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Autore: AntoStark    30/09/2016    0 recensioni
Nella vita sono sempre stata brava a fare una sola cosa, scappare, scappare da tutto quello che mi era attorno. Durante una delle mie fughe mi sono ritrovata a Manhattan, uno dei quartieri di New York, io ancora non lo sapevo ma, quella era la cosa migliore e peggiore che mi potesse mai capitare. Stando a New York ho conosciuto la vera me, quella che nessuno mi aveva mai rivelato che ero, ho scoperto che non ero esattamente come tutti gli altri. Il passato torna sempre e le bugie vengono a galla, attento a quello che dici o fai, gli occhi sono ovunque e le voci non tardano ad arrivare.
Genere: Horror, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
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Avevo ascoltato attentamente il suo cuore e i suoi respiri da quando eravamo entrati in quella stanza, ricordo di aver urlato non sentendo più il suo corpo compiere delle azioni automatiche e normali umane. Ero corsa per il corridoio dell'ospedale come una pazza in cerca d'aiuto, quando questo arrivò era ormai tardi e il suo corpo giaceva sul letto bianco immobile, in un sonno profondo che sarebbe durato in eterno. Non volevo crederci, continuavo a darmi dei pizzichi sul braccio sperando di essere solo in un brutto sogno invece no, non succedeva niente, quella era la realtà. Le mie cattive azioni avevano portato la morte della persona a me più cara, il mio ragazzo. Ero Evelyn Miller l'assassina, ecco cosa ero, solo questo. Ogni cosa nella mia città Natale, dopo la sua morte, mi ricordava lui, dalle strade con le grandi insegne al neon alle piante del mio giardino. Dovevo cambiare aria, andare da qualche altra parte e ricominciare, anche se questa era un po' una scusa per scappare da lui o meglio, dai suoi ricordi e dalle brutte amicizie. Per fortuna quando lo dissi a mia madre e le proporsi di andare a vivere da mio padre, i miei genitori erano separati, lei per la prima volta mi disse di sì. Di solito iniziavamo a litigare non appena pronunciavo la parola 'papà' ma, quella volta non lo facemmo, semplicemente aveva capito che era meglio per me andare via. Quando vidi mio padre davanti all'aeroporto mi buttai tra le sue braccia, non gli dissi niente, semplicemente lo stringevo a me per tutto il viaggio e stavo con le mie cuffiette nelle orecchie, ascoltavo l'unica cosa che mi aiutava e mi aiuta ancora oggi a calmarmi, a stare bene, la musica. Può sembrare folle ma, noi adolescenti troviamo riparo nelle parole di persone a noi sconosciute che si trovano dall'altra parte del mondo ma, siamo fatti così, stiamo bene grazie a persone che nemmeno ci conoscono ma, che ci conoscono meglio di quanto credono. Quando atterrammo a New York ero praticamente mezza addormentata e avevo iniziato a dire cose senza senso finché non ero crollata sulla spalla di mio padre, poverino non solo doveva aspettare che arrivassero le mie valigie ma, doveva anche sopportarsi la mia testa sulla sua spalla e il mio sbavare quando dormo. Mia madre aveva insistito tanto che lui venisse a prendermi e mi facesse compagnia nel volo, continuava a ripetergli che avrei perso l'aereo, mi sarei dimenticata la valigia e che probabilmente aspettando quest'ultima, mi sarei addormentata come una barbona sulla panchina e mi avrebbero derubato, sì mia madre credeva molto in me ma, dopotutto non aveva torto. Dopo aver recuperato le mie valigie e avermi svegliato dai mie sogni o meglio, incubi, mio padre mi aveva accompagnato nella sua nuova casa con la propria compagna e figlia di quest'ultima. Katherine, la figlia della compagna di papà, era una di quelle persone che prenderei sempre a schiaffi. Dal primo momento in cui ero arrivata in quella casa mi aveva sbattuto la sua felicità in faccia. 
-Eve ma da quanto tempo!- 
Aveva urlato correndo ad abbracciarmi.
-Ciao Kat.-
Avevo risposto ricambiando il suo abbraccio giusto per essere gentili, dovevo viverci con quella.
-Vorrei tanto poter stare con te stasera per darti il benvenuto nella grande mela ma, ho un appuntamento col mio ragazzo.-
In quel momento papà mi aveva guardato preoccupato aspettandosi un mio crollo, poteva anche scordarsi che io sarei crollata davanti a quella. Semplicemente le accennai un sorriso.
-Non preoccuparti, sarà per un'altra volta-
-Potresti venire con noi però-
-Nono, non voglio rovinare il momento e poi sono molto stanca-
Portai una mano alla bocca facendo uno sbadiglio abbastanza convincente.
-Va bene-
Mi aveva rivolto un gran sorriso ed era uscita dalla porta, per fortuna era andata via, non la sopportavo proprio.
-Evelyn cara, sei arrivata, sono così felice che tua sia qui-
Ecco l'altra donna con cui dovevo vivere, Susanne la compagna di mio padre anche conosciuta come la madre dell'oca. Sorrisi anche a lei e mi trascinò per tutta casa spiegandomi dove si trovava ogni cosa, durante questo mio piccolo viaggio notai che mio padre non le faceva mancare niente e che viveva in una casa veramente troppo grande. Quando mi liberai finalmente di Susanne mi buttai sul letto della mia camera, era così comodo e grande, in quella casa era tutto davvero troppo grande. Mi chiesi se mi sarei mai abituata a quel posto, sembrava un castello a confronto del mio appartamento a San Francisco. Mi misi a sedere per osservare meglio la stanza in cui ero, la stanza che mi toccava riempire di poster, disegni e foto altrimenti mi sarebbe venuta l'angoscia solo a guardarla. Scesi dal letto e iniziai a disfare i miei bagagli, mi ci volle soltanto un'ora per togliere tutto dalle valigie e ci avrei messo di meno se non avessi iniziato a giocare a 'vediamo se riesco a fare canestro nell'armadio se mi metto dall'altro lato della stanza'. Osservai soddisfatta il disordine da me creato, basta dire che tutte le mie penne e matite erano cadute 'accidentalmente' a terra. Pensai alle urla che papà mi avrebbe rivolto il mattino seguente e mi avvicinai alla finestra, da qui avevo una bella visione della grande mela. Non ero mai stata a Manhattan, il quartiere dove vivevo, o a New York in generale prima d'ora, distrattamente mi ritrovai a pensare che a Nathan sarebbe piaciuta e che avremmo scherzato sulla grandezza di questa casa, che si sarebbe affacciato alla finestra e poi si sarebbe girato a guardarmi, avrebbe riso mentre diceva quelle sue perle romantiche e stupide allo stesso tempo. Mi mancava, dio se mi mancava, erano passati soltanto sei mesi e alcune volte potevo ancora sentire le sue braccia stringermi. Nathan era il mio ragazzo, non meritava di morire com'è morto, per colpa mia, solo mia. Mi avvicinai al mio armadio e presi il mio pigiama, lo indossai e dopo essermi lavata i denti andai a dormire. Speravo che il giorno seguente sarebbe andato tutto bene, dovevo andare a scuola ma, mi sembrava di dover andar in guerra. Mia madre mi aveva permesso di partire ma, mi aveva detto anche che se non tornavo subito a scuola mi faceva ritornare a casa. "Non ci saranno problemi dato che siamo soltanto ad Ottobre, il vero problema forse sarà solo fare amicizia con i miei compagni di corso, devo fare l'ultimo anno delle superiori per poi andare al college, loro si conosceranno tutti da una vita" mi ritrovai a pensare per poi chiudere gli occhi addormentandomi.
   
 
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