Ormai Lydia viveva in pianta stabile all’Istituto di New York; nessuno aveva capito ancora come mai non ne volesse sapere di tornare a Idris, ma Jace e gli altri le avevano aperto le porte, invitandola a sentirsi sempre a casa sua e lei li aveva presi in parola.
Non che a Jace dispiacesse, dopotutto, ma si era reso conto che, più i giorni passavano, più quella presenza lo turbava.
Non era nulla di paragonabile a come lo aveva fatto sentire Clary – e in un certo senso ne fu sollevato, visto il loro grado strettissimo di parentela. Clary lo completava in un modo che difficilmente sarebbe stato in grado di spiegare. Lo rimetteva insieme, lo rasserenava, anche se sapeva renderlo altrettanto frustrato e agitato quando cercava di fare di testa sua.
Lydia lo spezzava. Lo svuotava per poi riempirlo nuovamente, con sensazioni nuove e potenti. Vibrazioni che nessuna delle azioni pericolose, missioni impossibili, viaggi oltre il tempo e lo spazio gli avevano fatto provare prima. E sì, doveva ammetterlo, lo eccitava anche, portandolo a immaginare – in qualsiasi momento della giornata, persino i meno opportuni – di spogliarla e toccarla al punto da consumarle e bruciarle via di dosso fino all’ultimo briciolo di polvere fatata.
Quella cacciatrice, senza muovere un muscolo nella sua direzione, lo aveva catturato.
«Ehi, angelo, vieni ad allenarti con me o sei troppo impegnato a pensare agli unicorni?», ovviamente, la sua lingua sprezzante e biforcuta era un’altra delle tante cose che lo facevano impazzire. Avrebbe voluto prenderla e darle una bella lezione, così da farla pentire di aver parlato, ma anche in quel caso poi, nella sua mente, la scena avrebbe preso tutta un’altra piega.
«Sarò ben felice di farti vedere come si combatte, ché a Idris forse ti hanno istruita con il guanto di velluto. Ti faccio vedere come si muove un cacciatore di New York!»
E di nuovo, ogni parola che gli veniva in mente, si ricopriva di mille doppi sensi che lo facevano agitare, e non solo quello. Il didietro alto e meraviglioso di Lydia – con quel movimento morbido e sinuoso – lo aveva incantato come l’ipnotica melodia di un pifferaio magico.
«Non dire gatto se non ce l’hai… - non avevano ancora varcato la soglia della palestra che Lydia si mosse, veloce come un felino, colpendo con un piede il ginocchio di Jace, che si piegò facendolo cadere a terra; con una mossa lo sovrastò piantandogli il calcio della spada sotto al mento – nel sacco!»
«Non è leale, non era ancora iniziato l’allenamento!», protestò il biondo, sentendo il suo corpo reagire pericolosamente a quella vicinanza. «Mi hai preso alla sprovvista, ero distratto.»
«È questo che non deve mai fare un vero Shadowhunters: perdere la concentrazione. Potrebbe essere un bel culo a costarti la pelle!»
Jace, a quelle parole, arrossì violentemente, cercando di tenere basso lo sguardo sempre troppo attratto dal suo seno stretto nella tuta di pelle nera; era imbarazzato, certo, ciononostante continuava a pensare a come sarebbe stato soddisfacente disegnarle sul petto una bella runa Eros, così… giusto per fargli pagare tutta quella circolazione extra di sangue su e giù per il proprio corpo.
In tutto questo pensare – e fantasticare – Lydia lo aveva rialzato, abbattuto e rialzato già una decina di volte, lasciandolo stropicciato a terra come un calzino rimasto orfano dopo la lavatrice.
«Jace – gli disse infine lei, prima di sorridergli soddisfatta e sculettare fuori dalla porta – dovresti smetterla di pensare con lo stilo, non è salutare.»