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Autore: JacobStark    01/10/2016    2 recensioni
ATTENZIONE, IL CAPITOLO 7 E' STATO RICARICATO A CAUSA DI UN PROBLEMA DEI SERVER
Davanti a lui c’era una ragazza dall’aria stranamente familiare, profondamente addormentata nonostante le urla di Akane. La dormiente era rossa di capelli, ben dotata, snella ma muscolosa e cosa più importante, o imbarazzante, Ranma sul momento non seppe dirlo, era completamente nuda.
Ma la cosa che riuscì a pietrificare il ragazzo fu un’altra. Perché il volto, il volto era quello di lui in forma di ragazza!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Nuovo personaggio, Ranma Saotome, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una nuova, grande avventura!

 

 

Ranma

“AHHHHH! Ce l’avete fatta, ce l’avete fatta! Vi siete baciati!” Ranma era euforica. Quei due testoni si erano baciati! Su una ruota panoramica. Al tramonto. Cosa c’era di più romantico? Stava saltellando dall’entusiasmo. L’immagine era troppo adorabile. Ed anche l’Akane davanti a lei era adorabile. Aveva gli occhi che splendevano, e il viso arrossato. La sua amica era felice come non l’ava mai vista. Quando a cena li aveva visti litigare come al solito un po’ si era preoccupata, ma poi era salita in camera di lei, dove erano state raggiunte dal fratello, che come al solito era passato dalla finestra. Le avevano raccontato di tutto l’appuntamento, di loro due che erano saliti sulla ruota, con un Akane che raccontava come lui si era avvicinato, mentre Ranma diventava sempre più rosso. L’effetto era comico era fantastico. Ma sopratutto, lei si era seduta sulla sedia, mentre i due erano sul letto, mano nella mano. Quanto erano dolci. La rossa ascoltò attentamente la decisione dei due di non rivelare nulla alle famiglie e agli amici, e di comportarsi come se tutto fosse normale, almeno per un po’, ma sapeva che sarebbe stato impossibile. Suo fratello era troppo geloso, ad anche Akane non era da meno. “Sentite, ma volete che vi lasci per stanotte? Per dormire assieme?” Entrambi esplosero dall’imbarazzo. Si vedeva la nuvola di vapore uscire dalle loro teste, forse come conseguenza dell’eccessivo arrossamento dei due. “Tranquilli, forse non siete pronti. Magari tra un mesetto. Ricordate che voglio un nipotino.” disse Ran-chan, maliziosa. I due neofidanzati divennero, se possibile, ancora più rossi, pensando a quello che significavano quelle parole. Poi la rossa fece un sorriso e mandò fuori il fratello. “Sono contenta ma adesso dobbiamo parlare di cose da ragazze!”

Suo fratello sembrava un po deluso, ma accettò passivamente i suoi capricci e tornò in camera, passando dalla finestra. “Allorallorallora? Come è stato? Cosa hai provato?” “E’ stato bellissimo, lui.. mi a fatto una confessione bellissima” e ripeté, parola per parola, la confessione del ragazzo. Ran-chan uno’ si commosse. Non pensava che lui fosse in grado di parola tento belle. Poi però la sua mente tornò al pensiero iniziale. “Non provare a intortarmi ragazza, io ti ho chiesto una cosa precisa. Come è stato?” Akane arrossì. “Era… caldo. Mi sembrava di andare fuoco dove mi toccava, sia con le labbra che con le mani. Ed anche…” Ranma la guardò maliziosa. “Lì? Proprio lì? Ma che sporcacciona che sei Akane!” disse la rossa, stupita che la pura e casta Akane avesse provato quel tipo di sensazioni. Chissà cosa avrebbe pensato suo fratello se le avesse detto cosa aveva sentito la sua bella. “E poi… mentre eravamo lassù, io gli sono praticamente saltata addosso. Io, io non so cosa mi sia preso, ma gli sono letteralmente salita addosso, e poi mi sono messa ad infilargli al lingua in bocca. E mi è piaciuto un sacco. Ma cosa mi era preso?” Disse la ragazza. La rossa fece un’altro dei suoi sorrisi. “Credo fosse il desiderio represso. Volevi farlo con mio fratello così tanto che non ti sei trattenuta, lasciando che tutti i tuoi istinti prendessero il sopravvento. E così è venuta fuori la selvaggia Akane. In effetti è un’Akane che vorrei vedere, sarebbe divertente.” disse, tutta divertita. Ohhh, quanto si sarebbe divertita a torchiare suo fratello quella notte. Non l’avrebbe fatto dormire! Poi abbracciò l’amica, le diede un leggero bacio dietro alla guancia e poi scappò via, tutta divertita dalla reazione dell’amica. 

In camera vide suo fratello sdraiato sul letto, intento, forse, a fantasticare su Akane. Da come muoveva le mani probabilmente stava ripercorrendo le forme di Akane. “Ciao, che combini?” chiese, apparendogli sopra la testa. Lui si prese un colpo, rotolando a terra. “Nulla, nulla.” disse lui, imbarazzato. Si, stava decisamente pensando a lei. “Allora, raccontami!” Disse, con gli occhi scintillanti di curiosità. Suo fratello rimase interdetto per un secondo, diventando ancora più rosso dei suoi capelli. “M-ma non ti ha detto tutto Akane?” Ranma fece un sorrisetto maligno. “Lei mi ha dato la sua versione dei fatti. Ora voglio la tua. Parla” disse, con un tono che non ammetteva nessuna replica. E Ranma lo capì. Allora prese un grosso respiro, e, rassegnato, si mise a parlare. Anche lui finì per raccontare tutto. Dell’assurdo giro nella casa degli orrori, della sua folle corsa in giro per il parco mentre seguiva Akane, del momento magico in cui aveva provato a parlare, della tensione al momento del bacio. Della sua felicità nel momento in cui Akane aveva ricambiato il bacio. Ed infine dello stupore quando lei, in preda ad una selvaggia passione, si era avvinghiata a lui e lo aveva cominciato a baciare con furia. E questo inaspettato lato della ragazza gli era piaciuto. E poi… e poi gli raccontò della confessione che lei gli aveva fatto, parola per parola. Ran-chan si commosse. Certo, era un modo tutto particolare di confessarsi, ma era anche così tenero e romantico. Poi abbracciò il fratello. “Bravo fratello, bravo. Non è bello avere nuovi appoggi? Io… non ricordo nulla del passato. E per quanto voi mi possiate raccontare, io non posso essere sicura. Ma grazie a te, ad Akane-chan, e a tutte le persone di questa famiglia ho potuto creare qualcosa di nuovo. Ed ora che voi siete insieme mi sento… più completa, come se avessi fatto qualcosa che mi permette di stare meglio con me stessa.” Poi si spostò accanto al fratello, appoggiando la testa sulla sua spalla, come un cucciolo in cerca di coccole. Coccole che arrivarono, sotto forma di piacevoli carezze sulla testa e grattini sul collo. La ragazza tentò di trattenersi, ma non riusciva a evitare di muoversi verso le carezze e i grattini. Erano quasi una droga, né era dipendente, anche se in quel caso la dipendenza entrava in azione solo quando le riceveva. Chissà cosa gli succedeva. “Fratellone, una domanda. Se ti dovessi presentare un ragazzo, cosa faresti?” dalla faccia era palese che no si aspettava la domanda, perché rimase a guardarla per quasi un minuto buono. Poi la sua bocca si aprì lentamente, ed articolò una frase con altrettanta lentezza. “Non lo so cosa farei. Ma tanto il problema non si pone, vero?” chiese, con un tono estremamente meccanico. Ran-chan fece una risatina. “Certo fratellone, per ora. Ma in futuro chissà!” disse, sorridendo. L’ombra sul volto di Ranma era molto meno divertita. 

 

 

Akane

Quella mattina si svegliò felice. Ed era lunedì, tanto per capirci. Ma non riusciva a contenersi. Era fidanzata. Con Ranma, il suo Ranma. All’idea si rigirò nel letto sorridendo. La sua felicità venne però stemperata da una pensiero meno felice. Non poteva dirlo. Era un segreto tra lei, Ranma e Ranma. Quella cara e dolce ragazza, che tanto li aveva aiutati. Se prima era terrorizzata all’idea del suo destino ora non vedeva l’ora  di vedere cosa gli avrebbe riservato la giornata. Chissà se… divenne rossa pensando alla possibilità che Ranma venisse a dargli un bacio, ma più probabilmente sarebbe stata lei a dover chiam… -toc toc- un rumore di bussata venne dalla finestra. Possibile che? Akane si alzò, spostò la tenda ed il suo cuore ebbe un sobbalzo. Alla finestra c’era Ranma, con un sorriso dolce sul volto. Le fece cenno di aprire la finestra, cosa che lei non avrebbe mai fatto fino al giorno prima, ma che in quel momento lo fece senza nemmeno pensarci. “Ben svegliata Akane.” Gli sussurrò nell’orecchio, mentre l’abbracciava. Akane ebbe un momento di dubbio. Da quando Ranma, timido e e timoroso con lei, le faceva visita di prima mattina per scambiasi effusioni? Poi lui le afferrò il mento con dolcezza, girando il suo volto verso di lui, e la guardò negli occhi. “Akane, non pensare che io sia uno sfacciato o un pervertito. Voglio solo che, dato che dovremmo fingere, tu ti ricordi. Di quanto mi piaci, di quello che abbiamo condiviso, di quello che condividiamo.” La baciò con trasporto, ma rimanendo tranquillo, senza spingere. Fù Akane, come il giorno prima, a cercare di più. Nemmeno lei sapeva cosa le prendesse, ma con un colpo d’anca buttò Ranma sul suo letto, e gli si sdraiò addosso, chiedendo con lo sguardo altri baci, che ottenne. Entrambi di misero a cambiarsi anche delle piccole carezze. Era la cosa più romanica ed eccitante che Akane avesse mai fatto. Avvinghiarsi così, baciarsi, sentire il calore dei loro corpi. In quel momento il suo cervello era spento, inutilizzabile, fuso per colpa della passione che la divorava. Poi una delle mani di Ranma scese, appoggiandosi involontariamente sul suo sedere, ma al contrario di come credeva non le dispiacque. Anzi, aumentò ulteriormente la sensualità del momento. Sarebbe rimasta così per tutta la mattina, ma una leggera bussata li interruppe. “Akane? Sei sveglia? Farai tardi se non ti sbrighi.” La dolce voce di Kasumi li fece irrigidire. Sembravano due statue abbracciate. , tanto erano ridire. In un attimo Ranma ribaltò Akane, le diede un’ultimo, leggero, bacio sulle labbra e scappò fuori dalla finestra, velocissimo. Kasumi entrò nella camera, trovando Akane tutta scompigliata, con le coperte stropicciate e la faccia rossa. “Akane, hai fatto un brutto sogno?” chiese la mora, premurosa. “No Kasumi-neechan, sto benissimo.” poi, rossa, come un peperone, si decise a chiedere: “Kasumi, sei mai stata innamorata?” chiese cercando di buttarla sul caso. Kasumi sembrò sorpresa dalla domanda, così inaspettata da parte di Akane. “Bhe, sorellina, se posso essere sincera no. Non quando avevo la tua età almeno. E poi, finché non sarò sicura che la mia famiglia sia tranquilla, non posso proprio prendere impegni.“ sul volto solitamente tranquillo di Kasumi apparve un sorriso triste. “L’ho promesso alla mamma. Finché ci sarà bisogno di me io ci sarò per la mia famiglia, al fianco vostro e di papà.” Queste parole colpirono Akane. Lei sapeva che Kasumi aveva deciso di occuparsi della casa  e della sua famiglia, ma non sapeva che lei lo avesse promesso a loro madre. In quel momento si sentì profondamente in colpa per aver deciso di nascondere a tutta la sua storia con Ranma, ma aveva ancora troppa paura, e non è che Kasumi fosse così brava a tenere i segreti. E se se lo fosse lasciato sfuggire con Nabiki… apriti cielo. Quella iena di sua sorella sarebbe stata in gradi di lucrare con tutta la storia, sfruttandoli. Così si limitò ad abbracciarla forte, per poi rendersi conto dell’ora, e scaraventarsi in bagno, dove si scontrò con Ranma, appena uscita dalla vasca. “Spicciati sorella, oppure riesci di incontrare mio fratello.” poi aggiunse a bassa voce. “Anche se sono sicura che non vi dispiacerebbe, vero?” poi scappò via, sferrando un gran calcio ad Happosai, che si era fondato verso di loro. Sembrava che avesse un sesto senso per i pericoli. Chissà se avrebbe potuto insegnare anche a lei come faceva. 

A scuola, come al solito, i tre arrivarono per il rotto della cuffia, dopo aver inscenato la solita litigata mattutina. La sola vera differenza fu quando Kuno li “assalì”. Infatti non fece in temo neppure ad  avvicinarsi, perché ricevette un terribile calcio in faccia che lo proiettò nello spazio, facendolo schiantare al suolo con più forza del solito. Infatti sulla sua testa c’era Ranma, abbastanza infuriato da infierire un’altro paio di colpi a caso al deficente in questione. “Allora Kuno? La smettiamo? Non ti darei mai mia sorella, e nemmeno Akane merita un’idiota del tuo calibro. Sei davvero pessimo.” l’eccessiva irritazione traspariva dalla  sua voce, tanto che intorno a loro cominciato i mormorii “Perché oggi Ranma è così deciso?” “Ha sempre sopportato Kuno e i suoi modi, a modo suo. Che sia successo qualcosa?” così fece un cenno a Ran-chan, che fece un cenno a Ranma che capì e smise di infierire sull’avversario svenuto. Poi corsero in classe, avevano perso anche troppo tempo.

Dopo una giornata relativamente tranquilla, Ranma lamentava una certa insistenza da parte di Kuno nel vendicarsi ma gioiva del nuovo record nel suo sport preferito, abbatti il rompiscatole, tornarono a casa, dove ad aspettarli trovarono uno spettacolo inconsueto. C’era un tizio strano, con i capelli castani e una giacca di pelle, che teneva Happosai legato con una corda, e dava una solenne strigliata al signor Saotome e suo padre. Era straniero, infatti parlava un giapponese un po’ troppo accademico. Comunque si faceva capire bene. “Dovreste essere più attenti con vostro nonno. Un signore di questa età non dovrebbe andare in giro a infastidire delle signore. Specialmente cercando di rubare loro l’intimo.” Da parte loro i due maestri erano stupiti. Nessuno aveva mai catturato Happosai, e di sicuro nessuno era nei riuscito a legarlo e a portarlo a casa. Insomma, i due erano impressionati. “Allora, cosa avete da dire a vostra discolpa?” Troppo tardi si accorse che il vecchiaccio si era slegato, e stava per saltagli addosso. Peccato che Happosai si mise ad urlare. “Ora ti faccio vedere io chi è il maestro Happosai! Happodaikarin!” urlò, tentando di scagliare la sua arma definitiva contro il ragazzo. Però Ranma gli si oppose, colpendo la bomba e rispedendola indietro. Quando il fumo si diradò Ranma si erse sul vecchiaccio.” Nessuno ti ha mai detto che con gli ospiti bisogno essere cortesi vecchio?” Lo sconosciuto lo guardò. “Ah, ma tu sei il ragazzo dell’atro giorno! Grazie per le indicazioni, ho trovato subito il ristorante. Comunque la vita da queste parti deve essere un’inferno, con questa specie di maniaco in giro. Molto piacere, io sono Alberto Galipò, sono uno studioso di archeologia e paleo archeologia. Chi sono le signorine?” disse, accennando con la testa a lei e Ran-chan. Ranma stava per rispondere, ma le ragazze lo fermarono. “Io mi chiamo Ranma, e lei è Akane. E non  provare a provarci con Akane. Lei è impegnata con mio fratello!” disse, con il suo solito tono deciso. Lui mostrò di non capire il problema, ma poi una scintilla di comprensione gli balenò negli occhi. “Oh, non preoccupatevi. Sono solo venuto a riportarvi il pervertito. In caso, potrei chiedervi se conoscete il maestro Happosai?” Tutti guardarono verso Happosai. Alberto prima li guardò, per capire dove fissassero, poi girò lo sguardo verso il vecchio maestro. “LUI?”  tutti annuirono. “Ma come…” La faccia del ragazzo era terribilmente delusa. Ma Happosai non era mai stato troppo bravo ad intuire i sentimenti altrui. “Allora ragazzo perché cercavi il grande maestro Happosai? Per diventare mio fedele allievo?”  Se il vecchiaccio fosse stato meno accorto, il colpo sarebbe stato micidiale. Happosai aveva schivato il colpo, ma il pavimento no, infatti c’era un buco delle dimensioni precise della mano del ragazzo. “Fossi anche il più grande maestro di arti marziali al mondo io non prenderei mai e poi mai lezioni da un porco pervertito del tuo calibro!” Era abbastanza arrabbiato alla proposta. “Ma alla perché lo cercavi?” chiese Akane. Non capiva cosa chi diavolo potesse cercare Happosai. “Scusa, ma perché cerchi questo maniaco? Se devi picchiarlo per qualche motivo sappi che collaboreremo tutti.” Disse Ran-chan, entusiasta. Lui la guardò leggermente stupito dalla voglia di sangue della rossa. “No, anche se forse dovrei. Ero venuto a chiedere se sapeva qualcosa delle fonti maledette, l’amazzone Cologne m ha indirizzato da lui. Allora, signor pervertito*, né sa qualcosa?” disse, rivolgendosi ad Happosai, il quale prese un sospiro, si mise in una posizione come se stesse riflettendo e poi disse “E che ne so io!” Tutti nella stanza caddero a terra. Quella posa aveva fatto pensare a tutti che qualcosa ne sapesse Happosai, e invece nulla. Quello che ci rimase più male era però il nuovo arrivato, Alberto. Alla fine qualcuno invitò il ragazzo a fermarsi per cena, anche solo per ringraziarlo di aver riportato il maestro a casa. 

 

 

Ranma

Dopo un paio d’ore Ranma aveva capito un paio di cose sul loro ospite. Era italiano, studiava archeologia in giro per il mondo ed era un grande esperto di arti marziali. Inoltre era anche bravo a cucinare, dato che si era offerto di dare una mano a Kasumi, che guardava con un certo interesse. Ma chiunque avrebbe guardato con interesse Kasumi, visto quanto era dolce e bella. Cioè, per lui c’era solo Akane, ma, oggettivamente, Kasumi era bellissima. Tornado al loro ospite, poteva percepire che era in grado di usare il ki, forse meglio di lui. Insomma, la sua conoscenza del ki era piuttosto limitata, sapeva come percepirla e manipolarla, ma sapeva benissimo che la sua abilità era ad un livello meno che embrionale. Forse avrebbe potuto chiedergli dove si era allenato e con chi. Però, a parte tutto, lo trovava davvero simpatico. Ci aveva parlato per un’oretta, e da quanto aveva capito quel tipo aveva girato anche più di lui, andando in India, in Mongolia, in Malesia, in Vietnam, in Thailandia, oltre che in Cina. Insomma, a quanto pare aveva inseguito il mito delle sorgenti maledette per tutta l’Asia. Eppure a quanto pareva non aveva trovato nulla, non un indizio, non una leggenda. Nemmeno la guida delle sorgenti maledette sapeva nulla della loro origine. Chissà se avrebbe mai scoperto qualcosa. In fondo, con tutta la strada che aveva fatto, si meritava di scoprire qualcosa. Poi un suono venne dalla campana posta all’ingresso del dojo. Qualcuno che si presentava alla palestra così tardi? Prima di cena? Ma chi era il pazzo? “Scusa, ma a quanto pare c’è qualcuno alla porta della palestra, e mio padre pretende che sia io ad andare a vedere. Dice che forma il carattere come maestro.” Poi si recò alla porta. Quando ci arrivò vicino però qualcosa lo fece sobbalzare. Qualcosa, non il suo solito istinto, gli diceva di stare attento. Dietro quella parta c’era qualcuno dotato di una potenza spaventosa. Chiunque fosse, stava emettendo un’energia mostruosamente potente. Ranma, inquietò apri la porta, ritrovandosi davanti un tipo vestito con un lungo cappotto nero, i tratti occidentali e lunghi capelli bianchi come la neve. Sotto l’ombra scintillavano due occhi del colore del ghiaccio. “Salve. Mi chiamo Artorias Stark. Sono un artista marziale europeo, dall’isola di Flott Vinter*, nel nord Europa. Mi hanno detto che in questo dojo si pratica arti marziali indiscriminate, uno stile unico al mondo. Ero venuto per mettermi alla prova nel vostro dojo, è possibile?” La sua voce, allegra e gentile, mascherava la sua forza spaventosa, che però filtrava dagli occhi. Tuttavia un brivido di emozione risalì la spina dorsale di Ranma. Un avversario. Un avversario forte, come non gli capitava da tempo. Certo, Ryoga non scherzava, ma lo conosceva, sapeva come fregarlo, conosceva le sue mosse, insomma, affrontarlo era quasi una noia, a modo suo. Questo tizio invece sembrava ancora più forte di Ryoga, e per di più non sapeva nulla di lui. “Si, questo è il dojo di arti marziali indiscriminate dei Tendo. Io sono Ranma Saotome, uno degli allievi e degli insegnati. Se desideri batterti, dovrai combattere con me.” Negli occhi dello straniero comparve una scintilla. Poi un piccolo uggiolio distrasse Ranma. Da sotto il cappotto, sul petto comparve il muretto di un cucciolo di lupo, dal pelo grigio come le nubi d’inverno. Aveva uno sguardo infinitamente dolce e giocoso,  ma che nascondeva qualcosa. Anche lo sguardo, finora ombroso del ragazzo, si illuminò. “Ehi Sif, cucciolo, che ci fai qui? Ti piace questo ragazzo?” Il lupacchiotto annuì con il muso, lanciando un uggiolato entusiasta, abbastanza da allungare la testa per farsi accarezzare “Wof!” abbaiò, in cerca di contatto con Ranma, che non riuscì a resistere all’idea di accarezzarlo. Allungò la mano e fece un grattino al cucciolo. C’era qualcosa di stranamente gratificante piacevole nel farlo, come quando coccolava sua sorella. “Allora, Stark, ti chiami così, giusto? Entra, se ti va bene combatteremo subito. “ Disse, facendo accomodare il  ragazzo dai capelli bianchi nel dojo. “Aspetta qui, chiamo il capo del dojo per fare da arbitro.” 

“Papà, Signor Tendo! C’è uno sfidante per la palestra. Combatterà con me.” I due genitori lo guardarono, straniti. “Figliolo, ma sei sicuro di voler combattere a quest’ora? Tra poco ci sarà la cena!” “Appunto papà, tra poco. Giusto il tempo per un piccolo combattimento!” Dopo un po’ di borbottii e proteste tutti, compreso Alberto si trasferirono nel dojo. Ranma riusciva a stento a contenere l’entusiasmo. Finalmente un combattimento come si deve, dopo tanto tempo. Stranamente, quando sua sorella entrò nel dojo e vide il suo sfidante arrossì per un’attimo per poi fissare intensamente il nuovo arrivato, che lei restituì lo sguardo e fece un mezzo sorriso. Poi sua sorella fece una risatina e si mise a parlottare con Akane. Ranma era un po stranito, ma decise che, se quel tipo voleva provarci con sua sorella allora lo avrebbe dovuto picchiare ancora più forte. Ma successe un’imprevisto. Non appena Alberto si ritrovò davanti il suo avversario si paralizzò, per poi rivolgersi all’altro, che aveva circa la stessa età, con parole molto dure “Tu, maledetto!” “Mi conosci?” chiese Artorias, leggermente stupito “Chi diavolo saresti?” “Mi chiamo Alberto Galipò, e sono pronto a sfidarti. Tu hai partecipato al Torneo dei Ares** che si è tenuto tre anni fa, diventandone il campione indiscusso, ma passando le semifinali per abbandono. Ebbene, quello che non riuscì a combattere contro di te ero io. Poi sei scomparso, e nessuno degli altri avversari che mi sono trovato davanti era lontanamente simile a te. Perciò, se questi maestri mi daranno il permesso, vorrei sfidarti, qui e ora. Allora accetti?” chiese, con tono di sfida. Gli occhi dello strano guerriero dai capelli bianchi si illuminarono. “Non vedo l’ora.” un sorriso feroce gli apparve sul volto. E Ranma capì. Capì cosa provava in quel momento quel tipo. Passare il turno di un torneo, evidentemente importante, senza combattere, evidentemente gli bruciava canora, nonostante il tempo passato. “Sempre che per te non sia un problema, Saotome.” Disse, chiedendo a Ranma. In effetti sarebbe stato piuttosto scortese cominciare a combattere con qualcun’altro dopo che aveva sfidato lui. Ma il ragazzo con il codino annuì, lasciando intendere che per lui andava bene. “ A patto che poi il vincitore combatta con me.” disse, entusiasta. 

 

*Flott Vinter: Grade Inverno in norvegese, un isola immaginare posta nel tratto di mare tra l’Inghilterra e la stessa Norvegia, delle dimensioni della Corsica. La famiglia Stark risiede lì, e la stessa isola è considerata stato neutrale ed extraeuropeo a tutti gli effetti. 

**Torneo di Ares: Immaginario ma importante torneo che si tiene ogni 5 anni, radunando combattenti da tutta l’europa, che si contendono il titolo di miglior combattente del vecchio continente. Alberto, tre anni prima della storia, era arrivato alle semifinali, ma a causa di un grave problema dovette ritirarsi, facendo vincere Artorias per abbandono. La cosa non è mai andata giù a nessuno dei due.

 

 

 

Alberto Galipò

Finalmente. Quella sfida mancata lo aveva sempre lasciato l’amaro in bocca, nella sua impossibilità di determinate se davvero il suo avversario fosse il più forte guerriero d’europa. Quella del torneo di Ares era una tradizione antica come l’Europa stessa, e vincerlo era un grande onore. Ma lui, proprio il giorno prima della semifinale, era dovuto tornare a casa, a causa di un grave evento. Ora, finalmente, avrebbe potuto fare ciò che voleva fare da tempo. Combattere Artorias Stark, sicuramente uno dei più forti guerrieri d’europa, era un sogno quasi pari a quello di scoprire la verità sulle sorgenti maledette. Sotto gli occhi del maestro Tendo si misero in guardia. Da sotto il lungo cappotto nero, che lo faceva assomigliare a Van Helsing, uscì un cucciolo di lupo grigio, che, tra gli urletti delle ragazze, si andò a strofinare sulla sorella di Ranma, che, senza troppe domande, lo prese in braccio e accettò di fagli le coccole. Dopo questa distrazione il suo avversario si rimise in guardia, togliendosi il cappotto e lanciandolo  via. Indossava una specie di casacca nera di lino, probabilmente per facilitarsi i movimenti. La sua posa non riusciva a capirla invece. Non assomigliava a nessuna arte marziale che conoscesse, mentre invece gli pareva che negli incontri precedenti a cui aveva assistito aveva sempre usato tecniche provenienti da altre arti marziali, karatè, kung fu, krav maga, oppure da una miriade di altri stili differenti, ma quello non l’aveva mai visto. La guardia era apparentemente aperta, ma dava l’ impressione di poter respingere qualunque attacco. Come era possibile che fosse così? Si lanciò all’attacco, tentando di colpirlo con uno dei suoi pugni migliori, che però venne deviato con facilità. Il suo avversario aveva semplicemente deviato la sua mano e lasciato che il colpo gli scivolasse lungo il braccio. Troppo leggero per essere percepito, troppo veloce per essere afferrato. Insomma, era riuscito a capire che lo aveva evitato, ma non come. Il combattimento continuò per infiniti minuti. Quel tizio era bravo, anche troppo. La sua velocità lo stupiva. Aveva un che di innaturale, come se riuscisse a prevedere ed evitare ogni sua mossa in modo quasi animale. Non riusciva a colpirlo e lui non rispondeva agli attacchi. Si limitava  a schivare e a bloccare i colpi. “Hai un ottima tecnica, e sensi eccellenti, ma il tuo corpo non reagisce abbastanza in fretta.” Gli sussurrò, serio, l’avversario nell’orecchio, mentre penetrava la sua guardia per infliggergli una spallata nello sterno, che lo lasciò senza fiato e lo  In quel momento capì, almeno in parte perché lo stile gli era così alieno. Non stava combattendo con le arti marziali, ma con tecniche da spadaccino europee. La spallata data in quel modo era una tecnica di sfondamento dei cavalieri, che, in armatura pesante, si scagliavano contro il nemico per sbilanciarlo e buttarlo a terra. Ora finalmente riconosceva le pose. Non era un’esperto, ma la Sicilia aveva una lunga tradizione di maestri di spada, nel suo passato, e qualcosa sapeva anche lui. Ma era anche preoccupato. Una persona in grado di combattere usando le braccia come spade non era certo un avversario da sottovalutare. Attaccò con più furia, riuscendo davvero a penetrare le difese dell’avversario, anche se questi continuava a non attaccare. Si limitava ad osservare la sua tecnica, come se lo stesse giudicando. Questo lo offese profondamente. Nessuno si prendeva gioco di Alberto Galipò!

 

 

Artorias Stark

L’italiano se la cavava bene. I suoi attacchi erano potenti e precisi, e dimostravano un grande allenamento e una profonda conoscenza di varie arti marziali. Inoltre dimostrava di aver girato il mondo. Era rimasto molto stupito quando il ragazzo aveva intuito la sua tecnica di combattimento. La maggior parte dei suoi avversarti rimaneva così spiazzata che si arrendeva dopo poco. Ma non stava ancora combattendo al massimo livello. Non voleva indurlo ad arrivare al ki, ma sentiva che poteva fare di più. Dopo aver capito la tecnica era riuscito a infilarsi nella guardia di Artorias, ma i colpi non arrivavano nemmeno con un terzo della loro vera forza. Doveva combattere con più potenza se voleva costringerlo a fare sul serio. Alla fine il colpo arrivò. Il più inaspettato, brutale e rozzo possibile. Un potentissimo montante apparve dal nulla, colpendolo di striscio sulla guancia. Solo i suoi riflessi sovrallenati gli avevano permesso di evitare di incassare. Nei suoi occhi si accese una scintilla. Era ora di fare sul serio. I suoi arti erano stati allenati per divenire letali come lame d’acciaio temprato, ogni suo muscolo resistente come una piastra d’armatura. Da tempo il suo corpo era solo una macchina da guerra. Era ora di scatenare la macchina. Si mosse veloce come il vento del nord, arrivando alle spalle del giovane italiano, colpendo un un pugno sulla spalla, pesante come una mazza ferrata. L’avversario incassò il colpo, ma non senza battere ciglio. Forse non si aspettava tutta quella potenza. Comunque era impressionante, davvero in pochi erano stati in grado restare in piedi e in salute dopo quel colpo. Non gli aveva neanche slogato una spalla, complimenti davvero. Se avesse resistito ancora un po’ forse sua sorella Elsa avrebbe avuto uno spasimante. Sempre che fosse sopravvissuto abbastanza. Si mise in guardia nuovamente. Il suo braccio era una spada. Fece un gesto per invitare il nemico all’attacco. E quello attaccò. Un calcio volante, portato con velocità e potenza micidiale, ma come mossa era fin troppo facile da evitare, ed infatti Artorias scivolò all’interno della sua guardia, colpendolo con una stoccata inferta dalla punta delle dita, proprio al centro dello sterno. Il colpo lo fece cadere a terra, ma con un movimento elastico l’italiano si rimise in piedi, nuovamente in guardia. Ma qualcosa cominciò a cambiare. Il ragazzo divenne sempre più veloce e forte. In modo innaturale. Artorias deviò il Ki nella mano, ed afferrò il pugno di Alberto, stritolandolo in una morsa. Poi avvicinò la bocca all’orecchio dell’avversario. “Non è onesto usare il Ki in un momento come questo. Non doveva essere un duello tra marzialisti?” poi il suo avversari fece una mossa davvero inaspettata. Lo prese di peso con la mano libera e lo scagliò verso la porta, mandandolo a sfondare  una parete, facendolo volare in giardino, proprio nella pozza decorativa. Per fortuna indossava i vestiti adatti. Si alzò di quasi un metro, sentì un folto pelo crescere sul corpo, il capo allungarsi e la bocca riempirsi di zanne. La sua dannata trasformazione, la maledizione che colpiva tutti i Cavalieri del Lupo. Si era trasformato in un licantropo. Era tempo che non gli succedeva. Grondante e furioso uscì dalla pozza, trovandosi davanti tutti gli spettatori. Non uno di questi urlò o si scompose. Tutti sembravano averlo riconosciuto, forse anche perché Sif abbaiava contento nella sua direzione. Alberto tentò un ennesimo attacco, ma si ritrovò soverchiato dalla potenza e dalla velocità del lupo antropomorfo, che lo schiantò a terra con un colpo solo, un micidiale doppio pugno dietro la schiena, rozzo ma straordinariamente efficace. A scontro finito Artorias cercò di articolare qualche parola in inglese “Soome. Hot. Watarrr” ringhiò, a fatica. all’inizio sembrarono non capire, finché Sif, presa l’iniziativa, non corse in cucina e si mise ad abbaiare al bollitore. Qualcosa allora sembrarono capire, ed in pochi minuti fu pronta una bella dose di acqua bollente, che si vero addosso, ritornando alla sua forma umana. “Mi scuso per l’imprevisto. E’ una vecchia maledizione di famiglia, ce la portiamo dietro da circa mille anni. Purtroppo devo ammettere che il mio avversario non è stato sconfitto in modo leale. Dunque, Saotome, se non ti dispiace, potremmo rimandare a domani, quando si sarà ripreso, e dopo il nostro. Non vedo l’ora di scoprire di cosa sei capace.” Disse, svanendo nel nulla, con Sif che lo seguiva, ma non prima di essersi strofinato un’ultima volta sulla rossa. Artorias si disse che, se fosse tornato, di giorno, avrebbe dovuto chiederle di uscire, magari anche solo per mangiare qualcosa. La sua aura era talmente simile a quella del fratello che doveva essere forte per forza. Chissà, forse aveva trovato una ragazza che la famiglia avrebbe accettato. 

 

 

Ranma

Ran-chan era abbastanza entusiasta. Non solo come marzialista, dato che aveva assistito ad un incontro incredibile, ma anche come ragazza. Insomma, quel tipo era lo stesso ragazzo che aveva incontrato al centro commerciale giorni prima. Era carino come lo ricordava, e il cucciolo che aveva visto l’altra volta era tenerissimo, tanto che aveva stregato tutte le ragazze. Ora cosa doveva fare? Non vedeva l’ora di rivederlo! E poi c’era quel fatto. Si era trasformato in un lupo mannaro, ma non gli aveva fatto paura. La cosa lo rendeva solo più affascinate. Un misteriosa maledizione che affliggeva un fortissimo guerriero vestito di nero. Quanto mistero nascondeva questo straniero. Si sorprese ad avere simili pensieri. Va bene che era una ragazza, ma pensare quelle cose non era da lei. Insomma, doveva capire cosa le succedeva. Decise che ne avrebbe parlato con Akane. Magari non era la persona più esperta, ma sicuramente ne sapeva più di lei, visto che l’aveva provato. Si, decisamente doveva chiedere se si era innamorata o semplicemente provava una strana attrazione, forse causata dal fascino misterioso di quel tipo. Anche quell’Alberto era carino, ma non gli piaceva troppo. Insomma, non era paragonabile. Lui non aveva un tenerissimo cucciolo di lupo come animale domestico. 

“Akane, senti, posso chiederti una cosa?” “Si?” chiese la ragazza che sembrò leggermente seccata per l’essere stata trattenuta. Non è che stava cercando di sgattaiolare da qualche parte con Ranma? “Volevo solo chiederti come ci si sente quando capisci che ti piace qualcuno.” disse, arrossendo un pochino. “P-perché me lo chiedi?” chiese Akane, ancora più rossa della rossa. “Nulla, ero solo curiosa.” disse Ranma. Cercò di dissimulare al meglio il suo reale interesse, ma tanto Akane era così impegnata ad arrossire che non pensò nemmeno per un secondo alla stranezza della richiesta dell’amica. “E’… strano. Senti come un fuoco che ti brucia dentro. Ma non fa male, è piacevole. E poi ti batte il cuore ogni volta che lo vedi e, e…” Akane arrossì come un peperone. Che tenera, le aveva confessato di tutto e di più ancora si imbarazzava. “Pazienza, fa nulla. Sgattaiola pure da mio fratello, magari riuscite a sbaciucchiarvi un po’ prima di andare dormire.” Disse, allontanandosi. Decise che era il caso di fare una passeggiata al chiaro di luna. Tanto ormai si sarebbe cento a pezzi, quindi non importava granché se rientrava un po’ più tardi. Usò uno  degli alberi in giardino come trampolino di lancio, per poi saltare da un tetto all’altro fino a raggiungere un parco. Non era né grane né bello, ma era buio, silenzioso e tranquillo. Non poteva chiedere di meglio. Tutto quello che voleva era pensare. Pensare alla sua vita, a quello strano senso di inutilità che l’aveva avvolta da quando quei due si erano messi assieme Per qualche motivo si sentiva… svuotata. Insomma, perché stava così? Lei mica era nata per far mettere insieme quei due, dannazione. Perché le sembrava di non avere più uno scopo? Certo, era felice per loro, ma non riusciva a spiegarsi quel grande vuoto nel cuore. Era colpa dell’amnesia? Era perché non ricordava quasi nulla, e la prima cosa importante che aveva visto erano loro due, come in una sorta di imprinting? E ora? Che cosa avrebbe fatto? A cosa si sarebbe dovuta aggrappare? In quel momento un vento freddo, innaturale per la stagione, l’avvolse. Ed il brivido che ne derivò non fu solo di freddo. Anche una strana paura la avvolse. Non ricordava se si era mai trovata in una situazione simile, ma si sentiva come se si fosse persa in una tormenta. Per ogni passo che faceva tornava indietro, ed era sferzata da dubbi e incertezze. Per la prima volta da quando si era risvegliata ebbe davvero paura. Era seduta su un albero, e si raggomitolò sulla biforcazione del ramo. Proprio in quel momento vide qualcosa. Un essere enorme, con le sembianze di una bellissima donna che sbucava sino da torso da un enorme corpo di millepiedi, si ergeva oltre gli alberi del parco, urlando bestemmie e maledizioni contro qualcuno a terra. Certo, quella vista la terrorizzò, ma qualcosa la indusse a guardare. Una figura in nero, con i fluenti capelli bianchi che risplendevano alla luce della luna scattò, veloce come un fulmine, e colpì in pieno lo yokai con un pugno. Un pugno abbastanza potente da farla schiantare a terra. Un pugno potente come una palla da demolizione, aveva sentito l’impatto da quasi trenta metri di distanza. Nessun umano era in grado di fare una cosa del genere. O meglio, nessun uomo normale. Ma propio quella sera aveva visto qualcuno di abbastanza forte da lanciare qualcuno da una parte all’altra di una stanza, oppure di stendere un avversario incredibilmente coriaceo con un solo colpo. E solo qualcuno che aveva conosciuto quel giorno stesso vestiva un lungo impermeabile nero ed aveva lunghi capelli bianchi come la neve. Senza alcun dubbio quello era Artorias Stark.


 

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So che in questo capitolo c'è un casino allucinante. So che non spiego nulla, non succede quasi nulla e che probabilmente qualcuno, a pieno diritto aggiungerei, vorrebbe riempire una bambola vudù di spilli per farmela pagare, ma questo cap era tristemente necessario. Prometto che ne vedrete delle belle in futuro. Intanto prendete questa... roba, come la cicoria bollita prima della torta al cioccolato. Dovete mangiarla, non c'è scampo. Ma poi arriverà il dolce. Spero solo di non servirvi un brunch del disgusto prima di arrivare al fantomatico dessert. 
E dopo essermi depresso così spero che comunque qualcosa vi sia piaciuto, che vi abbia fatto passare un paio di minuti in allegria e vi chiedo di lasciarmi una piccola recensione per dirmi cosa pensatte del risultato di queste ultime due settimane. Grazie a tutti quelli che leggono questa folle storia, ciao a tutti dal vostro

Jacob Stark di Grande Inverno

P.S. Chissa se qualcuno indovia a che Elsa fa riferimento la sorellina di Artorias?

  
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