiorno!»
Iris si girò convulsa nelle calde coperte del suo giaciglio.
La voce gracchiante del cronista di Radio Kiss Italia intanto riprendeva. 
«Che fate ancora addormentati? Oggi chi dorme non piglia pesci, lo sapete!»
Pessima battuta, pensò Iris sfilandosi il cuscino da sotto per lanciarlo contro quell’insulso oggetto. 
«Ebbene cari ascoltatori, oggi ognuno di voi troverà la sua anima gemella. Chi al supermercato, chi in treno o fra i banchi di scuola, non disperate! Il tanto atteso quattordici febbraio, giorno che tutti i fidanzati attendono impazienti è finalmente tra noi.» 
Iris si ritrovò a fare una smorfia. Era l’unico essere umano sulla faccia della Terra che malediva, dal più profondo del cuore, chi aveva avuto la brillante idea di creare quel giorno, per il semplice motivo che lei non aveva nessuno con cui poterlo condividere, tranne che con sua madre, o al massimo, con zio Carlo. 
«E voi single? Sì, dico proprio a voi! Non fate nulla?»
«Io non lo voglio un ragazzo!» ribatté lei. 
«E allora starete soli per tutta la vita!» rispose quello come se avesse potuto afferrare la risposta di Iris. 
«Meglio soli che mal accompagnati allora.» replicò di nuovo la diciannovenne. 
Se avesse potuto quel numero, per lei, sarebbe sparito per sempre dal calendario nel mese di febbraio. Sarebbe stato divertente cancellare dalle vetrine dei negozi i cupidi, i palloncini a forma di cuore e le coppie che passeggiavano mano nella mano, fermandosi solo per attaccare le loro bocche come sanguisughe. Sua cugina era la peggiore, non faceva altro che limonare col suo ragazzo nella sua camera, per strada, a scuola, dovunque si trovasse, persino davanti a lei e a San Valentino Iris era costretta da quella cospiratrice a partecipare allo shopping per scegliere il regalo ideale. Vanessa non ci sapeva fare in fatto di sorprese, mentre Iris invece sì, nonostante il suo carattere da “avanzo di galera” che allontanava chiunque ci volesse provare. 
Iris non permetteva a nessuno di prendersi gioco dei suoi sentimenti. Non dimostrava molta fiducia nei rapporti umani, e fin da piccola aveva capito che questi prima o poi erano destinati a finire. Quando una persona si rivelava l’esatto opposto di quello che si era dimostrata lasciava un vuoto incolmabile dentro, quasi quanto... l’infinito. Nessun rapporto durava così tanto, e Iris recideva il legame alla radice prima del taglio vero e proprio, evitando la sofferenza. Anche se questo provocava cicatrici invisibili pur non volendolo, sopratutto se quella persona era stata il tuo infinito. Iris aveva rinunciato in poco tempo alle persone che era sicura di aver conosciuto alla perfezione negli anni precedenti. Aveva più volte cercato di salvare un rapporto già al capolinea. Aveva sprecato cinque anni della sua insignificante vita a cercare di adeguarsi, dare il meglio di sè a persone che non la meritavano finendo per soffrire il doppio. Aveva regalato sè stessa senza riserve. Aveva donato il suo infinito sperando diventasse il loro, e con pacatezza aveva cercato di ricostruire i pezzi che si erano lacerati, ma nulla era tornato come prima. Aveva dato tutto, ma alla fine quello che aveva ottenuto era stato solo il disprezzo e silenzio, silenzio incessante e insopportabile, che le aveva fatto capire dettagli importanti che prima, forse per sdegno, aveva preferito ignorare, per non soffrire ancora, per non doversi rimproverare la sua stupidità, perché quello era stata per tutto quel tempo: una stupida, un ripiego, una seconda scelta. “Il suo infinito era solo suo”. Nessuno sarebbe stato degno di curare le sue ferite, solo lei avrebbe potuto. Nessuno le avrebbe fatto cambiare idea, ormai non credeva più nell’amicizia, nel vero amore, erano tutte fandonie. Esistevano sì, nelle favole, il lieto fine, i vissero felici e contenti.. la sua non lo era e non poteva essere considerata esattamente una favola.
«Ah, chiudi il becco che mi hai già rovinato la giornata!» e schiacciò il pulsante rosso, che spense quella sveglia-radio, idea di sua madre, facendo tornare la tregua. 
Provò a tornare nel mondo dei sogni, dove non ci sarebbero stati palloncini rossi o cupidi muniti di frecce che le ricordassero la sua penosa situazione sentimentale. Quando era bambina colui che le regalava qualcosa in quella data era suo padre. Si presentava al cospetto della sua bambolina di porcellana recando con sé un pacco enorme, e Iris lo accettava con gli occhi luccicanti di gioia scartando l’ennesimo peluche. Suo padre sapeva che le piacevano e ogni volta per ogni occasione, né approfittava per regalargliene uno nuovo da aggiungere alla collezione. A Iris piacevano. Si sentiva amata, protetta, coccolata e non le importava di quello che avrebbe trovato fuori, a lei bastava quel regno creato dai suoi genitori con la loro unione. Poteva perdere e incontrare tante persone ogni giorno, poteva essere ferita, tradita, emarginata, ma Iris aveva la cosa più importante che la teneva ancora in piedi, e quello era la sua straordinaria famiglia. 
Purtroppo come tutti gli infiniti che aveva avuto, anche quello fu destinato a finire, quando suo padre continuò a sorriderle da un posto lontanissimo, un posto che Iris non poteva né toccare né vedere dove andavano tutti quelli che non c’erano più. Iris perse per sempre il suo infinito e questo la costrinse a cambiare. Quella data funesta, suo padre, i suoi regali, tutto era finito troppo presto e dolorosamente conviveva con questa pena nel cuore. 
Ingoiando le lacrime continuava a far vivere la memoria di suo padre attraverso tutti quei pupazzi senza anima che la osservavano dall’alto del suo armadio. Sperava di sentirsi più vicina a lui, mentre la vita bastonava più duramente del solito regalandole solo sporadici momenti di felicità, che erano esattamente la somma dei suoi infiniti messi insieme. Quanto avrebbe dovuto ancora sopportare prima di poter scrivere la parola fine. Iris aveva promesso a suo padre che non si sarebbe arresa e avrebbe trovato il suo vero infinito, in qualsiasi posto se fosse stato necessario. Al momento brancolava nel buio, e il suo infinito era solo l’inferno dove era costretta a vivere e respirare dopo che lui l’aveva lasciata prematuramente. 
Le mancava molto. La sua presenza in casa, i suoi sorrisi, altrettanto gli abbracci, e non averlo con lei la faceva stare male, come se una parte della sua vita passata fosse stata sradicata via dal vento impetuoso di un male indistruttibile. Con lui la piccola Iris provato la sicurezza di non poter essere scalfita da alcun nemico, nemmeno dal mostro verde nascosto nel suo armadio. Lui gli aveva donato una dimensione senza spazio, senza tempo con la sua vita, ma a causa della malattia che se l’era portato via, lei adesso vagava sola, insicura, in un mondo disonesto.
Iris rimpiangeva a morte di non aver potuto impedire che accadesse, ma a quel tempo non avrebbe potuto fare nulla se non lasciare semplicemente che la tragedia avvenisse, e che l’infinito faticosamente ottenuto le scivolasse via dalle mani senza tentare di riprenderselo. Dopo qualche mese aveva ripreso coscienza di sé maledicendo quello che la vita malvagiamente aveva orchestrato per rendere il suo piccolo regno infelice, strappandole senza permesso, il suo eroe.
Era accaduto dodici anni fa, dodici anni fa lui era andato via.
«Buongiorno!» cantilenò sua madre sull’uscio.
Iris evitò il suo sguardo.
«A proposito tesoro, dimenticavo... buon San Valentino.» continuò, rigirando il dito nella piaga, come ogni dannato anno, riaprendo una ferita mai cicatrizzata.
Iris sbuffò contrariata. «Non è affatto buono..» irrigidì la mascella e il suono che fuoriuscì graffiò stridulo come un’unghia sulla lavagna. 
«Certo.»
«Ci ha già pensato quello stronzo del cronista a ricordarmelo. Non ti ci mettere pure tu, ti prego.» la implorò Iris, stanca di dover sentire come un disco rotto che quello era il giorno degli innamorati e che lei, in quell’atmosfera di puro sentimentalismo, non c’entrava per niente. 
«Speravo avessi cambiato opinione su questo giorno.» confessò la donna, mentre si inoltrava nel territorio minato della figlia. Iris sbatté le palpebre incredula. 
Cambiare opinione? Che intendeva quella donna con queste assurde supposizioni? Iris non avrebbe mai potuto rimuovere dal suo cervello il pensiero che lì, nello stesso posto occupato prima da lei, c’era stato invece lui, tempo fa, col suo regalo di San Valentino. 
«Anche se ne dovessero passare anche venti, io mai dimenticherò mio padre.» non esitò a dirle la ragazza, guardando la madre con evidente disgusto, perché lei, a differenza sua, aveva impiegato poco tempo a dimenticare suo marito, come se da parte sua non ci fosse stato niente che l’avesse indotta a sposarlo. 
«Hai fatto presto, mamma.» le rimproverò Iris, facendola girare nella sua direzione. 
La donna sulle prime parve fingere molto bene di non capire le frecciatine della figlia, anche se il suo sguardo colpevole e basso parlava per lei.
«Ti sei già gettata tra le braccia di un altro, mi sembra.»
«Parli di Luca?» sostenne vaga.
«Luca eh.» ripetè Iris avvertendo l’amaro in bocca. «Allora è vero? Fate le cose serie quindi.»
«Dipende.» rispose sbrigativa la più adulta e con una mano tirò via le tende per far entrare nella camera un po’ di luce. «Se con cose serie intendi “cena”— fece le virgolette con le dita— mi ha solo invitato e io non ci trovo nulla di male in una semplicissima cena.»
«Certo, tu e lui ad una cena.» Iris strinse un lembo del lenzuolo nel pugno. «Non essere idiota, mamma! Ti ha invitato ad una cena, sicuramente non giocherete, ma io non capisco con che faccia ti presenterai lì da lui. Sono passati dodici anni.» la guardò in volto. «Dodici anni! Non capisci? Stai tradendo mio padre, e anche se è morto non hai il diritto di infangare la sua memoria spassandotela con un altro.» 
La donna corrugò la fronte.
«Io non sto affatto infangando la memoria di mio marito, Iris. Io l’ho amato ti ricordo, più di me stessa, l’ho perso troppo presto, ma questo non vuol dire che amerò Luca allo stesso modo.»
Iris si tolse le coperte di dosso. Era guerra aperta quando discuteva delle nuove conquiste di sua madre, sopratutto ora che aveva scoperto che Luca, il suo datore di lavoro, era entrato così presto e seriamente nella vita di una donna vedova. Iris lo vedeva come un tradimento, ma sua madre non era dello stesso parere. Finivano sempre ai ferri corti in questi casi, e Iris pur di non condividere il suo stesso ambiente era capace di girovagare, a digiuno, fino a tarda nottata, fin quando rincasando non avrebbe trovato nessuno alzato che la reguardisse sull’orario.
«Senti, Iris.» si inginocchiò ai suoi piedi. «Lo so che è difficile, ma credimi, io non voglio e non posso dimenticare il bene immenso che ho voluto a tuo padre-» si interruppe per increspare un sorriso. «Ora credo di poter avere un’altra possibilità.. con Luca. Dopo il dolore che ho patito, la vita mi ha concesso di essere felice finalmente.»
Iris distolse lo sguardo dal volto supplichevole della madre.
«Concedimelo e appoggiami, figlia mia.»
«Fa come vuoi, mamma.»
La donna s’illumino di gioia.
«Sei una donna adulta e vaccinata. Spero però che tu sia cosciente della grande delusione che darai a me e a zio Carlo quando questo sconosciuto si trasferirà a casa nostra.» Iris sospirò, cercando di analizzare i pro e i contro e in testa alla classifica c’era la felicità di sua madre. 
«Ora scusami ma faccio tardi a scuola.» tagliò corto alzandosi e in silenzio si rifugiò nel bagno, dove avrebbe affogato le sue preoccupazioni con una doccia rilassante.

Aprì la manopola e l’acqua tiepida filtrò dal doccione centrale coprendo tutti i rumori provenienti dall’esterno. Si spogliò velocemente. Posò il pigiama, appoggiandolo sulla lavatrice, e nuda entrò nel vano doccia chiudendolo. Il getto la investì con violenza e si svegliò del tutto. Cominciò a massaggiarsi il corpo e i lunghi capelli neri, applicando bagnoschiuma al muschio bianco e shampoo, uno di quelli che usava sempre suo padre, quando dopo una giornata di lavoro necessitava di rilassarsi un po’. L’acqua scivolò sul suo fragile corpo percorrendolo. Le preoccupazioni però restavano come un chiodo fisso. Un miscuglio di sensazioni negative sul nuovo ragazzo di sua madre, Luca, che già detestava senza neanche conoscerlo di persona e constatare con i suoi stessi occhi la bellezza europea che tanto aveva affascinato sua madre come una puerile scolaretta. Chiuse e uscì. Il suo corpo grondava ancora acqua che gocciolava sul pavimento, ma non le importò. Si fasciò con un asciugamano, e procedette spedita fin dentro la sua camera. Indossò i suoi jeans della Pepe a sigaretta, una maglia gialla, di due taglie più grandi, con scritto “out” che le si afflosciava sui fianchi. Evitò il trucco pesante, e lasciò gli occhi cerulei al naturale, così come le guance senza un filo di cipria. Inserì una mano nella chioma umida e la spostò dietro la schiena. Aprì l’armadio e sfilò dalla gruccia una giacca di pelle nera infilandosela. Ci mancava solo un bracciale con le borchie per finire, come quelli che possedevano tutti i ragazzi ribelli, e si sarebbe sentita perfetta e dura come da tutti era classificata. 
Iris non era una bambola di porcellana, anche se quel viso diafano dimostrava il contrario. La porcellana era delicata e al minimo contatto col pavimento o con qualsiasi altro oggetto si sarebbe frantumata in mille pezzi. In passato lo era stata fragile, debilitata, arrendevole al volere degli altri, ma poi anche lei aveva imparato che la fiducia bisognava tenersela stretta ed era stata costretta a diventare questo tipo, esclusivamente per merito degli altri, che non avevano saputo trattarla, capirla, apprezzarla, preferendo persone nettamente peggiori a lei. 
Iris non aveva nulla di sbagliato. Era la persona più ingenua che avreste potuto trovare al mondo. Una fortuna poter condividere lo stesso spazio perché ordinata, godere della sua leale compagnia e vivacità, parlarle apertamente senza alcun timore perché sapeva tacere molto bene, chiederle favori senza nulla da dare in cambio, eppure tutto questo non era bastato. Lei non era bastata a quegli egoisti, approffittatori, traditori... avevano vinto quel che volevano.
Quella persona non esisteva più. Iris Valenti era svanita.
Era stata seppellita dal dolore, dalla vergogna, dalla rabbia di non poter fare nulla per cambiare le cose, solo accettare a capo chino la sconfitta, che distruggeva il cuore o quello che era rimasto.
Un cuore spaccato, grondante sangue, chiuso col lucchetto, scordando la combinazione.
Iris aveva preferito così, sigillare i rimasugli di ciò che era stata nel profondo impenetrabile delle sue viscere per non permettere a nessuno di quei babbei di accedervi per deluderla ancora. 
La delusione ardeva dentro di lei come fuoco vivo, non si era mai spenta dall’ultima volta, ma lei non lo dava a vedere, ci provava a sorridere, doveva somigliare a una persona forte che prendeva a pugni il mondo e si inceneriva i polmoni con le sue preziose chesterfield.
Niente avrebbe potuto rompere il muro di indifferenza che l’accerchiava, era invalicabile persino per il più cocciuto, era anche a prova di idioti, lo aveva progettato a regola d’arte. Era molta la paura di soffrire. Quella barriera invisibile fungeva da protezione, senza quella si sarebbe sentita constantemente in pericolo.
Recuperò il pacchetto delle sigarette dal cassetto, da persona ribelle qual era sua madre non era a conoscenza di questo vizio. Iris lo nascondeva molto bene con l’ausilio delle golia, e quando sua madre le chiedeva perché i vestiti emanassero quel nauseante odore di tabacco, lei rispondeva di essere rimasta a lungo nel bagno. Se la beveva tutte le volte, mentre Iris continuava a distruggersi i polmoni ingoiando fumo ad ogni ora del giorno, tranne la domenica. Aveva cominciato da circa due anni e non solo con le sigarette, ma anche cannabis, gentilmente offerta da un ragazzo ripetente come lei che la stava preparando sul tetto della scuola. Faticò per nascondere anche questo alla madre, ma il suo effetto adrenalinico momentaneo la spinse a continuare a scroccarne altre a quel ragazzo, nonostante fosse un perfetto sconosciuto.
Iris non si chiedeva il perché, ma quel ragazzo era la sua persecuzione e al tempo stesso la sua ancora di salvezza, nonostante la canna. Si infilò il pacchetto nuovo nella tasca del pantalone, e uscì munita di monospalla verso la rampa di scale per fare colazione.

Sua madre stava infilzando un pancake al miele per darne uno allo zio Carlo, che intanto - come ogni mattina - leggeva il giornale per essere sempre informato sulla cronaca.
Iris sospirò esausta, ed entrando nella cucina gettò il monospalla a terra sedendosi vicino alla tavola senza accennare un saluto ai commensali. Sua madre la fissò interrogativa, da tempo aveva smesso di decifrare l’ambiguo comportamento della figlia. Stava crescendo, - una delle sue ridicole spiegazioni - era normale alla sua età sviluppare simili atteggiamenti di intolleranza verso gli altri - altra inutile spiegazione - come se Iris ce l’avesse col mondo intero e con ogni essere che lo popolasse. Senza rivolgerle una parola spostò la frittata nel suo piatto e si accomodò. Carlo ripose il giornale accanto al piatto, e alzando gli occhi sussultò vedendo Iris.
Non si era minimamente accorto che la nipote si era degnata di scendere a colazione, troppo impegnato nella lettura. 
«Giorno, Iris.»
«Giorno, zio.» salutò anche lei, sorseggiando del caffè.
«Ah, quasi scordavo, buon San Valentino, cara.» cambiò discorso lui. 
Iris serrò le labbra per evitare di dire parolacce. Era la terza persona, quel giorno, a ricordarle quel giorno fastidioso, e non le sarebbe costato nulla mollargli un bel ceffone.
«Carlo, ti prego.» lo implorò la cognata, poggiando una mano sulla sua. «È uno dei giorni no di Iris.» 

Uno dei tanti giorni in cui Iris si svegliava dalla parte sbagliata del letto, avrebbe voluto aggiungere, ma preferì stare zitta.

« E quando mai un giorno per Iris è dritto?» 
«Fai del sarcasmo, zio?» s’intromise la diretta interessata con la forchetta nella bocca, intenta a masticarla con rabbia.

«No, ovvio che no. Ho solo detto che non sopporto questa tua nuova...» alzò gli occhi al soffitto della cucina come se stesse decidendo quale termine utilizzare per spiegarsi quel drastico mutamento. «Personalità.» terminò, sollevando il mento ricoperto da una fine peluria rossiccia.
«Dove sarà mai finita la nipotina estroversa, simpatica e gentile che eri? Vorrei proprio saperlo.»

«È morta.»


 

 
   
 
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